L’Alzheimer è una delle peggiori malattie perché porta via tutto a una persona: la dignità, la memoria, gli affetti. Soprattutto, non fa sapere nemmeno più sapere chi si è, lasciando completamente indifesi e alla mercé di chiunque, facendosi sfruttare perché ci si fida di chiunque, bastando un sorriso o una parola gentile per affidarsi al primo che passa.
Già era stato preso a esempio, ma perfetto nel mostrare questa realtà è il film Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati, ma non solo questo: riesce perfettamente a mostrare il regredire delle persone, il loro perdere contatto con la realtà, vivendo in un mondo tutto loro. Un mondo che non esiste e non può esistere più, perché è il passato che loro hanno vissuto, ma che è assolutamente inconciliabile con il presente, che si scontra con esso. Ed è proprio questo scontro che rende spaesati, impauriti le persone colpite di Alzheimer, proprio come dei bambini che scoprono il mondo. Bambini in corpi di adulti che rivivono il proprio passato in quella che può sembrare, come dice il titolo del film, una sconfinata giovinezza, ma che è invece una profonda e infinita tristezza; perché non si può fare assolutamente nulla per loro.
Non esistono medicine che li possono guarire o far stare meglio.
Non ci sono parole che li possono consolare o far comprendere quello che stanno vivendo, chiusi come sono nel loro guscio che si fa sempre più piccolo.
Si può solo stare a guardare, consapevoli che tutti gli sforzi cadranno nel vuoto, che si è impotenti di fronte a qualcosa di più grande delle proprie capacità, vivendo una tristezza senza fine perché in tutto ciò non c’è speranza. Ed è emblematica di ciò una delle ultime scene del film dove Lino, il protagonista del film, parte per un sentiero in mezzo a un campo alla ricerca del suo cane.
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