Il periodo di crisi colpisce ogni settore e l’editoria non ne è certo esentata. Le case editrici sono in difficoltà, stanno chiudendo o hanno chiuso; quelle che rimangono investono certamente meno e il fantasy non fa certo eccezione, specialmente per quanto riguarda la ricerca di nuove figure in ambito nazionale.
La causa di tutto ciò è solo dovuta alla crisi oppure c’è dell’altro?
La questione porta a riflettere e a fare un’analisi di quanto prodotto per poter esprimere delle opinioni sulle quali discutere.
La crisi ha portato sicuramente a un minor numero di vendite (con meno soldi a disposizione, la gente si concentra sul necessario e i libri, per quanto possono essere interessanti, non sono una necessità primaria) e di conseguenza a investimenti minori, soprattutto per quanto riguarda gli autori italiani; ma le cause di tale scelta sono anche altre e dipendono dal fatto che il periodo di boom del genere (che ha portato a una sua maggiore diffusione rispetto al passato) è stato un fuoco di paglia, che non solo non ha gettato le basi per un solido sviluppo e consolidamento del fantasy, ma ha bruciato la fetta di mercato che si era creato. A differenza dell’estero, dove si ottengono buoni risultati.
Che cos’è che crea questo divario? La grandezza delle case editrici? Il metodo di lavoro? La qualità di quanto producono gli scrittori? Perché il fantasy scritto in Italia ne esce male dal confronto con quello estero?
Prima però di addentrarsi nelle varie cause, occorre fare una doverosa precisazione: il fantasy non ha nazionalità, è di tutti e non appartiene a nessuno. Non esiste quello italiano, francese, inglese, tedesco, ma quello realizzato da autori di nazionalità differenti.
In Italia ci sono autori validi, ma si contano sulle dita delle mani di un uomo; i restanti dimostrano un livello mediamente basso: storie che ricalcano i cliché della moda del momento, propinando libri che sono cibo in scatola per gatti.
Questa scelta ha mostrato in breve tutti i suoi limiti; è logico che romanzi del genere possano essere solo comete, con un’esistenza della durata di una stagione, che non lasciano il segno. Segno inteso in senso positivo, perché in senso negativo invece c’è stato: a causa di essi il mercato è stato bruciato.
Com’è stato possibile tutto questo? E com’è invece che ci sono stati autori le cui opere sono rimaste e continuano a essere lette anche dopo la loro morte?
Si prenda uno degli esempi più famosi: J.R.R.Tolkien.
Lo scrittore inglese si è sempre lamentato e rammaricato che il suo paese non avesse una gran tradizione mitologica, al punto che ha voluto crearne una con la realizzazione del mondo in cui si svolge il suo romanzo più famoso, Il Signore degli Anelli. È partito dal principio, dalla creazione del mondo, dalla sua geografia, dandogli una storia millenaria, arrivando addirittura a creare le lingue delle varie razze. La sua professione certo l’ha aiutato (insegnante di lingua e letteratura anglosassone e inglese), ma si è dato da fare per ricercare e documentarsi delle favole e dei miti che possedevano altri paesi, una passione ereditata dalla madre.
Quello che ha conferito così tanta forza alla sua opera è stato il modo in cui è riuscito a riportare e far rivivere le sue esperienze di vita. L’amore per la moglie mostrato attraverso Beren e Luthien. Gli orrori delle battaglie, la perdita di compagni che tanto l’avevano segnato avendo partecipato alla Prima Guerra Mondiale. La consapevolezza di quanto la tecnologia e l’industrializzazione potessero essere dannose per la natura, come la distruggessero.
Tutte cose che la maturità raggiunta in una vita gli ha permesso di elaborarle e metabolizzarle e immetterle in un libro, facendole divenire così universali, comprensibili e vicine a chiunque.
Tutto ciò invece manca in molti dei libri prodotti dall’editoria italiana: si è di fronte a mancanza di conoscenza e mancanza di esperienza di vita. Di nuovo, si dà quello che si ha: in questo, parecchi degli autori italiani sono mancanti e il risultato si vede.
Il fantasy è più che mera commercialità, anche se va considerato che pure all’estero si ha la convinzione che il fantasy sia un sottogenere della letteratura, come ha denunciato Steven Erikson, autore di un fantasy adulto e maturo qual è la saga La Caduta di Malazan; una mentalità da questo punto di vista sbagliata, ma che nonostante ciò dimostra come ci sia da parte degli autori e degli editori una preparazione, un’attenzione che in Italia si è ancora ben lontani dall’avere.
Tutto questo è solo la punta di un iceberg di un modo di fare sbagliato che ha portato solo perdita in Italia, che ha radici molto più profonde, basti pensare al livello culturale e di conoscenza della sua popolazione (per farsene un’idea leggere questo pezzo). Per approfondire la questione, in questo articolo su FM ne parlo in maniera più ampia.
Leave a Reply