Racconti delle strade dei mondi
Jonathan Livingston e il Vangelo
Strade Nascoste – Racconti
Inferno e Paradiso (racconto)
Lontano dalla Terra (racconto)
La fine di ogni cosa (racconto)
L’Ultimo Baluardo (racconto)
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By M.T., on Maggio 18th, 2025  L’ombra degli dei, primo volume della saga dei Fratelli di Sangue di John Gwynne, è, come asserito dall’autore, un libro ispirato sia a Beowulf sia al Ragnarok, la battaglia dei miti nordici dove trovarono la fine i vecchi dei vichinghi come Thor e Odino (questa però non fu la fine di tutte le divinità, alcune sopravvissero dando inizio a una nuova era). Se devo essere sincero, ricordare tutti i termini legati alla mitologia nordica usati nel romanzo mi è difficile, quindi, per evitare di scrivere inesattezze, eviterò di usarli.
La storia segue tre filoni, ognuno dedicato a un personaggio principale.
Varg è uno schiavo che è riuscito a scappare dai suoi padroni e chi si unisce a un gruppo di combattenti chiamato i Fratelli di Sangue.
Orka vive una vita tranquilla con suo marito e suo figlio in una fattoria isolata, almeno fino a quando non vengono attaccati e a lei non rimane che vendicare il marito ucciso e ritrovare il figlio rapito.
Elvar è una guerriera degli Sterminatori, un gruppo che caccia Corrotti, persone nelle cui vene scorre il sangue degli Dei.
Le vicende di queste tre figure per un buona parte del libro si evolvono per conto loro ma finiranno inevitabilmente per intrecciarsi in una vicenda che è più grande di quel che sembra: tutto si riconduce alla battaglia in cui gli dei sono caduti, al luogo dove le loro spoglie giacciono. Un luogo divenuto leggenda, che tanti ambiscono trovare e la chiave è il sangue, perché il sangue è più che vita: è memoria, è potere.
John Gwynne fa un buon lavoro con L’ombra degli dei, ricreando l’atmosfera dei miti nordici tra foreste, viaggi in mare e terre misteriose dove riecheggia ancora la presenza degli dei. Anzi, è più di un riecheggiare, dato che ci sono città che sorgono proprio tra i resti delle divinità. A parte un po’ di difficoltà iniziale avuta con alcuni termini, la lettura è proceduta spedita e piacevole, rendendo L’ombra degli dei un libro consigliato per chi ama battaglie sanguinose, leggende e dei d’ispirazione vichinga.
By M.T., on Maggio 8th, 2025  Il Papa del compromesso: questo è Papa Leone XIV. Già la scelta del nome indica coraggio, forza, tipica dell’animale cui ci si riferisce, visti i tempi che si stanno affrontando. Ci si dimentica però una caratteristica del leone: la ferocia. Il fatto che sia stato scelto come Papa il cardinale Prevost, un cardinale americano per cui Trump simpatizza, non aiuta certo a essere ottimisti. L’avevo già scritto in un post precedente: la scelta più indicata era Zuppi, ed essendo quella più indicata, non sarebbe avvenuta (perché fare una scelta giusta quando si può fare una cavolata?). Avevo anche scritto che bisognava evitare l’elezione a Papa di un cardinale americano, specialmente se legato in qualche modo a Trump: troppe ingerenze e pressioni, una scelta troppo politica. Purtroppo così è stato, ma non è certo una novità: la Chiesa si è sempre inchinata al potere e ai soldi, legandosi a essi fin dai tempi di Paolo (prima chiamato Saulo e grande persecutore dei cristiani). Paolo si rivolse infatti alla nobiltà, ai ricchi, a chi aveva potere per avere appoggio e far sì che l’istituzione Chiesa crescesse; una scelta pragmatica, qualcuno osserverebbe che è stata una scelta intelligente perché avendo maggior appoggio, aveva maggiore possibilità di crescita e diffusione. Peccato solamente che tradisse il messaggio originale, quello da cui è partito tutto, al punto che Pietro, uno dei primi discepoli di Gesù, capì, anche se tardi, che quella non era la strada da percorrere. E dire che era stato proprio avvisato da Gesù che avrebbe commesso tale errore: Gesù nel Vangelo dice a Pietro la seguente frase: “quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18-19) indicando come il suo percorso si sarebbe allontanato da quello cristiano, le sue scelte guidate da altri. Cosa che è appunto successo con Paolo: come già scritto, ma lo si ribadisce, Paolo per far crescere l’istituzione della chiesa si basò sull’appoggio di ricchi e nobili; una scelta pragmatica, sicuramente utile per far aumentare l’influenza della nuova e appena nata religione, ma non consona al messaggio originale. Pietro, alla fine della sua vita, capì le parole di Gesù e vide che la strada intrapresa non era quella che lui aveva creduto: per questo motivo si ritenne indegno di morire nello stesso modo di Gesù e fu crocefisso a testa in giù, ammonendo così che la via che stava seguendo la Chiesa era all’opposto da quanto detto da Cristo.
E qui si deve trattare un argomento che a molti scandilizzerà, farà arrabbiare, urlare; reazioni forti insomma. Quando si parla di croce capovolta, si pensa all’Anticristo, inteso come demonio, diavolo, Satana, maligno, insomma una figura di puro male. Si è pensato però che l’Anticristo non sia il simbolo di una figura di puro male, ma sia il contrario dell’insegnamento originario di Cristo? Certo, molti associando a Gesù il bene puro pensano che l’Anticristo sia il male puro, ma non è così: il modo in cui ha agito l’istituzione Chiesa ha dimostrato nei secoli cosa significa il contrario del messaggio di Gesù.
Si è di fronte a un’eresia o una bestemmia dicendo qualcosa del genere?
No: in molti, anche tanti religiosi e membri della Chiesa, hanno criticato e giudicato l’operato dell’istituzione Chiesa, opulenta e lontano dalla gente comune, dai bisognosi, dai poveri. Uno degli esempi più lampanti è stato Bonifacio VIII, ma basta anche vedere come sono state trattate dalla Chiesa figure come Francesco d’Assisi e Padre Pio, prima perseguitati e poi riabilitati perché avevano un gran numero di seguaci; numeri talmente grandi da essere un popolo e un popolo è potere. Oltre che un grosso problema, se si decide di prenderlo di petto. Molto più semplice ingannarlo. Pertanto hanno scelto di fare di quelle persone eroi e santi acclamati e osannati: così facendo hanno stretto nella propria morsa quelle grandi folle. Qualcuno giudicherebbe questa mossa una porcata, altri opportunismo, altri politica, altri tradimento, come successo nella Seconda Guerra Mondiale, quando l’istituzione Chiesa invece di opporsi al fascismo e al nazismo, rimase in silenzio per paura di essere colpita da essi; omertà, codardia, pragmatismo: ognuno scelga il termine che preferisce, ma è un fatto che tale scelta non aveva nulla del messaggio originale. Certo, ci sono stati uomini all’interno della Chiesa che si sono opposti e battuti contro il fascismo e il nazismo, arrivando a sacrificarsi per salvare altre persone ed essere fedeli a ciò che credevano. Ma la loro è stata una scelta come individui, non come membri di un’istituzione che ha tradito quello che avrebbe dovuto seguire e insegnare.
Se si pensa che quanto scrivo sia perché non sono d’accordo sulla scelta di questo Papa, ci si sbaglia: scrivevo di queste cose (il messaggio della crocifissione a testa in giù, lo sfruttamento di figure religose) più di dieci anni fa con L’Ultimo Potere, (uscito nel 2015, ma la cui stesura risale al 2010), perché per me il fantastico, almeno per quello che realizzo, non deve essere solo intrattenimento, ma parlare di realtà.
La realtà di oggi ci dice che il nuovo pontefice è un pontefice di compromesso, dove la politica ha avuto il suo peso, dove la Chiesa si è fatta influenzare da essa: è un caso che sia stato eletto il primo Papa americano della storia dopo che Trump ha versato quattordici milioni di dollari per i funerali di Papa Francesco (se li avesse dati ai poveri sarebbe stato molto più cristiano, ma qui di cristiano c’è ben poco, mentre c’è molto di politica)? Non credo proprio; a pensar male si farà peccato però…
Potrò sbagliarmi, ma come è avvenuta la scelta è qualcosa di molto sospetto; forse il nuovo Papa sarà un buon Papa o forse sarà come tanti che si sono mantenuti nella media. Si spera che non faccia danni.
(I più maligni potrebbero far notare che ci sono somiglianze tra Papa Leone XIV e l’imperatore Palpatine…)

By M.T., on Maggio 4th, 2025  Star Trek – Il futuro ha inizio è stato uno dei diversi remake/reboot di film usciti in passato. Star Trek non ha bisogno di presentazioni, in molti conoscono questo mondo grazie alle gesta del capitano Kirk e del suo ufficiale Spock, conosciuti con la prima famosa serie tv dedicata a loro e agli altri membri dell’equipaggio dell’astronave Enterprise, nonché con i primi film tratti da essa. Sinceramente, non sono mai stato un fan sfegato di questo mondo, anche se ho visto tutti i film di Star Trek e alcune puntate della serie Star Trek: The Next Generation, quindi non ho avuto grosse remore nel vedere Star Trek – Il futuro ha inizio, né tanto meno nel criticarlo, anzi, devo dire che il giudizio dato è positivo.
La storia ha inizio quando una nave stellare della Federazione, la USS Kelvin, viene attaccata da una gigantesca nave romulana che è alla ricerca dell’ambasciatore Spock; avendo avuto risposta negativa, il capitano dei romulani, Nero, ordina di continuare l’attacco, ma grazie al sacrificio del neo capitano George Kirk, la maggior parte dell’equipaggio si salva, e tra esso anche la moglie che proprio nel momento dell’attacco dà alla luce suo figlio, James Tiberius Kirk.
La scena poi si spsota su Vulcano, dove un giovane Spock, metà umano e metà vulcaniano, dopo aver ricevuto un insulto sulla madre terrestre, l’unico punto debole capace di farlo reagire impulsivamente, picchia il ragazzo vulcaniano autore della provocazione.
Qualche anno dopo, i due, ormai adulti, si incontrano all’accademia della flotta stellare e il loro non è certo un incontro amichevole: fin da subito tra i due non corre buon sangue, dato che sono uno l’opposto dell’altro (istinto contro ragione). Fatto salire con un escamotage dall’amico dottore McCoy su un’astronave dopo essere stato sospeso per aver baratro nel test della Kobayashi Maru (un test dove si è sempre destinati a fallire per far comprendere il fallimento e la paura nell’affrontare prove impossibili da superare), Kirk riesce a far capire che la missione cui stanno partecipando è in realtà una trappola: avranno a che fare di nuovo con la nave di Nero, ricomparsa dopo venticinque anni dall’attacco in cui nacque Kirk, intenta a far implodere il pianeta Vulcano, impresa in cui riesce. Gettato su un pianeta quasi disabitato da Spock, Kirk incontrerà la sua versione più anziana, giunta dal futuro attarverso un buco nero creato per cercare di fermare una Supernova sul punto di esplodere che altrimenti avrebbe distrutto il pianeta Romulus. Purtroppo, la missione dello Spock futuro è fallita e Nero incolpa lui dell’accaduto; per questo l’ha inseguito attraverso il buco nero e ha distrutto il suo pianeta natale per fargli provare quello che aveva provato lui. Il piano di Nero però non si ferma qui: per attuare la sua vendetta vuole far fare alla Terra la stessa fine (Spock era anche in parte umano, oltre che vulcaniano).
Con gran sorpresa di Kirk, lo Spock del futuro gli rivela che loro erano grandi amici (gli rivela anche come nel tempo da cui viene il padre di Kirk lo ha visto crescere) e gli spiega come fare per avere il comando della USS Enterprise e così fermare una volta per tutte Nero.
Per dare un nuovo inizio a Star Trek – Il futuro ha inizio si è giocata la carta del viaggio nel tempo che crea una realtà alternativa a quella conosciuta; una realtà differente all’inizio ma che poi, con alcuni accorgimenti (Spock del futuro) viene rimessa su binari già conosciuti. Il risultato è decisamente riuscito e la storia non ha momenti di stanca. Si può dire che tutto il cast ha fatto un buon lavoro, così come si possono dire ottimi la fotografia e gli effetti speciali.
Star Trek – Il futuro ha inizio è uno dei rari casi in cui un reboot/remake non fa rimpiangere l’originale.
By M.T., on Aprile 27th, 2025  Papa Francesco non era nemmeno stato seppellito che già c’era il toto elezioni. Fa parte del gioco, the show must go on, ecc ecc; si dica quello che si voglia, ma non è una cosa che mi sia piaciuta poi molto. Tuttavia, questi sono i fatti e con ciò che si deve avere a che fare, e che piaccia o no, occorre eleggere un nuovo Papa.
Per me la scelta più logica, più di buon senso e la migliore possibile al momento, dovrebbe essere quella del Cardinal Zuppi: è la figura più indicata. Sia come modo di fare, sia come diplomazia, sia come si pone con le persone (cordiale, pacato), oltre al dare continuità all’operato di Papa Francesco, Cardinal Zuppi sarebbe un buon Pontefice. Purtroppo, come spesso accade, essendo la persona più indicata, temo che ciò non avverrà (perché fare una scelta giusta quando si può fare una cavolata?)
I Cardinali Tagle, Besungu e Turkson, non li vedo eleggibli per uno stupido motivo: il primo filippino, gli altri due africani. Che c’entra, si dirà? C’entra, c’entra, basta pensarci un poco. Ma no, sei tu che pensi male, mica vorrai alludere al razzismo…mah, potrei però attaccarmi alla scaramanzia e a certe credenze… mica si vorrà far avverare la profezia di Nostradamus, no?
Un Papa tedesco lo escludo, dato che ce n’è stato uno di recente. Il patriarca latino di Gerusalemme non mi sembra una buona scelta, così come quella del Cardinale Parolin.
Non male se la scelta cadesse sul Cardinal Aveline, vista l’attenzione che dà alle periferie, alle migrazioni, al dialogo tra religioni differenti.
Da evitare invece l’elezione a Papa di un cardinale americano, specie un trumpiano come Burke; neppure Donovan mi sembra una scelta entusiasmante, nonostante si sia opposto alle politiche anti-immigrazione di Donald Trump. A prescindere da Burke, Donovan o qualsiasi altro nome made in USA, sarebbe meglio che la scelta non cadesse su un Cardinale degli Stati Uniti, specialmente se legato in qualche modo a Trump: troppe ingerenze e pressioni. Si dirà che per la scelta di un Pontefice non si devono guardare simili cose, ma basarsi su qualcosa di più elevato; purtroppo, che lo si voglia ammettere o meno, la Chiesa è un’istituzione e ha potere, e dove c’è potere ci sono degli equilibri sia politici sia economici; è sempre stato così, c’è chi lo ha fatto pesare di meno e chi di più (chi ha detto Bonifacio VIII?). Tuttavia, ci sono dei limiti a quello che si può scegliere, e se non si vuole pensare alla spiritualità, si pensi almeno alla decenza; sì, perché non si potrebbe proprio vedere un Papa che promuove le idee trumpiane o se non le promuove, sta zitto facendo finta di niente. Il Papa, essendo, secondo la religione cattolica, successore di Cristo, non può per tale motivo adeguarsi a certe politiche, in primis perché sarebbe una contraddizione, e poi perché così facendo allontanerebbe dalla Chiesa molte persone (e già se ne sono allontanate tante); e visto che i numeri, specie se grandi, sono potere, non sarebbe una scelta tra le più sagge. Sinceramente, di muri imbiancati, bigotti e ipocriti non ce n’è bisogno, dato che ce ne sono già tanti; ogni riferimento a politici italiani di una certa parte che si professano tanto credenti ma coi fatti smentiscono le parole che professano, non è puramente casuale.
By M.T., on Aprile 20th, 2025  Spider-Man: No Way Home è, a mio avviso, il miglior film di Tom Holland nei panni di Spider-Man; i due precedenti, Spider-Man: Homecoming e Spider-Man: Far From Home erano carini ma nulla di che, a parte il finale del secondo, dove c’era il colpo di scena in cui veniva rivelata al mondo intero l’identità di Spider-Man. Ed è da questo punto che Spider-Man: No Way Home comincia: la vita di Peter Parker viene stravolta, con i media che gli sono sempre addosso, senza contare che i college in cui vuole andare rifiutano la sua ammissione. Anche la sua ragazza MJ e il suo amico Ned subiscono la stessa sorte; per tale motivo, Peter si rivolge al Dottor Strange per far sì che la sua identità segreta ritorni tale. Purtroppo, per le tante richieste che Peter fa durante l’incatesimo, questo va fuori controllo, aprendo dei varchi dimensionali tra realtà parallele e facendo giungere da altri mondi nemici degli Spider-Man appartenenti a essi: così Peter dovrà affrontare il Dottor Octopus, Norman Osborn (Goblin), L’uomo sabbia (nemici della prima trilogia dell’Uomo Ragno con Tobey Maguire), Lizard ed Electro (i villain con cui ha a che fare Andrew Garfield nei due film successivi a quelli diretti da Sam Raimi). Con il supporto del Dottor Strange, Peter li cattura, ma non vuole seguire il piano di Strange (rimandarli nel loro mondo dove andranno incontro al loro destino), ma vuole cercare di aiutarli, curandoli da ciò che i superpoteri hanno fatto loro. Con Dottor Octopus ci riesce, ma fallisce con Osborn: la natura di Goblin riemerge, scatenando il disatro. Zia May muore proprio a causa di Osborn.
Straziato dalla perdita della cara zia, braccato dalla polizia e dai nemici, isolato, oltre a trovare aiuto da Ned e MJ, avrà il supporto da altri due Spider-Man venuti da altrettanti mondi (interpretati da Tobey Maguire e Andrew Garfield); più grandi e più maturi di lui, già passati per la stessa esperienza, sapranno guidarlo e non farlo smarrire. Insieme, il trio fermerà i villain ed eviterà che il mondo venga invaso da tutti i nemici dei vari Spider-Man sparsi per il multiverso. Ma Peter (Tom Holland) dovrà fare una scelta da eroe, consapevole delle responsabilità che vengono da un grande potere (la frase più famosa dell’Uomo Ragno, detta in questo film da zia May prima di morire).
Spider-Man: No Way Home è superiore ai film precedenti con Tom Holland perché porta Peter a maturare come persona e come eroe: ora non è più un adolescente, ma un uomo che porta delle responsabilità. Il film in questo non porta certo novità: si era già visto con le pellicole interpretate da Maguire e Garfield, anche se era stato fatto nei rispettivi loro primi film. Come non è una novità il Multiverso e l’incontro con altri Spider-Man: lo si era già visto nel film d’animazione Spider-Man: Un nuovo universo. Quello che conta è che questo film ridà l’identità a Spider-Man, gli conferisce quello che non era stato dato nelle due pellicole precedenti con Tom Holland; personalmente, lo metto assieme ai primi due di Raimi e a Spider-Man: Un nuovo universo tra i migliori film realizzati su tale personaggio fumettistico.
By M.T., on Aprile 13th, 2025  No, questa non è una recensione su Ne Zha 2; sinceramente non sapevo nemmeno che era uscito il primo di Ne Zha. Ne sono venuto a conoscenza tramite un video di Crozza dove il comico faceva ironia su Rampini dopo che quest’ultimo aveva fatto una disamina sulla pellicola avendola vista; così, curioso di quando aveva detto originariamente il giornalista, sono andato a ricercare il suo articolo.
Vedendo il trailer ufficiale di Ne Zha, siamo di fronte a un film fantasy/medioevale basato sulla mitologia cinese, quindi demoni, draghi, combattimenti d’arti marziali, perle spirituali, sfere demoniache, insomma, c’è molto del folclore della Cina. Naturalmente la produzione è cinese e questo, personalmente, a me cambia ben poco, perché chi lo produce m’interessa solo relativamente; certo, mi può servire a capire da dove arriva, quali sono le sue origini (in questo caso il basarsi su credenze e miti della Cina), ma ciò che conta è se è un buon film e se è fatto bene. Tutto il resto, premi, incassi, non ha importanza per me. Ma non tutti la pensano come me, come dimostra Rampini, che lo fa diventare motivo di confronto/scontro (più scontro che confronto) tra USA e Cina. Da una parte è comprensibile la disamina che fa, dati gli attriti che ci sono da tempo tra i due paesi, acuitisi con la seconda presidenza di Trump. Con Rampini sono d’accordo su una cosa: con le sue ultimi uscite la Disney non ci sta facendo delle belle figure, vista la bassa qualità delle storie che propone (più che altro remake). Per il resto, sfide per il soft power culturale, invasioni, battaglie di botteghino, patriottismi, sinceramente le prendo in scarsissima considerazione, per me conta solo vedere (o leggere) una buona storia; se in tanti facessero lo stesso, giudicando solo la qualità, forse il mondo andrebbe un po’ meglio, visto che patriottismi, nazionalismi, interessi economici portano solamente conflitti che non fanno bene da nessuna parte.
By M.T., on Aprile 6th, 2025  Quando si ha a che fare con film tratti da storie di Stephen King non si sa mai cosa si può andare incontro: o si vedono belle pellicole (Misery non deve morire, La zona morta, Le ali della libertà, Stand by me, Il miglio verde, Shining) oppure si hanno delle visioni che non sono proprio all’altezza (La torre nera, i due di Muschietti su It, L’acchiappasogni, il remake di Carrie del 2013, la miniserie realizzata su Shining, Fenomeni paranormali incontrollabili, Brivido, Il tagliaerbe). Con Doctor Sleep fortunatamente si rientra nel primo caso; non un capolavoro, ma una buona realizzazione. Premessa importante: non ho letto il romanzo, quindi il giudizio è dato solo sul film. Ho letto in rete che ci sono diverse differenze tra opera cinematografica e opera letteraria: alcuni hanno criticato la cosa e magari l’avrei fatto pure io (come ho fatto per esempio con It), ma per il momento la versione che vede Dan Torrance interpretato da Ewan McGregor mi ha soddisfatto.
Per chi non conoscesse il personaggio e il mondo di King, Dan è il bambino protagonista di Shining (famosa la versione realizzata da Kubrick, che King odia), in questa pellicola adulto e che sta ripercorrendo le orme del padre in quanto a violenza e uso di alcol per non avere a che fare con il dono che ha (la luccicanza) e i fantasmi (veri) del passato che lo perseguitano. Quando ha toccato il fondo, mentre fugge da se stesso, arriva in una piccola cittadina dove conosce Billy, che gli trova un lavoro e lo fa entrare negli alcolisti anomini. Tempo dopo viene assunto come inserviente in un ospizio dove, col suo potere, aiuta le persone anziane che stanno per morire (aiutato anche da una gatta che gli rivela chi è prossimo a lasciare questo mondo).
Ma Dan non è l’unico protagonista della storia: c’è Abra, una ragazzina che ha poteri come i suoi ma molto più forti, e c’è il Vero Nodo, una banda di gitani dotati anche loro di poteri, che vive da secoli cibandosi della luccicanza di altre persone che rubano attraverso la tortura e il dolore delle vittime catturate, specialmente bambini (il loro motto è “Vivi a lungo, mangia bene”).
Abra si mette in contatto con Dan e i due cominciano uno strano dialogo a distanza (usano una lavagna che si trova nella stanza dell’uomo) e la cosa va avanti per un pezzo, almeno fino a quando la ragazzina non decide di contattarlo di persona per farsi aiutare a fermare il Vero Nodo. Dan all’inizio è restio ad aiutarla, anzi le consiglia di dimenticarsi del suo potere, di avere un basso profilo per non attirare l’attenzione di esseri pericolosi; cambia però idea dopo l’ultimo incontro che ha con il fantasma di Dick (il cuoco nero che lo aiutò in Shining). Insieme, lui e Abra combattono contro il Vero Nodo, fino a quando rimane solo Rose Cilindro, il capo e il membro più forte di questa sorta d’immortali. Lo scontro finale si terrà all’Overlook Hotel, con il ciclo inizato anni prima con Shining che si chiuderà; non faccio spoiler per non rovinare la sorpresa, ma posso dire che per me è un finale soddisfacente anche se diverso dal romanzo (non ho letto il libro, ma mi sono voluto rendere conto delle differenze leggendo quanto c’era in rete), che dà una continuità con la prima versione cinematografica di Shining.
Partito un pochino prevenuto (chi ha detto grazie a It di Muschietti?), mi sono dovuto ricredere e ho apprezzato Doctor Sleep, ma occorre dire una cosa: chi ricerca un film che fa paura, vada altrove, dato che Doctor Sleep non spaventa. Benché il Vero Nodo sia formato mostri che uccidono e si cibano della luccicanza di bambini, non sembrano davvero dei mostri: il regista Flanagan sembra aver voluto mostrare il punto di vista di questi esseri senza dare un giudizio severo su di essi. Certo, quello che fanno è sbagliato, è orrendo, però, in un qualche modo si riesce a capire perché agiscono in questa maniera (lo fanno per sopravvivere); e non si può non rimanere un poco affascinati da Rose Cilindro e Corvo (mentre Andrea, l’ultima arrivata nel Vero Nodo, non si vede l’ora che venga ammazzata). Visione consigliata.
By M.T., on Marzo 30th, 2025  Interstellar non ha bisogno di presentazioni: che piaccia o meno, ha lasciato un segno nel mondo del cinema. Per me è stato un buon film, sicuramente più godibile e comprensibile di Tenet di cui, devo dire la verità, ho capito poco. Con Interstellar siamo dinanzi a una fantascienza che forse i più puristi e intransigenti non apprezzeranno dato che oltre alla ricerca la cosa più importante è l’amore, quel legame che s’instaura con alcune persone e che spinge ad andare oltre i limiti, a imbarcarsi in imprese in apparenza impossibili. Detta così, la cosa fa un po’ storcere il naso e lo farei anch’io se dovessi leggere una quarta di copertina o un incipit del genere; c’è da dire però che Nolan ha saputo lavorare meglio di come ho descritto in queste righe il film e quindi la pellicola non è così disastrosa come l’ho descritta, anche se fa un po’ pensare la battuta del personaggio che Anne Hathaway interpreta “L’amore non è una cosa che abbiamo inventato noi. È misurabile, è potente. Deve voler dire qualcosa, Cooper. L’amore ha un significato, sì”: d’accordo che non è stato inventato dall’uomo, d’accordo che ha un significato, un po’ meno che sia misurabile.
La trama non è complessa: la Terra sta morendo e l’umanità cerca di sopravvivere come può, lottando contro una piaga che colpisce i raccolti e contro tempeste di sabbie improvvise, senza contare le malattie che hanno decimato la popolazione mondiale (e non solo: la carestia a un certo punto aveva spinto i governi a eliminare parte della popolazione); tutto è rivolto all’agricoltura, pure l’istruzione, che concentra i suoi sforzi sul formare persone che lavorano la terra. Tutto ciò però non servirà a evitare l’inevitabile. L’unica speranza è la Nasa (che ora lavora in segreto) che ha mandato dodici persone nello spazio verso un wormhole scoperto decenni prima presso Saturno, comparso all’improvviso e che porta verso una galassia con pianeti abitabili; ora che hanno ricevuto dati incoraggianti da tre pianeti, vogliono mandare una missione per scoprire qual è il più adatto per essere abitato dall’umanità e salvarla, e qui ci sono due possibilità: la prima, raccogliere dati che permettano di risolvere un’equazione relativa alla gravità per rendere possibile la costruzione di moduli di trasporto spaziali necessari all’umanità; la seconda, una bomba di ripopolamento, ovvero ovuli fecondati che verranno poi fatti sviluppare sul pianeta scelto come nuova patria per l’uomo.
Quando ho visto Interstellar la prima volta, non mi sono soffermato su certi dettagli, ma ho voluto solo godermi la visione del film; rivedendolo, però alcune perplessità mi sono venute. La prima è quanto riguarda il divulgare che i viaggi sulla Luna non sono mai stati effettuati ma sono stati solo una propaganda per spingere la Russia a spendere i propri soldi in viaggi non fattibili e così farla fallire; sinceramente, questa è una spiegazione che ha poco senso, anzi direi che è proprio illogica (può essere messa allo stesso livello di chi asserisce che la Terra è piatta). Capisco il tagliare i fondi per tutto ciò che non è sopravvivenza, come a esempio ricerche spaziali, quello che mi viene meno da comprendere è cambiare fatti storici: che tornaconto ha per la sopravvivenza del pianeta? Si vuole cercare così spegnere sul nascere le fantasie o le speranze d’individui che non pensano solo al proprio mondo ma vedono al di là di dove vivono?
Si scopre poi che questa è solo una facciata per la popolazione, perché la NASA esiste ancora e non solo continua a investire nella ricerca, ma lancia spedizioni nello spazio e sta costruendo grandi stazioni per far vivere gli esseri umani nello spazio. Qualcuno potrebbe vedere in ciò una contraddizione con quanto sopra asserito, ma può avere un senso (lavorare in segreto per non creare sommosse e proteste nella gente che stringe la cinghia. Sì, però a giocare a baseball non rinuncia, cosa tipicamente americana…).
Sorvolo su tutto ciò che succede nella storia perché se si vuole saperne di più basta guardare su Wikipedia e perché non ho basi sufficienti per parlare della correttezza o meno di leggi della fisica, teorie varie, buchi neri e quanto legato alla scienza e alla fisica visti nel film. Non mi soffermerò nemmeno a discutere sulle prove degli attori che nel complesso trovo buone, così come trovo molto buone le immagini e certe scene che tengono incollati allo schermo; in diversi hanno criticato i dialoghi, ma personalmente non mi sono dispiaciuti.
Quello che mi lascia invece un dubbio è il finale e non parlo del tesseratto, di quanto avviene al suo interno e del legame che c’è col passato e che determina il futuro, rendendolo qualcosa di predeterminato: a mio avviso quanto viene spiegato ha un senso, una sua logica. Ciò che non mi torna è quello che avviene dopo, quando Cooper (il protagonista) viene ritrovato e portato in una della stazioni spaziali dove ora l’umanità vive e dove incontrerà la figlia ora molto più vecchia di lui e ormai in punto di morte (era partito che lei era bambina); non mi sto riferendo al fatto che il tempo per i due sia passato in maniera differente, ma a quando la figlia esorta il padre a trovare Amelia Brand, l’altro astronauta sopravvissuto, che ha raggiunto il terzo pianeta dell’esplorazione e che potrebbe divenire la nuova casa dell’umanità. Cooper per fare ciò dovrà riattraversare il wormhole, ma quanto tempo impiegherebbe per raggiungere Amelia? Come la troverebbe? In questo caso non dovrebbe avvicinarsi al buco nero presente in questa galassia e quindi il suo tempo non dovrebbe risultare alterato, ma i dubbi sul fatto che i due possano ricongiungersi mentre hanno la stessa età rimane (questo però può dipendere dalla mia limitatezza della conoscenza delle varie teorie della fisica inerenti l’universo e da una certa confusione nata dopo aver rivisto il film).
By M.T., on Marzo 23rd, 2025  Fuga dal pianeta delle scimmie si mantiene più o meno sul livello del secondo film, L’altra faccia del pianeta delle scimmie, ovvero si va di perplessità e scivoloni. Nella pellicola precedente, la Terra del futuro viene distrutta completamente da una potente testa nucleare, ma prima che questo avvenga, Zira e Cornelius si salvano fuggendo dal pianeta con l’astronave di Taylor precipitata in un lago, che è stata recuperata e riparata dal dottor Milo. E qui ci sono le prime grandi perplessità. Uno, come hanno fatto a tirarla fuori dall’acqua con i mezzi che avevano? Due, come hanno fatto a ripararla avendo una tecnologia inferiore a quella dell’astronave?
Non bastasse questo, l’onda d’urto che colpisce l’astronave in volo la spedisce indietro nel tempo, facendola finire nella Terra abitata ancora dalla civiltà umana. Zira, Cornleius e Milo finiscono in uno zoo, trattate come scimmie comuni, almeno fino a quando non si scopre che sanno parlare. Milo muore praticamente subito ucciso da un gorilla, mentre Zira e Cornelius diventano praticamente delle star, finendo sotto l’attenzione sia dei media, sia del pubblico, sia del governo. Almeno fino a quando non hanno a che fare con il dottor Otto Hasslein, che li vede come una minaccia e vuole scoprire cosa è accaduto all’umanità nel futuro; durante l’interrogatorio, oltre a raccontare il conflitto che ha portato alla distruzione del pianeta e la convinzione (più che convinzione) trasmessa che l’uomo distrugge se stesso e quanto ha a che fare con lui, si scopre che un’epidemia aveva sterminato cani e gatti, facendo così divenire le scimmie gli esseri scelti dall’uomo come animali domestici; col passare del tempo le scimmie presero consapevolezza della loro condizione e si ribellarono agli esseri umani.
Sempre più convinto che Zira, Cornelius e il piccolo che lei porta in grembo siano una minaccia (specie dopo aver saputo che Zira aveva dissezionato umani nel suo lavoro), il dottor Otto Hasslein ha l’ok del presidente degli Stati Uniti a sterilizzare la coppia e sopprimere il futuro nascituro. Zira e Cornelius scappano e, aiutati da due umani, si rifugiano in un circo, ma lo spietato dottore continua a dargli la caccia, uccidendo loro e il piccolo da poco nato. Tuttavia, quello che viene ucciso non è il piccolo della coppia, ma una scimpanzè da poco nata nel circo dove si erano rifugiati; Milo, questo il nome del loro figlio, è rimasto nel circo sotto la protezione del proprietario del circo.
Se non fosse per l’escamotage per fare un seguito della serie, che a mio avviso fa cascare un po’ le braccia, e per certi dettagli che lasciano un poco a desiderare, Fuga dal pianeta delle scimmie non sarebbe un film malvagio, ha degli spunti interessanti, anche se non sono molto innovativi: qui si ribaltano i ruoli che si avevano nel primo film (sono le scimmie intelligenti e parlanti a essere viste come attrazione, curiosità e anomalia), ma il copione rimane sempre lo stesso, ovvero che alla fine, in qualsiasi società ci si ritrovi, il diverso viene visto come qualcosa che va eliminato. L’unica cosa a mio avviso meritevole è il fatto che il film fa da anello di congiunzione tra il passato della Terra (il presente in cui sono finite le scimmie) e il suo futuro (il mondo in cui vivevano le scimmie), con gli eventi che si verificano che determinano quello che dovrà accadere; in poche parole, sono gli stessi umani, inconsapevolmente, a creare il proprio destino, costruendo così un fato ineluttabile: se non avessero inviato l’astronave alla ricerca di un nuovo mondo, le scimmie intelligenti non sarebbero potuto arrivare, mettendo così il seme della nuova stirpe che col tempo si sarebbe sviluppata fino a essere dominante.
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Le mie 10 righe dai llibri
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