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Considerazioni su Brandon Sanderson

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Brandon SandersonLa decisione di scrivere un articolo su Brandon Sanderson nasce da quanto detto da Andrea, ma è da tempo che facevo riflessioni su di lui. Partiamo dal video e per chi non volesse vederlo tutto, faccio un breve riassunto: le critiche che muove Andrea riguardano il modo di fare dell’autore, che ha deciso di puntare sulla quantità di uscite delle sue opere e sulla modalità con cui vengono realizzate. Per Andrea, Sanderson realizza la prima stesura e poi la passa al suo staff per l’editing, velocizzando in questo modo il processo di realizzazione del libro: questo spiegherebbe la mole di romanzi che riesce a pubblicare. Puntare sulla quantità invece che sulla qualità non è una cosa che Andrea apprezza, come non apprezza la scelta di aver puntato sul Kickstarter.
Il modo di fare così veloce di Sanderson, oltre che influire sulla qualità della storia, influisce anche sullo stile, che deve essere semplice e facile da realizzare, in modo che ci si possa mettere le mani velocemente. Sanderson con questa scelta ha deciso di puntare sulla commercialità e i numeri di vendite e guadagni gli danno ragione; se questo era il suo fine, ci è perfettamente riuscito, per adesso.
Alla lunga questo continuerà a funzionare?
Probabilmente sì, anche se ci saranno dei lettori che si scontenteranno e non lo seguiranno più, benché non sarà sufficiente a fargli perdere una fetta di mercato così grossa da farlo andare male.
Quello che dice Andrea lo capisco e in gran parte lo condivido; se devo essere sincero, dinanzi a una simile prolificità, rispetto ad Andrea, credevo che alcune parti le facesse scrivere ad altri, visto che avevo avuto in alcune occasioni la sensazione che lo stile fosse differente, ma probabilmente è più verosimile il suo pensiero. Per Andrea questo non è essere scrittore; per me Sanderson è diventato qualcosa di diverso: è sì scrittore, ma è diventato soprattutto impresa, perché sui suoi libri non lavora solo lui, ma ha un’intero staff a sua disposizione, ha tanti collaboratori che lo aiutano, basta vedere nei ringraziamenti che fa nei suoi libri il numero di persone che ne sono comprese. Sanderson (che non si occupa solo di libri, ma anche di giochi di vario genere) è differente da altri scrittori (i quali dopo aver fatto diverse stesure e revisioni lo passano all’editor della casa editrice che li pubblica) perché attorno a sé ha un intero team a disposizione (non me ne vengono in mente altri con una situazione simile); si può dire che il tutto si avvicina al lavoro di una catena di montaggio. Per questo motivo lo stile non deve essere ricercato, ma semplice, così da rendere il lavoro più facile e veloce, così da realizzare in tempi ristretti prodotti commerciali e d’intrattenimento.
Questo sono i libri di Sanderson e ciò non significa che sia un male. Ma non saranno mai, faccio un esempio, al livello di quelli di Guy Gavriel Kay, che ha uno stile che ha un che di poetico, oltre a una profondità e una sintesi che manca nei romanzi di Sanderson: Kay in un libro dice quello che altri dicono in tre o quattro.
Sinceramente, non credo che riuscirei a lavorare in questo modo, dato che vivo la scrittura in maniera differente e la ritengo qualcosa di diverso da questo modo di fare. Non sto dicendo che è sbagliato: semplicemente non lo sento qualcosa che fa per me e pertanto non voglio farlo, piuttosto preferisco fare altro. Si tratta del mio punto di vista, ma essere più imprenditore che scrittore non è qualcosa che vedo tanto positivo, forse è dovuto al fatto che l’imprenditoria, specie quella attuale, è qualcosa che ha poco rispetto per gli altri.
Queste disamine non tolgono il fatto che apprezzi i lavori di Sanderson e al momento abbia letto tutto quello che è stato tradotto in italiano; lo stile semplice e scorrevole non inficia sulla lettura e il fatto che non sia ricercato non mi fa abbandonare questo scrittore. Le storie che sono state scritte mi sono piaciute, alcune di più, altre di meno, benché c’è da dire che non si possono paragonare serie come Folgoluce o la prima trilogia dei Mistborn ai romanzi di Skyward: sono su livelli differenti.
Tuttavia c’è una cosa che personalmente ho notato: c’è un prima Sanderson e un dopo Sanderson, ovvero un Sanderson prima di essere conosciuto dal grande pubblico e un Sandserson dopo tale riconoscimento. Un Sanderson all’inizio aveva qualcosa di diverso da quello venuto con l’essere conosciuto dal grande pubblico e questo per me ha fatto perdere qualcosa allo scrittore; la creatività c’è sempre, ma si è smarrita una parte dello scrittore. Senza fare come Martin (della serie: aspetta e spera), preferirei meno pubblicazioni ma che abbiano quel qualcosa in più che c’era nei suoi primi lavori, e magari vorrei che si sia più attenti a certi aspetti e dettagli, che si cerchi meno d’includere il più pubblico possibile (si può dire che la storia dell’inclusività ha stancato? Si rifanno le fiabe, si rivedono i miti per metterli al passo coi tempi, si mettono le mani su D&D: invece di fare ciò, si cerchi di creare qualcosa di nuovo e valido, piuttosto che rovinare qualcosa che ha avuto un suo significato).
Viste le capacità di Sanderson, personalmente parlando, non accetto che in momenti critici di una storia il/la protagonista si perda in pensieri amorosi per chi gli/le piace, non importa se si tratta di uno ya (critica rivolta a Skyward e Gli Eliminatori); non accetto che ci siano personaggi che si mettano a parlare di peti sulle sedie o bisogni fatti nelle armature (cosa ancora più imperdonabile per me se si tratta di Folgoluce). Non m’importa se bisogna arrivare ai più giovani: parlare di peti e bisogni fisiologici fa schifo (purtroppo è una cosa non solo di Sanderson e dei libri, ma anche di altri generi, come le serie anime, a esempio Dragon Ball Daima, dove Goku fa la cacca, non si lava e puzza). Poi c’è modo e modo: se si parla di ciò in determinate situazioni (il degrado di una persona malata in certe condizioni fiische o mentali) può avere un senso, ma così per far divertire, per far ridere, no: non fa divertire, non fa ridere. Ribadisco: fa schifo. E da autori con le capacità di Sanderson mi aspetto di più e di meglio. Posso apprezzare le tipologie delle sue storie (in parte, se guardo le ultime uscite), ma queste cose non le accetto.
E parlando di ultime uscite, gli ultimi due romanzi delle serie Skyward raggiungono la sufficienza, se si è generosi. Soprattutto l’ultimo di questa serie mi ha abbastanza deluso: ha quegli elementi degli ya che non apprezzo. Si può dire che il dopo Sanderson è stato per lo più con lo sguardo rivolto allo ya, cosa che il Sanderson della prima trilogia Mistborn non era. E sinceramente si rimpiange il primo Sanderson; si spera che Brandon ritorni al modo di fare dell’inizio e ritrovi quello che ultimamente ha perso: uno scrittore come lui, con l’affermazione che ha, non ha bisogno di rivolgersi allo ya per avere un seguito, ma può puntare a creare qualcosa di più di qualità.

Il potere dell'informazione

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Suggerisco di vedere questo video di Sommobuta perché fa un’ottima disamina sul potere dell’informazione.

 

il potere della informazioneAvevo già parlato di una cosa simile all’interno di L’Ultimo Potere e anche se l’informazione non era tra i poteri da distruggere, perché senza gli altri non poteva esistere, l’informazione aveva avuto un ruolo importante per come si era ridotta l’umanità. Un potere, quello dell’informazione, ora determinante più che mai.

…Tu conosci la storia recente del nostro mondo, ma non sai tutto del passato. Adesso vedi il caos, ma un tempo c’erano ordine e schemi che regolavano ogni funzione di vita, rendendo tutto regolare e sotto controllo; almeno in apparenza. In realtà era un sistema malato e quanto ora vedi è il tumore che era in incubazione. Molti hanno contribuito a crearlo e molti hanno voluto non vederlo. Il risultato è stato che il tumore ha continuato a lavorare fino a rivelarsi nella sua totale virulenza. Fu a quel punto che qualcuno decise d’intervenire: gli organi infetti furono tolti, sostituiti con dei nuovi. Com’era naturale che fosse, andare al cuore della questione portò scompiglio.»
«Dopo il gioco, ora la lezione di chirurgia?»
«Il paragone tra il corpo umano e il mondo è pertinente, dato che praticamente sono la stessa cosa, solo vista più in grande» Maestro sorrise mestamente. «Se non fosse stato per una volontà che non aveva nulla d’umano, tutto sarebbe passato inosservato.»
«So già che dietro ai sistemi esistiti c’erano i Demoni: dove vuoi arrivare? Che gli uomini hanno perso il controllo del sistema creato e che gli si è rivoltato contro?»
«No: il sistema creato avrebbe continuato a esistere, andando avanti senza curarsi di nulla, sfruttando la gente e rendendola schiava. Se non fosse che, prima che i danni fossero irreparabili, sorse qualcuno a guidare il moto di rivolta per arrestare le macchine infernali create.»
“Perché ho l’impressione di aver già sentito questa storia?” Guerriero corrugò la fronte. «Stai parlando di un uomo?»
«Un tempo lo era stato, ma non è della sua natura che dobbiamo parlare, quanto che è stato l’inizio della liberazione dal giogo dei Demoni» Maestro sottolineò con forza l’ultima parte. «Il primo potere a cadere fu quello economico, seguito da quello politico e di conseguenza quello informativo.»
«L’informativo da che pezzo è rappresentato?» domandò Guerriero.
«Non ha una rappresentazione negli scacchi. È stato un mezzo usato per espandersi: senza la politica a crearlo e usarlo, esso ha smesso di esistere.»
«E così sono stati tolti di mezzo i detentori di potere.»
Maestro confermò le sue parole. «Dopo l’epurazione, i concetti di nazione, di popolo e di classe svanirono: le gerarchie furono spazzate via e ogni forma d’influenza d’uomini su altri uomini cessò di esistere. Le differenze furono appianate: fu un tornare agli albori della storia umana. Un reset necessario per attuare la salvezza e permettere agli uomini di tornare a vivere.»
«Dato che quella che conducevano non poteva essere considerata vita» aggiunse Guerriero ripensando alle persone incatenate ai macchinari.
«Erano condizionati nel modo di pensare, vestire, mangiare. Il pensiero, i desideri che avevano non nascevano dalla propria volontà, ma erano presi in prestito, imposti da altri. Erano divenuti greggi bovini, sballottati a destra e sinistra come più piaceva a chi era dietro al sistema. Per questo sono state eliminate le persone di potere e quello cui erano legati.»
«Non credo che molti abbiano ringraziato.»
Maestro lo fissò intensamente. «La gente nemmeno si è resa conto del dono ricevuto: non ha fatto altro che piangersi addosso perché il bel gioco si era rotto. È stata schiava troppo a lungo per apprezzare la libertà: la sua mente è stata talmente condizionata e imprigionata che è voluta ritornare nella condizione in cui è sempre stata. Se avesse saputo per tempo quello che si stava facendo, avrebbe ostacolato, anche ucciso, pur di difendere quelli che considerava privilegi. Adesso paga lo scotto per non aver vissuto secondo le proprie scelte e i propri desideri.»

L’Ultimo Potere.

Perché Goldrake U non funziona.

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Goldrake UGoldrake U è uno dei tanti reboot realizzati in questi ultimi tempi; più che un’azione nostalgica (anche se non manca), pare essere stata un’operazione commerciale nata dalla proposta di una casa di produzione saudita, che ha commissionato e prodotto la serie attraverso le giapponesi Dynamic Planning, detentrici dei diritti, e dello studio Gaina, che si è occupato della realizzazione vera e propria (1); se sia stato un successo o meno dal lato economico, non ho i dati per dirlo.
Quello che posso dire è che questo Goldrake U non è proprio il massimo, né sotto l’aspetto grafico, né sotto l’aspetto di personaggi e trama; nel mio caso non si può dire che si tratta di un giudizio negativo condizionato dal ricordo della storica serie, perché mi ricordo davvero pochissimo di essa: ho in mente alcune scene, ma pochissimo altro, al punto che per fare un confronto e vedere le differenze col reboot sono dovuto andare a leggere su Wikipedia la storia della prima serie (no, non avevo voglia di vedere l’originale con le sue settanta e passa puntate dove il copione era quasi sempre quello: arriva il mostro settimanale, quasi sempre uno per volta, Goldrake lo affronta e dopo una breve difficoltà lo sconfigge). Quindi non si può dire che il giudizio è dovuto alla memoria che avevo riguardo questo cartone animato (quindi niente mitizzazioni o che altro), ma è dovuto semplicemente al fatto che Goldrake U non è scritto bene; di positivo è che la trama non è dispersiva, è concentrata in poche puntate (tredici), forse troppo concentrata: magari qualche puntata in più sarebbe servita per sviluppare meglio certi aspetti. Altra cosa positiva, ma questo non dipende dall’anime, è che la Rai dopo tanti anni ripropone una serie anime su uno dei suoi canali (se non ricordo male, l’ultima serie proposta in prima serata fu L’attaccato dei giganti su Rai4 nel 2015/16; mi sembra che sempre in quell’anno sia stato trasmesso anche Fairy Tail, ma non era in prima serata).
Per il resto, dopo le prime puntate che riescono anche a prendere lo spettatore, il destino del pianeta Terra passa in secondo piano per far diventare la serie un romantic drama tra il principe Duke (Actarus) e la principessa Rubina e sua sorella Teronna.
Che altro menzionare?
La rivalità e l’invidia che Cazador Zeola Whiter ha nei confronti di Actarus, al punto da uccidere i genitori di Duke e far ricadere su di lui la colpa, facendolo passare per traditore; il tutto per essere riconosciuto come migliore e poter guidare Goldrake. Personaggio che dopo essere stato alleato per un po’ con i terrestri, avendogli paventato la possibilità di pilotare Goldrake, sparisce senza lascaire traccia.
L’upgrade di Mazinga che diventa quasi forte come Goldrake (in Giappone non era stata digerito molto bene che Alcor fosse la spalla di Actarus e quindi in questa nuova serie gli è stato dato un ruolo più importante).
Goldrake più che un robot sembra una divinità (e in effetti, in alcuni casi ci si riferisce a lui così) e, a parte qualche momento di difficoltà, non subisce danni. Su certi aspetti ricorda l’Eva di Neon Genesis Evangelion, reagendo allo stato emotivo del pilota e andando in berserk.
Perché, nonostante qualche buona cosa, Goldrake U, nonostante alcune cose positive, non funziona?
Un po’ perché il tempo in cui i robottoni affascinavano è passato e le nuove generazioni guardano altro (e ci si domanda quanti giovani l’abbiano visto, dato che preferiscono affidarsi alla rete). Un po’ perché non ci sono innovazioni. Ma soprattutto per la piattezza della trama (che ha un sussulto solo in un punto nelle ultime puntate) e dei personaggi, specie in Actarus, lontanissimo dalla sua prima versione, che ricalca da una parte il personaggio ultra buono e disponibile verso tutti, anche i nemici, dall’altra ricorda il complessato Shinji Ikari di Neon Genesis Evangelion. Se in più ci si mette che il finale è aperto e fa capire che la storia ha ancora degli aspetti da sviluppare, e che non c’è mai pathos, mai la sensazione di minaccia e pericolo per i protagonisti, si capisce perché non si può essere soddisfatti da questa serie.
Goldarke U è un prodotto penasato per adolescenti e i loro problemi amorosi, che non può soddisfare gli spettatori della prima ora e neppure gli spettatori più giovani, dato che ci sono prodotti migliori su questo tema; non funziona neppure come anime sui robot perché anche qui ci sono prodotti migliori, basti pensare a Neon Genesis Evangelion (se si esclude il finale), Fortezza Superdimensionale Macros, la prima serie di Gundam (la migliore a mio avviso) e Sfondamento dei cieli Gurren Lagann.
Peccato, si poteva fare molto meglio.

1.https://movieplayer.it/articoli/goldrake-u-finale-cronaca-fenomeno-mancato_34567/

Dungeons & Dragons è stato rovinato

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Il manuale del dungeon master di Advanced Dungeons & DragonsDungeons & Dragons, come film, libri, videogiochi e quant’altro, è stato colpito dal politicamente corretto e dal woke: uno dei cambiamenti fatto con i nuovi manuali è stato sostituire il termine razze (elfi, nani, orchi, umani) con specie. Di per sé usare una terminologia al posto di un’altra non cambia molto, anzi non cambia niente se poi la sostanza è sempre quella; il problema è la mentalità che sta dietro tutto ciò e che spinge per cambiare il modo di giocare. Già, perché se si pensa che alcuni dei contenuti del gioco possono riflettere pregiudizi etnici, razziali e di genere, allora c’è un grosso problema. E il problema non è certo nel gioco che non ha elementi del genere (lo so per esperienza, dato che conosco le edizioni passate, soprattutto la AD&D), ma nella mente di certe persone che vedono il “male” dove male non c’è: il male non è nel gioco, il male è nelle persone e nel come fanno e vivono le cose.
Non c’era bisogno di fare cambiamenti inclusivi; non c’era bisogno di creare tanti problemi. Se a un giocatore non piace l’avventura creata dal master, smette di gicoare, ne cerca un altro; una volta si faceva così. Il voler accontentare tutti, voler mettere tutti d’accordo, non solo è praticamente impossibile, ma presenta due grosse storture: uno è imporre una mentalità unica, due è appiattire e cancellare le diversità. Altro che inclusività.
Il nuovo Manuale del Dungeon Master consiglia alla persona che narra la storia e conduce la campagna di mettersi d’accordo con i giocatori per fare una lista di situazioni e temi con cui non si sentono a loro agio, come per esempio le violenze sessuali o l’uso di droghe. Si consiglia anche di individuare un segnale condiviso che comunichi se uno dei partecipanti si sente personalmente a disagio con qualcosa che sta succedendo nel gioco, in modo che il master possa eventualmente deviare la storia in un’altra direzione (1).
Con questa mentalità si finisce con l’arrivare a non fare più niente perché non si sa mai che si vada a urtare la sensibilità di qualcuno. Allora tanti saluti all’ambientazione maledetta di Ravenloft, addio alle cacce a mostri e bestie magiche perché non ci sia qualche animalista che rimane sconvolto dalla cosa; niente più guerre con orchi e goblin perché possono rappresentare tribù un tempo considerate violente e incivili: bisogna bandirli i pregiudizi, no?
Diavoli e demoni? Non bisogna più rappresentarli come il male da combattere e sconfiggere, ma figure che sono state incomprese ed emarginate per scelte sbagliate fatte, che vanno capite e accettate.
Il nobile prepotente, dispotico e corrotto? No, la nobiltà deve essere vista come buona, la guida dei popoli: basta col mostrare sempre che il ricco è meschino, questo è sintomo d’invidia repressa, sentimento negativo che nuoce al gioco.
Addio paladini e cavalieri che salvano principesse da draghi malvagi, perché storie del genere non solo infastidisco gli animalisti, ma anche le donne perché vengono mostrate come deboli e bisognose di essere salvate dagli uomini: abbasso il patriarcato!
Quello che non si capisce è che si sta parlando di un gioco di fantasia, non di realtà: si fanno tante storie per un gioco, poi nel reale si lascia che le persone inneggino pubblicamente a fascimo e nazismo con saluti, simboli e parole come se niente fosse. Se seguiamo la linea dettata da questo nuovo corso, allora bisogna riscrivere o bandire Il Signore degli Anelli di Tolkien, visto come aveva rappresentato gli orchi (e tanti saluti a tutti i messaggi che il romanzo e l’epica dello scrittore hanno saputo dare). Questo solo per mostrare a che livello di stortura, ma anche d’ipocrisia, si è arrivati.
Fortunatamente, i manuali possono sì dare delle regole e linee guida da seguire, ma è il dungeon master che decide la storia da realizzare e come vuole portarla avanti, se usare o meno determiante regole: è sempre stata così. Logicamente se fa una buona storia sarà seguito, altrimenti non andrà avanti molto. Adattando al constesto attuale una battuta di sommobuta, esistono solo due categorie di storie: quelle belle e quelle brutte. E da entrambe c’è da imparare qualcosa. Il bello delle storie è proprio questo, senza contare che sono proprio le tante sfaccettature che possono saltare fuori dall’immaginazione delle persone che le rendono meritevoli di essere raccontate o vissute (in questo caso va inteso naturalmente con l’immaginazione, non realmente).
Alla fine, cose come l’inclusività e il politcamente corretto lasciano il tempo che trovano, ma va notato che si stanno mettendo d’impegno per cercare di rovinare tutto, anche se viene fatto passare come un adeguamento dei tempi (vedere ciò che hanno combianato con favole come Biancaneve e i sette nani, La bella addormentata).

1. https://www.ilpost.it/2024/12/31/nuovi-manuali-dnd-2024/

Il Signore degli Anelli - La guerra dei Rohirrim

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Il Signore degli Anelli - La guerra dei RohirrimChe cosa dire di Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim?
Se ci si aspetta un capolavoro oppure qualcosa che sia al livello della trilogia di Peter Jackson su Il Signore degli Anelli, allora è meglio prepararsi a una delusione.
Se invece non si hanno grandi aspettative, allora si può vedere qualcosa di discreto, ma niente di eccezionale.
Partiamo dagli aspetti positivi: belli i paesaggi, buone le animazioni senza essere tuttavia straordinarie. Lo spettatore, se ha già visto la trilogia di Jakson, si sentirà a casa, dato che i disegni riproducono quanto già visto in Le Due Torri: Edoras, il Fosso di Helm. Nulla di strano, dato che la società di produzione di questo film, la New Line Cinema, è la stessa di Il Signore degli Anelli.
Purtroppo, avere in comune la stessa casa di produzione, la stessa ambientazione, la stessa fotografia, non hanno permesso di rendere la stessa atmosfera, la stessa epicità viste in precedenza; si può dire che in questo caso la magia non ha funzionato (se mai c’è stata magia in Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim). Praticamente, le cose positive finiscono con la grafica, dato che né la storia, né i personaggi riescono a fare presa (salvo qualchge guizzo), anzi per buona parte fanno un po’ cascare le braccia. Soprattutto quello che delude è che si sente che questa non è una storia di Tolkien, manca il suo spirito; pare che qualcuno abbia tentato di copiarlo cercando però di adattarlo ai giorni nostri e ciò lo si vede soprattutto nella scelta di far ricadere tutta l’attenzione sulla protagonista femminile, Hera, figlia di Helm Mandimartello: forte, indipendente, risoluta, emancipata, che non ha bisogno di uomini per essere qualcuno. Uno spirito libero capace di risolvere tutto, che capisce tutto in anticipo, un po’ come piace tanto alla società attuale mostrare (almeno in apparenza).
Questo però non è Tolkien e non perché Tolkien non ritenesse le donne importanti o all’altezza, tutt’altro: basta vedere quello che ha fatto con Luthien. Quindi non è la scelta di puntare su una donna dallo spirito forte, ma il come è stato fatto. Certo non è una novità questo modo di fare del grande schermo: già era stata fatta una rilettura di Arwen in Il Signore degli Anelli di Jackson e anche con Tauriel nella versione cinematografica di Lo Hobbit si era fatto qualcosa di analogo (personaggio questo creato appositamente per il grande schermo ma non presente nel romanzo). Il problema è che negli altri film basati sul mondo di Tolkien Arwen e Tauriel erano una parte della storia (e soprattutto avevano avuto una caratterizzazione), mentre in Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim Hera è tutta la storia e questo non basta a rendere la pellicola di buon livello (e se a questo si aggiunge che manca la caratterizzazione si capisce perché non riesca a fare presa sullo spettatore). Prima che a qualcuno possa venire in mente che la critica è dovuta a maschilismo, patriarcato (cose che vengono tirate fuori appena si critica una figura femminile), beh, nel mio caso ci si sbaglia: ho amato personaggi femminili in storie fantastiche come Wren del mondo di Shannara di Brooks e Vin del mondo dei Mistborn di Sanderson perché non solo erano donne forti e di carattere (ma anche sensibili) ma erano figure di spessore, sfaccettate, approfondite cosa che Hera non è: di lei si sa poco e praticamente è nullo l’approfondimento fatto sul suo conto.
Dopo i personaggi, l’altro aspetto negativo della pellicola è la storia, che ha poco di nuovo da dare e non è sviluppata in modo adeguato, rendendo Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim una bella confezione e poco altro: sembra di guardare una sbiadita copia di Le Due Torri, dato che praticamente ripropone un copione simile.
La vita a Rohan scorre tranquilla, anche se ci sono dei dissidi, soprattutto tra il re Helm e uno dei suoi, Freca, Signore del Mark Occidentale, un opportunista che per i suoi fini vuole far sposare suo figlio Wulf con Hera. Naturalmente i modi tronfi e sprezzanti di Freca fanno adirare Helm, che lo sfida a un confronto tra uomini fuori dalle sale del re; Freca si dimostra tutto fumo e niente arrosto e finisce al tappeto al primo pugno di Helm. Purtroppo, ci lascia la pelle e suo figlio Wulf giura vendetta: dopo essere stato bandito dal regno, raduna un esercito per farla pagare a Helm ma anche a Hera, che ha rifiutato la sua mano.
Già qui con la caratterizzazione dei personaggi non ci siamo, che risulta stereotipata. Helm è forte ma come re non è il massimo: non si accorge che uno dei suoi Signori è un traditore quando anche un bambino vedendolo lo capirebbe (anche non avendo letto o visto Il Signore degli Anelli, dato che le somiglianze con Grima Vermilinguo non sono poche) e non ascolta i saggi suggerimenti della figlia e del nipote riguardo al nemico che sta arrivando, entrambi zittiti senza mezzi termini.
Wulf inizialmente sembra avere una parvenza di carattere, ma è solo una parvenza: a parte l’essere mosso dalla vendetta, non ha altro. Non ascolta ragioni, non ascolta consigli, non ha piani a parte eliminare i figli di Helm e farli soffrire (si potrebbe dire che soffre di complesso d’inferiorità, ma si sarebbe un pochino generosi nel cercare di trovare spessore al personaggio). Inoltre, oltre a essere un opportunista, è pure codardo; insomma, ha tutti i requisiti per incarnare uno dei classici cattivi.
Per metà del film, la storia va avanti pesantemente, senza scossoni, prevedibile e anche noiosa. Wulf arriva col suo esercito, Helm lo affronta, subisce un tradimento, si deve ritirare perché le forze nemiche lo sovrastano (Hera lo aveva avvertito ma, ehi, lui è Helm Mandimartello, cosa vuoi che possano farmi i nemici?) ma non ce la farebbe se non fosse per la figlia Hera che ha previsto il peggio e ha messo al sicuro la gente di Rohan in quello che diverrà il Fosso di Helm. Wulf uccide i due fratelli di Hera, Helm viene ferito e tutto ricade sulle spalle di Hera, che risulterà più assennata del padre (ma ci voleva poco).
Poi, dopo il ferimento di Helm, le cose si fanno un poco più interessanti: le ferite di Helm guariscono, ma la sua mente appare spezzata, dato che rimane sempre a letto. Poi una notte sparisce e gli assedianti cominciano a morire uno a uno: tra le loro fila serpeggia il terrore e si comincia a vociferare che sia lo spettro di Helm a ucciderli. Hera, cercando il padre, trova un passaggio segreto, arrivando tra le montagne dove degli orchi rovistano tra i cadaveri in cerca di anelli da portare a Mordor (allacciamento con quello che avverrà in Il Signore degli Anelli, dato che qui siamo duecento anni prima della storia di Frodo). Verrà salvata dal padre, che finalmente ha capito gli errori fatti con lei e la salverà riportandola nella fortezza, sacrificandosi (la sua morte è forse uno dei pochi momenti con un minimo di epicità).
Quando tutto sembra perduto, Hera salverà la situazione: sconfiggerà e ucciderà Wulf in duello, e farà arrivare in soccorso della sua gente il cugino (mandato a chiamare con una grande aquila), che farà il suo ingresso come Gandalf in Le Due Torri.
Il popolo di Rohan è salvo, Hera lascia il trono al cugino e potrà continuare a essere libera di fare quello che vuole.
Purtroppo, Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim non funziona a dovere e l’aver scelto Kenji Kamiyama non ha aiutato (è stato allievo di Mamoru Oshii, ma non sembra aver appreso molto da lui vedendo questo film); forse, se si fosse puntato su un regista con meno impronta anime si sarebbe ottenuto un risultato diverso. Forse, se non si fossero fatti certi cambiamenti e “adattamenti” si sarebbe provato meno fastidio vedendo questo film. Certo, c’è qualche guizzo quando la storia presenta dei collegamenti con quella principale del mondo di Tolkien, ma pochi secondi d’interesse non possono ribaltare il giudizio su una pellicola che di tolkieniano ha davvero poco (se non nulla). Un’occasione sprecata.