
La decisione di scrivere un articolo su Brandon Sanderson nasce da quanto detto da Andrea, ma è da tempo che facevo riflessioni su di lui. Partiamo dal video e per chi non volesse vederlo tutto, faccio un breve riassunto: le critiche che muove Andrea riguardano il modo di fare dell’autore, che ha deciso di puntare sulla quantità di uscite delle sue opere e sulla modalità con cui vengono realizzate. Per Andrea, Sanderson realizza la prima stesura e poi la passa al suo staff per l’editing, velocizzando in questo modo il processo di realizzazione del libro: questo spiegherebbe la mole di romanzi che riesce a pubblicare. Puntare sulla quantità invece che sulla qualità non è una cosa che Andrea apprezza, come non apprezza la scelta di aver puntato sul Kickstarter.
Il modo di fare così veloce di Sanderson, oltre che influire sulla qualità della storia, influisce anche sullo stile, che deve essere semplice e facile da realizzare, in modo che ci si possa mettere le mani velocemente. Sanderson con questa scelta ha deciso di puntare sulla commercialità e i numeri di vendite e guadagni gli danno ragione; se questo era il suo fine, ci è perfettamente riuscito, per adesso.
Alla lunga questo continuerà a funzionare?
Probabilmente sì, anche se ci saranno dei lettori che si scontenteranno e non lo seguiranno più, benché non sarà sufficiente a fargli perdere una fetta di mercato così grossa da farlo andare male.
Quello che dice Andrea lo capisco e in gran parte lo condivido; se devo essere sincero, dinanzi a una simile prolificità, rispetto ad Andrea, credevo che alcune parti le facesse scrivere ad altri, visto che avevo avuto in alcune occasioni la sensazione che lo stile fosse differente, ma probabilmente è più verosimile il suo pensiero. Per Andrea questo non è essere scrittore; per me Sanderson è diventato qualcosa di diverso: è sì scrittore, ma è diventato soprattutto impresa, perché sui suoi libri non lavora solo lui, ma ha un’intero staff a sua disposizione, ha tanti collaboratori che lo aiutano, basta vedere nei ringraziamenti che fa nei suoi libri il numero di persone che ne sono comprese. Sanderson (che non si occupa solo di libri, ma anche di giochi di vario genere) è differente da altri scrittori (i quali dopo aver fatto diverse stesure e revisioni lo passano all’editor della casa editrice che li pubblica) perché attorno a sé ha un intero team a disposizione (non me ne vengono in mente altri con una situazione simile); si può dire che il tutto si avvicina al lavoro di una catena di montaggio. Per questo motivo lo stile non deve essere ricercato, ma semplice, così da rendere il lavoro più facile e veloce, così da realizzare in tempi ristretti prodotti commerciali e d’intrattenimento.
Questo sono i libri di Sanderson e ciò non significa che sia un male. Ma non saranno mai, faccio un esempio, al livello di quelli di Guy Gavriel Kay, che ha uno stile che ha un che di poetico, oltre a una profondità e una sintesi che manca nei romanzi di Sanderson: Kay in un libro dice quello che altri dicono in tre o quattro.
Sinceramente, non credo che riuscirei a lavorare in questo modo, dato che vivo la scrittura in maniera differente e la ritengo qualcosa di diverso da questo modo di fare. Non sto dicendo che è sbagliato: semplicemente non lo sento qualcosa che fa per me e pertanto non voglio farlo, piuttosto preferisco fare altro. Si tratta del mio punto di vista, ma essere più imprenditore che scrittore non è qualcosa che vedo tanto positivo, forse è dovuto al fatto che l’imprenditoria, specie quella attuale, è qualcosa che ha poco rispetto per gli altri.
Queste disamine non tolgono il fatto che apprezzi i lavori di Sanderson e al momento abbia letto tutto quello che è stato tradotto in italiano; lo stile semplice e scorrevole non inficia sulla lettura e il fatto che non sia ricercato non mi fa abbandonare questo scrittore. Le storie che sono state scritte mi sono piaciute, alcune di più, altre di meno, benché c’è da dire che non si possono paragonare serie come Folgoluce o la prima trilogia dei Mistborn ai romanzi di Skyward: sono su livelli differenti.
Tuttavia c’è una cosa che personalmente ho notato: c’è un prima Sanderson e un dopo Sanderson, ovvero un Sanderson prima di essere conosciuto dal grande pubblico e un Sandserson dopo tale riconoscimento. Un Sanderson all’inizio aveva qualcosa di diverso da quello venuto con l’essere conosciuto dal grande pubblico e questo per me ha fatto perdere qualcosa allo scrittore; la creatività c’è sempre, ma si è smarrita una parte dello scrittore. Senza fare come Martin (della serie: aspetta e spera), preferirei meno pubblicazioni ma che abbiano quel qualcosa in più che c’era nei suoi primi lavori, e magari vorrei che si sia più attenti a certi aspetti e dettagli, che si cerchi meno d’includere il più pubblico possibile (si può dire che la storia dell’inclusività ha stancato? Si rifanno le fiabe, si rivedono i miti per metterli al passo coi tempi, si mettono le mani su D&D: invece di fare ciò, si cerchi di creare qualcosa di nuovo e valido, piuttosto che rovinare qualcosa che ha avuto un suo significato).
Viste le capacità di Sanderson, personalmente parlando, non accetto che in momenti critici di una storia il/la protagonista si perda in pensieri amorosi per chi gli/le piace, non importa se si tratta di uno ya (critica rivolta a Skyward e Gli Eliminatori); non accetto che ci siano personaggi che si mettano a parlare di peti sulle sedie o bisogni fatti nelle armature (cosa ancora più imperdonabile per me se si tratta di Folgoluce). Non m’importa se bisogna arrivare ai più giovani: parlare di peti e bisogni fisiologici fa schifo (purtroppo è una cosa non solo di Sanderson e dei libri, ma anche di altri generi, come le serie anime, a esempio Dragon Ball Daima, dove Goku fa la cacca, non si lava e puzza). Poi c’è modo e modo: se si parla di ciò in determinate situazioni (il degrado di una persona malata in certe condizioni fiische o mentali) può avere un senso, ma così per far divertire, per far ridere, no: non fa divertire, non fa ridere. Ribadisco: fa schifo. E da autori con le capacità di Sanderson mi aspetto di più e di meglio. Posso apprezzare le tipologie delle sue storie (in parte, se guardo le ultime uscite), ma queste cose non le accetto.
E parlando di ultime uscite, gli ultimi due romanzi delle serie Skyward raggiungono la sufficienza, se si è generosi. Soprattutto l’ultimo di questa serie mi ha abbastanza deluso: ha quegli elementi degli ya che non apprezzo. Si può dire che il dopo Sanderson è stato per lo più con lo sguardo rivolto allo ya, cosa che il Sanderson della prima trilogia Mistborn non era. E sinceramente si rimpiange il primo Sanderson; si spera che Brandon ritorni al modo di fare dell’inizio e ritrovi quello che ultimamente ha perso: uno scrittore come lui, con l’affermazione che ha, non ha bisogno di rivolgersi allo ya per avere un seguito, ma può puntare a creare qualcosa di più di qualità.
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