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Lo scrittore è ciò che scrive?

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J.R.R. Tolkien è stato uno scrittore che ha messo molto di sé nelle proprie opere.Lo scrittore è ciò che scrive?
Ovvero, i libri sono specchio di chi scrive? Se si tratta di un’opera autobiografica, sicuramente. Se si tratta di saggistica, lo scrittore mette una parte delle conoscenze che ha, ma non viene mostrato nulla del suo carattere, delle sue preferenze, antiatie, simpatie.
E per quanto riguarda la narrativa?
Dipende, anche se spesso un autore finisce per mettere una parte di sé in quello che scrive. Può essere un’esperienza, dei pensieri, un credo, alle volte finisce per riconoscersi anche con un personaggio. Uno degli esempi più immediati è quello di J.R.R. Tolkien, che mise molto di sé nelle sue opere; l’amore di Beren e Luthien è praticamente specchio dell’amore tra Tolkien e la moglie, l’amore per i cavalli che provava lo scrittore si vede nei Rohirrim. E poi ci sono gli orrori della guerra che sono quelli che lui ha vissuto nella Prima Guerra Mondiale, dove molto si sente della perdita degli amici; l’amore per la natura, i moniti per l’industrializzazione che avrebbe portato danni al mondo. Naturalmente, Tolkien è molto di più dei suoi scritti, però non si può non notare quanto di lui sia stato messo nelle proprie opere.
Altro esempio può essere quello di Stephen King, che nelle sue opere ha messo molti dei suoi incubi, delle sue esperienze, al punto che nella serie della Torre Nera lo scrittore americano ha voluto mettere il grave incidente che gli è quasi costata la vita nel 1999. Logicamente la cosa è stata romanzata e non c’è stato nessun incontro con i personaggi da lui creati (se non nella sua immaginazione), tuttavia non si può non notare quanto del reale è entrato nell’immaginario e quanta influenza ha avuto sui suoi scritti.
Tuttavia, non è così automatico che le opere siano specchio dell’autore: chi scrive di serial killer, di omicidi, non sta certo scrivendo di fatti che ha vissuto. A tanti può essere successo di fantasticare sulla dipartita di un capo dispotico e magari l’hanno pure messo su carta, ma questo non sta a significare che l’hanno fatto poi davvero nella realtà.
Battute a parte, alle volte succede che un autore scriva qualcosa di diverso da quello che sente, da quello che è; per esempio un autore può creare un personaggio che è in netto contrasto con la propria persona (esempio: Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes) oppure realizzare una figura che rappresenti quello che lui avrebbe voluto essere o che avrebbe voluto essere in una determinata occasione. Ci sono autori che mettono su carta storie oscure, fatte di personaggi non proprio positivi magari per esorcizzare lati di sé che temono (e qua viene da dire che è meglio mettere su carta violenza e omicidi che attuarla nella realtà), altri che cercano di mettere in mostra la parte migliore dell’uomo magari perché non sono riusciti a farlo nella realtà.
Sia chiaro: queste sono solo supposizioni, ipotesi. Solo gli autori che parlano direttamente di quello che scrivono, di cosa li ha ispirati, cosa hanno voluto mostrare, possono dare risposta a queste cose.
Questo però porta a un caso che ha fatto molto discutere e che è stato spinoso, ovvero quello di Marion Zimmer Bradley. In molti avranno sentito parlare della sua opera più famosa, Le Nebbie di Avalon, vuoi per averla letta, vuoi per aver visto la serie tv, vuoi perché è divenuto simbolo per aver dato risalto alla figura femminile, non più relegato a figura di secondo piano, ma protagonista, artefice del proprio destino. La Bradley fu vista per anni come una figura positiva, specie per come mostrava la donna nei suoi romanzi, almeno fino a quando, quindici anni dopo la sua morte, la figlia rivelò una realtà spiazzante: gli abusi sessuali subiti dalla madre. E lei non fu la sua unica vittima.

“Dopo il divorzio dal primo marito, la scrittrice si risposa dopo nemmeno un mese con Walter Breen, un numismatico, da cui successivamente ha due figli. Breen ha già condanne di piccola portata per molestie su minori nel momento in cui si sposano. Nel 1989, Breen è accusato, da parte della figlia Moira, di molestie sessuali nei confronti del figlio di una collega della Bradley, una organizzatrice di convention di fantascienza, che per un periodo era residente a casa dei Breen.
Grazie alla denuncia di Moira, Breen è arrestato e processato, in quanto non solo deve rispondere del recente capo d’accusa, ma anche di altri ventidue casi di abuso sessuale testimoniati sempre dalla figlia. Il Processo si trascina per alcuni anni, finchè nel 1991 Breen è condannato a dieci anni di carcere, dove però muore poco dopo, nel 1993. All’epoca dei fatti, durante gli interrogatori, la Bradley dichiara di essere al corrente delle attività del marito, contribuendo addirittura a coprirlo. Nonostante ciò, la scrittrice non subisce nessuna condanna. Perciò, quando 15 anni dopo la morte di sua madre, Moira rivela in un blog le atrocità subite, esse sono meramente una conferma di una situazione già in parte nota.

“Era molto peggio.
La prima volta che lei mi ha molestato avevo tre anni. L’ultima ne avevo dodici ed ero in grado di scappare.
Ho mandato in prigione Walter per aver molestato un ragazzo. Avevo cercato di intervenire già quando avevo tredici anni, dicendo tutto a mia madre e a Lisa (Elisabeth Waters – compagna della Zimmer, ndr.), ma loro si limitarono a farlo trasferire nel suo appartamento.
Ho dovuto spesso dormire da amici sin da quando avevo dieci anni, a causa del costante flusso di persone fuori controllo per la droga che andavano e venivano e delle orge che si tenevano nella nostra “casa”.
Non sono novità.
Walter era uno stupratore seriale, aveva fatto molte, molte vittime (alla polizia ne ho elencate ventidue). Ma Marion era di gran lunga peggiore. Era crudele e violenta, sessualmente del tutto fuori di testa.
Non sono la sua unica vittima e le sue vittime non erano solo bambine.
Vorrei poter avere notizie migliori.”
Dopo queste affermazioni, si sono tutti domandati per quale motivo Moira parlasse di quanto accaduto solamente dopo quindici anni dalla morte di Marion Zimmer Bradley. Sulla questione, la Greyland risponde tramite il The Guardian:

“Perché ho pensato che i fan di mia madre si sarebbero arrabbiati con me per aver detto qualcosa contro una persona che si era battuta per i diritti delle donne e che aveva portato molti di loro a percepire in modo diverso se stessi e la propria vita. Io non volevo ferire nessuno di coloro che aveva aiutato, così ho tenuto la bocca chiusa.”

Successivamente Moira, con altre lunghe lettere, descrive nel dettaglio anche la violenza psicologica subita. Entrambi i genitori hanno delle idee sul gender e sull’orientamento sessuale molto specifiche: tutte le persone sono omosessuali e cercano di nasconderlo per entrare nel costrutto sociale eterosessuale. Inoltre, sono inorriditi dalla femminilità della figlia.
Per anni, la forzano a farle credere di essere omosessuale e un maschio intrappolato nel corpo di una femmina. La figlia è, per la coppia, una sorta di esperimento sociale.
Qualche tempo dopo, anche il fratello Mark, conferma la versione della sorella, confessando di essere anche lui vittima di abusi sessuali dei genitori. (1)

Questi fatti hanno cambiato molto del modo in cui la scrittrice veniva vista; c’è chi l’ha rigettata (domanda personale: forse è per questo che nelle bancarelle dell’usato vedevo tante opere di questa scrittrice?), chi non sapeva come gestire la cosa, chi teneva separata la Bradley scrittrice dalla Bradley persona. Certo, fa molto pensare come una persona che abbia scritto libri come Le Nebbie di Avalon nella realtà abbia compiuto simili crimini. Forse lo scrivere è stato per lei un ricercare la parte più luminosa di sé che nella vita non aveva usato? Forse era stato una forma di riscatto? Forse un modo per coprire quello che aveva fatto, dando un’immagine di sé differente? Forse nei suoi libri metteva l’alter ego che avrebbe voluto essere?
Non ci sono risposte a queste domande, ci sono solo i fatti e i fatti sono che ha scritto bei libri ma ha anche commesso crimini non da poco, alcuni dei quali realizzati su dei bambini, il che rende la cosa ancora più grave. Sta a ognuno dare un giudizio e decidere se leggere o meno i suoi libri sapendo quello che ha fatto. Le Nebbie di Avalon (è del 1983) l’ho letto prima che si sapesse dei suoi reati; ho altri suoi libri che non ho ancora letto: forse li leggerò, forse no, dipenderà dal momento e se li troverò validi. Simili scelte le ho fatte con altri autori, come a esempio con Silvana De Mari: nonostante fossi critico per sue scelte e affermazioni, e non le condividessi per nulla, ho trovato validi dei suoi libri (L’ultimo elfo) (c’è però da dire che la De Mari non ha mai fatto di lontanamente paragonabile a quanto commesso dalla Bradley).
Come riportato dall’articolo linkato alla fine del post, non è facile trovare una risoluzione: “Una delle domande poste dal giornale è infatti se vi è il rischio di rigettare i valori promossi nelle opere rigettando la figura stessa che le ha create, oppure se si riesca a separare la figura da ciò che ha promulgato. Il giornale lascia aperta la domanda, ma rimarca che la sua linea di pensiero: “Sostenere questi autori manda un tacito messaggio che quello che stanno facendo vada bene.”
Forse non c’è una risposta a questa domanda, come forse non c’è una risposta alla domanda se lo scrittore è ciò che scrive. Forse perché non esiste un’unica risposta, ma ogni individuo deve trovare quella che è più giusta per il proprio essere.

1. https://site.unibo.it/canadausa/it/articoli/il-lato-oscuro-degli-artisti-marion-zimmer-bradley-e-le-nebbie-di-avalon

2 comments to Lo scrittore è ciò che scrive?

  • Chi scrive deve conoscere l’argomento di cui sta parlando, avendolo vissuto o essendosi documentato. Deve conoscere o saper immaginare le emozioni. È possibile? Certamente sì, altrimenti avrebbero ragione gli estremisti per cui tu non puoi parlare di un nativo americano se non sei un nativo americano, eccetera.
    Per il caso della Bradley, visto che si metteva a fare prediche proprio su questioni di sessualità, genere e via dicendo, proprio là dove razzolava così male, mi sento di dire che sia legittimo buttare nel cestino l’autrice assieme all’opera.
    Generalmente parlando, però, ritengo che chi scrive, forse proprio perché scrive, possa facilmente cadere in peccatucci e peccati anche gravi, pertanto si dovrebbe separare la vita e l’opera. Molti capolavori sono stati scritti da persone con seri difetti.

    • Una certa conoscenza serve di sicuro, vuoi per esperienza diretta o per documentazione, perché una certa credibilità è necessaria, anche se si scrive di cose inventate.
      Gli scrittori, essendo esseri umani, hanno dei difetti: Jack London non aveva un gran senso degli affari e si era dato all’alcol, Ernest Hemingway ha sofferto fortemente di depressione. La Bradley è un caso spinoso molto pesante: qui si è andato l’oltre avere dei problemi, qui si è finiti nel reato. Non ho messo via i suoi libri, ma sapere quello che ha fatto mi ha bloccato dal leggerli.

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