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I Risultati dei Referendum del 12-13 giugno

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Il quorum per i referendum è stato raggiunto e i sì hanno vinto; una vittoria completa, schiacciante, su tutta la linea.
Se devo essere sincero avevo qualche dubbio, non tanto sulla vittoria dei sì, quanto sul raggiungimento del quorum. Gli esiti degli ultimi anni non davano prospettive ottimistiche e visto il lassismo e il menefreghismo delle persone riguardo all’esito del paese in cui si vive, non ero certo propenso ad avere una visione rosea.
Fa piacere costatare in questi casi d’essersi sbagliati, che una buona parte delle persone ha fatto la scelta di difendere i propri diritti e interessi. Un piccolo segnale di coesione, di riscoperta unità, come ho visto in un’altra occasione, anche se per la verità quella è stata una sensazione personale e non un dato di fatto come questo.
Molti sono soddisfatti, inneggiano alla vittoria, si esaltano, ma non condivido questo modo di comportarsi.
Uno perché non mi piacciono le esaltazioni.
Due perché non vedo come si riesca a essere ottimisti con lo stato delle cose in cui versiamo; si sarà vinta una battaglia, ma da lì a vincere la guerra ce ne passa. Non sono ottimista verso il continuo di questa storia, non vedo futuro, non vedo alternative.
Non con un paese di sessanta milioni di abitanti che vede più di un milione di persone che vivono esclusivamente di politica. Una politica che negli ultimi sei anni ha visto il suo costo, ovvero il denaro dello Stato speso per mantenere tali persone, aumentare del 40%. Cifre (sia numero d’individui presenti in politica, sia i costi) destinate ad aumentare.
Una classe politica che si vuol perpetuare (i motivi sono palesi: denaro e solo denaro) e che non si mette mai in discussione, allergica agli ideali come lo dimostrano le cifre citate.
Questo è un fattore molto preoccupante, ma volendo ci sarebbe ancora rimedio, invece si fa fatica a vedere una possibilità d’apertura al cambiamento. Perché quello della classe politica, anche se è fautore di molti danni, non è il problema, ma semmai la causa di un malessere più grosso: la mentalità della gente. Si vive in un conservatorismo allucinante, senza precedenti, dove la maggior parte della gente si è adattata a un sistema di stasi, d’ibernazione, come se fosse caduta volontariamente in un sonno profondo per non fare niente, inermi, ignavi e ignari di quello che sta accadendo intorno a loro.
E i pochi che s’accorgono di quanto accade e cercano di darsi da fare si ritrovano ad avere a che fare con un muro di gomma, inascoltati e incompresi, costretti a provare un senso d’isolamento, d’alienazione che avvertono verso i loro simili che vogliono restare addormentati. Uno stato d’essere che porta a un veleno psicologico davvero pericoloso per chi dotato di un minimo di sensibilità.
Di fronte a tutto questo non mi sento di cantare vittoria o vedere roseo. Avere fiducia nelle persone è una gran cosa, ma alle volte la fiducia va ricompensata. Ma forse prima sarebbe meglio riconquistarla.

La Realizzazione del Desiderio

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Mentre la luna stava per passare dietro gli alberi a occidente e così sparire dalla radura, la Verde Ceinwen aveva detto, con un tono pigro ma diverso da quello usato fino ad allora, più denso di significati: « Flidais, piccolo essere della foresta, non ti chiedi nemmeno che cosa ti accadrà se mai dovessi apprendere il nome che cerchi?»
« Che cosa, dea? » si ricordò di averle domandato, i nervi messi improvvisamente allo scoperto da questo semplice accenno al desiderio che covava da così lungo tempo.
« La tua anima non rimarrà orfana, senza scopo, se venisse quel giorno? Che cosa farai, avendo conquistato l’ultima e unica cosa che brami? Placata la tua sete, non rimarrai spogliato di ogni gioia nella vita, di ogni ragione per vivere? Prendilo in considerazione, piccolo. Pensaci.»
Poi la luna se n’era andata. E anche la dea.

E’ quanto può accadere a chiunque quando arriva a trovare realizzazione ai propri progetti, desideri. Chiunque ha provato un senso di vuoto, di desolazione al raggiungimento di qualcosa cui teneva; spesso perché ci si è caricati troppo di aspettative, alle volte perché quanto si desiderava era importante, ma non era quello che da sempre si cerca: non era il desiderio del cuore, quello che raggiunge il centro del proprio essere. E si prova tristezza nell’essere soltanto avvicinatisi a quanto si cerca da sempre: la propria natura.
Guy Gavriel Kay ne Il Sentiero della Notte (terza opera del mondo di Fionavar) è molto bravo a mostrare gli aspetti dell’esistenza (per chi volesse conoscere di più questo scrittore c’è questo interessante articolo pubblicato da Martina Frammartino); sa andare nel profondo, anche a costo di ferire.
Ma non è sempre necessario apprendere dal dolore, anche se è un grande maestro di vita; duro, severo, ma ha sempre qualche insegnamento da lasciare. Alle volte la crescita trova realizzazione in qualcosa che è come la nascita di un sole, dello sciglimento di ghiaccio.

E soltanto adesso, adesso che era accaduto, poteva tirare un respiro dopo l’altro, tutti dal sapore di gioia, e rendersi conto che si era sbagliata. Sarebbe potuto andare diversamente, lo sapeva: soddisfare il desiderio del suo cuore poteva rivelarsi una sventura, non questa luminosità trascendente nella propria vita. Ma non era stato così: il suo sogno era divenuto realtà, i mondi separati erano divenuti uno intero, e assieme alla gioia Flidais degli andain aveva conosciuto finalmente la pace.

Invictus

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Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei qualunque essi siano
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

Invictus, William Ernest Henley

Questa poesia ha acquisito maggiore popolarità grazie al film Invictus – L’invincibile di Clint Eastwood. Un film che narra la storia di Nelson Mandela, dalla sua liberazione alla vittoria ai mondiali di rugby in Sudafrica della propria nazionale.
Certo, la storia raccontata nella pellicola può essere edulcorata rispetto a quanto realmente accaduto, ma il suo spirito è quello di far cogliere un messaggio importante, che tutti gli uomini dovrebbero ricordare: l’unità rende forti, la divisione indebolisce.
Ma per unità non s’intende aderire meccanicamente o obbligatoriamente (nel senso che si è obbligati) a un’idea, a uno stare tutti dalla stessa parte, perché altrimenti non si fa altro che seguire la linea dei regimi, dove importa solo obbedire, senza capire quello che si sta facendo. Perché si raggiunga un’unità che renda le cose migliori per tutti occorre essere consapevoli della strada da intraprendere, occorre comprendere che gli odi, i pregiudizi e tutti quei pesi inutili che causano sofferenze e limitatezze vanno lasciati indietro perché qualcosa di nuovo possa essere creato.
Occorre che ognuno faccia la sua parte, sia responsabile della parte di mondo con cui entra in contatto, perché gli uomini sono specchi, facce della stessa essenza, abitanti dello stesso mondo. Non occorre essere eroi per cambiare il sistema, ma essere saldi nelle proprie convinzioni, anche se questo può costare fatica, sacrifici, rendere soli e abbandonati dagli altri. Le grandi persone conosciute dalla storia e dalle moltitudini non hanno fatto altro che non mollare, continuare per una strada che ritenevano giusta, che solo loro riuscivano a volere. Certo, con il tempo l’idealizzazione ha accresciuto la dimensione di tali figure, ma la loro grandezza è centrata su un’unica cosa: l’essere consapevoli che nessuno può togliere la capacità di scegliere.

Diritto di Voto

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Domenica 12 e lunedì 13 ci saranno le votazioni per i referendum sul nucleare, la privatizzazione dell’acqua e il legittimo impedimento.
Questo post non è per dare una linea guida su come votare, c’è già chi lo fa e ognuno è libero di scegliere come meglio preferisce. Ma vuole ribadire l’importanza del diritto al voto.
Perché il voto è esprimere il proprio parere, essere responsabili della costruzione della società in cui si vive, dare un contributo. E’ sotto gli occhi di tutti come ci sia un calo costante nell’affluenza ad andare a votare; molta gente ritiene che sia una perdita di tempo, che non serva a cambiare le cose. Questo si realizza se tutti la pensano allo stesso modo.
Ma qualsiasi cosa la si ottiene dandosi da fare, facendo ognuno la propria parte; è responsabilità di ciascuno che vive nella società renderla migliore. Perché se nessuno fa niente, non ci si deve poi lamentare se le cose non funzionano.
Per questo ha tanto importanza il voto, perché è una scelta.
E la scelta è quanto di più importante ha l’uomo, ciò che lo caratterizza e lo distingue: non sono la ricchezza, la bellezza o il potere che rende l’individuo migliore, ma come decide di agire in certe situazioni.
Perché se ci si pensa l’essere umano non possiede niente, né la terra, che può utilizzare fino a quando vive su di essa, né i beni materiali, nemmeno il corpo che gli è dato, poiché non ha modo di sceglierlo; tutti elementi che con la morte dovrà lasciare.
L’unica cosa su cui ha controllo è decidere come vivere la propria esistenza e ciò è caratterizzato dalle scelte che si compiono.
E’ stato permesso che ci fosse tolto tanto, perché senza accondiscendenza non si potrebbe essere verificato: diritti civili, diritti sul lavoro. Ora politici e cariche istituzionali vogliono convincere a lasciare andare anche il diritto di scegliere: non permettiamolo, perché è l’unica cosa che abbiamo veramente e che ci rimane.
Non lasciamo che ce la portino via.

Un modo di vivere

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Togliendosi l’elmo, Bottle si asciugò il sudore dalla fronte e si girò verso l’Odhan, a sud. Un tempo, chissà, fertile, ma ora ridotta a una landa desolata. Meritava che si combattesse per esso? No, ma ben poco lo meritava. Il soldato al tuo fianco, forse; gli era stato detto abbastanza volte dai vecchi veterani cui non era rimasto niente tranne quella dubbia compagnia. Legami del genere potevano solo nascere dalla disperazione, un rattrappirsi dello spirito in una zona controllabile ma misera, che racchiudeva le sole cose e persone di cui ci si poteva interessare. Per il resto, pura indifferenza, che sfociava a volte in malignità.
Per gli dei, che cosa ci faccio qui?
Inciampare in una vita per caso non sembrava un modo degno di vivere. A parte Cuttle e il sergente, lo squadrone era composto di uomini non diversi da Bottle. Giovani, ansiosi di trovare un posto dove non si sentissero soli e isolati, o che si riempivano di spavalderia per mascherare il fragile sé nascosto dietro. Ma era tutt’altro che sorprendente. La gioventù si buttava a capofitto nelle cose, anche quando sembrava statica, stagnante e soffocante. Amava le emozioni estreme, condite con spezie infuocate, tanto da bruciare la gola e accendere il cuore. Il futuro non veniva invaso di proposito; era semplicemente il luogo in cui ci si ritrovava, stanchi, malconci, chiedendosi come, in nome di Hood, si era finiti lì. Egli lo vedeva chiaramente.

I Cacciatori di Ossa (prima parte) – Steven Erikson

Il fantastico, il fantasy, come già altre volte ho detto, può essere un modo per mostrare aspetti del reale, per dare comprensione dell’esistenza e dell’umanità, non solo un genere letterario d’intrattenimento, d’evasione.
Steven Erikson ha uno sguardo penetrante sulla realtà, riuscendo a cogliere sfumature profonde. In un breve brano è riuscito a rivelare come spesso i rapporti umani nascono a causa della disperazione, dell’isolamento, un costruire legami per non sentirsi soli, emarginati, un cercare un posto nel mondo e nella vita quando non si riesce a trovare una propria indentità, una strada da seguire. Come di frequente si vede fare in questa società dalle persone, specie tra i giovani (della gioventù ne parla anche Val in questo articolo) ma non solo, con un’apparenza di sicurezza che però nasconde una fragilità e un vuoto che si cerca di non ammettere.
Non è tutto oro quello che luccica e le cose sono più profonde e complesse di quanto si può credere.

Il Piacere delle Piccole Cose

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In una società sempre di corsa, protesa verso chimere e illusioni, artefatti e proclami di orizzonti grandiosi, cime da conquistare per distinguersi e dimostrare il proprio valore sugli altri, si è perso di vista la vera dimensione della vita.
Una vita che ha i suoi ritmi, dove a qualsiasi cosa viene dato il giusto tempo per giungere a maturazione.
La calma, la pazienza, il saper attendere non è tempo sprecato come può essere visto da un sistema che spinge a correre, a consumare e bruciare in fretta qualsiasi cosa si incontri, per essere protesi sempre verso qualcosa di nuovo.
Ma facendo in questa maniera oltre a perdere aspetti importanti dell’esistenza, non si acquisisce saldezza e stabilità, non si creano fondamenta solide interiori, si è sempre come foglie portate dal vento, in balia di fattori esterni che condizionano e allontanano dal centro dell’essere e della volontà.
Eppure basterebbe poco per ritrovare quella dimensione capace di far gustare l’esistenza e vivere meglio, con più soddisfazione, senza avvertire sempre quell’affanno e insoddisfazione che fanno essere tanti scontenti: occorre semplicemente rallentare il ritmo, uscire dalla corrente tortuosa.
Una passeggiata in mezzo alla natura, lontano da strade e traffico, ascoltando il verso delle cinciallegre e lo sguazzare dei germani nell’acqua, osservando il volo degli insetti, guardando le lucertole ferme sui sassi a prendere il sole.
Starsene all’ombra di un albero leggendo un libro, accarezzati dalla brezza e dal profumo dei fiori, sollevando ogni tanto lo sguardo per vedere un falco volare o un paio di cerbiatti attraversare il campo.
Stare seduti ascoltando lo sfrigolio della carne che cuoce lenta sulle braci del barbecue oppure osservando la legna che brucia nel forno per essere pronto a cuocere il pane fatto in casa. E quando lo si sforna inebriarsi dell’aroma fragrante della crosta croccante, delle volute calde che si sollevano dalla mollica quando la pagnotta viene spezzata.
Piccoli frammenti di vita che non possono essere in alcun modo comprati, solo vissuti, capaci di riempire di un sottile senso di piacere e soddisfazione, ma soprattutto di pace.

L'Epoca dell'Apparire e del Senza Merito

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Vi è ovunque nella Civiltà Occidentale la paradossale popolarità di chi non ha successo affatto. È un fenomeno curioso. Fino a qualche anno fa, popolarità e successo erano sinonimi: solo, tra i significati della parola «successo» prevaleva quello di «riuscita in una qualche impresa»; e dunque il favore del pubblico veniva automaticamente inteso come il premio a chi avesse conseguito qualche risultato significativo. Oggi ciò occorre sempre meno: la popolarità ha cominciato ad autoalimentarsi. È popolare chi è popolare, indipendentemente dai motivi per cui lo è, e ai quali si attribuisce sempre minore importanza.
Non penso che occorra cercare la causa di ciò in un influsso esercitato sulla Civiltà Occidentale dall’industria dello spettacolo, nella quale il bisogno di volti nuovi obbliga spesso i produttori a non andare tanto per il sottile nel fabbricare le star. Non è per show business che l’accademia svedese ha attribuito il premio Nobel per la Pace al presidente Obama, senza che costui abbia fatto nulla per meritarlo. Penso invece, ancora una volta, che una causa non ci sia affatto, cioè che ce ne siano moltissime e che nessuna conti, e che questa trasformazione delle dinamiche della popolarità sia stata plasmata da un preciso scopo collettivo: evitare (follemente, disastrosamente, proprio come lo farebbe un aspirante suicida) che il successo di chi fa cose davvero significative smuova le popolazioni della Civiltà Occidentale dallo stato di torpore in cui, per la seconda volta in cent’anni, hanno deciso di rimanere.

Questo scrive Igor Sibaldi nel Libro delle Epoche, tracciando un quadro del periodo nel quale si sta vivendo. Un punto di vista azzeccato, a cui i fatti danno riscontro: la classe politica che governa, cantanti, scrittori, persone di spettacolo che diventano famosi senza avere le caratteristiche di questo mestiere, senza avere spesssore. Personaggi ritenuti validi non per quello che fanno, ma in base a un consenso che è basato sul nulla, su qualcosa che non ha senso ed è solo apparenza.
L’Epoca dell’Apparire e del Senza Merito.

Eroi

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“Arrivai finalmente alla conclusione che forse aveva ragione lui: forse gli eroi non esistono.
Forse esistono solo persone come il mio papà.
E finalmente capii perché loro si sentivano tanto a disagio a essere chiamati eroi: gli eroi sono una cosa che creiamo noi, una cosa di cui abbiamo bisogno.
E’ un modo per capire ciò che è quasi incomprensibile, come alcune persone possano sacrificarsi tanto per noi. Ma se mio padre e i suoi amici corsero quei rischi e sopportarono quelle ferite, lo fecero unicamente per i loro compagni; avranno anche combattuto per la patria, certo, ma morirono per i loro amici, per l’uomo davanti a loro, per quello al loro fianco. E se vogliamo onorare veramente questi uomini, dovremmo ricordarli com’erano realmente, così come li ricordava mio padre.”

Flags of our Fathers, di Clint Eastwood

La gente ha bisogno di credere che esistono persone capaci di cambiare il destino, di modificare lo stato delle cose: individui capaci di elevarsi al di sopra della massa, di compiere grandi cose, d’essere d’esempio, pronti a intervenire e risolvere le situazioni difficili.
Questa è l’idealizzazione, un proiettare all’esterno una parte di sé che non si riesce, o si vuole vedere, perché intimoriti dal riconoscere che già si possiede qualcosa di grande e magnifico, senza doverlo ricercare all’esterno. Ma la mancanza di fiducia, la pigrizia, l’inerzia possono atrofizzare questo meccanismo e far perdere qualcosa di bello, caricando altre persone di pesi e fardelli che sono gravosi, perché non esistono eroi, ma tutti possono esserlo: perché gli eroi sono persone come chiunque altro.