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Hachico, protagonista del film omonimoLa vicenda di Hachiko ha fatto il giro del mondo grazie al film con Richard Gere, anche se risale al lontano periodo compreso tra il 1923 e il 1935 ed era già conosciuta. Ha avuto grande risalto, ha fatto commuovere ed è stata presa come esempio di fedeltà. Di vicende come questa ce ne sono tante, anche se non reclamizzate; dall’antichità si dice che il cane è il migliore amico dell’uomo, il più fedele.
Un animale che non chiede tanto, se non di avere da mangiare e poter restare vicino al compagno umano, ma che in compenso dà molto, capace di grande dedizione.
Un animale capace di essere vicino in qualsiasi momento, sia nei momenti difficili, sia in quelli felici, di amare l’uomo sia che sia ricco, sia che sia povero, sia che sia bello o brutto; un animale che accetta il compagno per ciò che è, senza pretese, senza soffermarsi sulle apparenze.
Un animale capace di un’umanità che l’uomo sembra avere smarrito, perso com’è nella sua corsa sfrenata, come una freccia scagliata verso il cielo che non vuole fermarsi, ma continuare a sfrecciare senza posa.
E’ questo che deve fare riflettere. Gli animali sono capaci d’umanità, quando l’uomo non è più in grado di farlo. Ci sono stati casi di delfini che sono accorsi in aiuto d’uomini attaccati dagli squali, che li hanno difesi, salvandoli da una brutta fine; un uomo ferito nella savana ha avuto per una notte come guardiano un bufalo, che ha vegliato su di lui perché i predatori non lo attaccassero.
Perché hanno fatto questo? Cosa dovevano a un appartenente di un’altra razza?
Assolutamente nulla, eppure lo hanno fatto.
Cosa li ha spinti a fare questo?
Di certo non il calcolo opportunistico che spesso guida le azioni dell’uomo e nemmeno l’istinto, perché questo spinge l’essere alla sopravvivenza e mettersi in una situazione di pericolo come quelle sopra citate, può essere controproducente al fine.
Allora che cosa ha guidato questi animali? Compassione?
Non so se si può definire in questo modo, perché le parole hanno dei limiti ed è sempre difficile definire e contenere qualcosa di così grande che trascende la ragione. Penso che in quegli attimi ci sia stato un barlume che ha ricordato come tutte le creature sono legate dallo stesso filo: la vita.
L’esistenza può assumere molte forme, ma dietro involucri differenti c’è sempre la stessa essenza. Veniamo dalla stessa origine, siamo la stessa origine. La diversità ci rende unici, ma questo non deve rendere separati.
Cosa che spesso succede invece. L’uomo non solo è separato dal mondo (non si sente parte di esso, ma lo vede come qualcosa da sfruttare), è separato anche dai suoi simili e da se stesso: isolato nel narcisismo, chiuso all’apertura verso la vita a causa del lavoro, del guadagno, delle ferie. Si concentra su cose del genere precludendosi all’ascolto di ciò che la vita ha da proporre. La sua corsa sfrenata gli ha fatto dimenticare il volto del proprio padre, ovvero le proprie origini. E con origini non si intende certo quelle famigliari, anche se importanti, ma qualcosa che va molto più in profondità: va all’essenza della vita stessa.
E’ come la storia della tartaruga. Questo animale era l’essere più veloce della terra, andava sempre di corsa ovunque andasse, ma un giorno inciampò e si ritrovò a fissare un cozzo di lattuga: era sul bordo della strada che percorreva tutti i giorni, ma che non aveva mai notato per la sua fretta. Da quel momento la tartaruga prese ad andare lentamente, per non perdersi più nulla, perché non avvenisse di accorgersi delle cose importanti quando ormai erano andate perdute.
Questo l’uomo ora dovrebbe fare: rallentare, guardarsi attorno, perché tutto quello di cui ha bisogno non è lontano, non deve raggiungere chissà quali mete per essere completo. Basta cercare vicino, nelle persone e cose che ha a fianco. E in se stessi.
L’uomo è come una pianta: ha bisogno del suo tempo per crescere bene. Affrettare comporta un processo rischioso e deleterio. Questo la natura, le bestie insegnano. Per questo, magari inconsciamente, molte persone hanno la compagnia di animali; ma nella società di oggi è anche un segno di come l’uomo non riesca più a stringere legami, contatti veri, con i suoi simili a causa dell’alienazione che la società costruita ha prodotto, ricercando un poco dell’umanità persa attraverso i compagni a quattro zampe.
Questo deve far pensare. Perché l’uomo ha perso così tanto di se stesso?

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