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Siamo in pieno 1984

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1984In tanti avranno sentito le parole di Trump sulla questione Ucraina: Zelensky è un dittatore, non è stato eletto, l’Ucraina non doveva iniziare il conflitto, la Russia non è l’aggressore. Per una persona con un minimo di raziocinio, che non sia di parte, queste affermazioni appaiono come quelle di una persona in totale malafede o come i deliri di uno che non ci sta molto con la testa. Oppure di uno che semplicemente sta facendo il proprio interesse infischiandosene della realtà e della verità (sarà interessante vedere come se la caverà l’attuale governo italiano guidato dalla Meloni, dato che dall’inizio del conflitto ha sostenuto Ucraina e Zelensky ma che da quando è diventuo presidente ha ampiamente sposato la politica e le scelte di Trump). I più pragmatici (o magari cinici oppure quelli che semplicemente vogliono la vita tranquilla e non vogliono sentire di certe cose) asseriranno che il modo di fare di Trump è l’unico per fare finire il conflitto, che consiste nel dare a Putin quello che voleva (ovvero sacrificare l’Ucraina); una scelta questa sbagliata per due motivi: uno, sì dà ragione alla legge del più forte e tanti saluti alla civiltà e al diritto internazionale; due, si lascia strada libera a un individuo (Putin) con continue mire espansionistiche, che vive nell’ombra del ricordo di Stalin e vuole riesumare quel dinosauro che era l’URSS.
Quello che magari non in molti si accorgeranno è che con il modo di fare di Trump siamo in pieno 1984, il romanzo di George Orwell. Non si è convinti? In 1984, per ciò che conviene al governo in un determinato momento vengono modificati e riletti i fatti, quindi se ora conviene che quello che prima era un nemico ora sia un amico, allora si cambia atteggiamento e modo di fare. Proprio come sta facendo Trump.
Ma questo di 1984 non è l’unico aspetto che rispecchia la reltà: il mondo si sta dividendo in tre grandi blocchi, Stati Uniti, Europa, Russia/Cina (anche se la Cina se ne sta un po’ più defilata), e la stessa cosa avveniva nel romanzo di Orwell, con Oceania (che comprende le Americhe, le isole dell’Oceano Atlantico (fra cui le Isole britanniche), l’Africa meridionale, l’Australasia e presumibilmente l’Antartide), l’Eurasia (che comprende l’Europa continentale e l’Asia settentrionale nonché presumibilmente la Turchia e l’Asia centrale) e l’Estasia (che comprende la Cina interna, parte della Cina esterna (aree della Mongolia, della Manciuria e del Tibet), il Giappone, l’Indocina nonché presumibilmente la Corea). (1)
In 1984 nelle città sono appesi grandi manifesti di propaganda che ritraggono il Grande Fratello, con la didascalia «Il Grande Fratello ti guarda», e gli slogan del partito: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza»; proprio quest’ultimo è un motto di cui Trump fa ampiamente suo, visto il contenuto delle affermazioni che fa (una che tanti hanno dimenticato è fare iniezioni di varechina alle persone per sconfiggere il virus del Covid). Il che riporta al bipensiero, l’unica forma di pensiero ammissibile in Oceania, che consiste nel rigettare la logica, perdere e all’occorrenza recuperare la memoria di determinati avvenimenti, e credere simultaneamente a due affermazioni tra loro contrarie, in modo da non cogliere contraddizioni o falle logiche presenti nella propaganda del Partito. Così recitano alcuni slogan del partito come «La menzogna diventa verità e passa alla storia» e «Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato» (1).
Questo fa arrivare a un altro elemento di 1984 dove i contenuti di libri, giornali, film e documenti vengono riscritti continuamente, rimuovendo tutto quanto non sia in linea con le idee del momento del Socing. Tutti i fatti che rivelino contraddizione o fallibilità del partito vengono periodicamente e sistematicamente cancellati e sostituiti. Il bispensiero permette ai cittadini di non notare la continua riscrittura della storia. In questo modo, per esempio, se si ribaltano i fronti e l’Eurasia diventa improvvisamente alleata dell’Oceania dopo essere stata in guerra con essa fino a un momento prima, tutta la popolazione dovrà comportarsi come se l’Eurasia fosse sempre stata alleata dell’Oceania e non vi fosse mai stata inimicizia tra i due Stati. Tutto viene descritto come una vittoria o un miglioramento: ad esempio, una riduzione di derrate alimentari viene riportata nei documenti come un aumento (1). E c’è da dire che non solo Russia e Stati Uniti fanno questo, ma lo fa per esempio anche l’Italia, dove il governo Meloni non fa che elencare e osannare i suoi successi, anche quando i successi non ci sono.
Si arriva così alla neolingua, un nuovo linguaggio in cui sono ammessi solo termini con un significato preciso e privo di possibili sfumature eterodosse, in modo che riducendone il significato ai concetti più elementari si renda impossibile concepire un pensiero critico individuale. Con la creazione della neolingua il partito censura quindi l’utilizzo di molte parole, convogliando tutti i termini ad esso sgraditi (ad esempio “democrazia”) nella parola “psicoreato” (thoughtcrime in lingua inglese, crimethink in neolingua): in questo modo diventa impossibile formulare e a lungo andare anche solo pensare a un argomento proibito, in quanto i concetti contrari all’operato del Partito diventano inesprimibili. La stessa parola “psicoreato” va ben oltre il divieto di esprimersi e si spinge appunto a vietare anche solo di concepire pensieri o provare emozioni non in linea con il Socing e il bispensiero (1). Il fine del Partito è di dare non solo un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. Il lessico della neolingua era articolato in modo da fornire un’espressione precisa e spesso molto sottile per ogni significato che un membro del Partito volesse correttamente esprimere, escludendo al tempo stesso ogni altro significato, compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. Ciò era garantito in parte dalla creazione di nuovi vocaboli, ma soprattutto dall’eliminazione di parole indesiderate e dalla soppressione di significati eterodossi e, possibilmente, di tutti i significati secondari nelle parole superstiti. Tanto per fare un esempio, in neolingua esisteva ancora la parola libero, ma era lecito impiegarla solo in affermazioni del tipo “Questo cane è libero da pulci”; o “Questo campo è libero da erbacce”. Non poteva invece essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente libero”, dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più neanche come concetto e mancava pertanto una parola che la definisse. A prescindere dall’eliminazione di vocaboli decisamente eretici, la contrazione del lessico era vista come un qualcosa di fine a se stesso, e non era permessa l’esistenza di una parola che fosse possibile eliminare. La neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per ridurle, e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta (2).
Purtroppo, quello che sta accadendo non è qualcosa di recente, ma è un meccanismo che si è già messo in moto da anni; riporto un pezzo di un articolo che avevo scritto undici anni fa.
Che 1984 di George Orwell abbia molto da insegnare è fuori discussione. Nell’articolo precedente si è visto come attraverso la tecnologia l’individuo che vive nella società attuale non sia libero, ma continuamente studiato, monitorato, la sua sfera privata invasa. Già di per sé questa situazione è allarmante, ma ugualmente preoccupante è il fatto come la memoria sia labile, ci si dimentichi di quanto è stato, come se nulla fosse successo e quelli che un tempo erano nemici e rivali ora siano alleati. Come si sa, questo è il gioco della politica, attuato da chi è al potere per cercare il maggior numero di consensi e appoggi e consolidare la propria posizione, ma a tutto c’è un limite: un contesto assurdo se si pensa per esempio a quello italiano dove la sinistra, la destra e il centro non si differenziano più, non hanno più idee proprie, ma s’incrociano per fare alleanze traballanti ed equivoche pur restare al potere (si veda quanto ha fatto Renzi, che è andato a fare un accordo con Berlusconi, facendo rientrare dalla finestra chi è stato condannato per i suoi reati e che invece non dovrebbe più avere a che fare con il mondo politico).
In tutto questo è allarmante come la popolazione lasci fare, si adatti, si sottometta rassegnata a poteri che volendo potrebbe annullare: ci si dimentica che le persone che sono al potere sono state votate dalla popolazione e che come sono state messe in certi ruoli possono essere anche tolte. Ma l’appiattimento di pensiero impedisce il cercare di cambiare la situazione, in modo molto simile a quello che succede in 1984 dove l’unica forma di pensiero ammissibile è il Bipensiero, con i suoi famosi slogan “la menzogna diventa verità e passa alla storia”, “chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”: non è un caso che ci sia stato negli anni passati il tentativo dei governi di destra di revisionare e riscrivere i testi di storia, stravolgendone la realtà con menzogne atte a tirar acqua al proprio mulino e a modificare la realtà a proprio favore. Proprio come fatto in 1984 dove i testi vengono riscritti continuamente espellendo tutto quanto non sia in linea con le idee del momento del Socing: tutti i fatti che rivelino contraddizione o fallibilità del partito vengono periodicamente e sistematicamente cancellati e sostituiti, la storia non esiste più, se non per dare ragione al Partito (stessa cosa avviene in un’altra opera di Orwell, La fattoria degli animali, dove i comandamenti sulla parete del granaio cambiano in base al pensiero di chi le crea e tutti li accettano a causa della propria ignoranza e passività).
Va preso in considerazione anche l’appiattimento del linguaggio realizzato attraverso le trasmissioni televisive che culturalmente e intellettualmente sono sempre andate al ribasso, trattando temi sempre più poveri e superficiali; stessa cosa è accaduta con le produzioni di quotidiani, riviste e libri, dove in prevalenza le tematiche girano attorno a pettegolezzi, cotte, avventure amorose e sesso (libri di successo come quelle legati alle serie di Twilight e alle varie Sfumature ne sono la dimostrazione). Non è un caso che con un’ignoranza così dilagante chi è al potere si rafforzi sempre più, perché non si hanno i mezzi per ribellarsi al sistema: davvero, come inneggia il Grande Fratello, “l’ignoranza è forza”, perché permette di controllare una popolazione intera. Con l’impoverimento del linguaggio, dove non si hanno più tante sfumature dovute alle conoscenze di un gran numero di parole risulta difficile concepire un pensiero critico individuale.
Se poi si pensa alle attuali produzioni in campo letterario e musicale realizzate in Italia che sono tutte dello stesso stampo, non ci si meraviglia di trovare somiglianze con quello che veniva realizzato nel romanzo di Orwell, dove produrre letteratura, ossia la scrittura a mano, è stata di fatto abolita: poesie, canzoni e romanzi vengono realizzati automaticamente da complessi macchinari elettromeccanici detti versificatori, in base a schemi predefiniti.
Forse Orwell in 1984 aveva visto più avanti di quanto si voglia ammettere (non ci si dimentichi poi che in 1984 la  possibilità di produrre letteratura dettata dai propri pensieri, ossia la scrittura a mano, è stata abolita: poesie, canzoni e romanzi vengono realizzati automaticamente da complessi macchinari elettromeccanici detti versificatori, in base a schemi predefiniti (1); non si può non pensare all’intelligenza artificiale e a farle scrivere testi di ogni genere).

 

1- https://it.wikipedia.org/wiki/1984_(romanzo)
2- 1984. George Orwell. Oscar Mondadori 2011. Pag.307-308

Il metallo perduto

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Il metallo perdutoCon Il metallo perduto si conclude la seconda serie Mistborn, nonché l’era che in essa è stata raccontata: infatti, da quanto fatto capire da Brandon Sanderson, la prossima storia dei Mistborn sarà ambientata in un’era futura, dove la tecnologia ha fatto un balzo in avanti ed è più sviluppata. Ciò è sempre stato nelle idee dell’autore: prendere un mondo fantasy e poi espanderlo nel futuro per diverse epoche, fornendo una visuale più ampia di come un pianeta avanza nel futuro, usando le tradizioni della serie di libri precedente come il fondamento di religioni e miti (1).
In questo l’autore c’è riuscito: si è passati dal mondo medieovale della prima trilogia (tenuto volutamente poco sviluppato dal Lord Reggente perché non ci fossero i mezzi per dare il via a rivolte in grado di ribaltare il suo potere) a un mondo stile Ottocento, con armi da fuoco e i primi passi di elettricità e mezzi di trasporto automatizzati. Nel complesso la saga funziona, con alti e bassi; personalmente ho apprezzato i due volumi centrali, mentre quello iniziale è quello che mi ha meno entusiasmato. E Il metallo perduto, il volume conclusivo della saga?
In generale il giudizio è positivo, anche se ci sono stati dei bassi. (ATTENZIONE: da qui in avanti, sparsi nel mio giudizio sul libro ci sono degli SPOILER).
Partiamo subito da un elemento di cui ho già parlato nel precedente articolo e che non ho apprezzato già in un altro volume di Sanderson: non accetto che ci siano personaggi che si mettano a parlare di peti sulle sedie, non importa in quale momento, non importa se sono personaggi sopra le righe. Wayne già aveva fatto qualcosa del genere nei romanzi che avevano preceduto Il metallo perduto (rutti; se non ricordo male ci doveva anche essere stata una gara di queste emissioni gassose) e lì avevo chiuso un po’ un occhio; in questo caso la cosa non mi è andata molto giù. Ripetendo quanto ho già detto, non m’importa se bisogna arrivare ai più giovani: parlare di peti e bisogni fisiologici per far divertire, per far ridere, fa schifo. E da autori con le capacità di Sanderson mi aspetto di più e di meglio: queste cose non le accetto.
Altri punti dolenti: la storia è un po’ prevedibile, ma ormai era stata indirizzata e il percorso era quello. I personaggi di Wax e Wayne hanno meno presa rispetto ai precedenti volumi, ma ormai era già stato detto molto, se non tutto, di loro, e quindi è normale che non potessero più dare le stesse sensazioni.
Molto bene invece Marasi e Steris, che qui hanno maggiore spazio, e riescono con le loro scelte, il loro evolvere e andare avanti, a prendere e coinvolgere il lettore nelle vicende che le riguardano.
Benché Il metallo perduto non abbia una storia al livello della prima trilogia di Mistborn, è di grande importanza per quello che riguarda il Cosmoverso (l’universo creato da Sanderson e che collega le storie da lui create), perché dà rivelazioni molto importanti. Già nella serie della Folgoluce si erano capite delle cose, ma con Il metallo perduto viene reso evidente che c’è qualcosa di più grande in atto delle vicende narrate in un singolo mondo: c’è una guerra tra i vari Frammenti sparsi nel Cosmoverso. Si era già visto con Onore e Odio nella Folgoluce, con Rovina e Preservazione in Mistborn; in Il metallo perduto si vede l’arrivo di uno di essi nel mondo di Wax per usurpare il posto di Armonia (il terrasiano Sazed asceso a divinità quando ha preso su di sé i poteri di Rovina e Preservazione). Così si scopre chi è Trell, che altri non è che il Frammento Autonomia, che utilizza come avatar del suo potere la sorella di Wax, il vero capo dell’Ordine, soprattutto dopo che è stato eliminato suo zio. Per evitare che i danni siano più estesi, Telsin realizza una bomba per spazzare via la città di Elendel, convincendo così Autonomia a non invadere il pianeta con le sue schiere; tuttavia, tutto è sul filo del rasoio, dato che se il piano di Telsin fallisse, il Frammento darebbe il via all’invasione. Wax con l’aiuto del suo gruppo deve fermare entrambi.
Ma il gruppo non sarà solo nella lotta contro Telsin/Autonomia e qui ci sono altre sorprese: una è il ritorno di Kelsier. Un Kelsier che lavora nell’ombra, pronto a tutto per proteggere il pianeta, anche a costo di entrare in contrasto con Sazed che, secondo lui, ha dei problemi a gestire i poteri di Rovina e Preservazione. Per fare questo ha creato un gruppo proveniente da altri mondi, che ricerca fonti di potere nel Cosmoverso per acquisire forza e contrastare i nemici del pianeta, facendo così entrare in gioco le Perpendicolarità e Shadesmar, già visti in Folgoluce. E il gruppo che ha creato altro non è che quello dei Sanguispettri: questo cambia un poco le carte in tavola di quanto mostrato in altri volumi, almeno per quanto riguarda le impressioni che avevo avuto su di loro. Sì, perché, i Sanguispettri mi avevano dato un’impressione di qualcosa di oscuro, non dico malvagio ma quasi; l’essere pronti a tutto per raggiungere i loro scopi, usare gli altri per il prorpio tornaconto, non mi avevano dato una buona sensazione e perciò si doveva diffidare di loro. In effetti, non c’è tanto da fidarsi di questo gruppo (il fine giustifica i mezzi non è mai il massimo), ma ora la loro natura è più chiara. Soprattutto è chiaro che ci sono diverse anime al suo interno, che lavorano in maniera differente e, anche se compare solo per poche righe nel finale del libro, ho il sospetto che Dlavil sia l’agente dei Sanguispettri assegnato a Roshar.
Visto che di spoiler ne ho già fatti diversi, non dirò a cosa si riferisce il titolo del romanzo (chi conosce il mondo dei Mistborn può averlo però intuito), né come si concluderanno esattamente le vicende, dato che un po’ di scoperta bisogna lasciarla anche agli altri.
Avendo terminato quello che ho da dire, non rimane che dare il giudizio finale: Il metallo perduto è un buon romanzo e conclude abbastanza bene la seconda era di Misborn. Un finale soddisfacente, sicuramente molto di più di quello dato a Skyward (l’ultimo libro di Sanderson che ho letto prima di Il metallo perduto).

1. Il metallo perduto. Brandon Sanderson. Mondadori 2024, pag. 721

Incapacità di amare

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La riflessione è partita dopo aver visto questo video (e averlo commentato), anche se già in altre occasioni avevo discusso della cosa. Partiamo subito da una premessa: l’incapacità di amare o di prendersi responsabilità nel creare un rapporto stabile con un’altra persona non penso dipenda solamente dalle mancanze dei giovani. Anzi, penso che la questione non riguardi solamente loro, ma che ormai sia una faccenda inerente l’intera società; è complesso trattare in breve la situazione, tuttavia ci sono degli elementi che possono aiutare a comprenderla un poco di più.
Sicuramente le esperienze personali possono influire nel non volersi impegnare in relazioni serie: la paura di soffrire, l’andare incontro a una nuova delusione, possono frenare o addirittura bloccare una persona, facendola arrivare a pensare che l’amore non esiste oppure non è qualcosa riservata a lei. Questo però non può riguardare la totalità dei casi: non tutti possono avere avuto esperienze così negative da far perdere fiducia negli altri e nei rapporti di coppia. Non si può però non notare che ci sono sempre più casi in cui non ci si vuole impegnare e questo può dipendere dall’assenza di responsabilità, di volersi prendere degli impegni. Un’assenza dovuta a un’educazione e una cultura mancanti; in tutto ciò, rispetto a generazioni passate, i media hanno avuto una forte influenza e un forte condizionamento sulle persone, dando modelli e messaggi non proprio edificanti ed educativi: film, serie tv, social, reality ma anche un certo tipo di politici che hanno fatto passare il disimpegno, la mancanza di valori, l’oggettivazione della persona, l’apparire e il fare quello che si vuole se si hanno soldi e potere come modelli di vita da seguire e attuare. Per molto tempo si è sottovalutato il potere del condizionamento che hanno avuto e hanno i media e adesso si sta cominciando a capire quanto dannoso possa essere stato.
Il condizionamento dei comportamenti però non è sufficiente per spiegare questo non volersi impegnare in relazioni serie dei giovani (e non solo loro): sempre certi politici, facendo leggi a proprio favore, hanno rovinato il mondo del lavoro, rendendolo sempre più precario, il che ha portato a una maggiore incertezza per il futuro, quando non si parla di mancanza di futuro: private di prospettive, le persone non fanno progetti a lunga scadenza, ma si concentrano sulla sopravvivenza e sul presente, vivendo il momento in cui sono e cercando di trarne le maggiori soddisfazioni permesse. Brutto da dire, ma senza basi solide, ovvero senza soldi, diventa molto difficile poter progettare qualcosa e questo include anche relazioni stabili che portano al formare una famiglia. I problemi ci sono sempre stati, solamente che in passato si avevano meno difficoltà anche se le cose non erano facili: al giorno d’oggi diventa difficile pensare che una famiglia possa essere mantenuta solo da una persona avente come impiego quello di operaio o impiegato. Pagare affitto o mutuo, bollette, assicurazioni, è difficile, ancora di più se non si ha un lavoro stabile; e le difficoltà aumentano se si pensa di avere un figlio, che ha costi non da poco: vestiario, alimentazione, scuole, sempre che non sopraggiungano spese mediche. Tutto questo porta i giovani (ma non solo loro) a pensarci bene prima di fare certi passi. Si parla d’incapacità d’amare, e si può dire che in parte è anche così per via di un’educazione che ha saputo dare cose materiali ma non valori (soprattutto non ha saputo dare valore alla vita), ma si deve anche parlare di paura per un futuro che non dà rassicurazioni e certezze. Forse non ce ne sono state in nessun tempo, ma questo, ancor più di altri, non sembra dare prospettive e senza di esse non ci si muove o ci si impegna.
C’è infine un altro fattore da tenere presente: anche se connessi alla rete, anche se si è social, si deve fare i conti con una solitudine dilagante, e non importa se si è sempre in mezzo alla gente, se si hanno contatti con tante persone, perché manca la comunicazione (e con comunicazione non si tratta di parlare del più e del meno, di chattare, ma qualcosa di più serio, profondo, strutturato). Potrà sembrare essere poco pertinente al discorso che si sta facendo, ma trovo interessante il discorso che fa Igor Sibaldi tra il minuto 29 e 55 e il minuto 36 e 48: qui si parla di liberalizzazione sessuale, ma è importante il discorso che viene fatto al riguardo, perché tale elemento, secondo quanto riporta Igor (ma non è il solo a dirlo), ha portato ad allontanare le persone da legami stabili (amori ma anche amicizie), a essere sempre più sole e pertanto a essere più sotto il potere e il controllo di grossi enti come a esempio lo stato. Senza contare i danni che la pornografia ha fatto sui giovani (ma di nuovo, non solo a loro) a più livelli.
In conclusione, dire che è solo colpa dei giovani se non sono capaci di amare e d’impegnarsi, non solo non è giusto, ma è limitativo; certo, anche loro hanno di che guardarsi e analizzarsi (il dire “tutto il futuro dipende dai giovani”, “i giovani sono la nostra unica sepranza per il futuro” e altre frasi simili oltre a essere una presa in giro (il futuro dipende da tutti, non solo da alcuni) sono un modo per sfruttare i giovani e nient’altro), ma una responsabilità per niente ignorabile va alla società e al sistema vigente perché non premia l’impegno: se una persona fa sacrifici, spende tempo ed energie per raggiungere traguardi, è giusto che venga ricompensata, che ottenga ciò per cui si è impegnata. Se questo non avviene, se gli sforzi non sono ripagati, se si fa tanto per ottenere poco o nulla, è logico che alla lunga le persone smettono di darsi da fare. Chi dà il massimo di sè per un lavoro sottopagato e della durata di poche settimane, sapendo che il suo contratto non verrà rinnovato? Chi s’impegnerà a ottenere conoscenze e professionalità sapendo che tanto non otterrà mai dei buoni posti di lavoro perché essi sono riservati a raccomandati? Dinanzi a ciò, senza prospettive salde per il futuro, è logico che in pochi si arrischieranno a cercare di creare qualcosa che duri nel tempo, badando per lo più a cercare di sbarcare il lunario e a navigare a vista e a sopravvivere; con simili basi è logico che le relazioni personali sono le prime a risentirne. E a queste cose dovrebbe pensare in primis chi ha voluto questo sistema e chi avrebbe dovuto educare i giovani e invece non l’ha fatto.

Il caso Neil Gaiman

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Neil GaimanIn questi ultimi giorni fa parlare il caso di Neil Gaiman, accusato da diverse donne di violenza sessuale: secondo le accusatrici, Gaiman avrebbe usato pratiche sessuali non concordate. Accuse che hanno avuto subito delle conseguenze: la casa editrice Dark Horse non pubblicherà più suoi fumetti , tre adattamenti delle sue opere sono stati sospesi. Non si è dinanzi a qualcosa di nuovo: anche Johnny Depp è andato incontro a una situazione simile quando è stato in causa con la moglie Amber Head per abusi, dove subito è stato scaricato da molti, ha perso ruoli e la sua carriera è stata messa a rischio, salvo poi tornare alla ribalta quando ha vinto la causa. Anche Cristiano Ronaldo e Mbappé sono stati prima accusati di violenze sessuali e poi assolti. Quando ci sono situazioni simili, le cose non sono mai facili, ma ci si trova dinanzi a qualcosa di complesso e spinoso.
Parlando di Gaiman, in prima istanza bisogna aspettare per vedere se le accuse diventeranno fatti: allora si potrà dare un giudizio più preciso. Per adesso, si possono prendere in considerazione solo degli scenari possibili. Uno è questo, che può sembrare una difesa a Gaiman. Quando si tratta di un personaggio in vista c’è sempre il dubbio che ci siano tentativi d’incastrarlo, sfruttando la situazione a proprio vantaggio: non è raro che donne, attratte da soldi e posizione, si concedano, anzi, si propongano pure. Se c’è stata violenza sessuale, se ci sono stati abusi, allora, perché non denunciare subito? Quando accadono fatti del genere bisogna farlo immediatamente. In molti obietteranno che ci sono fattori psicologici che frenano: la paura di non essere credute, la vergona, la paura del giudizio. In altrettanti obietteranno che se si pensa che l’uomo sia l’incastrato è perché si sta sempre dalla parte dell’uomo, che la donna viene mostrata come facile e manipolatrice, che “in fondo è quello che voleva” o che “se l’è cercata”. Questo è un discorso impopolare e può essere criticato, ma è una possibilità di come possono essere andate le cose.
Altra possibilità, è che uno nella posizione di Gaiman si ritiene di poter fare quello che vuole per via della fama ottenuta e pertanto a lui può essere concesso di fare cose che altri invece non potrebbero. Anche se venisse denunciato, la fama ottenuta e gli avvocati che può avere gli permetteranno di essere assolto; in fondo non succede spesso così a chi è in posizioni economiche forti?
Poi ci sono altre possibilità che stanno nella zona d’ombra tra le due sopra citate, dove è difficile stabilire come stanno davvero le cose, dove la colpa non è appartenente soltanto a uno, un po’ come successo tra Depp e Head. Probabilmente anche questo scenario non piacerà, perché quando si parla di abusi, soprattutto in questo periodo, le donne sono sempre innocenti e paventare che la colpa non sia solo e completamente dell’uomo fa sollevare proteste e indignazioni. Tuttavia, non è qualcosa che si può escludere e non perché si voglia difendere l’individuo maschile, ma perché la verità deve venire a galla, le cose devono essere raccontate per come realmente sono accadute; per questo bisogna aspettare che le indagini chiariscano come sono andate le cose. Non si può però non riflettere su una cosa: anche se Gaiman risultasse innocente, un’ombra è stata gettata e questo lo seguirà sempre, lasciando in molti il dubbio se la sua sia davvero innocenza oppure se l’assoluzione dipenda dai soldi e dalla posizione che ha.
C’è una cosa che non mi piace in questa vicenda: che si spari subito a zero su qualcuno prima che venga fatta chiarezza. Gaiman ora viene additato come un mostro, un violentatore, esempio di società patriarcale e di maschio predatorio e brutale, ancora prima che la vicenda sia chiarita. Sia chiaro: se i fatti avvaloreranno le accuse mossegli contro, è giusto che paghi per gli abusi di cui ora è accusato: chi fa violenza sulle donne deve andare in galera, per me non ci sono attenuanti. Ma le condanne devono arrivare quando chiarezza è stata fatta, farle come si sta facendo ora non è giusto.
E tutto ciò porta a un’altra questione: se Gaiman risultasse colpevole, sarebbe giusto continuare a leggere le sue opere? Continuare a comprarle non sarebbe appoggiare qualcuno che ha commesso dei crimini?
Non credo ci sia un’unica risposta, penso che sia una questione personale e dipende dal punto di vista di ognuno. Razionalmente viene da dire che, benché siano la stessa persona, uomo e scrittore (o donna e scrittrice) sono anche due elementi differenti: non sempre ciò che uno scrive rappresenta ciò che lui (o lei) è. Tuttavia, succede anche che negli scritti uno scrittore metta delle parti di sé (consciamente o inconsciamente); altre volte invece mette quello che lui non è oppure quello che vorrebbe essere: quale che sia la realtà, varia da scrittore a scrittore. Di fronte a ciò, in teoria, quando si legge un lavoro di qualcuno, non ci si dovrebbe far influenzare da quello che accade nella sua vita. Ma si guardi ciò che è successo con la Rowling, dove perché ha espresso le sue opinioni (condivisibili o no), in tanti hanno inneggiato di boicottare le sue opere, in tanti l’hanno rinnegata dopo averla adorata. Non a questi livelli, ma ho sentito persone che non volevano leggere e suggerivano di non leggere i romanzi di Silvana De Mari per via del suo pensiero e di certe sue dichiarazioni; anche se posso non condividere certe sue idee (specie politiche), se ho smesso di leggere i suoi libri è perché a un certo punto la qualità delle sue opere è calata e non mi hanno soddisfatto.
Questione differente per quanto riguarda invece un’altra scrittrice di fantasy di cui ho letto qualcosa: Marion Zimmer Bradley (ne avevo già parlato in un altro articolo). Dopo aver letto e apprezzato Le nebbie di Avalon, quando è saltato fuori ciò che aveva fatto ai figli e non solo a loro, non sono più riuscito a leggere altri suoi libri che avevo. Non li ho buttati via come hanno fatto tanti, ma mi sono bloccato e non sono riuscito a leggerli fino a ora.
E con Gaiman? Non sono un fan di questo scrittore, anche se ho letto qualche storia di Sandman, oltre a Stardust, Nessun Dove e Il cimitero senza lapidi e altre storie nere (ho visto anche delle trasposizioni di sue opere, quali Coraline e la porta magica e Stardust, uno dei rari casi in cui il film è meglio del libro): alcune storie sono piacevoli, ma niente che mi abbia spinto a cercare altro. Quindi, non ho ricercato prima, non ricerco adesso, ma non per quello che sta succedendo, ma perché quello che ho letto scritto da lui non mi ha preso più di tanto.
Cosa succederà ora?
Si può solo aspettare e stare a vedere, consapevoli che si è dinanzi a una vicenda sgradevole, che porta conseguenze non da poco; a parte quelle dei diretti interessati, non si può però non pensare anche al contraccolpo avuto dai suoi fan al sentire tale notizia, dopo che per tanti anni l’hanno visto in un certo modo, riconoscenti per quello che ha saputo dare con i suoi lavori, e che ora devono fare i conti con questa pagina buia che sconvolge le loro convinzioni.