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Pubblicare per uno scrittore: lo stato delle cose oggigiorno.

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Arrivare a pubblicare una propria opera non è mai stata cosa facile. Una volta le difficoltà per uno scrittore erano maggiori, dato che si avevano a disposizione meno mezzi: si scriveva a mano o con la macchina da scrivere, non si aveva internet per ricercare le case editrici cui inviare il proprio lavoro, occorreva spedire tutto per posta, con i relativi costi a essa legata.
Con l’avvento della tecnologia, i mezzi a propria disposizione sono aumentati rendendo tutto più veloce. Con internet si possono fare ricerche mirate e vedere se la casa editrice cui si vuole inviare il manoscritto pubblica nel proprio catalogo opere dello stesso tipo che si è realizzato. Presentazioni, sinossi, manoscritti si possono inviare per mail, velocizzando tutto il processo e abbattendo praticamente tutti i costi (non ci sono più le spese di spedizione postale e nemmeno il consumo di carta e inchiostro per lettere e manoscritti). Anche la realizzazione dell’opera ha trovato nei programmi di scrittura come Word un alleato per essere più veloci: quando si fanno correzioni e modifiche non occorre più riscrivere interi paragrafi come succedeva quando si usava la macchina da scrivere. Va fatto notare che per sicurezza è sempre meglio effettuare copie dei propri lavori e non avere un solo file, come è consigliato stampare sempre quello che si fa nel caso avvenisse una perdita di dati (o una rottura del dispositivo dove sono immagazzinati i propri lavori).
La tecnologia sotto questo aspetto ha dato una mano a chi vuole scrivere e vuole arrivare alla pubblicazione. Ma questo non significa automaticamente che ha maggiori possibilità di arrivare a essere uno scrittore edito, anche se in apparenza si hanno maggiori possibilità di scelta.
Arrivati a questo punto occorre fare una premessa su cosa s’intende essere uno scrittore: se essere uno che può dire di avere il proprio nome su una copertina e farlo vedere in una qualsivoglia vetrina, oppure essere una persona che fa dei propri scritti un modo per ottenere un guadagno capace di sostenerlo in maniera non indifferente.
Nel primo caso, qualsiasi scelta può andare bene, basta essere consapevoli di quello con cui si ha a che fare.
Nel secondo, occorre fare le dovute precisazioni.
In primis, l’editoria a pagamento non è da prendere in considerazione: serve solo a spendere dei soldi, senza avere alcun ritorno (è già tanto se con le vendite dei libri si riesce a recuperare quanto investito).
Com’è naturale, c’è poi l’editoria tradizionale. Riuscire ad arrivare a un contratto con una casa editrice è un percorso lungo, complicato e anche se si ha una buona opera da proporre, non è detto che questo basti per essere scelti. Tanto dipende dal momento, dal genere che va per la maggiore: va ricordato che le case editrici sono imprese e selezionano prodotti in base al mercato del momento. Il fatto che attualmente ci sia la crisi e ci sia stata una saturazione del mercato, non fa certo aumentare le possibilità di arrivare ad avere un contratto di pubblicazione. Se poi si aggiunge l’elevato numero di persone che scrivono un’opera, al punto che manca poco che in Italia ci sia più chi scrive che chi legge, non rende certo facile trovare sbocchi.

Sbocchi che si sono ulteriormente limitati a causa delle scelte sbagliate dell’editoria: basti pensare al genere fantasy, dove per seguire la moda dei baby scrittori e del paranormal romance, si sono inondate le librerie con prodotti mediocri, al punto che i lettori ritengono che il genere sia questa roba e se ne allontanano delusi. Scelte editoriali che hanno bruciato un settore e per cui ora ci si trova ad avere ben poco spazio (se non nullo) a chi vuole esordire e non ha agganci con questo mondo. Purtroppo nel nostro paese non si sa fare imprenditoria, non si vuole investire in ricerca di nuovi volti, non si ha il coraggio di cercare strade diverse da quelle già battute, non si vuole realmente conoscere un genere ma ci si affida solamente a quello che vende di più in altri lidi sperando che basti a sopravvivere; ma se non si sa innovare, pensando sempre solamente a come tagliare le spese, non ci si deve meravigliare di un mercato sempre in calo e che per questo dà sempre meno spazio a nuovi volti.
Di fronte a tale realtà, per chi vuole pubblicare i propri lavori rimane la via dell’autopubblicazione. Lulu, ilmiolibro.it, Simplicissimus, Amazon, danno la possibilità di proporre le proprie opere senza dover aver a che fare con un editore, superando quel filtro che li ha bloccati, impedendogli di farli conoscere. Con poche mosse è possibile avere il proprio lavoro in formato e-book e in brevissimo tempo vederlo messo in vendita su uno store online; questa scelta ha di positivo che si eliminano i problemi di disponibilità e distribuzione, dato che l’e-book è riproducibile in modo illimitato e lo si ha subito a disposizione grazie a un collegamento a internet e a un sistema di pagamento online, senza doversi recare in libreria a comprare il volume cartaceo o attendere l’arrivo in caso di ordine. (si sono già visti i pro e i contro tra cartaceo e digitale in questo articolo).
Visto il successo di alcuni scrittori con l’autopubblicazione (E.L.James con le Cinquanta sfumature, Hugh Howey con Wool) facendoli arrivare poi a grandi editori, tanti pensano che questa sia la strada per il successo, dove possono sfondare, trovando quel riscatto in un sistema che considerano veramente democratico e libero.
Ma non tutto quello che luccica è oro. La prima cosa che salta all’occhio in questo sistena è come fare a emergere e far notare il proprio lavoro in un mare di opere che sommerge gli store, investendo il lettore con una scelta immensa: come fa quest’ultimo a sapere che l’opera che sta valutando è valida?
Si affida a recensioni esistenti sul prodotto di chi l’ha letto.
Ma se chi l’ha letto non l’ha recensito?
Questa è una cosa che accade spesso ed è una realtà che se non si parla di un libro questo è invisibile, è come se non esistesse.
Ma se si riescono a trovare delle recensioni, come si fa a capire che sono attendibili e non sono invece dei falsi atti a valorizzare oltre il dovuto il prodotto, come è successo nel caso di Todd Rutheford (ma non certo il primo: recensioni opinabili o di parte ci sono da anni su riviste e quotidiani)?

Nell’autunno del 2010 Rutherford lanciò un sito web, GettingBookReviews.com. All’inizio proponeva la recensione di un libro per 99 dollari. Ma alcuni clienti volevano un coro a cantare la loro eccellenza. Così, per 499 dollari, Rutherford forniva 20 recensioni online. E c’erano pure quelli che avevano bisogno di un’intera orchestra. Per 999 dollari ne forniva 50. […] Le recensioni dei clienti contano molto perché, a differenza della pubblicità vecchio stile e del marketing, offrono l’illusione della verità. Pretendono di essere testimonianze di persone reali, anche quando vengono comprate e vendute proprio come ogni altra cosa sull’internet commerciale. (1)

Un caso che mostra come ci siano individui che dietro pagamento realizzano recensioni a hoc per fare pubblicità positiva all’opera e con che mondo si ha a che fare. Si è di fronte a una truffa, certo, ma quanti hanno i mezzi per smascherarla? Davvero in pochi: una realtà triste, ma è con essa che si deve fare i conti e con il quale confrontarsi.
Allo scrittore che si autopubblica non resta però che contare sul passaparola, sperando come già detto che ci sia qualcuno che parli del suo libro. Perché questo avvenga, l’autore deve autopromuoversi, farsi conoscere in rete: questo significa avere un sito o blog personale, essere presente sui social network come facebook e twitter e social reading come Goodreads e Anobii, iscriversi a forum che trattano il genere cui appartiene la propria opera per presentarlo, anche se questo può farlo risultare invadente. In certi casi, se lo scrittore non vuole occuparsi di questo aspetto, demanda ad altri il compito di promozione; è così che si vanno a creare nuove figure specializzate in ruoli che un tempo erano prerogativa dell’editoria. In questo modo lo scrittore non è più solo scrittore, ma editore di se stesso, scegliendo lui la strategia da usare e i collaboratori d’avere al fianco, creando una struttura editoriale privata (editor per il testo, grafico per la copertina, addetto al marketing, ecc).
Non meno importante della strategia è la scelta dello store su cui pubblicare il proprio lavoro: occorre valutare le condizioni che vengono poste e la ramificazione della distribuzione. Va considerato che essendo store e non editori, la tutela del copyright è a carico dell’autore, è lui che si deve muovere per premunirsi da eventuali plagi, cosa che con l’editoria tradizionale invece non era necessaria. Da quanto si legge in rete (per farsi un’idea c’è questo articolo), ilmiolibro.it non riceve giudizi positivi, mentre le cose migliorano con Lulu; buoni i giudizi anche su Simplicissimus, benché le royalty che concede all’autore (60%) sono inferiori a quelle di Amazon (80%), anche se permette di distribuire l’opera su più lidi, a differenza di Amazon che limita la distribuzione solo presso di lei. Senza contare che se si pubblica con Amazon si ha l’e-book realizzato come file mobi, leggibile solamente con il dispositivo Kindle e apparecchi che interagiscono con l’ecosistema Amazon Kindle: un modo di fare quello di Amazon che vuole legare a sé il lettore, costringendolo ad adeguarsi alle sue scelte.
Nonostante ciò, molti scelgono Amazon perché lo vedono come la migliore opportunità a disposizione, ma occorre soffermarsi a riflettere sul modo di fare di questa impresa; può essere vista come una questione etica, ma osservando con calma si può vedere che ci sono dei pericoli nella strategia di Amazon di cui ci si può rendere collaboratori inconsapevolmente, un modo di agire mirato a farlo divenire unico distributore, eliminando la concorrenza. E si sa che quando si è gli unici su un mercato, si può dettare qualsiasi condizione perché non ci sono alternative; una sorta di distopia alla 1984, se si vuole.
Amazon non è quel paradiso che si crede. Certo, per i clienti pare essere la soluzione migliore per gli acquisti, dato che vengono coccolati e viziati con prezzi che sono molto più bassi di altre parti, al punto che ci si domanda se non ci rimette. Ma tutto questo fa parte della strategia dell’impresa: Amazon impone condizioni pesanti a tutti i suoi partner. Lo sconto totale «concesso» ad Amazon da un editore come Random House si aggira intorno al 53 %, mentre per i piccoli editori arriva sino al 6o%, anzi, «poiché Amazon gestisce il suo inventario così bene, compra spesso i libri dai piccoli editori, con l’accordo che non li manderà in resa, con uno sconto ancora più alto». Forse i numeri forniti rimangono aridi e non impressionano, si potrà allora ricordare che Jeff Bezos consigliò al suo manager Lyn Blake di avvicinare i piccoli editori come fa un ghepardo all’inseguimento di una gazzella malata: di lì nacque il «Progetto Gazzella». (2)
L’aliquota IVA di Amazon è al 3%« per i clienti in paesi dell’uE e dei Kindle Stores dell’UE». Ad oggi lo scrittore che pubblichi in digitale con un editore italiano tradizionale o anche con un sistema di autopubblicazione basato fiscalmente in Italia, viene penalizzato di un 19% di IVA rispetto all’autore che scelga KDP (Kindle Direct Publishing). A questo libro che stai leggendo in ebook, caro Lettore, viene applicata l’IVA al 12 %, mentre su quelli di un autore che pubblica direttamente con KDP è al 3%. Amazon ha sede legale in Lussemburgo, per i noti vantaggi fiscali, e tra essi vi è anche quell’IVA agevolata (3). A seguito di ciò c’è stata una puntata di Report del 16 dicembre 2012 dedicata proprio all’evasione fiscale di Amazon in Italia.

Giovanna Boursier, autrice per la trasmissione Report di un’inchiesta su Amazon, ricorda che l’IVA sui libri di carta «assolta all’origine dall’editore, in Italia è al 4 %, perché sono prodotti culturali e l’Europa ne premia la diffusione. Invece l’IVA sugli ebook è al 21% [dall’ottobre 1013 alzata al zz% in Italia], perché l’Europa li considera servizi per i quali prevede l’aliquota massima». (4)

Proprio l’applicazione dell’IVA lussemburghese fa propendere l’autore a scegliere Amazon come proprio store, dato che permette un maggior guadagno anche se si vende il prodotto nel mercato italiano.
Con queste premesse, sia l’autore sia il cliente sono soddisfatti: un maggior guadagno, maggiore velocità, taglio di ogni intermediario (libreria ed editoria). Una disintermediazione che sembra fautrice di libertà e democrazia, ma che invece dimostra come Amazon voglia divenire il supermediatore che concentra in sé tutti i ruoli tradizionali, assurgendo a fornitore unico. Una cosa cui occorre fare molta attenzione.

Il Cliente soddisfatto è infatti l’alibi ideale per ogni forsennata ricerca di profitto e ogni pesante condizione lavorativa di Amazon: si trattano i piccoli editori come il leopardo fa con la gazzella malata? È necessario per deliziare il Cliente con il prezzo più basso. Si combatte la sindacalizzazione dei propri dipendenti? È inevitabile, il Lavoratore che fa entrare un altro soggetto, il sindacato, nel rapporto tra Amazon e il Cliente dimostra una mancanza di affetto per quest’ultimo, si rivela non abbastanza customercentric. Con una battuta amara potremmo dire che l’azienda crea il deserto intorno a sé e ai suoi guadagni e lo chiama «cura del cliente».
Nello specifico campo editoriale Amazon punta a diventare il supremo mediatore con numerose iniziative. Non solo favorisce l’autopubblicazione con il suo programma KDP, ma si propone anche come editore «puro» (Amazon Publishing, con vari sottomarchi come Thomas & Mercer per i gialli e dintorni, Montlake Romance per la narrativa rosa ecc.) e quindi lancia programmi in settori molto diversi, dai Kindle Singles dedicati ai reportage e altri testi «troppo lunghi per un giornale e troppo corti per un libro», a jet City Comics per fumetti e graphic novel derivati da famosi romanzi di genere, a Kindle Worlds per la fan fiction a pagamento. Infine con Goodreads ha acquistato un gigantesco «circolo di lettura» online e con il programma Prime pare muovere i primi passi verso un servizio di biblioteca digitale in abbonamento che ricorda lo streaming di Spotify per la musica.
Amazon viene a costituire un sistema editoriale integrato verticalmente (editore, distributore, stampatore, venditore, circolo di lettura, biblioteca a pagamento), volto in modo esclusivo a compiacere la clientela, divisa in varie nicchie di lettura: per l’appassionato di thriller e gialli, per l’entusiasta della fantascienza e fantasy, per l’amante della narrativa rosa Amazon ha il prodotto giusto; solo per il cultore di quella che in lingua inglese chiamano literary fiction e noi potremmo
chiamare «narrativa letteraria» sembra rimanere molto indietro (con il marchio specializzato Little A).
Jonathan Franzen in «What’s wrong with the modern world» [«Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno»], articolo comparso sul Guardian il 13 settembre 2013, critica con ferocia il dominio di Amazon e il mercato social-digitale delle lettere, l’era di Twitter e di Bezos: “Amazon vuole un mondo in cui ognuno si pubblica il suo libro oppure lo fa pubblicare da Amazon, con i lettori che scelgono cosa leggere in base alle recensioni di Amazon e con gli autori che si fanno pubblicità da soli. Un mondo in cui avranno successo le opere di chiacchieroni, twittatori e millantatori, e di chi si potrà permettere di pagare qualcuno per sfornare centinaia di recensioni a cinque stelle. Ma cosa succede a chi è diventato scrittore proprio perché chiacchierare, twittare e millantare gli sembravano una forma di interazione sociale intollerabilmente superficiale? Cosa succede a chi vuole comunicare in profondità, da individuo a individuo, nel silenzio e nella permanenza della carta stampata, ed è stato influenzato dall’amore per autori che scrivevano in un’epoca in cui pubblicare libri assicurava ancora un certo controllo di qualità, e la reputazione letteraria non era solo una questione di decibel autopromozionali?”
(5)

Le parole di Franzen possono sembrare troppo disfattiste, ma occorre essere consapevoli della realtà citata, sia perché va preservata la vera letteratura dal mero sfrenato far soldi a tutti i costi, sia per preservare l’essere umano che viene visto solo come cosa da sfruttare per un guadagno che vuole essere totale. Amazon sta cercando di rendere dipendenti a sé i clienti e strapparli agli altri tentando di arrivare a essere l’unico nel suo ruolo, facendo sì di poter dettare legge indiscriminatamente: con i suoi dispositivi hardware e software offerti a prezzi vantaggiosi vuole rendere sempre più costoso un eventuale allontanamento da sé (cambiare store e dispositivi di lettura comporterebbe la perdita dell’intera biblioteca digitale che si possiede).
Oltre a questo (come se non bastasse che il lavoro umano viene fondamentalmente sfruttato, anche se davvero in pochi tengono in considerazione ciò quando fanno acquisti) va considerata la poca chiarezza che Amazon ha. Mentre l’azienda sa molte più cose del cliente di quanto si possa immaginare, il cliente nella realtà non sa quasi nulla dell’impresa, ignora quante informazioni vengono raccolte su di lui e usate (nonostante le raccomandazioni sulla sicurezza e riservatezza dei dati), di come si lavora dentro questo gigante, non vedendo le conseguenze sociali del suo modo di fare mercato. A fronte di ciò, va tenuto conto che il proprio lavoro può essere rimosso in qualsiasi momento da Amazon qualora non lo consideri adatto alla propria linea, senza preavviso. E’ vero che le usuali cancellazioni di massa di libri autopubblicati riguardavano opere ritenute pornografiche: le cosiddette linee guida dei contenuti di KDP proibiscono la pornografia, consentendo invece l’erotismo, ma proprio le clausole delle «linee guida» devono far pensare, egregia dimostrazione del falso unanimismo e della finta informalità che le grandi aziende di internet adottano quando vogliono ingentilire nelle forme il proprio diritto all’arbitrio sul contenuto. Viene infatti proibito il «materiale offensivo» e si spiega: «Ciò che noi riteniamo offensivo è tutto ciò che probabilmente anche tu consideri offensivo». Sfrondata dall’empatia furbetta questa frase significa «offensivo è tutto ciò che Amazon considera tale in un dato momento». (6) Questo ricorda tantissimo il Grande Fratello di 1984 di George Orwell e non è una cosa positiva.

Chi vuole autopubblicarsi dovrebbe prendere in esame questi fatti e decidere se essere parte di un sistema che solo in apparenza è democratico e spinge invece per il totalitarismo, minando fortemente la libertà di scelta dell’individuo. Senza dimenticare che non è scontato, come capita di leggere, che grazie a KDP si possa emergere indipendentemente dal nome, basta che al pubblico piaccia; come già detto, i giudizi possono essere falsati e condizionare l’esito del successo di un’opera. Per qualcuno che riesce a vendere bene, ce ne sono migliaia che vendono poco o nulla.

Per correttezza va detto che Amazon non è la causa di tutti mali, ma anzi può essere visto come la conseguenza delle scelte editoriali fatte in questi anni. Basti guardare quello che succede in Italia.

Misure come i nuovi contratti Mondadori che eliminano la consolidata pratica di un anticipo non restituibile pagato all’autore sui diritti dell’opera lavorano alacremente a che il prossimo scrittore sperimentale di talento, il nuovo Galiazzo, non si metta nemmeno più a scrivere, o almeno non si immagini pubblicabile da un importante editore nazionale. Questi nuovi contratti non saranno applicati in generale, e al libro del mondadoriano Fabio Volo in particolare, ma – spiega il giornalista Antonio Prudenzano- sono tarati specificamente per gli «scrittori italiani esordienti o, comunque, destinati a un pubblico di “nicchia”», per gli «autori cosiddetti “letterari”». Dove quelle virgolette e quelle cautele in timida giustificazione dicono molto dell’attuale clima, dell’imbarazzo che si prova di fronte a una letteratura che si vuole persino letteraria.
Passando dalla narrativa alla saggistica, se il mercato italiano di quest’ultima continuerà ad appiattirsi sul libro del grande giornalista televisivo e altri prodotti consimili ci sono ottime probabilità che non trovino un editore disposto a credere nei loro libri, ovvero a rischiare economicamente.
(7)

Non si può non notare come l’editoria tradizionale con il suo modo di fare ha generato nelle persone una grande sfiducia verso di lei, causata da un filtro di selezione delle opere non basato sulla meritocrazia e la validità del prodotto, ma su ragioni di consorteria.
Come finisce il libro di Alessandro GazoiaA fronte di tutto ciò, le prospettive per qualcuno che vuole arrivare alla pubblicazione senza pagare ed essere letto da un discreto seguito, solo grazie al valore del proprio lavoro, sono molto basse, avendo a che fare con sistemi chiusi e che mandano avanti conoscenze varie, con imprenditori che hanno paura d’innovare e investire, e con un mercato ormai saturo. Si potrebbe suggerire, se si vuole essere pubblicati, di ricercare quei settori ancora poco sfruttati, come dimostra il caso del sottogenere dinosaur erotica (fanciulle rapite da sauri gentili e seducenti), ma a questo punto sarebbe da porsi seriamente la domanda di che razza di scrittori si è, se si scrive ciò che si sente e piace per davvero (dimostrando così onestà e rispetto sia verso se stessi sia verso gli altri) oppure se della letteratura non frega niente e pubblicare è solo un modo per fare soldi e soddisfare il proprio ego. Nel secondo caso sarebbe meglio lasciar perdere tutto e darsi a qualcos’altro; nel primo invece non si hanno a disposizione soluzioni da dare, se non di continuare a fare quello che piace per il piacere che dà e nel frattempo valutare e osservare l’evolversi della situazione, pronti a cogliere eventuali possibilità che si presentano.

1. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 92. Minimum fax
2. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 32. Minimum fax
3. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 83. Minimum fax
4. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 84. Minimum fax
5. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 88-90. Minimum fax
6. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 37. Minimum fax
7. Come finisce il libro. Alessandro Gazoia, pag. 34,35. Minimum fax

5 comments to Pubblicare per uno scrittore: lo stato delle cose oggigiorno.

  • “Un mondo in cui avranno successo le opere di chiacchieroni, twittatori e millantatori, e di chi si potrà permettere di pagare qualcuno per sfornare centinaia di recensioni a cinque stelle.”

    Non sono chiamato direttamente in causa, però mi chiedo con quale autorità e sulla base di quali elementi questo signore raduni tutti quanti gli scrittori autoprodotti che compaiono su Amazon in categorie così poco invidiabili.

    • Posizioni che si prendono. C’è chi ritiene le nuove possibilità per pubblicare come la massima espressione di libertà e democrazia, chi un anatema che porterà solo rovina.
      Sinceramente vedo le varie possibilità come giungle intrigate nel quale non è facile muoversi, dove non è tuto oro quello che luccica: nessuno ne esce bene se ci sofferma a valutare seriamente. Consapevole di ciò, ognuno poi prende le decisioni che reputa per sé più vantaggiose.

  • Le recensioni taroccate sono un cancro a cui Amazon ha in parte reagito con la dicitura “acquisto confermato”. Di solito, do più credito a queste recensioni che a quelle sprovviste di tale dicitura.

    • La cosa certa nell’ambito delle recensioni è che non è facile trovare un giudizio obiettivo: è vero che il gusto personale influisce, ma è anche vero che se c’è onestà intellettuale si fanno delle valutazioni che esulano da tale punto. Alle fine, la cosa che rimane da fare è aver modo di avere tra le mani l’opera e leggere qualche brano per farsi un’idea se può essere valida o meno (con gli e-book alle volte vengono messi a disposizione dei capitoli gratuiti).

  • […] è ormai famosa per il suo modo di fare aggressivo e spregiudicato (vedere quello che ha fatto coi libri e come tratta i propri dipendenti) ed è chiaro che chi la dirige per arrivare ai risultati che […]

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