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Jonathan Livingston e il Vangelo

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Il magazzino dei mondi 2

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Una riflessione da un discorso di Ursula K. Le Guin

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Ursula K. Le GuinAl National Book Awards del 2014, Ursula K. Le Guin ha espresso la sua opinione sulle attuali pubblicazioni e sulle scelte che vengono fatte dall’editorie. Il sunto del suo discorso è una critica verso gli autori che si stanno adeguando al modo di fare di Amazon, ma anche un’esortazione a essere più liberi, riscoprendo il loro ruolo sociale, di essere coscienza e spunto critico di riflessione e non fare dello scrivere solo un modo per fare soldi.
Una riflessione che porta a prendere atto di una società cupa, pervasa di paura e ossessioni; una società che paralizza e che non dà speranza, quando invece è proprio della speranza di cui si ha bisogno, quella speranza che spinge alla libertà e non all’adeguarsi e al sottomettersi.
Proprio contro l’adeguarsi e al sottomettersi degli scrittori Ursula K. Le Guin ha puntato il dito, facendo osservare che gli uffici vendita stanno avendo un ruolo sempre più predominante nell’editoria, dove si creano opere seguendo il diktat delle strategie di vendita per avere maggiori profitti. Come si sapeva una volta, un libro non è solo un bene di consumo, come viene invece fatto passare in quest’epoca di consumismo e capitalismo, ma un qualcosa capace d’insegnare, far riflettere, trasmettere valori, ideali: è questo che non va perso per essere sacrificato in nome del denaro.
Ursula K. Le Guin non è l’unica a pensarla in questa maniera: ci sono altri scrittori che esortano a riscoprire questa via. Nel mio piccolo, ho già espresso più volte questo tipo di pensiero: chi segue questo sito ha avuto modo di leggere gli articoli che fanno riflettere su un sistema che si basa sui dettami dell’Era dell’Economia (sia inerenti all’editoria sia ai restanti sistemi) e ha avuto modo di vedere come questo mio pensiero si rifletta sulle opere che realizzo (L’Ultimo Potere in special modo).
Ma non è solo su Le Strade dei Mondi che ho parlato di questo: su Fantasy Magazine in più di un’occasione ho parlato di questo sistema (basta dare uno scorcio alla pagina collaboratori dedicatami per vedere: Qualche osservazione sulla percezione da parte dei lettori dei romanzi fantasy realizzati in Italia, Influenze e deterioramento delle storie e dello stile del Fantasy contemporaneo, Dove sta andando l’editoria? e Sui prezzi dei libri punti di vista a confronto). Per quanto espresso, in alcuni casi sono stato tacciato di voler mostrare che l’editoria è solo brutta e cattiva, che il sistema non va criticato.
Proprio su questo volevo fare una breve riflessione, che va sempre a ricadere sul due pesi due misure. Come si è visto in questo articolo, il pensiero espresso sullo scrivere libri e su come si giudica il sistema è lo stesso, l’unica differenza è che viene da persone distinte: una conosciuta e l’altra no, una che ha avuto successo e notorietà, il cui valore è stato riconosciuto da molti, e l’altra no. Ma questo non dovrebbe fare differenza, perché se un pensiero è giusto, è giusto a prescindere da chi lo pensa.
E invece si deve prendere atto che la realtà è differente, che molte persone riconoscono la validità di un pensiero solo se viene da chi ricopre certi ruoli. E’ questo il limite che molti individui hanno: non riconoscere la verità quando l’hanno davanti a prescindere dalla forma, ma basare la sua validità in base al successo, al consenso che la maggioranza da a chi esprime un certo pensiero.
Non ci si deve meravigliare che non si vada da nessuna parte fintantoché si possiede un simile modo di fare.

Archetipi - Angelo Custode

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angelo custodeSecondo la tradizione cristiana, alla nascita di ciascun individuo viene dato un angelo custode che è sempre al suo fianco, consigliando, proteggendo; una figura così forte al punto da avere una preghiera appositamente dedicata a essa (Angelo di Dio che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste). Molto conosciute le immagini che lo rappresentano come un essere umano dotato di ali e un’aureola, spesso vestito di bianco (come per esempio nel mosaico dell’Annunciazione nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma.)
Similmente, nella tradizione cabalistica, le persone nate in un certo periodo hanno un determinato angelo custode che non solo li protegge, ma gli conferisce anche doni e poteri; è così, per esempio, che chi è nato dal 21 al 25 marzo ha Vehuiah come angelo custode, permettendo di rivelare i segreti e i misteri della personalità e di comprendere ciò che ha condotti a essere quello che si è. Attraverso la preghiera a questo angelo è possibile interpretare chiaramente gli avvenimenti della propria esistenza. (1)
Essendo uno degli archetipi, l’angelo custode è presente in ogni cultura, assumendo, a seconda dell’epoca in cui vivono le persone e dei costumi della civiltà di quel tempo, sembianze differenti (alle volte pure inusuali, che fanno pensare a tutto, tranne a quella che è la sua natura). Ma quale che sia il suo aspetto, il suo ruolo di protettore rimane invariato, prendendosi cura di chi è sotto la sua tutela; un ruolo che lo fa intervenire quando c’è realmente bisogno, lasciando che il protetto faccia le sue scelte e segua la strada che ha deciso d’intraprendere, senza essere invadente e castrante (evitando così di creare dipendenza e deresponsabilizzando), perché troppa compassione, generosità, può essere controproducente e creare danno, così da non essere più un aiuto, ma un impedimento. Ne è esempio la società attuale, irresponsabile ai massimi livelli, dove ci si aspetta sempre che sia qualcun altro a risolvere le questioni, dove nessuno fa qualcosa in prima persona per venire a capo di difficoltà e problemi, bloccati in un mare di accidia che impaluda sempre più.

1- Angeli e Arcangeli, pag.23. Haziel. Oscar Mondadori 2008

Archetipi - L'Innocente

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Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli.” (Matteo 18, 3)
Questo è una delle frasi del Vangelo cui si fa più riferimento quando si vuole indicare il tornare ad acquisire una mentalità più aperta, disponibile, fiduciosa verso l’esistenza, dove la vita viene vista come opportunità scoperta, proprio come fanno i bambini, che ancora non sono condizionati dalle delusioni, dalle perdite che il vissuto comporta: si tratta di quell’entusiasmo, di quell’innocenza che tanti individui dimenticano e che nelle religioni spesso è associato all’Eden, al Paradiso Perduto, prima che avvenisse la Caduta e al conseguente allontanamento da quel luogo e stato di pace.
Per molti la perdita dell’innocenza è ritenuta qualcosa di necessario per evolvere e maturare, acquisire conoscenza, perché se si resta nell’innocenza si rimane chiusi in un bozzolo, protetti ma limitati come succede con il bambino quando è nell’utero della madre. Ma innocenza non va intesa come ingenuità, dipendenza: tale considerazione può portare a un rinnegamento dell’innocenza, spingendo a divenire duri e cinici, insensibili alle tante sollecitazioni che la vita ha da dare, degli individui che più che esseri umani appaiono come qualcosa d’inumano, cellule impazzite di un organismo più grande. Seguendo tale strada, si ha la convinzione che adeguarsi al sistema imperante, sopprimendo desideri, sogni personali, sottostando ai diktat di chi guida le masse (politici, cariche religiose, imprenditori) e detiene il potere, sia la soluzione migliore per vivere in questo mondo.
Ma se si è sinceri con se stessi, ci si accorge che tutto ciò non dà soddisfazioni, rende infelici, generando nell’animo uno scontento che si fa sempre più grande, generando una rabbia che cresce fino al punto che non può più essere trattenuta ed esplode, con tutte le conseguenze che ne conseguono. L’assoggettarsi a un sistema bestiale (termine che non va inteso con riferimento al mondo animale, ma alla Bestia che diversi testi religiosi citano, come a esempio la Bibbia) porta a una condizione di schiavitù che sopprime l’autentico io delle persone fino a quando questo non si ribella e porta a quelle esplosioni di gesti violenti e omicidi che all’apparenza sembrano non trovare risposta, ma che sono un segnale inequivocabile di quanto grande è il disprezzo per la vita e di quanto ci si è allontanati da essa.
Abramo e Isacco in cammino per il sacrificio del giovane innocentePer chi invece ha in sé, o riscopre, l’innocenza, non è così. Perché l’ Innocente crede nella vita, la rispetta in ogni sua forma, sia quella che è in lui, sia quella che è negli altri e ciò lo porta a un vivere più soddisfatto ed equilibrato. L’Innocente è quella parte dell’uomo che continua ad avere fede nella vita, nei suoi lati migliori, anche quando tutto volge al peggio e sembra che tutto sia perduto, perché ha la speranza che le cose possano migliorare e quanto c’è di buono abbia la meglio sul male.
Spesso chi è Innocente viene visto come qualcosa di puro, ma anche di fragile, di debole, incapace di difendersi, che preferisce scappare e rifugiarsi in un mondo di fantasia per non incorrere nel male di cui il mondo è tanto pieno, allontanandosi dalla realtà: questi sono aspetti di sé che l’Innocente deve perdere, deve sacrificare (il sacrificio dell’ Innocente che tanto spesso appare nei miti e nelle religioni, come succede a esempio nel sacrificio di Isacco ) per essere quell’incarnazione di portatore di speranza, di fiducia in ideali e sogni di cui tanto l’umanità ha bisogno per non perdere se stessa e finire schiacciata sotto il pesante giogo della schiavitù, in qualsiasi sua forma.

Archetipi - L'Orfano

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L’Orfano è una delle figure più antiche che esistono sulla Terra, le cui storie sono raccontate in ogni forma, in ogni civiltà, in ogni tempo. Guerre, epidemie, carestie, fato avverso, crudeltà umana: le cause che rendono i bambini orfani sono molteplici.
Un esempio famoso, la cui conoscenza è millenaria, è Mosè, abbandonato nelle acque del fiume Nilo per scampare alla persecuzione del Faraone e poi raccolto dalla figlia del sovrano e cresciuto a corte, divenendo poi colui che avrebbe salvato il popolo di origine dalla schiavitù, conducendolo verso la Terra Promessa. Mosè incarna perfettamente l’Orfano che ha sviluppato interdipendenza e cooperazione (è infatti grazie a lui e all’aver ascoltato e accolto la parole di Dio, che si riesce a mettere in atto il piano salvifico del popolo ebraico, cosa che da solo, senza un aiuto, non sarebbe mai riuscito a mettere in pratica): è l’Orfano che è andato oltre la sua condizione.
Ma l’Orfano non è solo questo: per arrivare a questo punto c’è tutto un cammino di crescita e comprensione.
Gatsu, protagonista del manga Berserk, da bambinoUn ottimo esempio di ciò è Gatsu, protagonista del manga Berserk di Kentaro Miura: l’autore è riuscito perfettamente a mostrare le condizioni in cui da bambino è vissuto e come è stato trattato per la sua condizione. Nei capitoli di Gatsu bambino, viene mostrato l’abbandono e il tradimento che il personaggio subisce, avendo dimostrazione che la vita è dolore, facendogli perdere fiducia verso il prossimo, al punto che non solo non vuole legami, ma non sopporta neppure il semplice contatto fisico di altri individui. Gatsu cresce con la convinzione di dover essere autonomo a tutti i costi, rimboccandosi le maniche e rialzandosi da ogni caduta con le sole proprie forze. Un modo di fare dovuto alle continue rinunce e privazioni, che l’hanno portato alla perdita della speranza, divenendo freddo, cinico, diffidente.
Un altro esempio vicino, per quanto ho realizzato, è Periin, personaggio di Storie di Asklivion – Strade Nascoste; anche se va detto che Periin non rappresenta solo questo archetipo, ma anche altri, come a esempio il Guerriero. Specie nelle vicende che lo vedono coinvolto con gli altri personaggi nella ricerca per l’Ordine, questo lato di sé viene a galla; soprattutto vengono mostrate le ragioni che l’hanno portato a essere quello che è. E’ così anche per Guerriero in L’Ultimo Potere, ma se non si è perso come può succedere all’Orfano, è perché, anche se senza genitori, ha avuto Vecchio che si è occupato di lui (come ha fatto il tutore di Periin, anche se non è stata certo la figura paterna che ci si poteva aspettare; ma in certi tempi si fa quello che si può con quello che si ha).
E’ chiaro che l’Orfano, proprio per le ragioni dimostrate finora, ha bisogno di fiducia e protezione per divenire un individuo maturo e responsabile e non crescere un essere vuoto, senza identità e carattere che si adegua alle icone imposte dalla società del tempo, come purtroppo la realtà attuale ne dà triste esempio.

Stato dei lavori

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In un altro post, ho parlato dello stato dei lavori delle opere che sono impegnato a realizzare.
Il lavoro su Non siete intoccabili è terminato. Anche se visto quanto fatto non si può più parlare di Non siete intoccabili: delle parti dell’opera sono state mantenute, ma è divenuto qualcosa di nuovo. I personaggi hanno ora connotazioni differenti, si presentano, parlano, pensano, agiscono in maniera diversa; scene sono state cambiate ed eliminate. Le ragioni e le cause di certe azioni sono mutate, dando una connotazione completamente diversa all’opera, al punto che c’è stato bisogno di cambiare titolo, dando al romanzo un nome nuovo.
Un lavoro che mi ha soddisfatto sia per il miglioramento di stile, di caratterizzazione dei personaggi e di approccio alla storia, sia perché ora il romanzo è maggiormente integrato in quell’insieme che è il raccontare gli eventi che si svolgono nell’arco narrativo della Caduta e si riallaccia in modo migliore agli eventi di L’Ultimo Potere e L’Ultimo Demone; è stata proprio la realizzazione di L’Ultimo Demone a permettermi di fare chiarezza su quello che doveva essere l’inizio di quanto accaduto alla Terra che ho descritto e a rendere quest’opera un’opera migliore.

Non l’avevo messo in preventivo, ma anche Storie di Asklivion – Strade Nascoste ha subito una revisione: meno totale di quella effettuata su Non Siete Intoccabili, ma comunque un lavoro di una certe entità. A livello di trama le cose non sono state cambiate; piuttosto è stato cambiato l’approccio delle vicende avvenute nei primi capitoli del romanzo. Il lavoro effettuato ha conferito una maggiore sintesi all’opera, mantenendo i punti salienti che permettono di delineare i personaggi ma eliminando quelle parti che rallentavano la trama, permettendo così al lettore di entrare fin da subito nel vivo della storia. A differenza di Non Siete Intoccabili, eliminare delle parti è stato più difficile, ma è stato necessario perché, anche se facevano comprendere in modo più approfondito il mondo, non erano indispensabili alla storia, portando a dilungarsi con il rischio di far perdere interesse.
Sistemato questa parte, al momento sono impegnato nella rilettura di Storie di Asklivion – Strade Nascoste: sia perché con l’esperienza acquisita in questi anni posso a livello di stile dare una maggiore sintesi a dialoghi e descrizioni, sia perché, per quanto si ponga attenzione, purtroppo qualche refuso sfugge sempre.
E mentre sono impegnato in questo lavoro, prendo appunti per lo sviluppo delle altre opere che ho in progetto di realizzare.

La morte di Dio

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Dio Padre di Giovanni MoneviLa morte di un dio non è qualcosa di recente, basti pensare a Nietzche con la sua esclamazione “Dio è morto”: lui e Schopenhauer sono stati i primi a rivelare il profondo significato della profonda mancanza di senso della vita. Una linea di pensiero sviluppatasi soprattutto negli ultimi secoli nel momento in cui la scienza ha cominciato a fare scoperte, a dare risposte, prendendo così il posto che tanto a lungo era stato di dominio delle istituzioni religiose. La figura del dio ha perso la sua centralità nella vita dell’uomo, facendo arrivare alla famosa affermazione della sua morte; cosa che se vogliamo oggi è ancora più accentuata, dato che l’uomo ha volto la sua attenzione sul denaro e sul materialismo, abbandonando la vita interiore e la ricerca di spiritualità.
Che un dio potesse morire si è già visto in tanti miti, come mostrato da uno dei più famosi, quello di Ragnarok, dove secondo la cultura vichinga le divinità conosciute e seguite avrebbero trovato la morte in un grande conflitto con le forze del caos. Ma come si è visto, il Ragnarok non ha significato la fine di tutto, ma semplicemente è stato segno di un cambiamento, dove il vecchio moriva per dare spazio al nuovo: nel mito infatti non tutti gli dei scomparivano, solo quelli che si conoscevano da più tempo, rimpiazzati da altri. Questo non è altro che un simbolo per indicare che tutto evolve, che c’è sempre cambiamento, ma che perché questo avvenga occorre che ci sia distacco con quello che non può più dare niente: realtà mostrata nella Bibbia quando Mosè lascia il popolo ebraico quarant’anni nel deserto prima di entrare nella Terra Promessa (dove le vecchie generazioni sono morte, permettendo così alle nuove, con una mentalità diversa, più aperta e non schiava, di avere un inizio) e nel Vangelo da Gesù quando dice che non si mette il vino nuovo in otri vecchi.
La frase “Dio è morto” fa scalpore e impressione se la si assume nel suo significato letterario, mentre diviene più comprensibile e meno “terrificante” se si assume il concetto che è morto un certo modo di vedere Dio che per tanto a lungo si è portato avanti: il Dio che sta sopra a tutto, la cima della piramide, cui ci si deve inchinare per adorarlo e rendergli lode.
Questo modo d’intendere Dio è già stato superato (anche se per secoli si è portato avanti la vecchia maniera di obbedienza e servilismo) duemila anni fa dal messaggio di Gesù con il suo insegnamento, sottolineata dalla frase “voi siete Dei“: un modo per far rendere consapevole all’uomo della sua natura e di che cosa è un dio.

Guerriero se ne stava in piedi, fermo davanti all’uomo, fissandolo con intensità. Nessuno all’interno della Cittadella conosceva il suo nome, nessuno glielo aveva mai chiesto. O meglio, nessuno aveva mai avuto l’opportunità di farlo: l’uomo se ne stava sempre lontano dai gruppi, dai luoghi in cui le persone si ritrovavano, preferendo orbitarvi intorno, sempre intento a passeggiare o giocare con il suo cane. Le poche volte che era a contatto con la gente aveva la straordinaria capacità di svicolare e sparire se qualcuno stava per porgli una qualche domanda: sembrava avere un particolare sesto senso oppure la capacità di leggere il pensiero. Per questo il suo nome o chi fosse in realtà, era stato un mistero fino a quel momento.
«Tu sei Dio.» Ripeté Guerriero.
L’uomo ricambiò lo sguardo sorridendo. «Dio è una parola un po’ grossa, sopravvalutata, in cui si vogliono vedere più cose di quel che ci sono nella realtà; una parola che gli uomini usano nei modi e nei contesti più inappropriati.»
«Tu sei Dio.» Ripeté Guerriero per la terza volta.
«È meglio non dirlo in giro, altrimenti le persone arriveranno a sciami per chiedere favori e miracoli.» L’uomo arruffò il pelo sulla testa del cane che aveva riportato la palla. Osservò l’animale scattare dietro al suo lancio. Il sorriso scemò mentre traeva un lungo respiro posando lo sguardo sull’orizzonte. «Così sono stato chiamato nel tempo, in molte parti del mondo. Il mio nome è stato pronunciato in molte lingue. Mi hanno chiamato in molti modi, ma tutti volevano indicare la stessa cosa. Mi hanno raffigurato in molti modi, assegnato ogni ruolo possibile e immaginabile. Ma mai che si sia capito chi ero realmente, mai che si cogliesse nel segno; pochi sono riusciti ad avvicinarsi per avere almeno un’idea di ciò che io sono perché troppo impegnati a chiedere, ad aver bisogno di qualcosa, concentrandosi solo sulle proprie paure e pretese. Rassicurazioni, favori, giuramenti presto dimenticati, preghiere, invocazioni: sempre ad aspettarsi la risoluzione a qualsiasi problema si verificasse. Un continuo io, io, io che giungeva da tutte le parti, ma mai che ci fosse qualcuno che fosse disposto ad ascoltare quello che si aveva da dare in risposta.»
Guerriero andò a sedersi sul masso vicino. «È per questo che sei sparito, abbandonando l’umanità al suo destino?»
«La questione è più complessa di quel che appare. Certo, a lungo andare diventa stancante essere considerato un mezzo che va usato a proprio piacimento o capriccio. Un mezzo cui si ricorreva perché dotato di grande potere, di capacità che nessuno era in grado di possedere. Un potere che si considerava esclusiva di qualche essere unico, di qualche prescelto particolare. Ma quello che stanca di tutto questo è che nonostante tutto quello che è stato detto, tutti gli esempi dati, gli uomini non hanno imparato nulla. Assolutamente nulla. Veniva mostrato come fare e loro, invece di capire, si mettevano ad adorare, a creare culti che volevano attirare altre persone al loro interno; come se si potesse fare qualcosa con i complimenti!» Sbottò Dio. «Nella loro stoltezza sono andati a far ingrassare tutto ciò da cui invece dovevano tenersi alla larga e si sono fatti sfruttare nelle varie lotte per il potere, per la supremazia l’uno sull’altro. Guerre, guerre e ancora guerre: in tutte le epoche questa è stata la costante; agli esseri umani deve fare schifo la pace, la tranquillità, non trovano quiete e soddisfazione nello scoprire e nel far crescere. Sempre in tensione, sempre in ansia, protesi verso qualcosa che non si sa nemmeno definire.»
Guerriero lo fissò leggermente perplesso. «Più che Dio sembri un filosofo o un vecchio stanco.»
«Tu non saresti stanco sempre dello stesso copione, del suo continuo ripetersi? Non è forse per questo che per anni hai intrapreso la ricerca di un luogo che è stato solamente immaginato?» Disse Dio. «Eppure anche tu, nonostante quanto visto, appreso, non riesci a staccarti da una concezione secolare di Dio: ti sei fatto l’immagine che lui sia un Risolutore, Colui che Mette a Posto Tutti i Problemi. Problemi che fra parentesi non è stato certo lui a generare.»
Guerriero lo fissò perplesso. «È come se stessi parlando di qualcun altro.»
«È così: sto parlando dell’immagine che gli uomini si sono creati, non di com’è la realtà. Nessuno ha capito chi è Dio, che Dio è ed esiste quando c’è Creazione, che la Creazione è Dio e pertanto può esserlo chiunque mentre è impegnato a creare. Una verità molto semplice cui chiunque può accedervi, chiunque può attingere a tale forza tutte le volte che vuole, ma chissà perché ai molti è così difficile da comprendere. L’umanità è profondamente ottusa e stupida.»
Guerriero abbozzò un sorriso. «Si dice che l’hai fatta a tua immagine e somiglianza.»
«Si dice anche che sono un Dio geloso, veloce all’ira e tremendo nella sua giustizia vendicatrice.» Sbuffò Dio. «Gli uomini hanno scritto tante cose su Dio: spesso erano solo voci messe in giro da chi comandava i culti per condizionare e far star buoni i fedeli, instillando in loro timore e paura per chetare l’insorgere di dubbi e ribellioni di fronte a regole insensate e astruse. Ma di ciò che realmente è stato detto, poco o niente è stato riportato; chi ha provato a parlare di qual era la verità, è rimasto inascoltato, isolato o messo a tacere prima che potesse raggiungere una posizione che lo rendesse irraggiungibile e inattaccabile.» Inspirò profondamente. «Senza contare gli errori di trascrizione e traduzione dei testi sacri che si sono accumulati nei secoli che hanno contribuito ancora di più a travisare i significati che dovevano essere trasmessi. Dopo tutto questo, dopo averlo usato per qualsiasi pretesto il suo nome, l’umanità a un certo punto ha deciso che non c’era bisogno di Dio, s’è dimenticato di lui come ci si dimentica di un pezzetto di carta che non serve più: ha deciso di fare di testa sua o meglio di non fare di testa sua, appoggiandosi alle voci di chi sapeva raccontare meglio le cose, di chi le diceva quello che voleva sentirsi dire. L’umanità ha creduto di seguire il percorso della libertà, invece ha intrapreso quello del caos. Non è stata per nulla abbandonata, ma non si può salvare chi non vuole essere salvato: si può dare aiuto solo a chi lo ricerca per davvero.»
«Il libero arbitrio…è in suo nome che si sono lasciati imperversare i Demoni? È in suo nome che Dio non è intervenuto?»
Il cane arrivò di corsa gettando il pallone ai piedi di Guerriero, abbaiando perché glielo lanciasse.
«Preoccuparsi degli altri, cercare di fare sempre la cosa giusta, di essere altruisti, di rivolgere le attenzioni sempre verso l’esterno.» Riprese a parlare Dio quando il cane ripartì all’inseguimento del pallone lanciato. «Gli uomini credono che ogni scelta, ogni responsabilità debba ricadere sulle spalle di uno solo, di una singola entità che si faccia carico di tutto. Ciò che non si capisce è che Dio non è nient’altro che una parola, che cerca di spiegare tutto, ma che in realtà non dice nulla: è solo l’illusione di un’onnipotenza lontana su cui si vuole scaricare ogni responsabilità. Gli uomini hanno sempre attribuito colpe e meriti ad altre figure immaginarie, senza considerare che i fautori di certe creazioni sono proprio loro in base al rapporto che hanno con le energie dell’universo: la nascita di Dei o Demoni dipende solo da questo. E così tutto quello che ne consegue.»
«Nient’altro che un uomo: è questo quello che stai dicendo di essere.»
«È questo quello che già sai sull’Essenza. Puoi attribuirgli i nomi che vuoi, ma è di questo che si tratta; l’aspetto esteriore può cambiare in base ai tempi, ma la sostanza è sempre la stessa. Un Dio può fare quello che gli uomini gli permettono di fare: questa è la realtà. Sia per il bene, sia per il male. Io sono un Creatore, non un Guardiano o un Protettore: così ho deciso di essere. E non voglio cambiare per fare un favore agli altri: ho fatto le mie scelte, gli altri le loro. Ognuno paga per quanto si è scelto.»
«Allora è questa la ragione per la quale non sei intervenuto, perché hai permesso tutto questo.» Costatò Guerriero.
Dio scosse il capo. «L’uomo ha voluto distruzione. L’uomo ha scelto questa strada, assecondando un’indole aggressiva, distruttiva. Quando è così, non si ha bisogno di un Creatore: tutto quello che farebbe, andrebbe perduto.»
«Allora stai aspettando che non rimanga più nulla prima di tornare a intervenire?»
«I tempi devono essere maturi: la forza dell’ondata di distruzione deve terminare il suo vigore prima che si possa agire diversamente.»
Guerriero lo fissò a lungo, intensamente. «È un modo per dire che i Demoni sono più forti di te?»
«È un modo per dire che chi è stato artefice di una certa situazione è anche capace di trovarne la soluzione.» Il cane gli si mise al fianco, lasciando cadere la palla ai suoi piedi, la lunga lingua che penzolava mentre ansava. Dio prese il pallone, lo infilò nello zaino e si mise quest’ultimo in spalla alzandosi in piedi. «Non c’è sempre un Dio a portata di mano che può risolvere tutto.» Si allontanò verso i canyon con il cane che gli trotterellava alle calcagna.

Estratto da L’Ultimo Demone.

Archetipi - Il numero Quattro

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Il numero quattro« Certe cose », ha scritto il dott. Jung, « non possono divenire oggetto di pensiero, ma devono sorgere da lontane profondità, per esprimere gli atteggiamenti più profondi della coscienza, e le più sublimi intuizioni dello spirito, armonizzando in tal modo il carattere di unicità e irripetibilità della coscienza legata all’esperienza immediata, con l’arcaicità del passato dell’umanità ». (1)
Questa realtà, così ben spiegata da Carl Gustav Jung, accompagna da sempre l’uomo e i modi in cui ha cercato di trovare risposte sulla sua natura, sulla vita, usando simboli e proiezioni per giungere alla comprensione.
Di simboli, miti e religioni sono ricchi, al punto che anche in architettura la proiezione del contenuto psichico costituiva un processo puramente inconscio: città, fortezze, tempi, hanno avuto una specifica influenza sull’uomo che le vedeva. Per esempio, simbolo centrale della religione cristiana è la croce e a seguito di questo le chiese sorgevano all’incrocio delle due arterie principali che dividevano la città e che immettevano agli sbocchi delle quattro porte: questo era il modo per indicare che la città aveva un centro (mundus, che significa anche cosmo), valente a stabilire il rapporto della città e dei suoi abitanti con l’altro mondo, il regno e la dimora degli spiriti ancestrali. (2)
Come già si è visto in un altro post, il quattro ha una forte ricorrenza: i quattro evangelisti e la Trinità contrapposta a Satana, sempre restando nell’ambito cristiano, ma se si ricerca e si osserva con un poco di attenzione, si può vedere che è qualcosa di ricorrente, che salta fuori molto spesso, senza nemmeno rendersene conto. Il quaternario è il simbolo usato da Pitagora per comunicare il nome di Dio; nella religione ebraica il quattro simboleggia il Tetragramma biblico, cioè le quattro lettere che compongono il nome di Dio. Quattro sono gli elementi: fuoco, acqua, aria, terra. Quattro i punti cardinali: nord, sud, est, ovest.
Come si vede, il quattro è qualcosa presente in tutta la simbologia. Va fatto tuttavia notare che il punto di vista sul suo significato può cambiare: nella numerologia cinese (così come in altre lingue orientali) la parola “quattro” è omonima della parola “morte” e quindi il numero viene considerato sfortunato (un simbolo di morte che ben appare nel manga Berserk di Kentaro Miura con la Mano di Dio prima dell’arrivo di Phempt, dove i membri sono solamente quattro: dopo la trasformazione di Grifis a quinto membro, le cose in apparenza sembrano cambiate, ma le vicende sono ancora in divenire).
Che sia qualcosa d’inconscio, posso darne testimonianza per quanto riguarda le opere che ho realizzato. Ariarn, Periin, Ghendor e Reinor sono i protagonisti delle vicende di Storie di Asklivion – Strade Nascoste: non c’è stata progettazione in questo, è qualcosa che è nato naturalmente, venuto fuori in maniera istintiva. Certo, nella storia sono presenti personaggi che hanno un ruolo importante (Rentar, il Sorvegliante, Lerida: il loro aggiungersi porta a sette, altro numero importante), ma sono questi quattro personaggi con i quali la storia inizia, va avanti e termina. Con la conoscenza acquisita in seguito ad approfondimenti e letture varie, a posteriori ho riflettuto che ognuno di loro incarnava uno degli aspetti di cui tanto parlava Jung (intuizione, sensazione, pensiero, sentimento), ma quando ho cominciato a narrare le loro avventure non sono certo partito da questo presupposto, semplicemente fungevo da osservatore e riportavo quanto avveniva in quel mondo visto dalla fantasia.
Stessa cosa è avvenuto con L’Ultimo Potere, quando Guerriero si trova a entrare nel gruppo formato da Tempo, Spazio e Ombrosa.
Possono sembrare coincidenze, ma la parte inconscia lancia sempre segnali e il fatto che ricorra così spesso tale numero, che è simbolo di organicità e compiutezza, dimostra che anch’esso, come altri, è un archetipo che vuole portare a consapevolezza aspetti di cui è portatore.

1- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag.230. Tea 2010
2- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag.229. Tea 2010

Archetipi - La Caduta

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Ogni civiltà, dopo l’ascesa, è soggetta alla caduta.
In alcuni casi può essere un evento catastrofico scatenato dalle forze della natura (un esempio è l’antica Creta, che non si riebbe più dopo un terremoto), in altri una guerra (di esempi la storia ne è ricca); più spesso però si tratta di un processo che parte dall’interno. Giunge un momento in cui gli individui di una popolazione, sicuri della posizione raggiunta e dei mezzi che gli hanno permesso di raggiungerla, si sentono arrivati sulla cima e ritengono di aver conquistato tutto quello che può essere conquistato. Un’illusione nata dall’arroganza e dalla presunzione, oltre che da una mente limitata e ignorante, dove non ci si è accorti del decadimento in cui si è finiti per una perdita che hanno sopravvalutato: quella dei valori.
caduta dell'uomo Gli antropologi hanno spesso descritto ciò che accade a una società primitiva allorché i suoi valori spirituali si trovano esposti all’influenza della civiltà moderna. Gli uomini perdono il significato della propria vita, la loro organizzazione sociale si disintegra ed essi stessi decadono moralmente. Noi ci troviamo attualmente nella medesima condizione senza però esserci mai resi conto di ciò che abbiamo perduto, poiché i nostri capi spirituali, sfortunatamente, erano più interessati a proteggere le loro istituzioni che a comprendere il mistero offerto dai simboli. Secondo me, la fede non esclude la ragione (che è l’arma più potente dell’uomo), ma disgraziatamente molti credenti sembrano così impauriti dalla scienza (e, incidentalmente, dalla psicologia) da essere completamente ciechi di fronte alle forze psichiche soprannaturali che dominano incessantemente il destino degli uomini. Abbiamo spogliato ogni cosa del suo mistero e del suo carattere soprannaturale; non c’è più nulla di sacro.
Nell’età primitiva, quando i concetti istintivi zampillavano nella mente dell’uomo, non era difficile per lui integrarli consciamente in una coerente struttura psichica. Ma l’uomo « civilizzato » non è più capace di ciò: la sua coscienza « avanzata » lo ha privato dei mezzi attraverso i quali è possibile assimilare all’inconscio i contributi ausiliari degli istinti. Questi organi di assimilazione e d’integrazione erano i simboli soprannaturali, da tutti considerati sacri.
Oggi, per esempio, si fa un gran parlare di « materia »: descriviamo le sue proprietà fisiche, conduciamo esperimenti di laboratorio per dimostrarne alcuni aspetti. Tuttavia la parola « materia » rimane un concetto arido, disumano e puramente intellettuale, privo per noi di qualunque significato psichico. Quanto diversa era l’antica immagine della materia – la Grande Madre -, capace di abbracciare e di esprimere il profondo significato emotivo della Madre Terra! Nello stesso modo, ciò che prima era lo spirito, ora viene identificato con l’intelletto, cessando così di essere il Padre di tutte le cose. Esso è degenerato al rango dei limitati pensieri soggettivi dell’uomo e l’immensa energia emotiva espressa nell’immagine del « Padre nostro » è svanita nella sabbia di un deserto intellettuale.
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Così scriveva Carl Gustav Jung qualche decennio fa, ma le sue parole sono ancora attuali, forse molto più di allora, dato che la perdita di valori si è fatta più accentuata, portando l’umanità in una caduta  verso il baratro che si fa sempre più veloce. La società occidentale attuale (che non significa solo Europa e Stati Uniti, ma comprende tutte le nazioni dei continenti, comprese paesi come Cina, India che sono dell’Oriente) basa tutto il suo esistere sul denaro e il materialismo e gli effetti di tale mentalità sono ben visibili: l’uomo ha perso se stesso e sta impazzendo sempre di più.
Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L’uomo si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua « identità inconscia » emotiva con i fenomeni naturali…II suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava. (2)
Ecco a cosa ha condotto il consumismo, il riversare tutte le energie alla macchina della produttività e dell’economia: a un inaridimento interiore che ha portato a dimenticare ciò che ha davvero valore, che ha lasciato solo ceneri e un senso d’amaro in bocca che non può essere cancellato, facendo sentire l’uomo un oggetto svuotato. E’ questo il risultato del freddo e calcolatore razionalismo che ha pensato solo al profitto e sta spingendo l’uomo verso la caduta.

1- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 76 Tea 2010
2- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 77. Tea 2010

Archetipi - Il Guerriero

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Un mio libro è sempre opera del destino. Quando si scrive si va incontro a qualcosa d’imprevedibile (1). Le parole di Carl Gustav Jung sono perfettamente comprensibili per chi si è cimentato nella stesura di un libro: c’è un’idea da cui nasce tutto e poi dopo ci si costruisce attorno un progetto che cresce man mano che si avanza, spesso andando dove si vuole che vada, ma anche alle volte conducendo verso punti che all’inizio non sarebbero stati presi in considerazione.
Carl Gustav JungQuesto vale sia per la saggistica, sia per i romanzi, per questi ultimi ancora più con forza, dato che si ha una maggiore libertà nel creare una storia.
Ma che cosa spinge a scrivere una storia?
I motivi possono essere tanti, uno per ogni individuo esistito, ma l’uomo ha sempre sentito il bisogno di raccontare esperienze vissute, fatti cui ha assistito, pensieri che ha realizzato: un modo per condividere con i suoi simili, per sentirsi parte di qualcosa, per trasmettere conoscenza e consapevolezza. Così abbiamo avuto dipinte scene di caccia sulle pareti per raccontare le imprese di gruppi di cacciatori; papiri, libri che narravano imprese di re e regine, ma anche storie di dei ed eroi, che per i popoli passati era un cercare di spiegare quello che vedevano, ma di cui non capivano il significato o l’origine, come accaduto nell’incontro tra Thor e Utgardaloki, il re del Recinto Esterno, dove attraverso il racconto venivano mostrati la natura del pensiero, delle maree e della vecchiaia.
Di racconti del genere, l’umanità è ricca e se si osserva, si può notare che ricorrono sempre le stesse figure, anche se appaiono con sembianze e nomi diversi: sono simboli che l’uomo utilizza per imparare a conoscere se stesso, parti di sé che proietta all’esterno per poterle osservare e comprendere. Si tratta degli Archetipi, stadi dell’inconscio umano che ogni individuo incontra nella propria vita e che gli sono da specchi e compagni nel percorso personale di crescita.
Uno dei più famosi e immediati che viene in mente è il Guerriero, spesso associato all’uomo in armatura, dotato di scudo e spada, come i famosi spartani (considerati i migliori combattenti dell’antica Grecia), gli uomini dei Medioevo che andavano in battaglia equipaggiati di tutto punto, ma anche i Samurai.
Gatsu, il Guerriero Nero del manga Berserk di Kentaro MiuraCon il passare delle epoche è stato normale che tale figura cambiasse sembianze, ma lo spirito è sempre rimasto lo stesso, comparendo in varie forme in ogni forma di storia: fumetti, film, libri.
Così abbiamo Kenshiro di Tetsuo Hara e Buronson (un connubio tra Mad Max di Interceptor, che oltre al personaggio prende ispirazione anche per l’ambientazione, e Bruce Lee), maestro della Scuola di Okuto (semplificando, una sorta di arti marziali), e Gatsu di Kentaro Miura, mercenario nel mondo inventato delle Midlands che ricordano Medioevo e Rinascimeto, per fare un esempio prendendo spunto fra due tra i manga più famosi. Visto che è stato citato come fonte d’ispirazione, non si può non parlare di Mad Max, che grazie alla sua trilogia cinematografica ha fatto conoscere e lanciare Mel Gibson nel mondo dello spettacolo: nessuna tecnica di combattimento speciale o armi magiche e mostri, ma pura e semplice sopravvivenza con ogni mezzo in un mondo impazzito.
Artù nel film Excalibur del 1981Per quanto riguarda la letteratura, un ottimo esempio è il personaggio di Arthur Pendragon mostrato nella trilogia di Fionavar di Guy Gavriel Kay, conosciuto proprio come il Guerriero: è vero che Arthur incarna anche altri simboli (il Re, l’Eroe, il Cavaliere, anche se questo simbolo è rappresentato con molta più forza da Lancelot, altro personaggio attinto dai ciclo arturiani da Kay), ma in questa veste rappresenta in maniera molto chiara e forte l’archetipo che lo caratterizza.
Questi sono solo tre esempi di come può essere il Guerriero. Tre esempi uguali, ma allo stesso tempo con delle sfumature che li fanno essere differenti; una ripetizione si può pensare, ma una ripetizione importante e utile, perché usando la ripetizione, presentando lo stesso soggetto a varie riprese, ogni volta da un angolo visuale leggermente diverso dal precedente, fino a che il lettore, che non si è mai trovato di fronte a nessuna singola prova conclusiva, si accorge improvvisamente di avere abbracciato e accolto dentro di sé una verità più ampia. (2)
E’ questo che fanno gli archetipi nelle loro diverse manifestazioni: dare una maggiore consapevolezza di sé all’uomo per farlo crescere.
Ma esattamente, che cosa rappresenta il Guerriero?
Il coraggio, la risolutezza di raggiungere i propri obiettivi (quindi la conquista), la forza e i mezzi di difendere ciò che ha valore, la preparazione, la disciplina. E’ colui che combatte per le proprie idee e lo fa a tutti i costi, anche se questo può portare a sacrifici, perdite economiche e materiali, isolamento. Il Guerriero è una figura che bada al sodo, è pratica, razionale, concentra la sua attenzione e le sue energie nella realizzazione della sua ragion d’etre, eliminando ciò che ritiene superfluo; è uno stratega. Appare saldo, solido, ma anche duro e tagliente, con poco spazio per la tenerezza. Questo non significa che sia privo di sensibilità, gentilezza, ma i suoi modi senza fronzoli e abbellimenti che rimangono sempre legati al concreto non fanno scorgere i gesti di attenzione che rivolge agli altri. Spiccio e diretto, non ha tempo per perdersi in lunghi discorsi atti a comprendere gli altri ed essere di supporto come può fare il Saggio.
Il vero Guerriero combatte solo per quanto conta realmente, non combatte per il piacere di combattere; se questo avviene, se lotta per il piacere di distruggere, per dimostrare la sua forza e la sua superiorità, significa che si sta allontanando dal suo essere.
Anche lui, come tutti, possiede delle paure e quella che più lo spaventa è di essere sconfitto, di fallire, di non avere forza sufficiente per affrontare le sfide e i nemici e così non essere in grado di proteggere chi gli è caro, i suoi ideali.
Se riesce a superare le sue paure, le proprie zone d’ombra, se riesce davvero a essere se stesso, il Guerriero è una forza che lotta per il bene comune e non c’è nemico che lo possa piegare, ma combatterà fino all’ultima goccia di sangue, con tutte le sue forze.
Per chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza di questo archetipo, in rete si possono trovare pezzi interessanti come L’archetipo del guerriero/eroe.

Come si evince da questo articolo (ma non solo, avendone già parlato altre volte sul sito), Guerriero (e di conseguenza il suo Archetipo) è il protagonista delle vicende di L’Ultimo Potere. Perché la scelta è ricaduta su un personaggio con tale caratteristiche?
Perché in un periodo come quello che stiamo vivendo, dove si lascia andare, dove si sacrifica tutto per i soldi e ci si adegua a un sistema che si sa che è sbagliato, ma dove non si fa nulla per cambiarlo (un po’ per pigrizia, un po’ perché fa comodo ai propri interessi, un po’ perché non si hanno più valori e un po’ perché non si hanno i mezzi e la volontà per vedere quello che non va), occorre avere l’esempio di una figura che lotta per qualcosa che va oltre la materialità, che cerca di migliorare la propria vita, uscendo da un’esistenza che non ha nulla da dare, che è solo capace di togliere e privare di tutto chiunque. Nel contesto attuale c’è bisogno di qualcuno che sia diverso, che si dia da fare, che combatta consapevole che ci saranno sì difficoltà nelle sue battaglie, ma che alla fine ne sarà valsa la pena, perché si otterrà molto, mentre invece c’è tutto da rimetterci a conformarsi o a lasciar fare a un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti e che ha solo da far perdere: la libertà in primis, ma soprattutto far perdere se stessi. I più sono convinti che la modernità abbia portato benefici, miglioramenti nella vita di ognuno; questo può essere in parte vero. Non voglio certo negare che siano risultati grandi vantaggi dall’evoluzione della società civilizzata, ma tali vantaggi sono stati ottenuti al prezzo di perdite enormi della cui entità abbiamo appena cominciato a renderci conto. (3) Ed è quello che viene fatto vedere in L’ultimo Potere: un modo per mostrare sì le caratteristiche dell’archetipo in questione, ma che da sole però non bastano a far comprendere e vivere tale simbolo. Perché essi sono contemporaneamente sia immagini che emozioni. Si può parlare di archetipi solo quando questi due aspetti si manifestino simultaneamente. Quando c’è solo l’immagine si tratta di una notazione di scarso rilievo, ma quando è implicata l’emozione, l’immagine acquista un carattere numinoso (o energia psichica)…Poiché tante persone hanno intrapreso a trattare gli archetipi come semplici parti di un meccanismo che può essere appreso a memoria, è necessario insistere che essi non sono né nome puri e semplici, né concetti filosofici. Essi appartengono alla vita stessa, sono immagini integralmente connesse con l’individuo vivente per il tramite di emozioni…Gli archetipi cominciano a vivere solo quando si cerca pazientemente di scoprire perché e in quali guise essi sono significativi per un determinato individuo vivente. (4)

1- Ricordi, sogni, riflessioni. Carl Gustav Jung, pag.6. Bur 2008
2- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. X. Tea 2010
3- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 32. Tea 2010
4- L’uomo e i suoi simboli. Carl Gustav Jung, pag. 79. Tea 2010