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Il magazzino dei mondi 2

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Frammenti di Mondo

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La bellezza, la ricchezza del Mondo consite nella varietà che possiede.
Un’ambientazione sempre uguale, anche se ben congegnata, alla lunga stanca; per questo occorre saper immettere innovazioni che invoglino la scoperta, che spingano a far andare avanti nella ricerca di quel cosa in più che si percepisce, ma che ancora non si conosce. Questo vale soprattutto per la trama, gli eventi, la storia dei personaggi, ma può essere attuata anche nella descrizione del Mondo come appare al lettore attraverso lo sguardo dei protagonisti delle storie. Va mostrato un passo alla volta, come se si fosse delle presenze invisibili che camminano al fianco dei personaggi e lo si scopre insieme a loro momento per momento.
Così com’è nella vita reale, così è in un Mondo inventato: una persona non conosce ogni angolo della Terra, ne ha invece una conoscenza molto ristretta. Alcuni luoghi li conosce perché ci ha vissuto, altri perché li ha visitati e altri ancora perché ha studiato o letto notizie su di loro; alcuni sono così famosi che sono leggenda, tutti li conoscono per la fama che hanno acquisito o per le storie che li circondano.
Prendiamo proprio quest’ultima per mostrare un pezzo di Mondo.

“La capitale del Maliadan, Hatieven. Situata al centro della regione, si trovava in una zona perfetta come punto di riferimento per gli stati vicini: la sua posizione geografica ne aveva fatto un naturale punto d’incontro.
Centro nevralgico di un’intricata quanto influente rete politica, era il catalizzatore di decisioni che coinvolgevano tutte le parti, punto equilibratore tra contendenti e alleati; la sua influenza pesava non poco nelle linee di governo delle altre regioni, tanto da essere ritenuta, anche se non ufficialmente, la colonna portante del sistema d’alleanze di cui faceva parte.
L’equilibrio e l’imparzialità che possedeva, dipendevano dal sistema governativo della città, di fatto composto dal Senato di Hatieven e dal Consiglio di Legalità, ente in stretta e biunivoca collaborazione con le forze politiche del centro urbano, formato da un ugual numero di membri appartenenti a ogni regione vicina al Maliadan; tale sistema bipolaristico permetteva non solo una guida senza predomini di una qualche parte politica, ma anche di tenere in costante comunicazione gli stati che facevano parte del sistema d’alleanze di cui era a capo la capitale.
Un sistema che nei secoli aveva dimostrata la propria efficacia. Durante i periodi di crisi o di guerra era stato il Maliadan a riunire i paesi vicini per fronteggiare le minacce che rischiavano di travolgerli. Così si era forgiato il nucleo di potere di cui Hatieven era il perno; un perno difficilmente raggiungibile e attaccabile, dato il cerchio d’alleati creatosi intorno. Si sarebbe potuto obbiettare che oltre a essere la sua forza, fosse anche il suo punto debole, nel caso i paesi confinanti avessero tolto il loro appoggio o si fossero rivoltati. Il Maliadan però aveva lavorato bene, sapendo dare benefici a chi aveva stretto patti d’alleanza, prosperando e perdurando nel tempo.
Il potere non era l’unico elemento che aveva reso grande Hatieven: la collocazione geografica l’aveva resa uno dei più grandi centri commerciali, un luogo dove confluivano le rotte commerciali e risiedevano le più potenti famiglie di mercanti, che avevano fatto della città il punto da cui far partire i propri affari. “Se cerchi qualcosa lo troverai a Hatieven”, recitava un detto, a indicare la varietà e disponibilita di merci che vi si poteva trovare.
Dalla sommità in cui erano fermi, i cinque scorsero il groviglio ordinato di case estendersi oltre le alte mura perlacee e gli svettanti torrioni di guardia che gareggiavano con le torri delle sfarzose case nobiliari. I vessilli delle casate più in vista della città sventolavano al vento, scintillanti nei loro bardigli d’oro e d’argento. Il sole si rispecchiava sulle vetrate colorate dei templi, segno della magnificenza e magnanimità delle ricche famiglie che avevano onorato l’Ordine con le loro donazioni.
Bianche piazze, dove la gente andava a sedersi ai bordi di zampillanti fontane, sorgevano intorno alla piazza più grande, nel mezzo della quale sorgeva la torre più alta e imponente di tutte; una costruzione con base superiore a quella dei templi dell’Ordine, che s’innalzava al cielo come una fiamma, assottigliandosi nella salita, fino a terminare in una terrazza usata per gli studi astronomici e l’osservazione delle terre lontane. Era il Palazzo del Consiglio e del Senato, il centro di Hatieven, il mozzo dal quale partivano i raggi stradali e raggiungevano le granitiche porte, il luogo dove s’indicevano le riunioni e si ospitavano le delegazioni straniere; nella sua parte più alta erano condotte ricerche scientifiche, con laboratori attrezzati per ogni esperimento.
Vista dalla loro posizione, la Città Bianca sembrava una gigantesca ruota. Un rilucente complesso architettonico che sorgeva rigoglioso su una piana punteggiata da decine e decine di piccoli insediamenti agricoli.
I cinque discesero il basso promontorio, proseguendo sul terreno incolto fino a quando non spuntarono su un sentiero di terra battuta usato dai carri, proseguendo alla volta della città.
I viandanti guardarono il gruppetto di sottecchi, tenendosi a distanza.
Ariarn e Ghendor si scambiarono un’occhiata: il loro vestiario non era in condizioni accettabili, ma non avrebbero potuto farci niente fino a Hatieven.
Le bianche mura torreggiarono su di loro con il candore che le rendeva uniche. Le storie sul loro conto erano leggenda: mai una volta si era aperta una breccia, mai i nemici avevano superato le sue difese.
Anche se erano secoli che non subivano un assedio, ora solo un simbolo della forza della città, non avevano perso la forza d’un tempo. Una manifestazione d’arte militare notevole: altezza ragguardevole per scale e macchine d’assedio, merli che offrivano un’ottima copertura per colpire, spessore capace di resistere ai colpi delle catapulte.
Per qualche istante i caldi raggi solari furono sostituiti dalla fresca ombra della porta; ante dal peso immane erano appoggiate alle pareti di pietra, pronte a essere chiuse da un elaborato sistema d’ingranaggi fatto di contrappesi e leve posto all’interno del torrione.
L’ingegnosità non si limitava alle porte: tre serie di punte acuminate indicavano la seconda linea difensiva composta di tre grate grosse quanto il braccio di un uomo.
Il sole tornò ad accoglierli, illuminando la bianca distesa di strade percorse da cittadini intenti in commissioni o semplici passeggiate nella giornata primaverile.
Uno sciame di bambini urlanti e festanti, correndo dietro a una palla di pezza, gli passò accanto: le loro grida si persero quando svoltarono l’angolo. Senza volerlo si ritrovarono a sorridere: era bello ritornare alla normalità.”

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta d’infodump, che il pezzo poteva essere scritto in maniera differente: vero. Esitono modi differenti per mostrare una cosa: possono essere più o meno efficaci.
Occorre capire perché l’autore ha fatto una scelta invece di un’altra, comprendere che sensazioni ha voluto creare nel lettore.
Sorpresa, instillare in chi legge la voglia di scoprire? Allora centellinerà le informazioni, le mostrerà in momenti particolari.
Mettere a suo agio il lettore, dare una tregua dopo l’azione febbrile? Allora utilizzerà un modo che narra invece che mostrare, invertendo la legge “show, don’t tell”.