
La morte fa parte della vita. Alcuni la vedono come la sua nemesi. Altri come un passaggio a un’altra forma di esistenza. Ma per certi individui, la morte viene vissuta come un mezzo per fare spettacolo. Di esempi ce ne sono tanti.
Basta pensare ai combattimenti nel Colosseo tra gladiatori ai tempi dell’Impero Romano oppure ai cristiani fatti dilaniare da belve feroci durante le prime persecuzioni, dove migliaia di spettatori accorrevano per assistere a tali spettacoli.
Nel Medioevo, ai tempi dell’Inquisizione, della Rivoluzione Francese, le esecuzioni pubbliche attiravano folle di persone che assistevano affascinate alla morte di loro simili.
La letteratura non poteva che prendere esempio dalla storia. Un esempio è la trilogia Hunger Games (2008-2010) di Suzanne Collins (che ricorda molto il romanzo del 1999 di Koushun Takami, Battle Royal), dove la morte dei Tributi viene mostrata in diretta a milioni di persone. Un modo per tenere sotto controllo la massa non solo attraverso la paura, ma anche attraverso il fascino del seguire le vicende d’individui che non sono più persone, ma parti di un ingranaggio di controllo di un sistema dittatoriale. Un sistema già ben mostrato nel film Rollerball del 1975.
Emblematico di questa realtà è il discorso fatto da Kusanagi nel film The Sky Crawlers di Mamoru Oshii, dove la guerra viene vissuta come uno spettacolo.
“Nella sua storia, l’umanità non ha mai voluto né potuto eliminare la guerra perché è la sua esistenza a dare senso e realtà alla vita degli esseri umani. Avere sempre delle guerre in corso in qualche parte del mondo ha una sua specifica funzione: quella di alimentare l’illusione di pace della nostra società. Ma la guerra deve essere reale, non può sembrare una finzione. Leggere delle guerre del passato non basta. La narrazione rischia di trasformarle in favole e annullarne l’effetto. Se la gente non vede morti veri in televisione, se la sofferenza non viene mostrata, se la guerra non la tocca da vicino e le fa paura, la pace non può essere mantenuta. E il suo stesso significato viene dimenticato. La gente ha bisogno della guerra per sentirsi viva. Proprio come noi ci sentiamo vivi quando combattiamo nei cieli.”
Storia, finzione, dimostrano come la morte possa essere uno spettacolo. Ma se non bastasse questo, basta guardare la realtà e vedere quante persone utilizzano la morte di loro simili per fare foto o video da postare in rete e attirare il maggior numero di visitatori.
Dinanzi a questo modo di fare, una cosa è certa: la morte sta perdendo significato e dignità e dolore. E questo non va bene, perché la morte è una cosa seria, come dice la signora Cristina nel film Don Camillo del 1952.
Hai ragione, sempre più spesso anche nei siti online dei quotidiani ti invitano a guardare i video riferiti a fatti di cronaca nei quali si vedono le persone morire, come anche video di incidenti. Non li guardo mai, mi sembra una cosa terribilmente morbosa!
Oserei dire anche pornografica (sì, perché la pornografia non è riferita solo al sesso, ma questo tanti fanno fatica a comprenderlo).
Sì, pornografia è proprio la parola giusta. Mi fa male notare come si strumentalizzi persino la morte delle persone per avere più audience o più click. Non ce ne rendiamo neanche bene conto ma viviamo davvero in un mondo nel quale l’essere umano è sempre più mercificato. Ecco che occorre coltivare in noi stessi e possibilmente negli altri l’antidoto… la consapevolezza, il rispetto, uno sguardo capace di vedere oltre il mero interesse materiale.
Già: l’uomo trattato come merce. Bisogna coltivare altro, ma l’interiorità non è vista dai più come qualcosa di positivo. Un vero peccato.