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L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

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L’Ultimo Demone

L'Ultimo Demone

L’Ultimo Potere

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Strade Nascoste – Racconti

Strade Nascoste - Racconti

Strade Nascoste

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Il magazzino dei mondi 2

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Archetipi - La Caduta

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Ogni civiltà, dopo l’ascesa, è soggetta alla caduta.
In alcuni casi può essere un evento catastrofico scatenato dalle forze della natura (un esempio è l’antica Creta, che non si riebbe più dopo un terremoto), in altri una guerra (di esempi la storia ne è ricca); più spesso però si tratta di un processo che parte dall’interno. Giunge un momento in cui gli individui di una popolazione, sicuri della posizione raggiunta e dei mezzi che gli hanno permesso di raggiungerla, si sentono arrivati sulla cima e ritengono di aver conquistato tutto quello che può essere conquistato. Un’illusione nata dall’arroganza e dalla presunzione, oltre che da una mente limitata e ignorante, dove non ci si è accorti del decadimento in cui si è finiti per una perdita che hanno sopravvalutato: quella dei valori.
caduta dell'uomo Gli antropologi hanno spesso descritto ciò che accade a una società primitiva allorché i suoi valori spirituali si trovano esposti all’influenza della civiltà moderna. Gli uomini perdono il significato della propria vita, la loro organizzazione sociale si disintegra ed essi stessi decadono moralmente. Noi ci troviamo attualmente nella medesima condizione senza però esserci mai resi conto di ciò che abbiamo perduto, poiché i nostri capi spirituali, sfortunatamente, erano più interessati a proteggere le loro istituzioni che a comprendere il mistero offerto dai simboli. Secondo me, la fede non esclude la ragione (che è l’arma più potente dell’uomo), ma disgraziatamente molti credenti sembrano così impauriti dalla scienza (e, incidentalmente, dalla psicologia) da essere completamente ciechi di fronte alle forze psichiche soprannaturali che dominano incessantemente il destino degli uomini. Abbiamo spogliato ogni cosa del suo mistero e del suo carattere soprannaturale; non c’è più nulla di sacro.
Nell’età primitiva, quando i concetti istintivi zampillavano nella mente dell’uomo, non era difficile per lui integrarli consciamente in una coerente struttura psichica. Ma l’uomo « civilizzato » non è più capace di ciò: la sua coscienza « avanzata » lo ha privato dei mezzi attraverso i quali è possibile assimilare all’inconscio i contributi ausiliari degli istinti. Questi organi di assimilazione e d’integrazione erano i simboli soprannaturali, da tutti considerati sacri.
Oggi, per esempio, si fa un gran parlare di « materia »: descriviamo le sue proprietà fisiche, conduciamo esperimenti di laboratorio per dimostrarne alcuni aspetti. Tuttavia la parola « materia » rimane un concetto arido, disumano e puramente intellettuale, privo per noi di qualunque significato psichico. Quanto diversa era l’antica immagine della materia – la Grande Madre -, capace di abbracciare e di esprimere il profondo significato emotivo della Madre Terra! Nello stesso modo, ciò che prima era lo spirito, ora viene identificato con l’intelletto, cessando così di essere il Padre di tutte le cose. Esso è degenerato al rango dei limitati pensieri soggettivi dell’uomo e l’immensa energia emotiva espressa nell’immagine del « Padre nostro » è svanita nella sabbia di un deserto intellettuale.
(1)
Così scriveva Carl Gustav Jung qualche decennio fa, ma le sue parole sono ancora attuali, forse molto più di allora, dato che la perdita di valori si è fatta più accentuata, portando l’umanità in una caduta  verso il baratro che si fa sempre più veloce. La società occidentale attuale (che non significa solo Europa e Stati Uniti, ma comprende tutte le nazioni dei continenti, comprese paesi come Cina, India che sono dell’Oriente) basa tutto il suo esistere sul denaro e il materialismo e gli effetti di tale mentalità sono ben visibili: l’uomo ha perso se stesso e sta impazzendo sempre di più.
Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L’uomo si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua « identità inconscia » emotiva con i fenomeni naturali…II suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava. (2)
Ecco a cosa ha condotto il consumismo, il riversare tutte le energie alla macchina della produttività e dell’economia: a un inaridimento interiore che ha portato a dimenticare ciò che ha davvero valore, che ha lasciato solo ceneri e un senso d’amaro in bocca che non può essere cancellato, facendo sentire l’uomo un oggetto svuotato. E’ questo il risultato del freddo e calcolatore razionalismo che ha pensato solo al profitto e sta spingendo l’uomo verso la caduta.

1- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 76 Tea 2010
2- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 77. Tea 2010

L'asino selvatico e l'asino domestico

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C’era una volta un simpatico asinello selvatico che trascorreva le sue giornate in libertà, passeggiando per i campi e mangiando il cibo che trovava. Durante uno dei suoi giri quotidiani ebbe modo di vedere un suo simile, dall’aspetto sano e robusto, che brucava l’erba in un grande prato cintato da un’alta staccionata di legno. Esso, osservando l’animale domestico, pensò: “Che bella vita! Lui sì che sta bene: è spensierato, senza problemi e con il cibo a volontà”. In effetti l’altro asino sembrava proprio fortunato: gli venivano serviti due pasti abbondanti al giorno, riposava in una stalla bene attrezzata ed aveva un pascolo meraviglioso a sua disposizione.
L’asino selvatico, invece, doveva accontentarsi dei miseri sterpi che riusciva a trovare ai margini della strada, perché i prati ricoperti di erbetta fresca erano tutti privati. Ogni tanto, il povero asinello appoggiava il muso sulla cima della staccionata e, guardando l’altro, lo invidiava da morire.
L'asino selvatico e l'asino domesticoUn giorno, però, il giovane asinello, girovagando tranquillo, incontrò sulla via, un animale talmente sovraccarico di legna, sacchi di grano ed altro da non essere in grado di capire di che bestia si trattasse. Quando questa, per reagire ad una violenta frustata del suo padrone, tirò un calcio e alzò il muso, lo riconobbe: era l’asino domestico che fino a quel giorno aveva tanto invidiato! “Eh, caro mio,” gli gridò affiancandosi a lui “a questo prezzo non farei mai cambio con te. Nessuno mi comanda, io sono libero e leggero come una libellula. Se poi non mangio bene come te, meglio, mi mantengo in linea. E per sopravvivere mi arrangio”. Dopo quell’incontro l’asino selvatico non provò più alcuna invidia per il suo simile.
(1)

L’uomo moderno si considera più avanzato rispetto ai suoi antenati. In parte, questo è vero: la tecnologia, la scienza, gli hanno permesso di realizzare progetti, compiere azioni che un tempo appartenevano solo all’immaginazione.
Ma come tutte le cose, c’è un prezzo da pagare: il benessere ha richiesto il suo tributo. Per avere tutti le comodità che la tecnologia ha messo a disposizione (cellulari, tv a pagamento, collegamenti a internet con ogni forma di dispositivo, servizi per la casa, optional per le auto, assicurazioni, tasse sui servizi, solo per fare qualche esempio) occorre passare la maggior parte del proprio tempo sul posto di lavoro per avere i soldi necessari per poter mantenere tutte queste cose. Un guadagno, che con il peggioramento della situazione lavorativa (più ore lavorate per lo stesso stipendio, meno diritti), pesa sempre di più e che spinge a dover lavorare sempre di più se si vuole mantenere tutto questo; tutto ciò con conseguente peggioramento del modo di vivere, dato che oltre alla fatica si accumulano ansie, stress e si ha minor tempo da passare con i propri affetti e da impiegare per i propri interessi. Per avere un maggior benessere, ci si è fatto carico di pesi maggiori e soprattutto si è limitata di molto la propria libertà.
Una maggiore sicurezza economica e di benessere, ma ne è valsa la pena? Visto come si vive attualmente, sembra che la maggior parte ritenga di sì. Gli antichi invece sono di avviso contrario, ritenendo che la libertà non ha prezzo e non c’è nulla che la possa uguagliare.

1- Racconto tratto dal sito lefiabe.

Brîsa ciapér pr al cûl 3

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Schettino insegna alla SapienzaSembra una barzelletta ma non lo è.
Schettino, il famoso capitano che ha fatto affondare la Concordia causando numerose morti, oltre ai all’ambiente, è stato invitato a insegnare alla Sapienza su come gestire il panico.
Il fatto è talmente ridicolo e surreale da essere grottesco. Primo, perché un individuo come Schettino per quello che ha combinato dovrebbe essere in galera. Secondo, perché un individuo con il suo comportamento irresponsabile e dannoso non più insegnare, non solo a dei giovani all’università, ma a nessuno. Ancora più grave è l’irresponsabilità di chi l’ha invitato a prendere parte all’evento di cui ha fatto parte.
Solo in Italia possono succedere fatti del genere, dove i colpevoli sono lasciati liberi e impuniti e anzi gli vengono perfino dati certi ruoli; una dimostrazione dello stato attuale in cui versa il paese, dove tutto è caos e permessivismo e il rispetto e la professionalità sono elementi ormai dati per dispersi.
Come si dice a Bologna, brîsa ciapér pr al cûl.

Una questione di giustizia

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Bernie Ecclestone, patron della Formula Uno, era sotto processo per corruzione per aver pagato una tangente di 44 milioni di dollari al banchiere tedesco Gerhard Gribkowsky, in carcere per una condanna a otto anni e mezzo per avere accettato tangenti.
Per non essere processato, Ecclestone ha pagato 100 milioni di dollari, facendo così archiviare il caso, evitando così una condanna a dieci anni di galera, potendo così rimanere a dirigere il mondo della F1.
Il messaggio che passa, l’ennesimo esempio di quest’epoca dove tutto si basa sul denaro, è che la giustizia non esiste, che può essere piegata da chi ha soldi e potere; è una cosa vecchia come il mondo che esistano due pesi due misure.
Ma bisognerebbe fare una precisazione e dire che non si sta parlando di giustizia, ma di regole per ordinare la società, sottolineando che queste regole non applicano le leggi eque ed universali di quella che dovrebbe essere la giustizia, ma che sono pensate e progettate da chi è al potere e adeguato a esso.
Di fronte a fatti del genere, non si può parlare di giustizia, perché la giustizia vuole che chi sbaglia paga, chi commetta reati venga condannato, a prescindere dalla sua posizione sociale o da quanti soldi possiede.
Non ci si chieda perché le persone non hanno più fiducia nelle istituzioni.

Fantasia

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La fantasia nella nostra società non è elemento incentivato; nel caso avvenga è perché si cerca un utile, un ottenere denaro, ma in questo caso fa perdere molto del suo significato e del suo potenziale, perché fa passare il pensiero che non è concepito qualcosa che non crei profitto, che esista solo per essere quello che è, ovvero qualcosa di bello che arricchisce interiormente, dando un significato all’esistenza o magari permettendo di renderla più sopportabile.
Una realtà non solo attuale, ma che è sempre esistita. La fantasia, dalla maggioranza, è sempre stata sottovalutata o disprezzata; l’unica fantasia considerata accettabile era (ed è) quella rivolta all’ambito sessuale, per non parlare di quella di conquista, di accumulo di denaro, di potere. La fantasia volta a creare qualcosa di bello, in grado di far sognare, invece è denigrata, da tutte le parti.
Se si è giovani e si fantastica, si sogna, si viene presi in giro dai coetanei,  che sbeffeggiano, mettono in ridicolo quello che si fa come è tipico dell’adolescenza, perché gli adolescenti possono essere molto crudeli (per non usare un altro termine): “ma vai a f**a!”, “dai, vieni che ci andiamo a prendere una bella pitona!”, “prova questa pasticchetta: vedrai che viaggio, altro che le tue fantasticherie”. Questi sono solo alcuni esempi di come viene trattato chi prova a volgere lo sguardo verso qualcosa che non è nel concreto, ma si trova a un diverso livello d’esistenza; ma i commenti possono essere molto più taglienti e i comportamenti molto più feroci, partendo dall’emarginazione, arrivando a insulti e a vero e proprio accanimento, perché si cerca qualcuno su cui gettare le proprie frustrazioni, su cui scaricare il fatto di aver rinunciato (o essere stati costretti a rinunciare) ai propri sogni, cercando così di distruggere anche quelli degli altri.
Gli adulti non sono certo meglio: i più cercano in ogni modo di disincentivare il fantasticare, compatendo chi lo fa. “Smetti di stare con la testa tra le nuvole”, “Sei grande per queste cose”, “Cerca di badare più al concreto e vedi di crescere, non perderti sempre dietro a fantasie di bambini” sono tra le frasi che più spesso di sentono dire.
Se è un adulto a fantasticare, le cose non vanno certo meglio: i giudizi sono ancora più traccianti. “Disadattati”, “Gente mai cresciuta”, “Minorati mentali”, questi sono alcuni dei giudizi dati con disprezzo e compatimento.
Questo pensa la maggioranza a riguardo della fantasia e di chi la segue. E visto che la maggioranza la pensa così, allora deve essere per forza il pensiero giusto.
Ma se si è andati avanti nell’evoluzione, non è stato certo grazie a questa mentalità. Anzi, per chi fa parte di tale modo di pensare vale solo un giudizio: “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina girata da asino al collo e venga gettato nel mare.” (Marco 9,42) (con piccoli non ci si riferisce solo all’età della fanciullezza, dell’essere bambini in base all’età biologica, quando a mantenere quell’aspetto psicologico di cui poeti come Pascoli hanno parlato e che tanti esperti di psicologia si sforzano di far riscoprire all’individuo dopo che il sistema in cui sono vissuti ha cercato in ogni modo di cancellare).
Topolino nella famosa interpretazione di L'apprendista stregone nel film FantasiaSe il mondo è andato avanti è stato grazie ai sognatori, a chi ha usato e seguito l’immaginazione. Perché l’immaginazione è un guardare oltre, verso quel che ancora non si comprende e che porta a scoperta ed evoluzione. “I have a dream” proclamava Martin Luther King, “If you can dream it, you can do it!” diceva Walt Disney.
Se gente come Pasteur, Da Vinci, i fratelli Wright, si fosse lasciata scoraggiare nel seguire i suoi sogni perché erano qualcosa di lontano dal reale, che non ne faceva parte (solamente una fantasia come ritenevano i più), l’umanità sarebbe sempre rimasta ferma.
Per questo ci sarà sempre bisogno di sognatori: perché sono loro quelli che fanno andare avanti e permettono all’umanità di essere tale e non un gretto abominio che sa solo distruggere.

Lo Spirito Oscuro di Shannara

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Pubblicato in Italia nel 2008, Lo Spirito Oscuro di Shannara è una graphic novel (la prima dedicata al mondo di Shannara) basata su un soggetto di Terry Brooks, con disegni di Edwin David e adattamento di Robert Place Napton.
La storia riprende i personaggi di Jair Ohmsford e Garet Jax, uno dei preferiti dei lettori dello scrittore statunitense, per approfondire il loro rapporto nato in La Canzone di Shannara e visto anche nel romanzo breve Indomitable, oltre che affrontare il rapporto del ragazzo con la sorella Brin sull’uso della magia. Chi ha letto La Canzone sa che i poteri che posseggono i due ragazzi della Valle è eredità del padre Wil a seguito dell’uso delle Pietre Magiche nella lotta contro i Demoni che ha portato le Quattro Terre quasi a cadere: nel caso di Brin, si tratta di un potere capace di alterare la realtà, di avere effetti concreti sulle cose e sulle persone; mentre Jair è in grado solo di creare delle illusioni. Questo almeno finché era poco più di un bambino.
Garet Jax in Lo spirito Oscuro di ShannaraI fatti proposti in questa graphic novel si verificano qualche anno dopo la lotta contro le Mortombre, e lo sviluppo fisico di Jair, ormai prossimo all’età adulta, ha portato un cambiamento anche nella sua magia: oltre alle illusioni, ora ha la capacità di divenire Garet Jax, di avere la sua forza, la sua velocità, il suo istinto di combattente, la sua capacità nell’uso delle armi; una vera e propria macchina da guerra. Una trasformazione che ricorda un po’ quello che succede a Ben Holiday nel regno di Landover quando grazie al medaglione diventa il Paladino, fondendo il suo io con quello di un altro essere e acquisendo le sue capacità, ma anche la sua personalità.
Potere che si manifesta partendo dal punto in cui era terminato il romanzo La Canzone di Shannara: la sconfitta dell’Ildatch. Solo che non è stato sconfitto del tutto, ma è rimasta una pagina del pericoloso grimorio ed è stata trovata dai Mwellret, i rettili umanoidi con cui Jair ha già avuto a che fare, essendo un tempo stato prigioniero di uno di loro. Il ragazzo, grazie alla nuova manifestazione della magia, riesce a fermare le brame delle creature, ponendo fine una volta per tutte al libro maledetto.
Con la distruzione dell’ildatch tutto sembra finito, ma è solo una piccola parentesi di pace: sulla via del ritorno, l’ombra di Allanon compare a Jair avvisandolo che i mwellret non si sono dati per vinti nella loro ricerca di potere: alleatisi con la Strega di Croton, hanno catturato Kimber Boh e Cogline, con l’intento, grazie alle arti magiche della megera, di strappare dalla mente dell’ex Druido il modo per far tornare sulle Quattro Terre la scomparsa Paranor, sigillata in un’altra dimensione, e prendere possesso della sua magia.
Il ragazzo della Valle, sia per salvare il mondo, ma soprattutto i suoi amici, intraprende la missione affidatagli dal Druido; per trovare Kimber e suo nonno rintraccia Slanter, lo gnomo battitore che l’ha aiutato nella cerca precedente, l’unico sopravvissuto del gruppo che ha permesso a Jair di raggiungere la Sorgente del Cielo.
Prima Pietra del Focolare, poi la Malaterra e infine i Denti del Drago: attraversando terre già conosciute, si arriva al confronto finale con la Strega e i suoi asserviti per fermarli dal far tornare Paranor e usare la sua magia.
Una buona storia, anche se non all’altezza di Le Pietre Magiche e La Canzone: non c’è la stessa epicità, la stessa grandezza percepita in queste opere, sia perché la trama è più breve e meno strutturata, sia perché non ci sono nemici veramente all’altezza come possono essere stati i Demoni con il Mietitore, il Dagda Mor e le sue schiere, e le Mortombre, la Jachyra asservite al pericoloso Ildatch. Manca di drammaticità, di vero pericolo, ed è priva di quei dettagli che i personaggi secondari (qui assenti) era capaci di dare. Ma è disegnata molto bene in ogni sua parte, con gran cura per i particolari, capace di mostrare le Quattro Terre come il lettore se l’è immaginate leggendo le storie di Brooks. Il progetto ha rispecchiato bene le parole di Robert Place Napton, secondo le quali bianco, nero e mezzetinte volevano condividere la poesia del bianco e nero di I Sette Samurai di Akira Kurosawa, film che ha influito sulla storia della canzone per stessa ammissione di Brooks (1); intento ben realizzato dal tratto di Edwin David, dagli inchiostri di Dennis Crisostomo e dalle mezzetinte di Brian Buccellato.
Lo Spirito Oscuro di Shannara ripropone personaggi già conosciuti, mostrandone nuovi lati e affrontando un tema caro al suo creatore, ovvero la tentazione della magia e del suo richiamo che spinge a usarla sempre di più, fino a quando non se ne diventa schiavi e si perde se stessi. Un potere che se usato saggiamente può aiutare, ma che rischia di diventare un male se se ne abusa.
Nel complesso un volume piacevole, che mostra ancora un poco dello spirito dei primi libri di Brooks, perso da Il Viaggio della Jerle Shannara in poi.

1- Lo Spirito Oscuro di Shannara. Terry Brooks, pag. 174. Mondadori 2008

Maleficent

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Maleficent di Robert Stromberg cona Angelina JolieMaleficent, film del 2014 del regista Robert Stroberg, rivisita la celebre fiaba della Bella Addormentata di Perrault dando connotati meno marcati a “buoni” e “cattivi”. Come già citato per il film Belle & Sebastien, non si nasce malvagi, ma sono le esperienze della vita che possono far incattivire: è su questo punto che ruota tutta la vicenda.
Malefica è la fata più forte della brughiera (luogo dove vivono tutte la creature magiche vivono in armonia con la natura), colei che la difende dagli attacchi del regno degli umani. Per la cupidigia e l’arrivismo di un umano di cui si è fidata, ha visto non solo la sua fiducia calpestata, ma anche le sue ali venir strappate; dolore non solo fisico e per la perdita del volo, ma anche per il tradimento del ragazzo con il quale era cresciuto e per aver scoperto che il vero amore che tanto lui aveva dichiarato era solamente una menzogna.
Menomata, usata, Malefica subisce una vera e propria caduta, al punto che in certi passaggi ricorda il Lucifero di Paradiso Perduto di Milton, dove l’odio per l’umanità le inaridisce il cuore, facendole pianificare la vendetta contro chi tanto dolore le ha causato: una vendetta che colpirà al cuore, ai sentimenti, proprio come è stato fatto a lei. La vittima sarà per questo Aurora, la figlia di re Stefano, il ragazzo che per le sue ambizioni di potere ha rinnegato il passato trascorso insieme e quanto tra loro c’era stato.
Con questo punto di vista, il male è reso comprensibile, non è un elemento astratto, ma attraverso le cause si riesce a capire come esso può nascere, quale rabbia e rancore può far muovere certi passi e compiere determinate azioni.
Come è ben mostrato questo passaggio nel film, altrettanto lo è il cambiamento che si verifica pian piano in Malefica e che comincia quando il suo sguardo si incontra per la prima volta con la piccola nella culla, dimostrando che Malefica non è malvagia, solo una creatura indurita e che ha perso fiducia e speranza. E’ con il tempo e la vicinanza di Aurora che comincia a prova amore proprio per colei che ha maledetto: un amore materno che sarà proprio quello che spezzerà il maleficio lanciato. Buona la scelta di mostrare l’amore sotto questo aspetto e non sempre il solito cliché dell’amore immenso ed eterno tra un uomo e una donna.
Questi i punti di forza del film.
Carine le gag delle tre fate che fanno da “zie” alla piccola aurora (senza essere nulla di eccezionale), ben fatto il personaggio del corvo Fosco che può assumere grazie alla magia di Malefica qualsiasi forma (anche umana) che funge da coscienza per la fata, belle le creature (anche se non è niente che non si sia già visto), il punto debole è la mancanza di spessore del re Stefano, personaggio vuoto che non ha la stessa profondità di Malefica (ben interpretata da Angelina Jolie): sembra essere un burattino che recita male la sua parte, che esegue quanto gli viene detto di fare, ma non ha motivazioni forti, plausibili (tolta l’ambizione di salire al trono, non ha nient’altro, nessun sentimento, nessuna emozione, solo l’ossessione per Malefica). Anche le battaglie tra creature magiche e umane, benché ben realizzate con le tecniche che già si conoscono, sanno di già visto e non creano nessun pathos, nemmeno nello scontro risolutivo finale tra i due antagonisti.
In definitiva, Maleficent è un buon film, non un capolavoro, intelligente senza essere pesante e con un messaggio di fondo del rispetto verso la natura e gli animali che non fa mai male.