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Canzoni Magiche

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L’uomo da sempre è alla ricerca delle sue origini.
Una ricerca per capire chi è, qual è il senso della sua esistenza, la ragione per cui è venuto al mondo; un posto, quello nel mondo, che tanti cercano di trovare, ma in cui pochi ci riescono.
Una ricerca che è sentita con maggiore forza nelle persone che non hanno una famiglia originaria, ma solo una adottiva, specialmente se si tratta di un nucleo famigliare dove non si riesce ad avvertire affetto e calore umano, dove non c’è comprensione, ma solo imposizione e violenza: un dover seguire regole conformi alla società, piegate all’apparenza e all’ipocrisia, che nascondono dietro una facciata di normalità una realtà fatta di prepotenza, ossessività, morbosità, muta accettazione e incapacità di ribellarsi a quanto c’è di sbagliato.
Una realtà che porta a non sentirsi né apprezzati né accettati, che allontana, che fa creare un muro tra sé e il mondo, in modo da non far avvicinare nessuno e così non essere toccati da delusioni e avere l’ennesimo spiacevole ricordo da aggiungere alla propria memoria. Un mondo, quello creato dagli uomini, con legami basati sull’egoismo e lo sfruttamento, che abbruttisce ogni cosa, che la rende cupa, facendo perdere la voglia di vivere, di assaporare le esperienze, come un cibo che viene mangiato senza essere gustato, ma semplicemente ingerito perché aiuta ad andare avanti. Un mondo pratico che guarda solo a quanto può essere utile, può dare guadagno: una macchina che vuole accumulare soldi, sempre di corsa, che non si ferma a cogliere la bellezza che si cela dietro una melodia, un dipinto. Troppo rude e grezzo per apprezzare la delicatezza dell’ispirazione, per saperla ascoltare tanto è chiuso nel suo pragmatismo.
E’ proprio sullo scontro tra elementi che sono la nemesi uno dell’altro, che nasce la guerra nascosta tra Pragmatici (imprenditori, uomini d’affari, potenti) ed Eclettici (individui con una forte propensione per l’arte). Una guerra che dura da anni, con una parte che vuole ottenere il controllo sugli uomini imponendo le regole rigide della produttività e dell’economia, e l’altra che cerca di preservare la capacità d’essere libero dell’animo umano e di poter giungere alla verità, sia di sé stesso sia del significato dell’esistenza. Una verità cui si può giungere attraverso la scoperta, attraverso un cammino nascosto, un cammino nebuloso che si rivela solo in certi momenti e circostanze. Una rivelazione, quella che avviene attraverso l’intuizione, che usa un linguaggio sottile composto da sensazioni, emozioni, scaturite da immagini, suoni, parole. E’ questo che fa l’arte: rivelare all’animo umano verità e consapevolezza, quella consapevolezza che rende sapienti e dissipa l’ignoranza, l’elemento tanto apprezzato da chi vuole controllare le masse.
Una consapevolezza quella raggiunta dagli antichi che hanno voluto trasmettere ai loro eredi attraverso i miti, una forma di conoscenza che non può andare estinta, che è radicata nell’inconscio umano e che parla attraverso simboli, come possono essere le Muse, ispiratrici e protagoniste dell’ultimo romanzo realizzato da Francesco Falconi: esseri dai grandi poteri che camminano tra la folla come persone comuni, ma con la capacità e il potere d’influenzare la gente attraverso le loro doti. Doti capaci di distruggere e creare, di uccidere e salvare, semplicemente variando il tono della voce usata per dare vita a un canto che è magico, come accade in La Canzone di Shannara di Terry Brooks, dove perfino la natura si piega ai voleri delle note che sorgono dalle corde vocali di Brin Ohmsford, e come accade in Muses con Alice. Protagoniste di libri scritti da autori differenti in periodi differenti, con un dono in comune; ma le analogie finiscono qui, sia data la differenza di carattere delle due ragazze, sia data la tipologia di mondo e vicende in cui sono calate.
Eppure, anche se con modi differenti, in entrambi i casi viene mostrata la difficoltà di accettare il proprio essere, specialmente quel lato oscuro in cui si rischia di perdersi se non si ha una guida capace di non far smarrire mentre si muovono i passi su un terreno ancora sconosciuto, con il quale spesso si è costretti a convivere a lungo, alle volte facendo finta che non esista, alle volte combattendolo, ma che solo una volta compreso può dissolversi e smettere d’essere d’ostacolo per la riuscita della propria esistenza.

Nebbie

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Le nebbie da sempre sono state considerate qualcosa di misterioso per il loro ammantare, rendere indefinite e celare le cose. Il caratteristico colore grigio le rende una frontiera, una terra di nessuno, un confine tra zone diverse; una sorta di difesa per ciò che è prezioso, come luoghi di potere, luoghi dove è raccolto il sapere, la conoscenza; una difesa che rende invisibile, che non fa trovare la strada, dove solo chi è meritevole può accedere a quanto sta cercando.
Nella mitologia ci sono tante storie su di esse, la più famosa è quella che riguarda Avalon, isola leggendaria legata ai miti arturiani, considerata da alcuni il regno delle fate: un luogo magico, un luogo fuori dal tempo, precluso ai più, a cui a pochi era concesso d’accedere.
Idea simile viene usata da Terry Brooks nel regno di Landover, dove le Nebbie sono il Mondo delle Fate, un luogo di magia dove è facile perdersi. Certo le nebbie rappresentano un confine per questo mondo, ma sono molto di più: sono un crocevia, un punto di passaggio e collegamento tra tutti i mondi, come le sinapsi del cervello. Un mondo fatato, un mondo effimero di non-esistenza, che esiste e allo stesso tempo non esiste affatto, dato che si trova contemporaneamente dappertutto e in nessun luogo. Una sorta di corridoio, di passaggio temporale per vari piani d’esistenza, oltre che fonte della magia. Specchio del viaggio interiore, dell’incontro con l’inconscio e dei timori che ogni individuo possiede e che solo con il coraggio d’affrontare la verità si può uscire da quei meandri nebulosi che lo caratterizzano.
Anche Brandon Sanderson nella trilogia Mistborn non vede le nebbie come semplice agente atmosferico, tuttavia dà una connotazione differente da quelle appena viste: non una barriera protettiva (un oggetto) o un canale comunicante (un mezzo), ma un’essenza senziente, con una volontà propria (una forza vivente). Un’energia che è parte ed è creatrice del mondo su cui scivola, una sorta di guardiano il cui agire è sconosciuto alla maggioranza, così misterioso che i più la vedono come una forza malevola che minaccia l’umanità, dal quale bisogna proteggersi e fuggire; solo attraverso la temerarietà e la ricerca di alcuni si potrà scoprire come azioni ritenute anche minacciose in realtà sono volte alla preservazione della vita, alla scoperta del modo di proteggere ciò che è prezioso.
Di stampo simile è la visione data da William W. Connors e Steve Miller per l’ambientazione Ravenloft di Advanced Dungeons&Dragons, anche se la scelta della natura delle Nebbie, come è giusto che sia, dato che si tratta di un gioco di ruolo, viene lasciata al DM. Nei Domini del Terrore non ci si arriva di spontanea volontà, ma grazie al loro sottile abbraccio: pochi conoscono l’identità di questa essenza, ma tutti le temono, sapendo che sono una forza inarrestabile (capace di piegare al proprio volere anche un semidio) e che attirare la loro attenzione non porta nulla di buono. Che esse siano il mezzo attraverso cui agiscono le Potenze Oscure che governano Ravenloft o le Potenze stesse, è un mistero da sempre insoluto. Quale che sia la verità, le Nebbie compaiono come pallidi banchi inquieti che sgorgano dalla terra e avvolgono gli autori di azioni malvagie, veri e propri esseri dannati che vengono trascinati all’interno dei Domini del Terrore dai quali non c’è via d’uscita.
Come non si riesce a comprendere la natura di tali manifestazioni, altrettanto avviene per le motivazioni del loro agire. I più le ritengono come un elemento naturale, un qualcosa che esiste, ma che non si riesce a capire, i cui fini è meglio che rimangano un mistero e che vanno accettati per come accadono, senza fare domande. Chi ha tentato di fare luce su tutto questo ha potuto sviluppare solo teorie. Secondo alcuni le Nebbie o le Potenze hanno un’indole malvagia e cercano di radunare tutta la malvagità del multiverso per creare un’immensa armata del Male da usare come forza di conquista di tutti i piani; altri le vedono come una sorta di guardiani che puniscono le creature più terribili e le rinchiudono in un semipiano creato appositamente per loro come prigione, un modo per proteggere gli innocenti dalla loro malvagità. Esiste anche la possibilità che esse non siano divinità o potenti entità che agiscano nell’ombra, ma che semplicemente siano la manifestazione del karma negativo creato dalle azioni malvagie decise e volute dagli uomini, una forza che con il tempo ha assunto potere e che agisce come se avesse una volontà: un’energia d’attrazione che tira verso di sé chi possiede un’essenza simile alla propria.
Tutti modi fantasiosi per dare spiegazione a qualcosa di misterioso e allo stesso tempo attraente, ma in cui si cela una verità: la ricerca dell’uomo di fare chiarezza, di riuscire a sollevare il velo d’ignoranza che gli preclude la conoscenza. Quel velo che la nebbia riesce così bene a incarnare e che può essere l’icona di ciò che deve essere superato, una sorta di varcare la soglia per un mondo nuovo, più grande, oppure il rimanere immobile in una situazione stagnante, limitante, e triste come un limbo, dove si conduce un’esistenza come i Signore dei Domini: un’esistenza confinata come una prigione e maledetta.

Le Torri di Mezzanotte e il Mondo dei Sogni

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In Presagi di Tempesta Rand al’Thor è riuscito a far luce sulle tenebre che si stavano addensando su di lui e come il sole che torna a splendere dopo giorni cupi di pioggia è riuscito a innalzarsi, divenire quello che deve essere: non più un essere diviso in se stesso, perseguitato dalle ombre del passato come Lews Therin lo è stato per tanto tempo, continuamente teso verso un ruolo che pareva voler pretendere sempre più sacrifici da lui, privarlo di ogni umanità, renderlo un semplice mezzo del Potere, ma un individuo integro, saldo nei suoi intenti. La salita sul Monte Drago per lui rappresenta una Rinascita, una sorta di Resurrezione dopo il lungo calvario patito che lo fa ascendere e divenire il Drago che le profezie tanto attendono
In Le Torri di Mezzanotte, Rand si sta ormai apprestando al confronto con il Tenebroso, preparando il terreno per lo scontro, tirando le fila dei propri alleati pronti a scendere al suo fianco nell’Ultima Battaglia. Tarmon gai’don ha inizio.
Ma come si è visto in questa epica saga, non è l’unico protagonista della storia, non è l’unico da cui dipende il destino del mondo.
Egwene è riuscita a ripristinare l’ordine all’interno della Torre Bianca, non più divisa da lotte intestine tra le varie Aes Sedai, dove ogni gruppo cerca di strappare agli altri la fetta più grande di potere; ma perché le cose siano sistemate occorre trovare i membri dell’Aia Nera che ancora si annidano al suo interno, guidate da uno dei Reietti.
Mat è alle prese con il Golham e mentre cerca di sfuggire al letale segugio, pensa al modo di convincere chi produrrà su ampia scala i suoi draghi, la nuova e potente arma capace di sparare proiettili esplodivi a grande distanza. Senza contare l’impresa che sta per compiere insieme a due suoi compagni; un’impresa importante sia per se stesso sia per le vicende a venire.
E mentre Nynaeve apprende nuovi modi di guarire, avviene la riscoperta dei vari modi di Viaggiare, della creazione di nuovi ter’angreal e cuendillar; talenti perduti da tempo ricompaiono assieme al parlare con i lupi, la pulizia di Saidin. Capacità andate smarrite dai tempi dall’Epoca Leggendaria.
Tutto ciò fa da contorno alla trama principale del tredicesimo volume della Ruota del Tempo, incentrata su Perrin, che dopo essere riuscito a riavere al suo fianco Faile, ora deve preoccuparsi dei Manti Bianchi e della giustizia che vogliono che s’abbatta su di lui; oltre a occuparsi di una minaccia invisibile che sta tramando per colpire con forza e impedire che possa portare aiuto nell’Ultima Battaglia. Una minaccia che dovrà affrontare su un piano d’esistenza differente da quello materiale com’è il Sogno del Lupo; è questa a mio avviso la parte meglio riuscita del romanzo dal duo Jordan/Sanderson.
Il Mondo dei Sogni, come mi piace definirlo, è sempre stato fonte d’interesse e di fascino per me, perché è un mondo sconfinato, ermetico, pieno di misteri e significati ancora da scoprire; un mondo di cui si sa ancora poco, anche se uomini come Freud e Jung hanno mosso i primi passi per dipanare le nebbie che avvolgono questa dimensione.
Jordan non è stato l’unico nelle sue opere a usare il Mondo dei Sogni come altra dimensione in cui far muovere i personaggi e far svolgere le vicende: già altri scrittori hanno saputo utilizzarlo, come ha fatto Terry Brooks in Le Pietre Magiche di Shannara e nel Ciclo degli Eredi (anche se è stato un uso limitato, dato che ha usato questa dimensione come un poter guardare al futuro, un ammonimento su fatti che si devono ancora verificare). L’autore della Ruota del Tempo lo ha utilizzato invece come una dimensione parallela, riuscendo a rendere bene i meccanismi di quanto accade durante il sonno: un mondo continuamente mutevole, con leggi proprie che trascendono quelle conosciute nella realtà, dove è la volontà l’unica vera forza che conta. Una volontà che il più delle volte è inconscia, che crea le cose senza esserne consapevole, dove il sognatore spesso è in balia della propria creazione; il che è quello che accade sempre a chi sogna. Tutti subiamo passivamente ciò che sognano, vivendo il sogno come se fosse reale, come se fosse davvero la realtà: il sogno è il padrone che ci manipola, che ci terrorizza o ci fa stare bene, quell’energia che ci lascia scombussolati o compiaciuti a seconda di quello che incontriamo. Un modo per mostrare quanto poco conosciamo di noi stessi, quanto sono grande le zone buie e sconosciute del nostro essere, della nostra psiche; forze che spesso ignoriamo e teniamo fuori dalla nostra coscienza, che isoliamo, attorno alle quali creiamo dei muri per contenerle. Ma durante il sonno non c’è controllo, le barriere s’abbassano e ciò che è stato messo da parte sale alla ribalta, ribaltando le parti: chi era vittima diventa carnefice.
Una realtà già conosciuta e ben mostrata da Wes Craven con il personaggio di Freddy Krueger nella famosa serie cinematografica di Nightmare, dove chi nella realtà è stato vittima di linciaggio per i crimini commessi, torna a vivere nei sogni altrui per ottenere la sua vendetta, uccidendo i sognatori. Alcuni potrebbero pensare che è fantasia il ritenere che una persona che muore in un sogno possa morire anche nella realtà, ma spesso ignorano che la mente può essere più forte del corpo: se la convinzione è molto grande e si arriva a credere fermamente in qualcosa, il sogno diventa realtà. Così, se si è davvero convinti di morire nel Mondo dei Sogni, così avverrà in quello reale, dato che il corpo non può vivere senza mente, senza volontà; se il legame tra i due si spezza, la vita viene a cessare.
Attraverso queste invenzioni viene mostrata una realtà incontrovertibile: chi è inconsapevole di ciò che lo circonda ne rimane vittima. Più grande è l’ignoranza, maggiore è il danno che si subisce, allo stesso modo in cui si verifica nei sogni: più è grande l’ansia, la paura, più è forte l’incubo che ci perseguita. Nonostante lo scenario cambi in continuazione, data la natura mutevole che sta alla base che origina questo mondo, esiste una costante: la forza che permea le emozioni negative che danno vita all’Incubo. Ne viene dato un altro ottimo esempio grazie alla Corte dell’Incubo, i Signori Oscuri delle Terre dell’Incubo, uno dei Domini dell’ambientazione di Ravenloft (per chi volesse approfondire la’rgomento consiglio la pagina del sito Ravenloft-Il Cannocchiale): figure oscure e incomprensibili, incarnazione dell’inconscio ancora insondabile, sono i padroni di una piccola terra che è al confine tra il Piano Materiale e il Piano dei Sogni, completamente circondata da un anello di sfere lucenti ognuna dei quali è una dimensione separata in cui si dispiegano gli incubi; è in questo luogo che il Dr. Illhousen è stato trascinato assieme alla Clinica per Malati Mentali dopo aver osato sfidare la Corte dell’Incubo e aver perso. Dato che l’età culturale di tale luogo equivale alla cultura rinascimentale, il Dr. Illhousen rappresenta l’uomo di scienza che comincia a scoprire un mondo nuovo, come può essere stata la psicologia ai primordi, e che deve avanzare con prudenza, un passo alla volta, perché molto è ciò che è sconosciuto e senza la giusta conoscenza si può andare incontro al fallimento: e’ quello in cui tanto spesso è incorso il raziocinio umano di fronte ai meandri della psiche, illudendosi con i mezzi di cui era disposizione di poter controllare forze più grandi di lui.
Cosa che non accade invece a Perrin che grazie al lupo Hopper viene addestrato a conoscere il Mondo del Sogno, soprattutto ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e della propria doppia natura. E attraverso questa conoscenza, piega il Mondo del Sogno alla sua volontà, lo usa come mezzo per portare avanti la battaglia contro l’Oscuro, combattendo un nemico sfuggente. E’ grazie all’amico lupo che anche lui, come Rand, diventa quello che deve diventare, un nuovo essere temprato e reso forte dalle fiamme delle difficoltà.

I Reietti

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I reietti esistono da quando esiste la società: esseri emarginati dal resto della comunità perché ritenuti deboli, inutili, diversi, perché non corrispondenti al modello che il sistema reputa più consono alle proprie regole. Individui volutamente ignorati, come se non esistessero, considerati dei fantasmi che ogni tanto manifestano la propria presenza; e quando questo avviene sono disprezzati, odiati, considerati un fastidio, qualcosa che si desidera ardentemente che sparisca dalla faccia della terra.
E’ quello che accade quando si passeggia per le città e s’incontra un mendicante che chiede l’elemosina: si cerca d’ignorarlo, di non vederlo, di guardare da un’altra parte, come se il pensiero fosse sufficiente a cambiare la realtà e a far sì che venga cancellato da essa. Ma quando non si può fare a meno di evitarli, s’avverte una tensione crescente, un detestarsi vissuto a vicenda: una parte augura che capiti a quello cui sta chiedendo l’elemosina la stessa cosa che è toccata in sorte a lui e sappia cosa si prova a vivere in una certa maniera (in una parola, sperare che la vita renda quello che si è fatto); l’altra vorrebbe che quella scomoda presenza sparisse, perché il suo essere lì davanti gli mette la pulce nell’orecchio che non ci sono certezze nella vita e potrebbe toccare pure a lui la stessa sorte, dato che non c’è nessuno d’intoccabile.
Una tensione che cresce sia perché nel domandare un aiuto ci si umilia, ci si abbassa, costringendo d’accorgersi di aver bisogno degli altri per superare certe difficoltà, sia perché si ha difficoltà a dare, bloccati dall’egoismo, dall’essere chiusi in se stessi, considerandosi delle isole, dei mondi a se stanti, come se si fosse l’unico nucleo dell’universo. Un conflitto che continua a perpetrarsi perché non si capisce che si vive sotto lo stesso cielo, si fa parte della stessa esistenza e che il modo giusto per vivere è quello di crescere insieme, aiutandosi l’un l’altro.
E così, per questa mancanza di comprensione, continuano a perpetrarsi fratture, isolamenti, ferite che diventano piaghe che infettano ciò con cui vengono in contatto. Ferite che spesso è la propria società che si autoinfligge, dato che colpisce e martoria parti di sé quali sono gli individui che accantona in un angolo come se fossero una malattia di cui poi cerca di dimenticarsi. Ma dimenticarsi di una malattia e non curarla non è mai un bene: produce sempre effetti controproducenti. E il problema non sono i senzatetto, i barboni, i mendicanti che si trovano nelle strade che vengono etichettati come spazzatura, come disadattati, ma coloro che li hanno ridotti a questa condizione.
Si pensa che queste persone vengono dalla povertà, che alcuni anzi lo sono fin dalla nascita, e in alcuni casi può anche essere vero; ma sempre più di frequente a causa della crisi economica, famiglie o persone che un tempo erano “normali” si ritrovano senza una forma di sostentamento, costrette a recarsi alla Caritas per avere un pasto o un posto dove dormire. In alcuni casi, proprio a causa delle difficoltà economiche o della perdita del lavoro, gli individui vengono abbandonati dalla famiglia perché li considera un peso, un fastidio che intralcia la loro esistenza, fautori solo di problemi e che per questo devono essere scaricati. Oltre alle difficoltà e al colpo che il mondo gli ha inflitto, queste persone devono subire il tradimento delle persone che ritenevano care, scoprendo che quelli che avevano considerato sentimenti in realtà erano solo falsità, apparenza. Privati di tutto, traditi e abbandonati, la vita per loro perde significato e si lasciano andare, come sacchi dell’immondizia abbandonati negli angoli della strada: è questo che il mondo e gli altri li hanno convinti di essere.
Dunque che cosa si può dire su chi è veramente un reietto?
E’ un individuo che non trova o non ha il proprio posto nel mondo, alle volte perché questo voluto dagli altri, come accade in Rosso Malpelo di Verga (l’unica persona ad avere un briciolo di umanità viene disprezzata e abbandonata da una comunità che pensa solo alla roba, alla praticità e all’interesse), alle volte per scelta, come fanno Talpa nel ciclo Gli Eredi di Shannara di Terry Brooks e Richard Mayhew in Nessun Dove di Neil Gaiman.
Il primo è un individuo che vive nelle fogne di Tyrsis, lontano dalle persone, con la sola compagnia di pupazzi di pezza gettati via dal mondo di superficie, a cui ha dato un nome e che tratta come persone, proiettando su di esse quella ricerca d’affetto che gli esseri umani non hanno mai saputo dargli; una famiglia che non gli farà mai del male, che non lo abbandonerà, i cui membri sente così vicini perché sono come lui: non voluti, gettati via quando non servono più. Talpa da molti può essere considerato un disadattato: e’ il giudizio in cui di solito incappano le persone sensibili, diverse dalla massa che vede solo la superficie delle cose, non quello che ci sta sotto (1), di buon cuore, che vedono l’assurdità, la violenza e l’ingiustizia di un sistema sbagliato e decidono di non essere collaboratori nel creare altro male e sofferenza. Anime così delicate che o per le ferite subite o per la loro indole pacifica non contrastano il sistema, ma semplicemente cercano di non farne parte e starne alla larga.
Cosa analoga accade anche al secondo, che a seguito di un evento casuale si ritrova a scoprire una realtà diversa da quella conosciuta e questa non gli basta più, anzi gli appare assurda e limitata: ciò che ha da offrire per lui non ha più alcun significato.
«Senti Gary,» iniziò Richard «ti sei mai chiesto se questo è tutto quello che c’è?»
«Cosa?»
Richard fece un gesto vago, che comprendeva ogni cosa. «Lavoro. Casa. Il pub. Incontrare ragazze. Vivere in città. La vita. È tutto qui? Non c’è altro?» (2)

E allora si giunge a fare una scelta di vita: abbandonare un mondo che non ha senso per ricercare ciò che ha veramente significato. Il valore dell’esistenza non viene dai costrutti creati dalla massa per servire la maggioranza, per coloro che si adattano a vivere una vita incanalata su binari prestabiliti, dove tutti sono sfruttati inconsciamente, usati come pile per far funzionare delle macchine, nient’altro che un carburante, una risorsa energetica da utilizzare, come ben viene mostrato in Matrix quando Morpheus rivela a Neo qual è la verità che si cela dietro il velo di quella che si considera realtà.

1 – Gli Eredi di Shannara, Terry Brooks, p.389 – Arnoldo Mondadori Editore 1990
2 – Nessun Dove, Neil Gaiman, p. 321 – Fanucci Editore 2008

La Principessa di Landover - Terry Brooks

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Sono trascorsi più di venti anni da quando Brooks pubblicò Il Magico Regno di Landover, il primo romanzo della fortunata serie che vede per protagonista Ben Holiday, avvocato di successo di Chicago con tuttavia una vita vuota dopo l’improvvisa scomparsa della moglie e della figlia che portava in grembo. In un’esistenza trascinata per inerzia, si ritrova a leggere uno strano inserto su un catalogo natalizio:

Landover: terra d’incanto e d’avventura salvata dalle nebbie del tempo, terra di cavalieri e di scudieri, di draghi e di giovani castellane, di maghi e di stregoni. La magia si sposa al ferro delle lame, e la cavalleria è il codice di vita del vero eroe. Tutti le vostre fantasie sono realtà in questo regno di un altro mondo. A questo splendido arazzo manca un solo filo: voi, per governarlo come Sovrano e Alto Signore.

Così quasi per gioco, con più di un pizzico di follia, Ben si ritrova ad acquistare il fantomatico mondo, scoprendo che la magia esiste davvero, ma che le cose non sono come appaiono: il regno non è lo splendore tanto decantato, perché una terra senza un re è una terra destinata a morire. Una realtà che riprende i miti arturiani (riferimento al Re Pescatore), dove re e terra sono una cosa sola, ma che si sviluppa con un tocco più leggero, diverso dall’epicità che permeano le storie dei miti.
Con un misero seguito scalcinato, Holiday ricostruisce un regno che sarà anche un modo per ricostruire la propria vita. Affrontando demoni, draghi, streghe, complotti, riesce a ridare vita e stabilità a un mondo sulla via della rovina: gli anni passano, i cicli si aprono e si chiudono.
Così, dopo che per cinque volumi è stato protagonista di questa saga, Ben passa il testimone e al centro della scena sale sua figlia, Mistaya.
Se da un lato è un piacere rincontrare personaggi di un mondo che si è imparato ad amare, dall’altra si deve accettare che gli anni passano per tutti, anche per scrittori che si sono apprezzati e dispiace vedere che si sono adattati al mercato, perdendo quella scintilla di magia che un tempo avevano e sapevano trasmettere.
Brooks in La Principessa di Landover decide di dare uno stampo adolescenziale alla storia, adattandolo all’età della protagonista, dove tutto ruota attorno a lei e al suo punto di vista: l’incomprensione verso il modo di vedere e pensare degli adulti, il non sapere quale strada prendere, la testardaggine, la presunzione e l’irruenza che non fa riflettere, il cominciare a conoscere il sentimento dell’amore. Un punto di vista che per una prima parte dà nuova linfa a questa saga, sembra far riemergere lo spirito presente nei primi libri, dove si percepiva l’aura magica che pervadeva ogni cosa, allontanandosi dai toni cupi che avevano aleggiato in La Scatola Magica di Landover e La Sfida di Landover; una spensieratezza che è una brezza rinfrescante, leggera.
Forse troppo leggera.
Il sesto capitolo della saga di Landover è una gradevole e scorrevole lettura d’intrattenimento, ma è lontana dalla magia dei primi volumi, non riuscendo ad aggiungere nulla a una serie che sembra ormai aver già detto tutto ed è un usare e ripetere copioni già visti, come ho parlato più in dettaglio nella recensione realizzata per FM.

L'Apparenza e l'Inganno

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Ben fissò il gatto con gli occhi sgranati. – Come fai a sapere chi sono? – chiese alla fine.
– Chi altri vorrebbe essere, a parte se stesso? – replicò il gatto.
Ben dovette fermarsi a riflettere per un minuto. – Be’, nessuno – rispose alla fine. – Ma come mai tu puoi riconoscermi quando nessun altro ci riesce? Non ti sembro qualcun altro?
Il gatto sollevò una zampa delicata e se la leccò con gusto. – Per me conta poco chi sembra – rispose. – L’apparenza inganna, e lei potrebbe non essere veramente chi sembra. Io non mi fido mai delle apparenze. I gatti possono assumere l’aspetto che vogliono. Sono maestri nell’inganno, e i maestri di un’arte non si lasciano ingannare da nessuno. Io la vedo per
quello che è realmente, non per quello che sembra. Non ho idea se l’aspetto che ha adesso è quello che ha realmente.
– Ebbene, non è così.
– Come vuole. Io so soltanto che qualunque aspetto lei possa avere, in ogni caso è Ben Holiday, Alto Signore di Landover.
Ben rimase un attimo in silenzio, tentando di decidere con che cosa aveva a che fare, chiedendosi da quale parte della terra provenisse quella creatura.
– E così tu sai chi sono nonostante la magia che mi rende irriconoscibile? – concluse. – La magia non ti trae in inganno?
Il gatto lo studiò per un attimo, poi piegò la testa di lato, riflettendo: – La magia non ingannerebbe neanche lei, se non glielo permettesse.
Ben corrugò la fronte. – Che cosa vuoi dire con questo?
– Tutto e niente. L’inganno è soprattutto un gioco che facciamo con noi stessi.

L’Unicorno Nero – Terry Brooks

Un brano illuminante che rivela la natura dell’apparenza e dell’inganno. Una realtà da sempre presente nella storia dell’uomo, specie nella società in cui si sta vivendo, che basa il suo vivere proprio su questi elementi privi di qualsiasi valore, capaci di fare così tanti danni. Quante volte si vedono persone rimanere affascinate da individui che appaiono in un certo modo (basta dare il minimo sentore di un poco di agio, una parlantina un pò sciolta per ammaliare), ma che una volta sollevata la maschera mostrano quello che sono veramente: nulla, perché oltre le parole ci devono essere dei fatti concreti, della sostanza e molto spesso tutto ciò è latitante.
Giovani e adulti, ragazze e donne: un copione che si ripete e che ha solo una cosa da dare: delusione.

P.s.
Ritornando al libro di Brooks, la descrizione che ha fatto del gatto è molto chiara, ma chissà perché la mente si è sempre ostinata a raffigurarmi l’animale protagonista delle vicende del secondo volume del ciclo di Landover in maniera diversa.

La Prima Saga di Shannara

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Ci sono libri, personaggi di romanzi che rimangono impressi nella memoria, lasciano un segno interiore che accompagna per tutta la vita. Storia che fanno entrare in mondi, dimensioni diverse dalla quotidianità, ma che s’avvertono con una tale forza da arrivare quasi a considerarle reali, dato che possiedono una vita propria.
Certo non va intesa come l’esistenza posseduta da un essere umano o un animale, ma tutto ciò che è capace di far provare emozioni, di far riflettere, di dare un diverso punto di vista è una faccia dell’infinita gemma che è la vita e incontrandola si riesce a scoprirne un pezzo in più e se ne viene arricchiti: è come avere a che fare con qualcosa di magico, di speciale.
E’ quanto accaduto con la prima trilogia di Shannara realizzata da Terry Brooks : avventure, lotte appassionanti in storie dal respiro epico. Viaggi indimenticabili accompagnati da personaggi le cui vicende arrivano a toccare le corde dell’anima. Non si possono dimenticare figure come la dolce Amberle, il misterioso Allanon, lo scorbutico Slanter o l’aura quasi leggendaria di Stee Jans o Garet Jax.
Anche se virtuali, sono quel genere d’incontri che lasciano una traccia in chi ha avuto la fortuna d’incrociare la strada con loro. Una fortuna che si vuole che altri incontrino: è questo quanto mi spinge a scrivere articoli su libri che ho letto, come ho fatto anche questa volta scrivendo su Fantasy Magazine per la prima saga di Shannara.

Il Ciclo di Landover di Terry Brooks

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“Ma da dove prende le idee?”
E’ una domanda che spesso si pone agli scrittori per comprendere il processo creativo che porta alla realizzazione di un romanzo. Una domanda che ha infinite risposte, perché qualunque incontro, evento, pensiero, riflessione può essere lo spunto per dare il via a una storia.
E’ quanto ho analizzato nell’articolo scritto per Fantasy Magazine sul
ciclo di Landover scritto da Terry Brooks.
Landover: un mondo da sogno, pieno di meraviglie; un modo per dire che alle volte la magia funziona davvero e che i sogni si realizzano. Anche se spesso non nel modo in cui ci si aspetta: è con un tocco d’ironia, un po’ canzonatorio, senza prendersi troppo sul serio, che Brooks parla di sogni e desideri, un tocco leggero, ma non superficiale, dato che spesso affronta tematiche come l’intolleranza, la possessività, la ricerca di se stessi e della fiducia, la responsabilità delle scelte, la difficoltà di comprendere ciò che è diverso dal conosciuto. Una scoperta che va fatta individualmente, che lascia alla fine la sensazione che a volte il magico funziona davvero. Basta solo avere un po’ di fiducia.

Condizione d'Artista

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L’Artista viene visto come un creatore, un individuo connesso con una parte dell’esistenza che pochi riescono a scorgere, come se appartenesse a un’altra realtà o mondo. Quando sue opere sono riconosciute di valore, tutti lo acclamano, lo reputanto un Grande, un individo che ha arricchito la storia dell’umanità.
Gloria, acclamazione.
Una condizione invidiabile, che molti desidererebbero avere.
Ma la realtà è che l’Artista non conosce queste cose, spesso arrivano dopo la sua morte, mentre in vita non ha avuto che incompresione, beffe e prese in giro, guardato, anzi compatito come se fosse una cosa fuori dal mondo.
Perché questo accade?
Perché l’uomo è incapace di percepire la bellezza. Bellezza come delicatezza, non come appariscenza. E’ capace di comprendere solo quello che torna utile, che dà profitto, che è materiale; come un auto comoda e grossa, rivelatrice dello status simbol indice del successo personale nella società. Utile perché fa aumentare l’Ego e la rinomanza che può avere sulle altre persone.
Un basarsi sull’apparire, sulla superficialità. Un dictat cui bisogna conformarsi per non essere tagliati fuori. Da sempre gli individui si sono adattati alla massa per timore dell’isolamento e del giudizio.
Ma per l’Artista vivere in una maniera così grezza e limitata è inconcepibile, tradisce la sua visione dell’esistenza; non più rinnegare se stesso, anche se tale scelta lo fa mettere da parte, disprezzare.
Incomprensione da chiunque, quando si è gli unici a comprendere la magia di un sogno che nessuno vede a parte se stessi.
Una realtà ben mostrata da Terry Brooks nel personaggio Gesso di L’Esercito dei Demoni.

Non fa mai nulla di buono per la propria famiglia, spiega al suo migliore amico poco dopo averlo incontrato. Da quanto può ricordare, è stato un estraneo praticamente dall’inizio, e probabilmente lo sarà per sempre. Non che tutti vogliano che sia così. È solo che così sono andate le cose. Lui non è come loro. Lui non è un lavoratore, uno che si affanna, uno che sa cavarsela. Quasi non gli importa del monda che lo circonda. La sua mente è sempre da qualche altra parte, mai su quello che sta facendo. Lui è un sognatore.
Sa che gli altri non lo approvano, ma lui non può farci nulla.
La sua famiglia è grande, quindi la cura e la protezione di tutti prevalgono su quelle del singolo. Sua madre passa del tempo con lui quando è piccolo colmandolo di attenzioni proprio come fanno le mamme con i bambini piccoli. Quelli sono i suoi ricordi più cari. Lei incoraggia le sue aspirazioni artistiche, loda il suo talento, la sua creatività. Non c’è nulla di male a lasciarlo essere un bambino per un po’ di tempo. Pensa che passerà tutto quando sarà più grande, che si interesserà ad altre cose, quando sarà più maturo.
Ma lui non lo fa. Lui non è così. Non il tipo di ragazzo che abbandona le sue passioni con l’andare degli anni. Si è formato molto presto, mosso dalle sue scoperte artistiche, dal suo bisogno di esplorare cose che solo lui sa vedere. È un talento inutile in un mondo dove tutto è pragmatico, tutto è sopravvivere e proteggersi. Liti non si preoccupa di queste cose; a lui importa solo di realizzare i suoi disegni come li vede nella mente. Lui fa il suo lavoro e adempie ai suoi doveri familiari. La maggior parte delle volte, almeno. Ma non fa nulla più di questo. Non fa gli straordinari, come i suoi fratelli maggiori gli dicono che dovrebbe fare. Non si prepara ad affrontare l’imprevedibile. Non vive per prepararsi a ciò che potrebbe accadere. Vive il momento.
Quando sua madre e il maggiore dei suoi fratelli muoiono di una delle infinite pestilenze che vessano la loro già devastata comunità, la loro fortezza di cartone, prende piede una nuova sindrome d’assedio. La famiglia deve lavorare ancora più duramente, essere più prudente e stare più in guardia. Lui non crede che ciò servirà; a dire il vero, pensa che niente servirà. Sono vittime dei tempi in cui vivono e sopraffatti dagli eventi. Sono prigionieri nelle proprie vite come ratti in una gabbia. Sono morti che camminano.
Liti non si lascia dominare da questi pensieri come i suoi fratelli. Si rifiuta. È tutto preso dalla magia della sua arte, e nell’arte trova la via di fuga dalla realtà. Là c’è pace e bellezza e un senso di soddisfazione. Lui non può cambiare il mondo che lo circonda, ma può cambiarlo nei propri disegni.
Diventa sempre più una stranezza per la sua famiglia. Sono arrabbiati e delusi da lui e non si preoccupano più di nasconderglielo. Cominciano a vedere il sito comportamento come un peso, come qualcosa di veramente inutile. Se vuole far parte della famiglia, deve cambiare. Deve diventare come loro, temprarsi per il futuro, mettere da parte le sue aspirazioni infantili per prendere impegni più maturi.
Ha undici anni.
Prova a soddisfare le loro aspettative, ma per lui è impossibile. Può portare avanti i compiti che gli danno, adempiere alle mansioni che gli vengono assegnate, ma non può diventare come loro. Padre, fratelli, zii e cugini sono un tutt’uno e lui non riesce a inserirsi.
Alcuni fra i cugini più piccoli si interessano ai suoi disegni e alla stia visione delle cose. Ma i più vecchi s’affrettano a scoraggiarli e i bambini dirigono altrove la propria attenzione. Viene detto loro di non sprecare tempo con lui e vengono incaricati di sempre nuovi compiti per essere certi che obbediscano. Tutto viene fatto in modo elusivo e clandestino, ma lui vede cosa sta succedendo. Il suo isolamento cresce. Il suo senso di non appartenenza anche.
Un giorno, gli viene chiesto di accompagnare il padre e due suoi fratelli in una spedizione di approvvigionamento, che li porterà dai piedi della collina dove vivono in una vicina città fantasma. È una spedizione che richiede diverse notti lontano da casa. Sente che c’è qualcosa di strano nel modo in cui sito padre glielo chiede, ma accetta di fare ciò che gli viene ordinato.
Quando torna, i suoi disegni e gli attrezzi per dipingere sono scomparsi. Molti suoi fratelli gli dicono che non li ha messi al loro posto. Sito padre gli dice di dimenticarsene e di concentrarsi su cose più importanti.
Lati è distrutto. La sua arte è l’unica cosa di cui gli importi, e ora gli è stata tolta.
Una settimana più tardi se ne va di casa nel bel mezzo della notte.

Realtà, anche se in maniera diversa, ugualmente mostrata dall’opera di Franz Kafka, La Metamorfosi, dove il protagonista Gregor Samsa, un semplice impiegato, si ritrova mutato da un giorno all’altro, da essere umano a scarafaggio. La mutazione (simbolo di come la vita possa far cambiare la condizione di una persona da un giorno all’altro) porta l’uomo alla perdita del lavoro e all’isolamento; non più utile alla società e alla famiglia, viene abbandonato e dimenticato da tutti, la sola presenza un fastidio e un orrore. Non più fonte di reddito, diviene un peso di cui disfarsi.
Una storia dolorosa, metafora della dipendenza dalla famiglia, dell’emarginazione del diverso, di chi è in difficoltà, dove i legami familiari nella difficoltà dimostrano il vero valore, la loro reale essenza: egoismo oppressivo e opportunismo bestiale. Immagini di durezza d’animo, superficialità, timore che la malattia che ha colpito l’altro (o la diversità) possa afferrare chi gli sta vicino, paura di incappare in una condizione simile ed essere a sua volta isolati, abbandonati.
Segni di una società chiusa in sé stessa, che tiene lontane le persone tra loro, che sopprime i contatti.