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Condizione d'Artista

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L’Artista viene visto come un creatore, un individuo connesso con una parte dell’esistenza che pochi riescono a scorgere, come se appartenesse a un’altra realtà o mondo. Quando sue opere sono riconosciute di valore, tutti lo acclamano, lo reputanto un Grande, un individo che ha arricchito la storia dell’umanità.
Gloria, acclamazione.
Una condizione invidiabile, che molti desidererebbero avere.
Ma la realtà è che l’Artista non conosce queste cose, spesso arrivano dopo la sua morte, mentre in vita non ha avuto che incompresione, beffe e prese in giro, guardato, anzi compatito come se fosse una cosa fuori dal mondo.
Perché questo accade?
Perché l’uomo è incapace di percepire la bellezza. Bellezza come delicatezza, non come appariscenza. E’ capace di comprendere solo quello che torna utile, che dà profitto, che è materiale; come un auto comoda e grossa, rivelatrice dello status simbol indice del successo personale nella società. Utile perché fa aumentare l’Ego e la rinomanza che può avere sulle altre persone.
Un basarsi sull’apparire, sulla superficialità. Un dictat cui bisogna conformarsi per non essere tagliati fuori. Da sempre gli individui si sono adattati alla massa per timore dell’isolamento e del giudizio.
Ma per l’Artista vivere in una maniera così grezza e limitata è inconcepibile, tradisce la sua visione dell’esistenza; non più rinnegare se stesso, anche se tale scelta lo fa mettere da parte, disprezzare.
Incomprensione da chiunque, quando si è gli unici a comprendere la magia di un sogno che nessuno vede a parte se stessi.
Una realtà ben mostrata da Terry Brooks nel personaggio Gesso di L’Esercito dei Demoni.

Non fa mai nulla di buono per la propria famiglia, spiega al suo migliore amico poco dopo averlo incontrato. Da quanto può ricordare, è stato un estraneo praticamente dall’inizio, e probabilmente lo sarà per sempre. Non che tutti vogliano che sia così. È solo che così sono andate le cose. Lui non è come loro. Lui non è un lavoratore, uno che si affanna, uno che sa cavarsela. Quasi non gli importa del monda che lo circonda. La sua mente è sempre da qualche altra parte, mai su quello che sta facendo. Lui è un sognatore.
Sa che gli altri non lo approvano, ma lui non può farci nulla.
La sua famiglia è grande, quindi la cura e la protezione di tutti prevalgono su quelle del singolo. Sua madre passa del tempo con lui quando è piccolo colmandolo di attenzioni proprio come fanno le mamme con i bambini piccoli. Quelli sono i suoi ricordi più cari. Lei incoraggia le sue aspirazioni artistiche, loda il suo talento, la sua creatività. Non c’è nulla di male a lasciarlo essere un bambino per un po’ di tempo. Pensa che passerà tutto quando sarà più grande, che si interesserà ad altre cose, quando sarà più maturo.
Ma lui non lo fa. Lui non è così. Non il tipo di ragazzo che abbandona le sue passioni con l’andare degli anni. Si è formato molto presto, mosso dalle sue scoperte artistiche, dal suo bisogno di esplorare cose che solo lui sa vedere. È un talento inutile in un mondo dove tutto è pragmatico, tutto è sopravvivere e proteggersi. Liti non si preoccupa di queste cose; a lui importa solo di realizzare i suoi disegni come li vede nella mente. Lui fa il suo lavoro e adempie ai suoi doveri familiari. La maggior parte delle volte, almeno. Ma non fa nulla più di questo. Non fa gli straordinari, come i suoi fratelli maggiori gli dicono che dovrebbe fare. Non si prepara ad affrontare l’imprevedibile. Non vive per prepararsi a ciò che potrebbe accadere. Vive il momento.
Quando sua madre e il maggiore dei suoi fratelli muoiono di una delle infinite pestilenze che vessano la loro già devastata comunità, la loro fortezza di cartone, prende piede una nuova sindrome d’assedio. La famiglia deve lavorare ancora più duramente, essere più prudente e stare più in guardia. Lui non crede che ciò servirà; a dire il vero, pensa che niente servirà. Sono vittime dei tempi in cui vivono e sopraffatti dagli eventi. Sono prigionieri nelle proprie vite come ratti in una gabbia. Sono morti che camminano.
Liti non si lascia dominare da questi pensieri come i suoi fratelli. Si rifiuta. È tutto preso dalla magia della sua arte, e nell’arte trova la via di fuga dalla realtà. Là c’è pace e bellezza e un senso di soddisfazione. Lui non può cambiare il mondo che lo circonda, ma può cambiarlo nei propri disegni.
Diventa sempre più una stranezza per la sua famiglia. Sono arrabbiati e delusi da lui e non si preoccupano più di nasconderglielo. Cominciano a vedere il sito comportamento come un peso, come qualcosa di veramente inutile. Se vuole far parte della famiglia, deve cambiare. Deve diventare come loro, temprarsi per il futuro, mettere da parte le sue aspirazioni infantili per prendere impegni più maturi.
Ha undici anni.
Prova a soddisfare le loro aspettative, ma per lui è impossibile. Può portare avanti i compiti che gli danno, adempiere alle mansioni che gli vengono assegnate, ma non può diventare come loro. Padre, fratelli, zii e cugini sono un tutt’uno e lui non riesce a inserirsi.
Alcuni fra i cugini più piccoli si interessano ai suoi disegni e alla stia visione delle cose. Ma i più vecchi s’affrettano a scoraggiarli e i bambini dirigono altrove la propria attenzione. Viene detto loro di non sprecare tempo con lui e vengono incaricati di sempre nuovi compiti per essere certi che obbediscano. Tutto viene fatto in modo elusivo e clandestino, ma lui vede cosa sta succedendo. Il suo isolamento cresce. Il suo senso di non appartenenza anche.
Un giorno, gli viene chiesto di accompagnare il padre e due suoi fratelli in una spedizione di approvvigionamento, che li porterà dai piedi della collina dove vivono in una vicina città fantasma. È una spedizione che richiede diverse notti lontano da casa. Sente che c’è qualcosa di strano nel modo in cui sito padre glielo chiede, ma accetta di fare ciò che gli viene ordinato.
Quando torna, i suoi disegni e gli attrezzi per dipingere sono scomparsi. Molti suoi fratelli gli dicono che non li ha messi al loro posto. Sito padre gli dice di dimenticarsene e di concentrarsi su cose più importanti.
Lati è distrutto. La sua arte è l’unica cosa di cui gli importi, e ora gli è stata tolta.
Una settimana più tardi se ne va di casa nel bel mezzo della notte.

Realtà, anche se in maniera diversa, ugualmente mostrata dall’opera di Franz Kafka, La Metamorfosi, dove il protagonista Gregor Samsa, un semplice impiegato, si ritrova mutato da un giorno all’altro, da essere umano a scarafaggio. La mutazione (simbolo di come la vita possa far cambiare la condizione di una persona da un giorno all’altro) porta l’uomo alla perdita del lavoro e all’isolamento; non più utile alla società e alla famiglia, viene abbandonato e dimenticato da tutti, la sola presenza un fastidio e un orrore. Non più fonte di reddito, diviene un peso di cui disfarsi.
Una storia dolorosa, metafora della dipendenza dalla famiglia, dell’emarginazione del diverso, di chi è in difficoltà, dove i legami familiari nella difficoltà dimostrano il vero valore, la loro reale essenza: egoismo oppressivo e opportunismo bestiale. Immagini di durezza d’animo, superficialità, timore che la malattia che ha colpito l’altro (o la diversità) possa afferrare chi gli sta vicino, paura di incappare in una condizione simile ed essere a sua volta isolati, abbandonati.
Segni di una società chiusa in sé stessa, che tiene lontane le persone tra loro, che sopprime i contatti.

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