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La bella morte

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La bella morte di MAthieu BabletLa bella morte è la prima opera realizzata da Mathieu Bablet, autore già conosciuto in Italia con Shangri-La. L’edizione proposta nel nostro paese è la riedizione del 2017 della Ankama Éditions (la prima è stata nel 2011). Scrive l’autore nella postfazione del volume “la pubblicazione di questa nuova versione era l’occasione per riflettere su un disegno all’epoca ancora incerto, su un lavoro che aveva bisogno di perfezionarsi e su un mucchio di dettagli che oggi farei diversamente. E tuttavia guardo questa tavole con una certa tenerezza. Perché, oltre a essere testimone di quello che avevo voglia di disegnare e raccontare della mia vita, questo fumetto rappresenta la realizzazione di tutti i miei sogni di bambino, quando immaginavo che, negli anni, avrei fatto della mia passione il mio lavoro.”
Chiunque abbia scritto o disegnato conosce i sentimenti che si provano verso i primi lavori realizzati e capisce quali sono gli elementi da migliorare; eppure, non si può non essergli riconoscenti, perché da essi è partito il tutto, è grazie a essi che si è arrivati fin dove si è arrivati. E’ grazie a essi che si è maturati sia come autori che come persone, permettendo di creare opere più profonde e mature.
In Italia, chi l’ha fatto, ha avuto modo di leggere prima Shangri-La e poi La bella morte (il titolo fa riferimento al modo in cui si decide di morire), costatando la forza delle immagini di Mathieu Bablet che denunciavano un’umanità orami alla fine e un sistema creato da essa non solo completamente sbagliato, ma totalmente brutale e inumano. In essa però risaltava anche la solitudine degli individui, impotenti e schiacciati da qualcosa di più grande di loro, che andava oltre il loro controllo.
Questa solitudine, questa impotenza, era già ben presente in La bella morte, mostrando già che cosa sarebbe germogliato negli anni dai semi piantati da Mathieu Bablet. Anche quest’opera appartiene alla fantascienza, senza però la distopia e la forte denuncia presenti in Shangri-La. Sulla Terra la razza umana praticamente è estinta: rimane solamente una manciata di persone, che si aggira in città deserte e decadenti, dove lentamente la natura sta riprendendo il suo spazio, alla ricerca di cibo per sopravvivere e di una ragione per continuare ad andare avanti.
I palazzi di La bella morte, chi ricordano l'ambientazione del fil L'ultimo uomo sulla terraCome idea, La bella morte può ricordare il film L’ultimo uomo della Terra (uno dei personaggi della graphic novel ricorda un racconto di quando era bambino, dove il titolo della pellicola ricorre svariate volte), ispirato al romanzo post apocalittico di Richard Matheson, Io sono leggenda; e in effetti, vedendo le immagini del film , non si può non pensare che esso non abbia ispirato i paesaggi urbanistici disegnati da Bablet. Naturalmente, in La bella morte non ci sono vampiri; tuttavia, i pochi superstiti non hanno a che fare solo con il trovare cibo, ma anche sfuggire alla legione di insetti che ha invaso la Terra, cibandosi dei suoi esseri viventi.
Non appare chiaro (almeno non subito) se sono giunti dal cielo o se sono sbucati dalle profondità della terra; l’unica cosa chiara è che hanno dato la caccia agli uomini in maniera spietata ed efficace.
Mathieu Bablet non ha però creato delle creature il cui unico scopo è rispondere agli istinti primari quali mangiare e riprodursi: anche loro cercano un modo di sopravvivere e non sottostare più a una forza più grande di loro. Perché anche loro, come ogni essere vivente, hanno paura e non vogliono morire. Molto interessante vedere come una parte degli insetti abbia sviluppato una forma d’individualità e non sia parte della coscienza collettiva che obbliga la maggior parte di loro ad agire in una determinata maniera, sfuggendo al controllo di chi domina la loro specie.
Molto bello vedere come i pochi protagonisti umani affrontano un mondo senza speranza, ognuno a proprio modo, ognuno aggrappandosi a qualcosa che non li faccia impazzire, spingendoli ad andare avanti. Per qualcuno sarà l’occuparsi degli altri. Per qualcun altro il cercare di costruire una parvenza di vita normale con una persona al proprio fianco. Per un altro sarà trovare uno scopo più elevato che nobiliti la propria esistenza.
Quale che sia la scelta fatta, ognuno dovrà fare i conti con un passato che non vuole restare sepolto, ma che ancora agisce e influenza le azioni del presente. E lo scontrarsi con la verità in esso celata non sarà facile da affrontare.
Mathieu Bablet ha realizzato una storia fatta spesso di silenzi, dove sono le immagini a comunicare, utilizzando colori tenui e crepuscolari, che ben si adattano a un’umanità ormai alla fine dei suoi gironi. Un’umanità che negli ultimi suoi membri dimostra di essere chiusa in se stessa, incapace di comunicare. Forse non c’è nulla da comunicare, perché ormai tutto quello che era da dire è stato detto e si sa già tutto quello che è necessario sapere. Rimane però il fatto che negli scambi che ci sono tra i personaggi traspare la disperazione e il bisogno di un qualcosa cui aggrapparsi per non sentirsi soli.
Rispetto a Shangri-la, La bella morte è un’opera meno cruda e violenta, ma mantiene sempre una certa amarezza verso l’umanità, anche se qui è più velata dai toni crepuscolari, a tratti poetici, che l’autore ha voluto dare alla sua opera. Ben realizzata la sceneggiatura e grande cura ai dettagli dell’ambientazione urbana; molto espressivi i volti, con l’ormai tratto caratteristico di Bablet che li raffigura un po’ piatti.
Una lettura di sicuro consigliata, non solo per la bellezza delle sue tavole, ma anche sugli interrogativi che fa porre su quale sia il senso della vita e dei legami tra le persone.

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