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Il magazzino dei mondi 2

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Brîsa ciapér pr al cûl 2

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E’ stata sotto gli occhi di tutti la giusta protesta dell’orchestra nell’ultimo Sanremo, quando è stato emesso il verdetto finale e ha visto tra i primi l’insulsa (e ci si ferma a questo aggettivo perché si potrebbe andare oltre) canzone di Pupo ed Emanuele Filiberto. Ma non è stato solo per loro due questo gesto; si sa che le coincidenze non esistono, esiste solo l’illusione delle coincidenze.
Molti si sono sempre chiesti come certe canzoni, guarda caso di cantanti provenienti da trasmissioni televisive che facevano emergere nuovi talenti, potessero vincere; tanti sospettavano un certo tipo di spinte.
Sospetti fondati.
L’Antitrust, dopo una serie di esposti del Codacons su tramissioni come Isola dei Famosi, Miss Italia, Sanremo, Grande Fratello, ha deciso che i call center non possono più televotare.
Cosa significa e perché di questa decisione? Molto semplice: i risultati dei televoti erano alterati, pilotati. C’erano persone interessate a far vincere certi soggetti che acquisivano pacchetti di migliaia di voti che i call center convogliavano al momento opportuno in favore del prescelto; naturalmente la classifica era alterata e non più decisa dal pubblico votante. Ergo, quanto visto era tutto falso, una bella presa in giro che faceva pensare alla gente di avere un minimo potere di decisionale.
Il motivo?
Sempre e solamente una questione di soldi:dietro queste trasmissioni ci sono interessi elevati, che fanno girare grosse quanrtità di denaro.
Identica cosa succede con il Superenalotto.
Tutti conoscono le semplici regole che compongono questo gioco: indovinare la combinazione di sei numeri che verranno estratti. Dato il ricco montepremi, milioni sono le giocate che si effettuano ogni volta. Da questa considerazione, si evince che statisticamente le possibilità d’uscita della combinazione vincente sono relativamente alte ed è impossibile che per mesi non esca, come invece accade. Non si è di fronte a una spaventosa e ripetitiva coincidenza, ma al far accadere le cose, un fattore tutt’altro che anomalo, dato il circolare di una grande quantità di soldi. Un manipolare da dietro le quinte perché per chi controlla questa fortuna, il gioco è bello perché dura e proprio sulla parvenza di fortuna e sulla possibilità del colpo grosso che si punta per spingere le persone a riversare denaro nelle loro tasche. Le masse non si sono ancora accorte di essere sfruttate e prese in giro, sono convinte della giustezza di questo sistema o fanno finta di niente, sperando che prima o poi toccherà anche a loro emergere.
Tale sistema è dappertutto, lo si vede nei concorsi, nei reality: le persone che emergono non si discostano dalla media, in modo da alimentare la fucina che sfrutta le pulsioni degli individui.
Viene utilizzato un trucco molto semplice: far salire alla ribalta chi non spicca per vere capacità, in modo che tutti possono sentire di farcela e continuare a seguire il grande meccanismo del mondo. “Se ce la fa lui, allora ce la posso fare anch’io” è il pensiero che sorge e che è il carburante delle illusioni. Perché la società vuole nutrire l’illusione, perché l’illusione dà controllo e tiene tranquilla la massa. E la gente si è assuefatta a essa, è abituata a essere presa per il naso. Talmente abituata che crede che qualsiasi cosa nella vita sia così.
Arriverà il momento in cui si dovrà, in un modo o nell’altro, aprire gli occhi e cominciare a vedere.

Brîsa ciapér pr al cûl

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ovvero, per chi non fosse originario di Bologna e non conoscesse il suo dialetto, non prendere in giro.
A cosa è rivolto?
A tutto il sistema.
Perché si è stanchi di sentirsi raccontare i soliti copioni scadenti, si è stanchi di essere trattati come dei mentecatti. La gente non è stupida, vede le cose come stanno e sa cosa c’è dietro: inutile continuare uno sceneggiato che non funziona più. Anche chi era in buona fede e si è voluto illudere ormai s’è stancato.
Prendiamo il mondo del lavoro. La crisi c’è stata e c’è, ma molti ci marciano sopra, un’ancòra cui attaccarsi per avere profitto, per avere maggior guadagno e maggior potere. I datori di lavoro pretendono e impongono che le persone sacrifichino tutto per loro perché devono guadagnare sempre di più, dando in cambio poco e togliendo sempre di più. Gli imprenditori sono mostrati come eroi, creatori di benessere, quando invece la realtà afferma e dimostra che sono sfruttatori e opportunisti che non danno valore alla dignità altrui, appoggiati da un governo che vuole eliminare lo statuto dei lavoratori, che vuole sopprimere le organizzazioni sindacali per imporre il suo pugno di ferro. (leggere questo articolo )
Si dice che il paese va bene, ma si minimizzano i dati di disoccupazione, che sono molto più alti di quelli pubblicati, e quelli della cassa integrazione, che sono di un miliardo di ore da inizio anno (e si tenga presente la costante e inarrestabile crescita di quella in deroga). Si conti che chi è in questa situazione perde più del 20% del reddito, quando attorno i consumi non fanno che crescere.
Un governo che dice di far tanto per il popolo, che lo tutela e si prende cura di lui, ma che è capace solo di fare spot pubblicitari (vedi quello sulla sicurezza del lavoro.).
Un governo che afferma che bisogna risparmiare sulla cultura, che fa andare in pezzi il proprio patrimonio storico (vedi l’ultimo caso, Pompei), quando altri paesi non fanno che investire perché sanno che un popolo che non conosce le proprie origini è un popolo destinato a perdersi.
Un governo che fa tagli sulla scuola pubblica, ma che investe in quella privata, aumentando i fondi da destinare a ques’ultima, passando da 150 a 245 milioni di euro.
A prescindere che con i mezzi attuali se uno è ignorante è perché lo vuole e non si fa niente per cambiare, affidandosi agli altri perché dicano quello che si deve sapere (vedi televisione; per questo, è somministrato il falso sport spettacolo, il talk show del basso sentimentalismo, atto a far piangere e commuovere, istigante all’apparenza e alla superficialità per far pensare solo a divertimento e banalità.), questo è un segnale chiaro di dove si vuole andare a parare: limitare l’accesso alla cultura, porre dei blocchi perché un numero sempre minore di persone vi possa accedere. Far divenire l’istruzione qualcosa solo per ricchi, la classe destinata a comandare: portare le scuole pubbliche alla chiusura, lasciando aperte solo le private, mettere un filtro che limiti gli accessi: tasse così elevate che solo chi appartiene all’elite della società, abbia la disponibilità necessaria per frequentarle.
Parliamo poi di certe pubblicazioni dell’editoria spacciate come capolavori, con campagne e proclami esaltati che si basano sull’età dello scrittore o sui titoli che possiede, ma non sul valore dell’opera realizzata. Un abbassare il livello della qualità, come già è avvenuto per l’informazione; prodotti di bassa lega, in linea con gli standard preposti che portano l’abbassamento culturale.
Questi sono solo alcuni esempi delle prese in giro perpetrate (sorvoliamo sulle più grottesche come il tira e molla delle parti politiche e bunga bunga vari). Che si faccia quello che si vuole, ma che non si pretenda che si rimanga in silenzio e non si faccia nulla per contrastare questo modus operandi.
Brîsa ciapér pr al cûl.

Le Maschere dell'Amore

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In un suo post , Valberici si chiedeva di quali racconti le donne parlassero nel passato. Le ipotesi sono tante: Val suggeriva che fossero storie di vita e non di morte. Penso possa avere ragione. Come gli uomini raccontavano di battaglie, di cacce, tutte cose legate alla morte, mi piace pensare che le donne parlassero d’amore, un sentimento di vita.
A questo pensiero s’è associata una scena del film di Mel Gibson, Braveheart, quando la dama di compagnia parla alla principessa di William Wallace e della sua amata uccisa dagli inglesi. Emblematica è la frase della principessa quando asserisce di non conoscere l’amore; un’ignoranza che la renda infelice.
Quanti possono dire di conoscere l’amore? (Amore vero, non quella parola che tanto spesso si usa senza conoscerne davvero il significato.) Pochi, davvero pochi, dato che spesso lo si confonde con altre cose. Mi viene in mente una storia che lessi tempo fa.

Dio stava creando il mondo e ogni giorno mandava nel mondo cose nuove. Un giorno mandò nel mondo la Bellezza e la Bruttezza. Dal paradiso alla Terra il viaggio è lungo; ed esse arrivarono nelle prime ore del mattino, mentre stava sorgendo il Sole. Atterrarono entrambe accanto a un lago e decisero di fare un bel bagno, poiché i loro corpi e le loro vesti erano impolverati. Non conoscendo le leggi del mondo, che erano appena state create, si spogliarono e si tuffarono nelle fresche acque del lago, completamente nude. Stava sorgendo il Sole e la gente cominciava ad arrivare.
La Bruttezza giocò un tiro birbone alla Bellezza: mentre questa nuotava al largo, tornò a riva, indossò gli abiti sfarzosi e ricchi di ornamenti della Bellezza, poi fuggì. Quando la Bellezza si rese conto che “la gente sta arrivando e io sono nuda”, si guardò intorno… ma i suoi abiti erano spariti. La Bruttezza era fuggita e la Bellezza era in piedi, nuda, accarezzata dal Sole e la folla si stava avvicinando. Non trovando altra sohizione, indossò gli abiti della Bruttezza e andò alla sua ricerca, per fare uno scambio degli abiti.
La storia racconta che la Bellezza sta ancora cercando di trovare la Bruttezza… che è subdola e continua a sfuggirle. La Bruttezza è tuttora rivestita con gli abiti della Bellezza; è mascherata da Bellezza; mentre la Bellezza va in giro indossando gli abiti della Bruttezza.

Quante volte dietro il nome amore si nascondono cose negative: egoismo, possessività, dipendenza.
C’è anche la paura. Sì, la paura un sentimento che domina la nostra epoca e che sta facendo rivivere un nuovo medioevo. Emblematici sono i simboli di quel periodo: i castelli. Fortificazioni per difendersi, per tenere fuori i nemici. Mura erte per proteggersi, che separano, timorosi di essere danneggiati, predati perché si era in un’epoca di barbarie. Un simbolo di chiusura, perché è questo che fa la paura.
I costumi sono cambiati, ma i temi della storia si ripetono: anche se tecnologicamente più progrediti, le barbarie continuano a esistere, solo con una maschera diversa. Muri invisibili si ergono tra le persone, chiuse nel loro piccolo mondo, nel loro egoismo. Sì, la nostra epoca è pervasa dalla paura, stiamo vivendo un altro medioevo.
Di cosa si ha paura?
Possono essere tante cose, ma ogni individuo ne ha una particolare, una personale, quella peggiore, quella più difficile da affrontare.
Qual è?
Nessuno può dirlo, se non il diretto interessato, e può essere fatto solo mettendosi davanti a uno specchio. Questo strumento ora ha perso molto del significato e del potere originario perché ci si sofferma alla superficie, all’aspetto esteriore, ma, come spesso succede quando si parla con qualcuno, non si guarda quanto davvero è importante: gli occhi.
Lo specchio dell’anima, il riflesso dell’interiorità che si possiede.
Che sia propria dell’anima, con le sue luci e ombre, con le sue grandezze e piccolezze, ciò di cui si ha paura?

Il Porcellum del lavoro, ovvero instabilità, precariato, caporalato e sfruttamento.

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Distolti come si è da notizie che sono specchietti per le allodole, l’attenzione si concentra su omicidi resi torbidi e tirati per le lunghe per essere sotto i riflettori, macchine del fango, bunga bunga vari di politici, vip, calciatori e quanto può portare lontano dalla realtà. Senza contare che il sistema creato vuol far vedere un mondo perfetto, fatto di luci e sorrisi e ottimismo a fiumi, dove tutto va bene.
Tutto una facciata, sepolcri imbiancati, sono parole passate attuali nel presente che li giudicano: all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume.
Uno dei problemi da riconoscere e affrontare è questo: si è perso contatto con la realtà. La si vuole evitare, tenerla lontana, perché riconoscerla, significa riconoscere gli errori fatti e la responsabilità di essere fautori della situazione in cui ci si trova.
Una fetta di questa realtà è il mondo del lavoro, una giungla intricata, quando non un vero e proprio inferno, dove si sta tornando al livello di schiavi.
Anni fa è stata immessa, appoggiata e pluripubblicizzata la flessibilità, dicendo che era il futuro, il modo d’avanzare; le società interinali sono sorte come funghi, considerate manna dal cielo. Dopo poco più di un decennio, ma molti l’avevano capito subito, ci si trova a fare i conti con instabilità, precariato e caporalato, si è perso qualità nella realizzazione del prodotto e si è perso dignità. Si è costretti ad accettare di tutto per avere un posto di lavoro, perché ci si deve realizzare, si deve scalare la piramide per arrivare in cima e dimostrare che si è persone di valore.
Si è sfruttati, questa è la verità; il resto è illusione.
A trent’anni se si perde il posto si è quasi fuori dal mondo del lavoro perché non più in età di contratti d’apprendistato, perché si diventa un costo, non si è una risorsa; a quaranta e a cinquanta meglio non parlarne. Fino a poco tempo fa l’esperienza era un elemento ricercato, le ditte si contendevano persone che avevano maturato e sviluppato una buona professionalità; ora viene liquidata con disprezzo, contano solo i tagli e il risparmio economico.
Per tanto si è accettato questo modo di fare e lo si accetta ancora.
Ma qualcuno ha cominciato a dire basta. Ognuno lo fa nel modo che preferisce, come in questo caso (da guardare quest’intro : con ironia esprime con chiarezza il concetto; date un occhio anche alle varie pubblicità).
Ne parla anche Repubblica con questo articolo .
Qualcuno storcerà il naso per questa iniziativa, la riterrà un modo per attirare attenzione, avere visibilità, un moto gogliardico e nulla più. Resta il fatto che quanto è sbagliato, come il mondo del lavoro attuale, va giudicato, mostrato, condannato e fatto sì che non più esista.

Frammenti di Mondo

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La bellezza, la ricchezza del Mondo consite nella varietà che possiede.
Un’ambientazione sempre uguale, anche se ben congegnata, alla lunga stanca; per questo occorre saper immettere innovazioni che invoglino la scoperta, che spingano a far andare avanti nella ricerca di quel cosa in più che si percepisce, ma che ancora non si conosce. Questo vale soprattutto per la trama, gli eventi, la storia dei personaggi, ma può essere attuata anche nella descrizione del Mondo come appare al lettore attraverso lo sguardo dei protagonisti delle storie. Va mostrato un passo alla volta, come se si fosse delle presenze invisibili che camminano al fianco dei personaggi e lo si scopre insieme a loro momento per momento.
Così com’è nella vita reale, così è in un Mondo inventato: una persona non conosce ogni angolo della Terra, ne ha invece una conoscenza molto ristretta. Alcuni luoghi li conosce perché ci ha vissuto, altri perché li ha visitati e altri ancora perché ha studiato o letto notizie su di loro; alcuni sono così famosi che sono leggenda, tutti li conoscono per la fama che hanno acquisito o per le storie che li circondano.
Prendiamo proprio quest’ultima per mostrare un pezzo di Mondo.

“La capitale del Maliadan, Hatieven. Situata al centro della regione, si trovava in una zona perfetta come punto di riferimento per gli stati vicini: la sua posizione geografica ne aveva fatto un naturale punto d’incontro.
Centro nevralgico di un’intricata quanto influente rete politica, era il catalizzatore di decisioni che coinvolgevano tutte le parti, punto equilibratore tra contendenti e alleati; la sua influenza pesava non poco nelle linee di governo delle altre regioni, tanto da essere ritenuta, anche se non ufficialmente, la colonna portante del sistema d’alleanze di cui faceva parte.
L’equilibrio e l’imparzialità che possedeva, dipendevano dal sistema governativo della città, di fatto composto dal Senato di Hatieven e dal Consiglio di Legalità, ente in stretta e biunivoca collaborazione con le forze politiche del centro urbano, formato da un ugual numero di membri appartenenti a ogni regione vicina al Maliadan; tale sistema bipolaristico permetteva non solo una guida senza predomini di una qualche parte politica, ma anche di tenere in costante comunicazione gli stati che facevano parte del sistema d’alleanze di cui era a capo la capitale.
Un sistema che nei secoli aveva dimostrata la propria efficacia. Durante i periodi di crisi o di guerra era stato il Maliadan a riunire i paesi vicini per fronteggiare le minacce che rischiavano di travolgerli. Così si era forgiato il nucleo di potere di cui Hatieven era il perno; un perno difficilmente raggiungibile e attaccabile, dato il cerchio d’alleati creatosi intorno. Si sarebbe potuto obbiettare che oltre a essere la sua forza, fosse anche il suo punto debole, nel caso i paesi confinanti avessero tolto il loro appoggio o si fossero rivoltati. Il Maliadan però aveva lavorato bene, sapendo dare benefici a chi aveva stretto patti d’alleanza, prosperando e perdurando nel tempo.
Il potere non era l’unico elemento che aveva reso grande Hatieven: la collocazione geografica l’aveva resa uno dei più grandi centri commerciali, un luogo dove confluivano le rotte commerciali e risiedevano le più potenti famiglie di mercanti, che avevano fatto della città il punto da cui far partire i propri affari. “Se cerchi qualcosa lo troverai a Hatieven”, recitava un detto, a indicare la varietà e disponibilita di merci che vi si poteva trovare.
Dalla sommità in cui erano fermi, i cinque scorsero il groviglio ordinato di case estendersi oltre le alte mura perlacee e gli svettanti torrioni di guardia che gareggiavano con le torri delle sfarzose case nobiliari. I vessilli delle casate più in vista della città sventolavano al vento, scintillanti nei loro bardigli d’oro e d’argento. Il sole si rispecchiava sulle vetrate colorate dei templi, segno della magnificenza e magnanimità delle ricche famiglie che avevano onorato l’Ordine con le loro donazioni.
Bianche piazze, dove la gente andava a sedersi ai bordi di zampillanti fontane, sorgevano intorno alla piazza più grande, nel mezzo della quale sorgeva la torre più alta e imponente di tutte; una costruzione con base superiore a quella dei templi dell’Ordine, che s’innalzava al cielo come una fiamma, assottigliandosi nella salita, fino a terminare in una terrazza usata per gli studi astronomici e l’osservazione delle terre lontane. Era il Palazzo del Consiglio e del Senato, il centro di Hatieven, il mozzo dal quale partivano i raggi stradali e raggiungevano le granitiche porte, il luogo dove s’indicevano le riunioni e si ospitavano le delegazioni straniere; nella sua parte più alta erano condotte ricerche scientifiche, con laboratori attrezzati per ogni esperimento.
Vista dalla loro posizione, la Città Bianca sembrava una gigantesca ruota. Un rilucente complesso architettonico che sorgeva rigoglioso su una piana punteggiata da decine e decine di piccoli insediamenti agricoli.
I cinque discesero il basso promontorio, proseguendo sul terreno incolto fino a quando non spuntarono su un sentiero di terra battuta usato dai carri, proseguendo alla volta della città.
I viandanti guardarono il gruppetto di sottecchi, tenendosi a distanza.
Ariarn e Ghendor si scambiarono un’occhiata: il loro vestiario non era in condizioni accettabili, ma non avrebbero potuto farci niente fino a Hatieven.
Le bianche mura torreggiarono su di loro con il candore che le rendeva uniche. Le storie sul loro conto erano leggenda: mai una volta si era aperta una breccia, mai i nemici avevano superato le sue difese.
Anche se erano secoli che non subivano un assedio, ora solo un simbolo della forza della città, non avevano perso la forza d’un tempo. Una manifestazione d’arte militare notevole: altezza ragguardevole per scale e macchine d’assedio, merli che offrivano un’ottima copertura per colpire, spessore capace di resistere ai colpi delle catapulte.
Per qualche istante i caldi raggi solari furono sostituiti dalla fresca ombra della porta; ante dal peso immane erano appoggiate alle pareti di pietra, pronte a essere chiuse da un elaborato sistema d’ingranaggi fatto di contrappesi e leve posto all’interno del torrione.
L’ingegnosità non si limitava alle porte: tre serie di punte acuminate indicavano la seconda linea difensiva composta di tre grate grosse quanto il braccio di un uomo.
Il sole tornò ad accoglierli, illuminando la bianca distesa di strade percorse da cittadini intenti in commissioni o semplici passeggiate nella giornata primaverile.
Uno sciame di bambini urlanti e festanti, correndo dietro a una palla di pezza, gli passò accanto: le loro grida si persero quando svoltarono l’angolo. Senza volerlo si ritrovarono a sorridere: era bello ritornare alla normalità.”

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta d’infodump, che il pezzo poteva essere scritto in maniera differente: vero. Esitono modi differenti per mostrare una cosa: possono essere più o meno efficaci.
Occorre capire perché l’autore ha fatto una scelta invece di un’altra, comprendere che sensazioni ha voluto creare nel lettore.
Sorpresa, instillare in chi legge la voglia di scoprire? Allora centellinerà le informazioni, le mostrerà in momenti particolari.
Mettere a suo agio il lettore, dare una tregua dopo l’azione febbrile? Allora utilizzerà un modo che narra invece che mostrare, invertendo la legge “show, don’t tell”.

Ricorda per SEMPRE il 5 novembre

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Ricorda per SEMPRE
il cinque novembre.
E la congiura
contro lo stato.
Ricorda
e stà attento
che quel tradimento
MAI
e poi Mai
sia dimenticato.

Questa è una delle frasi più famose di V per Vendetta, un’opera realizzata da Alan Moore e David Lloyd, ispirata alla Congiura delle Polveri avvenuta il 5 novembre 1605.
Nell’immaginario inglese, Guy Gawkes è un terrorista cattolico che provò a far esplodere il Parlamento nel tentativo di uccidere il re Giacomo I con tutta la sua famiglia e gran parte dell’aristocrazia protestante. Esecutore del piano ideato da Robert Catesby, venne tradito e catturato e poi giustiziato.
Ogni cinque novembre la sua effige viene bruciata nelle piazze a ricordo del fallimento del piano terroristico che avrebbe sconvolto il sistema governativo inglese.
Ma davvrero era un terrorista o si trattava di un uomo che aveva avuto il coraggio di ribellarsi a un sistema ingiusto e oppressivo?

Nel 1558 Elisabetta salì al trono d’Inghilterra, governando per quarantacinque anni in un periodo dove l’Europa era divisa tra cattolici e protestanti, dove le potenze appartenenti all’una e all’altra parte erano in guerra. Cercò di non creare tensioni fra le due parti, ma la scomunica del 1570 del Papa, nella quale dichiara che i cattolici non sono più tenuti a obbedirle, fa cambiare le cose. Inizia così una persecuzione contro i sudditi appartenenti a questa religione. Con la recusancy law s’appropria delle loro terre, perseguitando coloro che non partecipano alle funzioni della Chiesa Protestante.
Non avendo eredi, nomina sul letto di morte suo successore Giacomo VI di Scozia, ache lui protestante; ma non è da dimenticare che sua madre, la regina Maria di Scozia, era cattolica.
I cattolici inglesi, perseguitati e oppressi, confidarono in una tregua, date le sue origini e le rassicurazioni date nel 1603 ad alcuni suoi rappresentanti; erano convinti che sorgesse un’epoca di tolleranza.
L’applicazione delle recusancy law venne sospesa in un primo momento, ma quando il sovrano si rese conto che il potere posseduto verteva sull’establishment protestante, tornò a confermare la loro validità, rimettendole in vigore.
Molti si adeguarono perché una volta che il Parlamento ha creato una legge ed è sottoscritta dal re, la popolazione obbedisce.
Alcuni si ribellarono. E il modo per cambiare le cose era colpire il potere, cambiando la linea politica, ovvero eliminare chi governava.
Robert Catesby, Thomas Percy, Guy Fawkes, John Wright, Thomas Wintour cospirarono contro il governo. Lo scopo non era solo cambiare il sovrano, ma vendicarsi sullo stato dei soprusi subiti e della delusione e del tradimento protratti per decenni.
E per farlo occorreva inscenare un colpo di stato militare.
Il primo passo era distruggere la casa dei Lord all’inaugurazione del Parlamento, quando fossero state presenti tutte le persone che contavano.
Barili di polvere furono posti in una cantina posta sotto Westmister. Ma una lettera anonima avvertì del complotto Lord Monteagle, nobile cattolico, che riferì subito alla corte. Fawkes, trovato sul luogo pronto a dar fuoco alle polveri, fu arrestato e torturato, finché non rivelò i nomi di chi apparteneva al complotto.
La fine è scontata.

Questo fatto va oltre le apparenze.
Non si tratta di scontro tra religioni, tra cattolici e protestanti.
Si tratta di chi si ribella a un potere dove una maggioranza opprime una minoranza: non importano i credo o le credenze di un certo gruppo di persone o l’appartenenza a una razza invece di un’altra. Si tratta d’ingiustizie perpetrate in nome del potere, un modo che non guarda in faccia a nessuno, ignora volutamente le conseguenze della violenza che applica per mantenere la posizione di comando.
Come sarebbe ora la storia se la congiura fosse riuscita?
Forse non sarebbe cambiato sistema di governo; forse le cose sarebbero rimaste com’erano; o forse sarebbe scoppiata una guerra civile.
Ma forse la coscienza della popolazione sarebbe cambiata, perché il simbolo del potere era stato infranto. E cambiando il modo di vedere di tanti individui, un sistema diverso, magari più equo e giusto, sarebbe sorto.
Di certo il messaggio di quegli uomini non è andato perduto: la sua memoria deve perdurare perché gli uomini possono morire, ma le idee non possono essere sconfitte e in ogni momento possono trovare attuazione.

Compassione

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Sarà la stanchezza (non parlo di quella fisica), ma sempre più spesso non riesco a provare la rabbia. Troppe volte l’ho avuta nel passato e so che non è scomparsa, che in futuro avrò modo di sperimentarla ancora. Ma restando a osservare, mi ritrovo fermo a scrutare un mondo che avanza sfrenato. Tutti corrono, sempre in movimento, sempre in cerca (che cosa si cerca poi sarebbe la domanda a cui trovare risposta); continuamente sollecitati, non ci si ferma mai e così ci si esaurisce, si arriva al limite. E quando si è al limite, s’incorre nello squilibrio, nell’eccesso.
Non c’è più nulla a misura d’uomo, tutto è esaltato, tutto è esasperato: ogni cosa viene usata, sfruttata, calpestando diritti, dignità, sentimenti, persone. S’è persa la misura dell’essere, in ogni sua parte.
Vince chi urla, chi strepita, chi massacra in qualsiasi ambito: non si ha più un vero dialogo, pacato, costruttivo. Solo urlare le proprie ragioni e scaricare camionate di fango sul prossimo. Si criticano gli altri se fanno male, ma non si fa nulla di costruttivo. Purtroppo in questo periodo vanno per la maggiore i distruttori (che poi non sono realmente nemmeno questo, ma solo degli starnazzatori che intralciano e non fanno nulla di utile), non si cerca di darsi da fare per creare qualcosa.
Questo non significa che bisogna tacere, ignorare gli sbagli, ma c’è modo e modo per farlo. Chi sbaglia va giudicato e condannato, ma non bisogna dimenticare che si ha sempre davanti una persona e che si può provare compassione per lei, anche se è un criminale, anche se ha portato rovina a molti.
E’ questo il pensiero che è sorto nella mente con i fatti degli ultimi giorni. Questo non ha cancellato il passato, la comprensione di come si è arrivati a certe situazioni. Non si dimenticano i crimini, le umiliazioni, i danni, le costanti prese in giro di un uomo che per il suo ego ha calpestato e rovinato chiunque, arricchendosi sulle spalle altrui e irridendo e fregandosene delle povertà altrui. Le sue colpe sono palesi e arriverà il momento in cui avranno condanna, perché il giudizio è già stato emesso: colpevole.
Tuttavia, di fronte a eventi sempre più gravi, non riesco a sopprimere un moto di pietà per un individuo vecchio e malato, ma soprattutto solo, senza veri amici e veri sentimenti, che utilizza un potere che non gli appartiene e che viene sfuttato e usato per la posizione che ricopre, vivendo in un mondo di luci che brillano ma non illuminano e sorrisi finti; compassione per un essere solo e povero, perché la gente lo cerca non per quello che é, ma per quello che ha e può dare. C’è tanta miseria nella sua condizione. Certo, ha contribuito a creare una società malata, che sa di morte, ha portato rovina in molte vite; nonostante i reiterati crimini e il fatto che continui imperterrito a compierli, la compassione rimane.
Il mio può essere un discorso criticabile, molti lo fanno, perché non si può provare compassione per chi tanta rovina ha volutamente deciso di portare, per chi così ostinatamente se n’è fregato degli altri e li ha sbeffeggiati e derisi.
Eppure è così, nonostante la ragione suggerisca altro. Sbaglierò, ma colui che non riesce più a provare questo sentimento, anche se rivolto a un nemico, a uno che porta rovina, è un essere maledetto.
E maledetta è una società abitata da gente del genere.