Da giorni l’attenzione è posta sulle proteste dei pastori sardi riguardo il prezzo del latte ovino e caprino, ritenuto troppo basso. Dopo aver cercato di bloccare la squadra di calcio del Cagliari e impedirle di andare in trasferta a Milano, i manifestanti hanno intimato le istituzioni che se le cose non cambieranno, bloccheranno i seggi in Sardegna per le elezioni regionali del 24 febbraio.
Tanti sono solidali con loro, dall’intera isola della Sardegna alla Coldiretti, con quest’ultima che afferma che “le remunerazioni offerte sono indegne, offensive e vietate dalla norma sulla concorrenza”.
Protestare perché il proprio lavoro sia pagato equamente è giusto, come non è giusto che chi ha il coltello dalla parte del manico ne approfitti e cerchi di trarre sempre maggior profitto a discapito di altri; è illogico vendere nei centri commerciali il pecorino romano a 18/20 E quando il suo costo di base di aggira sui 6 E. C’è qualcosa di molto sbagliato nel sistema e va sistemato. D’accordo voler guadagnare, ma a tutto c’è un limite: tutto questo è offensivo e tremendamente sbagliato.
Ma altrettanto offensivo è distruggere il proprio prodotto come hanno fatto i pastori sardi per protesta. Lottare per i propri diritti, per il proprio lavoro è giusto, ma protestare in questa maniera è offensivo per tutti quelli in Italia e nel mondo che non hanno da mangiare. In certi casi servono dei segnali forti, ma distruggere il cibo equivale a distruggere la vita. Agire in questo modo è un insulto alla vita, un modo per disprezzarla.
Ma perché si è arrivati a questo?
Per disperazione. Perché c’è gente che si vuole arricchire alle spalle di altri. E questo è altrettanto offensivo. Anzi, lo è di più, perché si spinge a gesti estremi.
Si vuole dare un segnale forte? Si faccia come chi ha protestato tempo fa per il latte bovino che, visti i guadagni ridicoli che ottenevano, lo distribuiva gratuitamente. Magari proprio alle persone bisognose, che non hanno nulla.
O ancora: si smetta di sottostare a chi gestisce tutto questo. Si smetta di fornire materia prima agli imprenditori: senza materia prima, non possono realizzare il loro prodotto e pertanto non possono guadagnare.
Per far capire delle cose a certi individui, l’unica via percorribile è colpirli nel loro portafogli.
Così, forse, ricorderanno che il cibo, come l’acqua, è vita e non bisogna sfruttarla.
Non voglio mettermi a fare il sottile economista, ma bisogna riconoscere che l’agroalimentare in Europa è un settore che si ridurrebbe a ben poca cosa senza i sussidi che riceve (con la Gran Bretagna unico paese che si oppone a questa politica, e che ha una produzione alimentare molto inferiore a quella italiana, o francese, tedesca, ecc…). Anche così, a quanto pare, siamo ridotti all’estremo limite… con i prezzi che il libero mercato impone non varrebbe nemmeno la pena di raccogliere gli agrumi, e questo è il motivo per cui anche in zone con un’estesa disoccupazione nessuno comunque fa quel lavoro, che può essere pagato pochissimo. Servono gli schiavi e i disperati (vedasi i fatti di Rosarno). Poi la grande distribuzione, i costi di trasporto (quasi sempre su gomma) e, immagino, i cartelli, fanno il resto. Oggi il 58% (dato UE del 2013) delle proprietà agricole italiane misura meno di 5 ettari, e la maggior parte sono in mano a proprietari anziani. Difficile fare politiche di innovazione in simili condizioni.
Se si applicasse il libero mercato (niente sussidi) l’agroalimentare finirebbe in mano a multinazionali, almeno quello che vale la pena salvare (avremmo almeno una agricoltura moderna e più meccanizzata, ma anche qualche milione di disoccupati). Come conseguenza mangeremmo parecchio cibo prodotto in Asia e Africa o anche più lontano. Probabilmente cibo strappato di bocca ai popoli che lo producono, perché noi possiamo pagare qualcosa di più. Finché dura…