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Magia, tra figure storiche e immaginate - 1

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Fin dalla preistoria, la magia è stata un elemento presente nella storia dell’uomo. Rituali, incantesimi, segni, sigilli, rune, tomi oscuri, trattati arcani: tutte cose volte a conferire agli esseri umani potere per avere controllo sulle forze della natura, sulla propria vita e su quella altrui, di ergersi sopra la propria condizione.
Credenze che non hanno riscontri nella realtà, ma che tuttavia nel presente come nel passato tanti vi hanno dato importanza: nelle corti ci sono sempre state figure avvolte da aure di mistero, quasi magiche, che si riteneva potessero controllare energie soprannaturali, creando miti, leggende che non hanno fatto altro che conferirgli potere e fascino. L’uomo, nonostante la scienza e la logica abbiano dimostrato quanto tali elementi non fossero autentici, li ha sempre ricercati, ha sempre creduto in essi, seguendo e affidandosi a figure, libri, che riteneva potessero guidarlo verso poteri misteriosi, provenienti da dimensioni dove vigevano leggi differenti da quelle del mondo conosciuto. Proprio la parola “occulto”, così spesso associata alla magia, significa ciò che è nascosto, che non si vede, e l’ignoto ha sempre esercitato un forte magnetismo in chiunque, fin dall’antichità.
Le prime figure “magiche” incontrate nella storia dell’uomo risalgono alle società neolitiche e sono quelle degli sciamani, individui presenti presso le tribù con la capacità di diagnosticare e curare (ma anche causare, se di animo malvagio) le malattie grazie al rapporto che avevano con la natura e gli spiriti che lo popolano; tali personaggi sono esistiti per secoli e hanno continuato a esistere anche con lo svilupparsi di società più strutturate (vedasi i nativi americani) e che tuttora esistono in luoghi lontani dalla cosiddetta società civile occidentale. Lo sciamano è un ruolo che non è per tutti, cui può accedervi solo chi ha subito un evento fortemente traumatico che l’ha messo a confronto con la morte, permettendogli di prendere contatto con il mondo degli spiriti e di essere così guardiano della zona di confine che separa la sfera della vita da quella della morte: solo sopravvivendo a un’esperienza del genere riesce a creare quel legame che gli permette di acquisire capacità tali da avere una considerazione e una posizione privilegiata presso la sua gente, cui essa si rivolge per avere consiglio, aiuto e protezione.
Sebbene questa figura sopravviva ancora, con lo svilupparsi di società più numerose e organizzate da leggi più complesse, con il tempo è stata sostituita da quella dei sacerdoti, aventi associazioni più grandi e articolate, dove i favori, i portenti, sono elargiti dalle divinità, con il sacerdote che fa da tramite tra loro e i mortali. Come gli sciamani, i sacerdoti avevano molta considerazione e un gran rispetto presso il popolo, oltre che un gran potere anche a livello temporale, come dimostrato a esempio società mesopotamiche ed egizie; due società che hanno fortemente condizionato quelle a seguire con il loro sapere e le loro credenze esoteriche.
Di tutte le religioni del mondo antico (non per niente si affacciava sullo stesso bacino mediterraneo), la più incline alla magia fu quella greca, grazie anche a una conformazione del territorio che spingeva l’immaginazione a vedere i suoi luoghi come posti carichi di mistero. Monti remoti avvolti dalle nubi quali l’Olimpo, grotte, bocche vulcaniche, erano teatri perfetti per creature divine, mostri, eroi, maghe, come Medusa che pietrificava con il solo sguardo, Achille reso invulnerabile (tranne che un punto, il famoso tallone) dalle acque del fiume Stige, dei che trasformavano gli uomini in animali. Soprattutto certi luoghi divennero famosi per il sorgere di tempi dedicati agli Oracoli, figure capaci di condizionare anche la politica di uno stato e le decisioni dei re, dato che avevano la capacità di predire il futuro in molti modi (visioni indotte da vapori, sogni) senza dover entrare in contatto con il Regno dei Morti (l’Ade) e i defunti; i sacerdoti avevano gran considerazione, siccome erano loro a dover interpretare le parole e le profezie pronunciate dall’Oracolo.
Solo dopo le guerre persiane nel mondo greco comparve quella che viene chiamata stregoneria: evocazione di demoni, uso di filtri e pozioni per conquistare l’amore o avere la meglio sui nemici o protezione contro di essi. La maga Circe che mutava gli uomini in porci, Medea capace di grandi portenti e malefici, sono alcune delle figure più famose di chi usava la magia; senza contare Orfeo, la cui musica era artefice di prodigi quali farsi ubbidire da chiunque, animali, mostri (vedi Cariddi nell’impresa degli Argonauti) e divinità (Ade, quando scese nel Regno dei Morti per riportare Euridice nel mondo dei vivi). A loro vanno aggiunte figure famose realmente esistite come Pitagora e Apollonio di Tiana, dove le leggende gli conferiscono poteri magici quali l’essere presente nello stesso momento in più punti, richiamare animali e farsi obbedire da loro, guarire, fare profezie. Individui il cui sapere si riteneva nascesse dai contatti con l’oriente. Per tale sapere e credenze, nel caso di Apollonio, ci fu l’osteggiamento dei cristiani, che lo consideravano un operatore di malefici, vedendolo come un nemico (gli venivano attribuiti molti miracoli affini a quelli che i Vangeli attribuiscono a Gesù Cristo, come afferma il biografo Flavio Filostrato) e non prendendo in considerazione che anche lui predicava l’immortalità dell’anima, che la morte non poteva vincere sulla vita, dato che nulla mai moriva, ma cambiava solo sembianze, messaggi molto simili a quelli di Gesù. Da ricordare il suo professare che l’universo è un essere vivente, che ogni cosa che vi appartenga ha una coscienza e che insegnava il sistema alchemico dei quattro elementi (terra, fuoco, aria e acqua), convinto che ce ne fosse un quinto, etere o prana o spirito (se ci si fa caso, questi sono i Cinque Poteri, gli stessi elementi con cui le Aes Sedai intessono i loro flussi quando incanalano l’Unico Potere nella saga di La Ruota del Tempo creata da Robert Jordan).
I viaggi di Apollonio, dove apprese così tante cose, sono avvolti da leggenda, tant’è che attorno a essi si sono creati studi anche a secoli di distanza. Secondo essi aveva raggiunto Shambhala, un regno dove si custodisce e si cura l’anima dell’umanità, dove risiedono adepti di ogni razza e cultura all’interno di una valle riparata dai gelidi venti artici, con un clima sempre temperato e la natura fiorisce rigogliosa. Un luogo cui molti hanno cercato di dare una locazione, spesso indicato nel Tibet, che non è mai stato però trovato, ma che tuttavia ha ispirato scrittori come Andrew Tomas, Victoria Le Page e James Hilton (in Orizzonte Perduto, romanzo del 1933, lo scrittore descrive un luogo simile dandogli nome Shangri-La).
Non solo scrittori si sono lasciati affascinare da persone del genere, ma anche potenti come Nerone, come dà testimonianza Plinio il Vecchio, asserendo che l’imperatore nutriva per la magia una gran passione e per la quale volle avvalersi degli insegnamenti del re armeno Tiridate, famoso mago del periodo in cui la guida di Roma visse.

Merlino interpreteato da Nicol Williamson nel fil Excalibur di John BoormanTuttavia, la figura del mago per antonomasia, nonostante le premesse finora viste, raggiunge il suo culmine solo secoli dopo, incarnandosi in quello che sarà l’archetipo da tutti riconosciuto: Merlino. Individuo conosciuto per il famoso ciclo arturiano, viene citato per la prima volta in Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136 ca), le cui vicende vengono fatte risalire al V secolo, prima come consigliere di Vortigern, poi di Uther Pendragon. Merlino ebbe un ruolo importante sul regno di quest’ultimo e della sua discendenza, dato che grazie alle sue arti magiche permise a Pendragon di unirsi con Ygraine e dare così vita ad Artù. Solo in seguito con autori quali Thomas Malory, il mito arturiano si arricchì dei famosi racconti della spada nella roccia e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Secondo alcuni, come Nikolaj Tolstoj, Merlino è ispirato all’ultimo dei druidi (sacerdoti delle antiche regioni celtiche di Britannia, Irlanda e Gallia, la cui esistenza è documentata dal III sec. A.C. da saghe irlandesi e testi romani, specie di Giulio Cesare), secondo altri invece era derivata da un bardo gallese del VI sec. d.C. di nome Myrddin, nome cambiato in seguito appunto in quello ben conosciuto. Nome che però secondo la storica Norma Lorre Goodrich era più che altro un appellativo riferito alla sua natura acuta, scrutatrice e rapace, dato che il merlin è un tipo di falco; i lettori della saga di Earthsea di Ursula Le Guin potranno vedere delle analogie tra Merlino/falco e Ged conosciuto anche come Sparviero, vedendo in questo una possibile fonte d’ispirazione avuta dalla scrittrice americana.
Ian McKellen interpreta Gandalf in Il Signore degli Anelli e Lo HobbitMa Merlino non ha ispirato solo questa saga, ne è un esempio un altro famoso mago, Gandalf, creato da J.R.R.Tolkien, gran conoscitore delle leggende nordiche e celtiche, usandole per dare vita alla Terra di Mezzo; entrambi i personaggi sono andati a creare l’immagine classica, l’archetipo che tutt’oggi si conosce. Danirl Radcliffe interprete Harry Potter nella famosa saga di  J.K.RowlingUn archetipo che è stata arricchito da poco da un altro personaggio, quello di Harry Potter creato da J.K.Rowling, scrittrice inglese che consolida la visione secondo la quale l’essere mago è un talento innato, che non può essere acquisito in nessun modo, distinguendolo così dalle persone comuni. E mantenendo la tradizione dell’immaginario, i maghi per gli incantesimi usano bacchette magiche, hanno proprie scuole con torri e ordini, dove imparare a usare i poteri di cui dispongono e che affondano le loro radici in qualcosa che non è di questo mondo dai libri.
Tutto ciò a differenziarsi dalle streghe, che non hanno bisogno né di maestri (maghi e stregoni hanno sempre scuole) né di gerarchie ufficiali che, per mantenere il controllo sull’utilizzo delle forze invisibili, diano regole e investiture precise ai loro adepti. Strega (femmina o maschio che sia) è chi impara da sé, chi cerca e trova, non smette mai di trovare, sul confine tra Aldiqua e Aldilà. In molte lingue per indicare le streghe si usano parole che letteralmente significano «le sapienti», persone libere e coraggiose, indifferenti a paure superstiziose, ai tabù, con mentalità pratiche. (1) Di fronte a tale descrizione, di nuovo vengono in mente le Aes Sedai di Robert Jordan, etichettate dalla gente comune in senso dispregiativo come le streghe di Tar Valon, ma anche la Strega del Crepuscolo del mondo di Landover di Terry Brooks, ottimo esempio di creatura a ridosso del confine tra Mondo Fatato e mondo materiale che ha appreso da sola l’uso della magia.

1 – Libro degli angeli, pag 93. Igor Sibaldi. Frassinelli 2007

Fonti su cui ci si è basati per realizzare l’articolo (apparso sul numero 9 di Effemme):

  • Storia dei maghi. Alan Baker. I edizione Oscar Mondadori 2005
  • Manuale di storia delle religioni. G.Filoramo, M.Massenzio, M.Raveri, P.Scarpi. Mondadori 1998
  • Dizionario universale dei miti e delle leggende. Anthony Mercatante. Mondadori 2002

Lo Spirito Oscuro di Shannara

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Pubblicato in Italia nel 2008, Lo Spirito Oscuro di Shannara è una graphic novel (la prima dedicata al mondo di Shannara) basata su un soggetto di Terry Brooks, con disegni di Edwin David e adattamento di Robert Place Napton.
La storia riprende i personaggi di Jair Ohmsford e Garet Jax, uno dei preferiti dei lettori dello scrittore statunitense, per approfondire il loro rapporto nato in La Canzone di Shannara e visto anche nel romanzo breve Indomitable, oltre che affrontare il rapporto del ragazzo con la sorella Brin sull’uso della magia. Chi ha letto La Canzone sa che i poteri che posseggono i due ragazzi della Valle è eredità del padre Wil a seguito dell’uso delle Pietre Magiche nella lotta contro i Demoni che ha portato le Quattro Terre quasi a cadere: nel caso di Brin, si tratta di un potere capace di alterare la realtà, di avere effetti concreti sulle cose e sulle persone; mentre Jair è in grado solo di creare delle illusioni. Questo almeno finché era poco più di un bambino.
Garet Jax in Lo spirito Oscuro di ShannaraI fatti proposti in questa graphic novel si verificano qualche anno dopo la lotta contro le Mortombre, e lo sviluppo fisico di Jair, ormai prossimo all’età adulta, ha portato un cambiamento anche nella sua magia: oltre alle illusioni, ora ha la capacità di divenire Garet Jax, di avere la sua forza, la sua velocità, il suo istinto di combattente, la sua capacità nell’uso delle armi; una vera e propria macchina da guerra. Una trasformazione che ricorda un po’ quello che succede a Ben Holiday nel regno di Landover quando grazie al medaglione diventa il Paladino, fondendo il suo io con quello di un altro essere e acquisendo le sue capacità, ma anche la sua personalità.
Potere che si manifesta partendo dal punto in cui era terminato il romanzo La Canzone di Shannara: la sconfitta dell’Ildatch. Solo che non è stato sconfitto del tutto, ma è rimasta una pagina del pericoloso grimorio ed è stata trovata dai Mwellret, i rettili umanoidi con cui Jair ha già avuto a che fare, essendo un tempo stato prigioniero di uno di loro. Il ragazzo, grazie alla nuova manifestazione della magia, riesce a fermare le brame delle creature, ponendo fine una volta per tutte al libro maledetto.
Con la distruzione dell’ildatch tutto sembra finito, ma è solo una piccola parentesi di pace: sulla via del ritorno, l’ombra di Allanon compare a Jair avvisandolo che i mwellret non si sono dati per vinti nella loro ricerca di potere: alleatisi con la Strega di Croton, hanno catturato Kimber Boh e Cogline, con l’intento, grazie alle arti magiche della megera, di strappare dalla mente dell’ex Druido il modo per far tornare sulle Quattro Terre la scomparsa Paranor, sigillata in un’altra dimensione, e prendere possesso della sua magia.
Il ragazzo della Valle, sia per salvare il mondo, ma soprattutto i suoi amici, intraprende la missione affidatagli dal Druido; per trovare Kimber e suo nonno rintraccia Slanter, lo gnomo battitore che l’ha aiutato nella cerca precedente, l’unico sopravvissuto del gruppo che ha permesso a Jair di raggiungere la Sorgente del Cielo.
Prima Pietra del Focolare, poi la Malaterra e infine i Denti del Drago: attraversando terre già conosciute, si arriva al confronto finale con la Strega e i suoi asserviti per fermarli dal far tornare Paranor e usare la sua magia.
Una buona storia, anche se non all’altezza di Le Pietre Magiche e La Canzone: non c’è la stessa epicità, la stessa grandezza percepita in queste opere, sia perché la trama è più breve e meno strutturata, sia perché non ci sono nemici veramente all’altezza come possono essere stati i Demoni con il Mietitore, il Dagda Mor e le sue schiere, e le Mortombre, la Jachyra asservite al pericoloso Ildatch. Manca di drammaticità, di vero pericolo, ed è priva di quei dettagli che i personaggi secondari (qui assenti) era capaci di dare. Ma è disegnata molto bene in ogni sua parte, con gran cura per i particolari, capace di mostrare le Quattro Terre come il lettore se l’è immaginate leggendo le storie di Brooks. Il progetto ha rispecchiato bene le parole di Robert Place Napton, secondo le quali bianco, nero e mezzetinte volevano condividere la poesia del bianco e nero di I Sette Samurai di Akira Kurosawa, film che ha influito sulla storia della canzone per stessa ammissione di Brooks (1); intento ben realizzato dal tratto di Edwin David, dagli inchiostri di Dennis Crisostomo e dalle mezzetinte di Brian Buccellato.
Lo Spirito Oscuro di Shannara ripropone personaggi già conosciuti, mostrandone nuovi lati e affrontando un tema caro al suo creatore, ovvero la tentazione della magia e del suo richiamo che spinge a usarla sempre di più, fino a quando non se ne diventa schiavi e si perde se stessi. Un potere che se usato saggiamente può aiutare, ma che rischia di diventare un male se se ne abusa.
Nel complesso un volume piacevole, che mostra ancora un poco dello spirito dei primi libri di Brooks, perso da Il Viaggio della Jerle Shannara in poi.

1- Lo Spirito Oscuro di Shannara. Terry Brooks, pag. 174. Mondadori 2008

Novità sul mondo di Shannara di Terry Brooks

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In un precedente post avevo parlato di un nuovo volume dedicato alla lunga saga di Shannara. Ora, dopo anni di voci in cui se ne parlava, l’attesa pare essere finita: la serie più famosa di Terry Brooks andrà sullo schermo e sarà MTV a realizzarla, adattando il secondo volume del primo ciclo, Le Pietre Magiche di Shannara, come più volte era stato preventivato. La scelta è mirata, perché punta sul miglior lavoro di Brooks (anche se La Spada di Shannara è il primo romanzo della serie grazie al quale lo scrittore è stato conosciuto, non è stata certo l’opera più riuscita, ricordando molto Il Signore degli Anelli di J.R.R.Tolkien); con un soggetto di base così solido e ben strutturato, si dovrebbe andare sul sicuro nella realizzazione di un buon prodotto.
Purtroppo, da quello che si sta leggendo in rete, pare che non sarà così. E non perché MTV non è l’HBO, ma perché si sta liberamente adattando la storia. Chi ha letto la saga di Shannara, sa che le Quattro Terre sono il frutto delle Grandi Guerre, dove non c’è tecnologia (o suoi residui) e si ha a che fare con un mondo con connotazioni che ricordano molto il Medio Evo. Le poche notizie che circolano sulla serie televisiva parlano che si narrerà la storia di una famiglia in un mondo post apocalittico: detto così, significa tutto e niente, ma qualche sospetto può nascere sulla direzione che può essere presa.
Soprattutto quando si legge che si avrà una forte protagonista femminile dotata di poteri magici. Se il soggetto si fosse basato su La Canzone di Shannara, nulla da dire: una dei protagonisti, Brin Ohmsford, ha un grande potere magico innato (eredità lasciata dall’uso delle Pietre Magiche nel padre Wil durante la lotta contro i Demoni in Le Pietre Magiche di Shannara), così grande da superare quello di Allanon, l’unico potere capace di distruggere una volte per tutte l’Ildatch, la fonte del male che ha generato il Signore degli Inganni e le Mortombre. Ma nelle Pietre non c’è nessuna protagonista dotata di poteri magici, nessuna appartenente alla famiglia degli Ohmsford (e quindi legata al sangue dei Shannara). Le due figure femminili protagoniste presenti, Eretria (una nomade) e Amberle (una degli Eletti), non hanno nulla di magico.
Si dovranno attendere ulteriori informazioni sulla serie, ma i rumors attuali non fanno sperare per il meglio. E si ha il timore che si verifichi quanto accaduto a La Spada della Verità, che a parte il nome aveva poco o nulla a che spartire con i libri. Per chi vuole conoscere davvero il mondo di Shannara e non l’ha ancora fatto, c’è la lettura dei libri: non ci si faccia prendere da una certa pigrizia, aspettando il prodotto televisivo perché più immediato e meno impegnativo in fatto di tempo da spendere.

Terry Brooks, tra passato e presente

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Terry Brooks è stato uno degli autori che ho apprezzato e di cui ho letto diversi libri di tutte le saghe che ha scritto, Landover, Shannara, Verbo e Vuoto, come dimostrato dagli articoli di approfondimento che ho realizzato per FM (Gli Eredi di Shannara – Terry Brooks,  La Trilogia del Verbo e del Vuoto di Terry Brooks, Il ciclo di Landover- Terry Brooks, La prima saga di Shannara – Terry Brooks); a questi vanno poi aggiunti Hook (romanzo scritto sul film omonimo di Steven Spielberg del 1991) e A volte la magia funziona (libro autobiografico sulla sua vita da scrittore che dà anche qualche consiglio su come scrivere).
Gli Eredi di Shannara1 La validità del suo operato non si discute, almeno fino a un certo periodo: certo i suoi scritti non sono il massimo dell’originalità, ne è un Maestro del fantasy come fanno tanti lanci pubblicitari, ma è stato uno scrittore meritevole che ha prodotto romanzi capaci di coinvolgere e appassionare: escluso l’esordio con La Spada di Shannara (il cui vero neo non era tanto l’essere una copia di Il Signore degli Anelli, quanto una certa pesantezza nello stile e in una non eccezionale caratterizzazione dei personaggi), Brooks ha saputo creare mondi e personaggi convincenti, come dimostrato con Le Pietre Magiche di Shannara, La Canzone di Shannara e il ciclo degli Eredi , dove ha saputo dare vita a storie magnifiche e protagonisti come Allanon, Walker Boh, Pe Ell, Morgan Leah, Gareth Jax (senza contare che anche i personaggi secondari erano di notevole spessore). Stessa cosa è avvenuta con Landover, dove, oltre a una certa originalità della storia (un avvocato che compra un regno magico e ne diventa re) e a una certa ironia (il regno non è proprio perfetto come è stato descritto), ha lasciato nella mente di chi ha letto la saga creature fantastiche come il drago Strabo, la Strega del Crepuscolo, il gatto prismatico Edgewood Dirk.garet jax
Con la prima trilogia di Il Verbo e il Vuoto Brooks ha saputo riproporre la guerra tra il Bene e il Male: una guerra nascosta alla gente comune, ma che si combatte ogni giorno, in ogni angolo della Terra, portata avanti da Demoni del Vuoto e Cavalieri del Verbo.
Per anni lo scrittore americano ha saputo proporre letture molto valide, ma poi qualcosa s’è inceppato e ha cominciato a proporre copioni che si sono fatti sempre più simili. Le due trilogie del mondo di Shannara seguite al ciclo degli Eredi (Il Viaggio della Jerle Shannara e Il Druido Supremo di Shannara ) avevano buone idee di base, ma non sono state sviluppate a dovere, soprattutto non avevano personaggi all’altezza di quelli che li avevano preceduti. Di questa china discendente ce ne si è resi conto con la trilogia La Genesi di Shannara, dove l’autore ha unito le saghe di Shannara e Verbo Vuoto, volendo mostrare come il mondo della prima sia nata da quello della seconda: dopo un’ottima prima parte del primo volume, I Figli di Armageddon, Brooks ha commesso l’errore di far sì che il mondo degli Elfi, con l’Eterea e tutto il resto, fosse sempre stato presente sulla Terra, ma invisibile agli uomini. Una scelta che ha dimostrato o pigrizia o mancanza d’idee: c’erano modi migliori per spiegare come il mondo di Shannara fosse nato e discendesse dal nostro.
Ancora peggio ha fatto quando ha ripreso Landover scrivendo il sesto libero della serie, La Principessa di Landover, rovinando la saga con una storia banale, dove si perde tutta la magia dei precedenti volumi perché s’incentra la trama su una cotta adolescenziale (vedasi la recensione più approfondita).
A fronte di opere sempre meno coinvolgenti e qualitativamente scivolate verso il basso, non ho proseguito nella lettura delle nuove opere di questo scrittore. E da quello che si legge in rete sulle sue nuove uscite, a ragion veduta. Nei prossimi mesi uscirà Il fuoco di sangue, secondo volume di Gli oscuri segreti di Shannara. Questo quanto si legge dalla quarta di copertina presente in rete (fonte Libreriauniversitaria): La ricerca delle Pietre Magiche, perdute da troppo tempo ormai, ha fatto sì che i druidi più importanti delle Quattro Terre si siano spinti fino al Divieto, la dimensione dove sono state racchiuse tutte le creature più malvagie e demoniache, restandone imprigionati. E intanto, nel villaggio di Arborlon, l’Eterea, pianta magica e senziente, sta morendo. E solo lei sapeva mantenere la separazione tra le Quattro Terre e il Divieto. L’unica che adesso può impedire che l’orda mostruosa e infernale degli esseri che abitano il Divieto si riversi nelle Quattro Terre a portare la morte, il dolore e la distruzione è Arlingfant Elessedil, giovane e coraggiosa. Arlingfant è stata scelta per portare un seme dell’Eterea nel Fuoco di Sangue. Se riuscirà, la barriera che divide il Divieto dalle Quattro Terre verrà ripristinata nella sua piena forza. Ma al tempo stesso Arling dovrà cessare di esistere, tramutandosi nella nuova Eterea. Sospesa tra due scelte terribili potrà salvare le Quattro Terre, senza rinunciare alla vita.
Chi conosce l’autore avendo letto altre sue opere, può accorgersi che questo volume praticamente è una copia di Le Pietre Magiche di Shannara; salvo qualche piccola differenza di trama e nome dei protagonisti, quella più grossa è che il nuovo volume non riuscirà a essere all’altezza del precedente.
Si sapeva che Brooks fosse un autore commerciale, ma di certo non ci si aspettava che si adeguasse così tanto alle richieste del mercato. E’ vero che questa è la professione su cui vive e pertanto occorrono dei compromessi per poter vendere e mantenere buone fette di mercato; quello che viene da domandarsi è se sia stato veramente un freddo ragionamento centrato sul puro far soldi o se semplicemente l’autore abbia esaurito tutte le idee valide e per questo punti su cavalli che un tempo gli sono valsi il successo, sperando così di poterlo ripetere.

Romanzi fantasy realizzati in Italia

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Il periodo di crisi colpisce ogni settore e l’editoria non ne è certo esentata. Le case editrici sono in difficoltà, stanno chiudendo o hanno chiuso; quelle che rimangono investono certamente meno e il fantasy non fa certo eccezione, specialmente per quanto riguarda la ricerca di nuove figure in ambito nazionale.
La causa di tutto ciò è solo dovuta alla crisi oppure c’è dell’altro?
La questione porta a riflettere e a fare un’analisi di quanto prodotto per poter esprimere delle opinioni sulle quali discutere.
La crisi ha portato sicuramente a un minor numero di vendite (con meno soldi a disposizione, la gente si concentra sul necessario e i libri, per quanto possono essere interessanti, non sono una necessità primaria) e di conseguenza a investimenti minori, soprattutto per quanto riguarda gli autori italiani; ma le cause di tale scelta sono anche altre e dipendono dal fatto che il periodo di boom del genere (che ha portato a una sua maggiore diffusione rispetto al passato) è stato un fuoco di paglia, che non solo non ha gettato le basi per un solido sviluppo e consolidamento del fantasy, ma ha bruciato la fetta di mercato che si era creato. A differenza dell’estero, dove si ottengono buoni risultati.
Che cos’è che crea questo divario? La grandezza delle case editrici? Il metodo di lavoro? La qualità di quanto producono gli scrittori? Perché il fantasy scritto in Italia ne esce male dal confronto con quello estero?
Prima però di addentrarsi nelle varie cause, occorre fare una doverosa precisazione: il fantasy non ha nazionalità, è di tutti e non appartiene a nessuno. Non esiste quello italiano, francese, inglese, tedesco, ma quello realizzato da autori di nazionalità differenti.
In Italia ci sono autori validi, ma si contano sulle dita delle mani di un uomo; i restanti dimostrano un livello mediamente basso: storie che ricalcano i cliché della moda del momento, propinando libri che sono cibo in scatola per gatti.
Questa scelta ha mostrato in breve tutti i suoi limiti; è logico che romanzi del genere possano essere solo comete, con un’esistenza della durata di una stagione, che non lasciano il segno. Segno inteso in senso positivo, perché in senso negativo invece c’è stato: a causa di essi il mercato è stato bruciato.
Com’è stato possibile tutto questo? E com’è invece che ci sono stati autori le cui opere sono rimaste e continuano a essere lette anche dopo la loro morte?
J.R.R.TolkienSi prenda uno degli esempi più famosi: J.R.R.Tolkien.
Lo scrittore inglese si è sempre lamentato e rammaricato che il suo paese non avesse una gran tradizione mitologica, al punto che ha voluto crearne una con la realizzazione del mondo in cui si svolge il suo romanzo più famoso, Il Signore degli Anelli. È partito dal principio, dalla creazione del mondo, dalla sua geografia, dandogli una storia millenaria, arrivando addirittura a creare le lingue delle varie razze. La sua professione certo l’ha aiutato (insegnante di lingua e letteratura anglosassone e inglese), ma si è dato da fare per ricercare e documentarsi delle favole e dei miti che possedevano altri paesi, una passione ereditata dalla madre.
Quello che ha conferito così tanta forza alla sua opera è stato il modo in cui è riuscito a riportare e far rivivere le sue esperienze di vita. L’amore per la moglie mostrato attraverso Beren e Luthien. Gli orrori delle battaglie, la perdita di compagni che tanto l’avevano segnato avendo partecipato alla Prima Guerra Mondiale. La consapevolezza di quanto la tecnologia e l’industrializzazione potessero essere dannose per la natura, come la distruggessero.
Tutte cose che la maturità raggiunta in una vita gli ha permesso di elaborarle e metabolizzarle e immetterle in un libro, facendole divenire così universali, comprensibili e vicine a chiunque.
Tutto ciò invece manca in molti dei libri prodotti dall’editoria italiana: si è di fronte a mancanza di conoscenza e mancanza di esperienza di vita. Di nuovo, si dà quello che si ha: in questo, parecchi degli autori italiani sono mancanti e il risultato si vede.
Il fantasy è più che mera commercialità, anche se va considerato che pure all’estero si ha la convinzione che il fantasy sia un sottogenere della letteratura, come ha denunciato Steven Erikson, autore di un fantasy adulto e maturo qual è la saga La Caduta di Malazan; una mentalità da questo punto di vista sbagliata, ma che nonostante ciò dimostra come ci sia da parte degli autori e degli editori una preparazione, un’attenzione che in Italia si è ancora ben lontani dall’avere.
Tutto questo è solo la punta di un iceberg di un modo di fare sbagliato che ha portato solo perdita in Italia, che ha radici molto più profonde, basti pensare al livello culturale e di conoscenza della sua popolazione (per farsene un’idea leggere questo pezzo). Per approfondire la questione, in questo articolo su FM ne parlo in maniera più ampia.

Di spade

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Le spade sono un elemento che è stato ben presente nella vita dell’uomo, sia nella realtà, sia nelle storie inventate.
Sono state oggetti ornamentali, fautori di violenza e morte. Sono state anche molto più di un’arma.
Per il loro essere lucenti, nell’antichità venivano usate come specchi. Non per niente un passo della Bibbia si riferisce proprio a questo: “il bagliore della spada che gira su se stessa” (Genesi 3,24) è appunto riferito a qualcosa che riflette, proprio come uno specchio. In questo caso naturalmente va inteso come un simbolo di un limite da superare.
Anche in altre culture la spada è qualcosa di più di un mezzo per difendersi o attaccare, specie per i samurai: nel periodo Tokugawa si diffuse l’idea che l’anima di un samurai risiedesse nella katana che portava con sé, a seguito dell’influenza dello Zen sul bujutsu. Senza contare che il possedere tali spade era simbolo di riconoscimento della casta di cui facevano parte.
Famoso simbolo di riconoscimento nell’immaginario collettivo umano è soprattutto la spada nella roccia (che alcuni associano a Excalibur, mentre altri le reputano due armi differenti), che avrebbe permesso di riconoscere chi sarebbe stato capace d’essere guida per il popolo e governarlo: è grazie a essa che si riconosce in Artù l’essere re del proprio paese.
Ma Excalibur non è la sola spada a essere usata come simbolo di riconoscimento. Anche Robert Jordan in La Ruota del Tempo ha fatto la stessa cosa con Callandor, la spada fatta di cristallo, la spada che non è una spada anche se può essere usata come tale, pur essendo molto di più: essa è un potente ter’angreal (residuo dell’Epoca Leggendaria che usa l’Unico Potere) che può essere liberata dal luogo dove è custodita solo dal Drago Rinato. Questo è uno dei segni che mostra il ritorno del Drago, perché solo lui è in grado di farla uscire dalla Roccia (in questo caso è la fortezza dove è stato custodito l’oggetto).
Ma di spade che sono più di una spada, la letteratura fantasy è ricca. Terry Brooks con la spada di Shannara crea un oggetto capace di mostrare la verità, di abbattere le illusioni e le menzogne (l’arma fu creata proprio per sconfiggere il druido rinnegato Brona, divenuto il Signore degli Inganni, dato che l’unica cosa in grado di sconfiggerlo era la verità su se stesso che tanto aveva cercato di non vedere). A parte Il Primo Re di Shannara dove l’arma viene creata, sia in La Spada di Shannara, sia nel ciclo degli Eredi, l’arma è custodita in un blocco di roccia; anche in questa storia, solo gli appartenenti a una determinata linea di sangue potranno usarla.
Oltre a queste si possono citare Tempestosa della saga di Elric creata da Michael Moorcock e Sanguinotte di Il Conciliatore di Brandon Sanderson, che benché non diano riconoscimenti o vengano estratte dalla roccia, sono molto più di un’arma: sono qualcosa di vivo e senziente, oltre che potente e pericoloso. Non va dimenticata Dragnipur, la gigantesca spada di Anomander Rake nella saga Malazan di Steven Erikson, contenente la Porta dell’Oscurità e capace di rinchiudere al proprio interno l’anima di chi uccideva.
Per non parlare della Spada Nera creata da Margaret Weis e Tracy Hickman nel ciclo Darksword capace d’annullare qualsiasi magia. O di Narsil, la spada che andò in frantumi tagliando il dito di Sauron cui era infilato l’Unico Anello nella famosa Terra di Mezzo creata da J.R.R.Tolkien. O Durlindana, la spada di Orlando, il paladino di Carlo Magno, narrata nella Chanson de Roland. O la gigantesca Ammazzadraghi di Gatsu nel manga Berserk di Kentaro Miura. O Gramr, la spada che Sigfrido usò per uccidere il drago Fáfnir (in I Nibelunghi è chiamata Balmung, mentre nella tetralogia L’anello del Nibelungo è chiamata Nothung).
Quale che sia il contesto in cui essa sia presente, racconto o fatto storico, una realtà è innegabile: chiunque, almeno una volta nella vita ha sognato di impugnarne una.

L'importanza dell'inizio

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Quanto è importante l’inizio?
Alle volte vuol dire tutto, alle volte non significa assolutamente nulla. Può essere di aiuto oppure non avere alcuna influenza. Se ha influenza o meno, dipende sempre dall’individuo e da come decide di viverlo.
Di certo partire con il piede giusto aiuta, anche se poi ci vuole altro per mantenere quanto fatto e consolidare quanto di buono le basi hanno gettato: non avere costanza alla distanza può deludere e avere lo stesso risultato di una partenza stentata, forse anche peggiore, perché c’è la delusione delle aspettative.
Un inizio stentato o poco convincente può non far partire affatto. Per continuare, occorre o avere fiducia o avere una dose d’incoscienza (grande o piccola dipende dai casi) e d’arrischiarsi a proseguire in un percorso che non promette bene.
Un discorso questo che vale in qualsiasi ambito: esperienze, persone, rapporti. Anche libri. E non ci si riferisce certo alle prime righe o alle prime pagine di un romanzo, come spesso fanno le case editrici nel selezionare i manoscritti che sono sottoposti alla loro attenzione.
Nella mia esperienza di lettore sono stato fortunato, perché m’è capitato di leggere romanzi ben fatti e coinvolgenti che mi hanno poi permesso di andare avanti nella conoscenza della bibliografia di ottimi scrittori: se così non fosse stato, avrei lasciato perdere.
Se avessi cominciato la lettura di Terry Books con La Spada di Shannara o di Robert Jordan con L’occhio del mondo o di Weis e Hickman con L’ala del drago per quanto riguarda il ciclo di Deathgate, probabilmente non sarei andato avanti con il proseguire con i loro lavori.
Le cose non sono andate così e in questo modo ho potuto avere l’opportunità di avere buone letture. L’ottimo lavoro di Brandon Sanderson per quanto riguarda la conclusione di La Ruota del Tempo (è grazie a lui se mi sono avvicinato alla saga), il fascino del ciclo degli Eredi di Shannara e la cupa e dura atmosfera di Mare di Fuoco hanno permesso che io continuassi nel leggere storie lunghe e articolate, potendo cogliere le loro sfumature, i loro punti di vista e di forza.
Può essere stata una fortuna, ma non sempre la si ha e un autore se non riesce a cogliere l’attenzione del lettore e poi a mantenerla, rischia di bruciarsi e perdere un suo possibile seguito. Pertanto il lavoro in cui si cimenta lo scrittore non è facile, perché deve trovare la giusta miscela capace di coinvolgere: non si può piacere a tutti, ma occorre fare in modo di raggiungere un seguito che sia di un certo numero per poter far sì che il suo lavoro a livello editoriale sopravviva. La fortuna aiuta, certo, ma fino a un certo punto: senza capacità e qualità, non si va da nessuna parte; ne consegue che bisogna lavora bene sempre, mantenendo un livello alto in qualsiasi punto ci si trovi, anche se si è già scrittori affermati. Perché il successo di ieri non è per niente scontato che dia il successo oggi o domani.

Modi di fare pubblicità ai romanzi

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Negli ultimi anni è divenuta consuetudine sulle quarte di copertina dei libri riportare i commenti di quotidiani, riviste e altri autori sul romanzo che si ha tra le mani, una sorta di pubblicità e un modo per dimostrare quanto è valido il prodotto, come se questo potesse davvero essere dimostrazione della sua bontà; si ha la convinzione che la parola di un personaggio conosciuto e affermato sia una sicurezza per attirare lettori. Questo basarsi sempre sul giudizio degli altri, sulla convinzione che la parola di una persona famosa abbia maggior valore di quella di un altro e sia una garanzia, è tipica della nostra epoca: se si è una persona famosa e conosciuta significa che si è arrivati a quella posizione perché in tanti hanno seguito, sostenuto. I numeri sono potere, formano la maggioranza e la maggioranza ha sempre ragione.
Si sa che invece non è così, che la maggioranza non è sinonimo di verità, perché la maggioranza, la massa più grande, può essere manipolata, condizionata, influenzata. Come sempre succede, la gente non pensa con la propria testa, ma segue gli altri, reputando superiore, e pertanto degno di maggiore considerazione, chi è in certe posizioni di notorietà.
A causa di questa mentalità, ci si ritrova sui libri che si acquistano frasi che alle volte possono far strappare un sorriso, far alzare un moto di protesta o di disgusto.
Nel genere fantasy si è passato dal “Chi non ha letto Brooks, non ha letto fantasy” di Paolini (come se Brooks avesse bisogno delle sue parole, dato che scriveva quando Paolini non era ancora nato: un’affermazione semplicistica e oltretutto limitante, come se tutto il fantasy si riducesse a Brooks, dimenticando autori come Tolkien, Moorcock, Vance, Le Guin, Bradley, tanto per citarne alcuni. Ma quando questa frase comparve sui libri di Brooks, Paolini era sulla cresta dell’onda vendendo milioni dei sui libri), a tutta una serie di affermazioni dove vari autori si fanno i complimenti tra di loro (si vedano i vari Moorcock, Le Guin, Sanderson, Rothfuss, Hobb).
Tutto questo celebrare, tutta questa referenzialità non aggiunge nulla al valore di un libro: la sua bontà può essere valutata solo leggendo. Purtroppo la gente, come già detto, non basa il giudizio usando la propria testa, ma si affida agli altri, andando sull’impeto emotivo, dimenticando l’obiettività e l’oggettività, come se l’intelletto fosse qualcosa di dimenticato.
C’è da dire che se questo modo di fare è generalizzato, l’Italia deve dimostrare di essere sempre il peggio. Come piccolo esempio si prenda quanto riportato sull’ultimo libro pubblicato da Gargoyle di Joe Abercrombie, Il Richiamo delle Spade.
Si passa dalle solite frasi di circostanza, lette e sentite tante volte “Un fantasy moderno non potrebbe infervorare più di questo” (SFX), “Abercrombie ha scritto la più raffinata trilogia epic fantasy degli ultimi tempi. Uno scrittore che nessuno dovrebe perdersi” (Junot Diaza), “Se siete in astinenza dal Trono di Spade, dovete sapere che l’autore di quella saga, George R.R. Martin, ha un giovane erede. Si chiama Joe Abercrombie.” (Vanity Fear), alla semplicistica “Incantevole, contorto, malvagio” (The Guardian); nel mezzo si ha l’unico giudizio pertinente e in sintonia con il romanzo “Un mondo crudo e realistico e una consapevolezza decisamente contemporanea del sacrificio di vite alla violenza” (The Times). Purtroppo si conclude nel peggiore dei modi con il giudizio di due quotidiani italiani, che danno dimostrazione di come si vada per luoghi comuni, frasi fatte che fanno domandare se chi le ha scritte ha per caso letto il libro, oltre a conoscere il genere fantasy: “Una sorta di gioco di ruolo, un videogame di ferraglie, colpi di spade fino a che qualcuno non cadrà” (Il Messaggero), “Un fantasy “crudo e realistico”, con lacrime e sudore, sangue e merda in bella mostra. Gli Eroi sono come te. Antieroici” (Libero).
Questa è la dimostrazione che in Italia si scrive pensando che il valore delle cose sia dato dall’urlare di più e dal spararla più grossa degli altri. Ma informazione e oggettività sono tutta un’altra cosa.
Occorre ritornare indietro e ricominciare a lavorare con professionalità. Per quanto riguarda i libri, c’è da augurarsi che si torni come una volta, quando sulla quarta di copertina non c’erano queste frasi inutili: oltre a eliminare il fastidio di leggere queste cose, si risparmierebbe inchiostro. Sempre in tema di risparmio, andrebbero eliminate le fascette con citazioni a effetto che tanto vengono usate oggi: sono solo uno spreco di materiale, non servono assolutamente a nulla.

Sempre parlando di citazioni a effetto, si vedano quelle apparse sulla pagina facebook di Fanucci riguardo al romanzo Tony Tormenta di Rosanna Rubino: “Stanco dell’aldilà, Philip K.Dick si è reincarnato (era ora!) e ha scelto una napoletana tostissima dalla scrittura implacabile e dalla fantasia assassina, abissale, travolgente.”
A parte il fatto che questo modo di fare pubblicità è troppo celebrativo e pomposo, troppo urlato, divenendo in questo modo scadente, certe affermazioni sono fuori luogo: ognuno è se stesso, non si ha bisogno di doversi basare sempre sui paragoni con gli altri, facendo associazioni ridicole e senza senso. Ma in questo modo si crede d’acquisire valore, d’attirare l’interesse altrui, di chi è stato fan di autori pubblicati.
Un modo di fare quello dei paragoni con personaggi che sono stati famosi e hanno avuto successo, che cerca di far credere alla gente che il talento che avevano loro ce l’hanno altri: un cercare referenzialità, un cercare di rubare la luce che è stata di altri per abbagliare la gente e farle credere quello che si vuole.
Un modo di fare in questo caso sbagliato, perché il valore di un’opera lo deve dimostrare l’opera stessa, non sparate pubblicitarie che lasciano il tempo che trovano.
Un modo di fare quello di Fanucci poco professionale, come poco professionale è il non rispondere ai lettori per mail quando si richiedono informazioni e il non prendere in considerazione le osservazioni dei lettori quando fanno notare che i romanzi che pubblicano sono pieni di refusi (un esempio è La Grande Caccia di Robert Jordan pubblicata nei Tif Extra: ne conta diverse decine, di cui alcuni abbastanza gravi, come la mancanza di parole o verbi). Questa casa editrice ha il pregio di pubblicare autori validi, ma visto che fa pagare anche caro certi suoi libri (vedasi La Via dei Re o anche Presagi di Tempesta e Le Torri di Mezzanotte), il servizio che deve dare al suo pubblico deve essere di qualità.

Altro pessimo servizio e altra pessima pubblicità, è quello che sta facendo Mondadori con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin: dopo anni in cui ha pubblicato edizioni con traduzioni sbagliate e deliberate licenze interpretative che hanno alterato il significato del testo, dove ha volutamente ignorato le proteste dei lettori, a seguito del successo della serie televisiva dedicato a questa saga e di internet che ha messo in luce gli errori commessi, la casa editrice ha deciso di pubblicare un’edizione corretta. Correzioni che verranno effettuate grazie alle segnalazioni dei lettori che Mondadori ha esortato a inviare dopo un incontro effettuato con loro il 4 marzo (per chi volesse una lettura approfondita sulla questione, c’è l’ampio ed esaustivo articolo di Martina). Dopo aver salassato i lettori facendo pagare più di cinquanta euro i romanzi di Martin (in originale un unico volume, qui in Italia divisi in tre parti al costo di più di diciassette euro) e mancato di rispetto con traduzioni sbagliate ed eliminazioni di frasi, ora vuole dimostrare di essere attenta alle richieste della gente facendo passare l’idea che la vuole coinvolgere nella miglioria del prodotto: un prodotto che doveva essere fatto bene fin da subito e che verrà migliorato sfruttando il lavoro gratuito di appassionati. Mondadori non spenderà un centesimo in tutto questo, ottenendo un risultato che sbandiererà ai quattro venti senza aver fatto alcuna fatica.
Un modo di farsi pubblicità che la casa editrice ritiene positivo, ma che invece è negativo perché dimostra la scarsa professionalità con cui lavora.

Cose che non fanno bene all'editoria.

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Innanzitutto la cura con cui viene realizzata un’opera, a partire dalla scelta della copertina: è il mezzo per attirare di primo acchito l’attenzione del lettore, il primo contatto con lui, ciò che serve per instaurare una connessione e comunicare il contenuto del libro. Un primo contatto che deve mantenere quanto comunica, dove il lettore si deve sentire rispettato, la sua intelligenza non offesa né presa in giro. Un esempio di cosa da non fare è quello della Mondatori con La Principessa di Landover, avendo messo in copertina l’immagine di un altro libro che non ha nulla d’attinente con la storia scritta da Terry Brooks (l’Artemide presente in Favole degli Dei di Paolo Barbieri): la protagonista, Mistaya, è un’adolescente con poteri magici, si può dire una strega, non una donna guerriera che usa arco e frecce. Stesso copione ripetuto con l’ultima edizione del ciclo di Gli Eredi di Shannara, sempre di Brooks, dove in copertina c’è un drago, quando nell’intera saga non fa la comparsa nessuna creatura di tale razza.
Questo è l’aspetto più immediato, ma il meno importante, dato che un libro va giudicato dal contenuto e non da come appare; più importante è la cura del testo e, quando si tratta di un romanzo di un autore straniero, della traduzione, che deve essere il più possibile vicina e coerente al testo originale (sempre eclatante il caso della Mondatori quando nella saga di Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin tradusse cervo con unicorno); non devono esserci refusi, errori di battitura. Certo, qualcuno può sempre sfuggire, possono essercene uno, due, non una decina come è capitato di leggere in Sopravvissuti di Richard K. Morgan pubblicato dalla Gargoyle.
Cosa ancora più importante su cui bisogna fare grande attenzione, che dimostra ancora maggior rispetto per i lettori, è la storia, il suo intreccio, come vengono sviluppati e caratterizzati i personaggi; per anni in ambito fantastico l’editoria italiana, specie pubblicando esordienti (Unika, Bryan di Boscoquieto, saga di Amon), ho dimostrato scarsa conoscenza del genere, sottovalutandolo e sottovalutando i lettori, ritenendo che chi legge questo genere non abbia grandi conoscenze letterarie, fosse un individuo a cui gli si poteva rifilare di tutto perché gli andava bene qualsiasi cosa, dato che a loro avviso non aveva i mezzi per distinguere cosa era valido e cosa di basso livello: un insulto all’intelligenza delle persone e un mancargli di rispetto.
Tutti elementi quelli elencati che non aiutano certo il settore editoriale, visto anche il periodo della crisi economica in cui ci si trova. Ma non è solo questo che non aiuta: ci sono anche le interviste e i comportamenti degli addetti ai lavori di questo settore e degli autori.
Un caso è quello di cui da mesi si sta parlando in rete, ovvero del fatto che Lara Manni sia uno pseudonimo di Loredana Lipperini; al momento sono solamente teorie, ma ci sono indizi, come riportato nell’articolo di Fantasy Magazine, che spingono a propendere per la veridicità di tale ipotesi. Senza contare che finora non ci sono state smentite, prese di posizione, da parte di nessuno, autrici e agenti.
Il punto della discussione non è, se l’ipotesi fosse vera, la scelta di Loredana Lipperini di pubblicare sotto pseudonimo, ma il modo in cui è stata sviluppata la vicenda. Se uno desidera non far conoscere la sua vera identità, rimanendo nell’anonimato, può farlo, così è soltanto l’opera che fa parlare di sé, tenendo al di fuori di tutto l’autore; non è corretto invece creare un’identità che non corrisponde alla realtà, facendo credere alle persone quello che non è vero. Si può creare una finzione, ma non una menzogna. Possono sembrare la stessa cosa, ma tra le due cose esiste una differenza sottile: perché non si può creare l’immagine di un’appassionata di fan writing che ha avuto il colpo di fortuna d’essere individuata da un agente noto nel settore e che l’ha subito lanciata con un casa editrice molto conosciuta che fra parentesi non prende in considerazione esordienti (tempo fa questo era quanto compariva sul sito della Feltrinelli), quando si è già nel giro dell’editoria, si è già conosciuti, con tutto quello che ne consegue. Se è vera la prima ipotesi dell’articolo di FM, ovvero Manni=Lipperini, quanto fatto finora è stata una presa in giro e mancanza di rispetto verso le persone che va a far danno, alimentando i complottisti che vedono la riuscita di pubblicazione solo per raccomandati e chi è dentro un certo giro: già l’editoria non se la sta passando bene con la crisi e con pubblicazioni discutibili, di bassa qualità, se ci si aggiunge questo, non gli si fa certo del bene. Se poi si aggiunge ancora che l’Italia ha l’etichetta del paese dei furbi, dove si va avanti grazie a spinte e conoscenze (nel grande come nel piccolo) e non per meritocrazia, non c’è da meravigliarsi che poi ci sono tanti maligni e spalatori di fango pronti sempre a colpire. Non è niente di positivo e dispiace che questo accada perché siamo sempre nel solito pantano. Di Lara Manni ho letto qualcosa e mi piaceva lo stile e l’approccio, ma se lei è Loredana Lipperini che voleva perseguire una strada diversa da quella che l’ha fatta conoscere e voleva restare anonima non doveva esporsi in questa maniera: si tratta di coerenza. O ci si espone in prima persona e ci si mette la faccia con tutti i pro e contro, oppure se si segue la via dello pseudonimo l’unica cosa che si deve sapere dell’autore è che ha scritto il tal libro e basta.
Per colpa delle scelte di alcuni, poi ci vanno a rimettere anche altri. Continuando così, le cose in questo paese non miglioreranno mai.