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Le ombre residue

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Le ombre residueLe ombre residue, secondo volume di Mistborn Era Due di Brandon Sanderson, sotto certi aspetti ricorda un po’ i due film diretti da Guy Ritchie su Sherlock Holmes: l’ambientazione ottocentesca, l’investigazione, l’azione adrenalinica e in parte pure i personaggi, con Wayne che ricorda per il suo fare battute e i camuffamenti il Sherlock Holmes interpretato da Robert Downey Jr. e Was, più ponderato e più portato al combattimento, che assomiglia al Watson il cui volto nella pellicola è dato da Jude Law. A pensarci un attimo viene da chiedersi se Sanderson sia stato ispirato dal lavoro svolto da Guy Ritchie, ma la cosa non ha importanza, perché Le ombre residue è un romanzo che prende e tiene incollati alle pagine, intrattiene, diverte e fa ricordare il periodo della rivoluzione industriale con lo sviluppo della tecnologia che comincia a fare balzi in avanti e le prime manifestazioni dei lavoratori per avere migliori condizioni di lavoro.
Sinceramente, questo romanzo mi ha preso più del precedente, La legge delle Lande (seppur va detto che mi era piaciuto, anche se vi avevo trovato alcune pecche; ma forse, rileggendolo dopo dieci anni, darei un giudizio differente), probabilmente perché già conoscevo i personaggi e soprattutto perché non c’era il distacco dal tipo di ambientazione (si passava da una in stile Medioevo/Rinascimento a una western); a prescindere però dai gusti personali, questo romanzo è solido, scorrevole e funziona in tutte le sue parti.
Andando oltre il rammentare i film recenti su Sherlock Holmes (che non è una nota negativa, anzi è piacevole, dato che avevo apprezzato le due pellicole), siamo dinanzi a una società che sta cambiando velocemente, sia nel modo di lavorare (industrializzazione), sia di muoversi (si sta passando da cavalli e carrozze ad automobili), con tutti i suoi pro e i suoi contro; nuovi mestieri stanno sorgendo (avvocati) e gli allomanti trovano occupazioni un tempo impensate (esistono salotti sedatori, dove le emozioni delle persone vengono calmate dietro pagamento, un po’ come succedeva con le oppierie).
Dopo i fatti di La legge delle Lande, Wax e Wayne sono tornati in pianta stabile a Elendel, portando le loro ingombranti figure di giustizieri in una città che sta andando incontro alla civilizzazione, lasciandosi alle spalle la semplicità e la violenza del selvaggio west (d’accordo, qui non c’è un “west”, ci sono le Lande, ma questo serve per intendere cosa si vuole spiegare). I due (aiutati da Marasi) stanno dando la caccia a un fuorilegge, il Cecchino, che ha ucciso delle persone mentre rapinava; le cose prendono una strana piega quando Wax scorge tra la folla il volto di una persona che sa di aver ucciso anni prima (è stato la causa della morte della donna che amava).
La situazione si complica quando vengono coinvolti nell’inchiesta dell’omicidio del fratello del governatore di Elendel, ucciso mente era assieme a diversi membri della malavita cittadina. Presto scopriranno che dietro a tutto ciò si cela un kandra impazzito (creatura immortale capace di mutare forma ingoiando i resti di persone o animali che un tempo serviva il Lord Reggente); Salassa, questo il nome del Kandra, sta cercando di sovvertire l’ordine della città per rendere libere le persone: il suo scopo è fare sì che Armonia, il dio che ha fatto rinascere il mondo ai tempi della Catacenere (che altri non è che Sazed, il terrasiano che ha preso su di sé i poteri di Rovina e Preservazione). Dietro a questo suo modo di agire c’è un forte odio verso la divinità per averla costretta a fare qualcosa che non voleva; proprio questa forzatura l’ha spinta a togliersi uno dei due spuntoni metalurgici che permettevano ad Armonia di controllarla e ad agire di propria iniziativa.
Le indagini di Wax lo porteranno sempre più vicino al vero piano di Salassa, fino a quando non arriverà a scoprire la verità. E sarà una verità dolorosa, che riaprirà un’antica ferita, lasciandolo sconvolto e distrutto. Ma le soprese non si fermeranno qui.
Le ombre residue è davvero stata un’ottima lettura e aspetto con piacere l’uscita del prossimo volume di questa serie; scorrevole, veloce, senza appesantimenti o divagazioni, porta dritti dove l’autore vuole arrivare e c’è da dire che nel finale Sanderson sa fare un bel colpo di scena. Davvero un bel libro.

Tolkien

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Tolkien, il film sulla giovanezza dell'autore di Il Signore degli AnelliTolkien è un film biografico del 2019 sul famoso autore di Il Signore degli Anelli; dai dati acquisiti, il film non ha ottenuto un gran successo, né ha ricevuto critiche molto positive, ma personalmente la pellicola non mi è dispiaciuta. Certo, è romanzata, ci sono delle cose che non corrispondono con quanto realmente accaduto e non credo che Tolkien fosse “casinista” (ma si sa che per il grande schermo attira più una figura problematica che un tranquillo studioso), ma nel complesso il film sa fare il suo dovere, ha ricostruito abbastanza bene l’ambiente e l’atmosfera dell’epoca e riesce a far capire come le esperienze dell’autore abbiano influenzato le sue opere.
Dalla vita in campagna di quando era bambino che gli ha fatto sviluppare l’amore per la natura e i paesaggi alla passione per le letture e le storie d’avventura e fantasy trasmessa dalla propria madre, dalla passione per la conoscenza delle lingue all’amicizia dei membri del T.C.B.S. (Tea Club and Barrovian Society: i quattro amavano prendere il the nei Barrow Stores vicino alla scuola che frequentavano) che segnò profondamente Tolkien, dall’amore per Edith Bratt (che diverrà poi sua moglie) agli orrori e alle perdite portate dalla Prima Guerra Mondiale, il film riesce a mostrare discretamente il percorso che ha portato Tolkien a divenire scrittore fantasy.
Ci sono delle lacune, questo va fatto presente: mancano l’influenza che la religione cattolica ha avuto sui suoi libri, l’amore per i cavalli, la preoccupazione che lo sviluppo industriale avrebbe avuto sulla natura e questi non sono elementi da poco, visto l’importanza che hanno avuto nella produzione tolkeniana, ma se si vuole qualcosa di più approfondito e legato all’autore occorre rivolgersi altrove (per esempio gli speciali che sono stati messi nelle Special Extended Edition dedicate ai tre film realizzati da Peter Jackson su Il Signore degli Anelli).
Non per questo il film realizzato da Dome Karukoski va bocciato o stroncato: c’è del buono in quanto realizzato. In diversi, perché il film non venne né approvato né autorizzato dalla famiglia Tolkien e dalla fondazione omonima, lo snobbarono o lo giudicarono negativamente, ma questo è stato un atteggiamento non corretto; certo, non siamo di fronte a un film da Oscar, ma neppure a una pellicola scadente: Tolkien è un film che fa capire come le esperienze di vita hanno influito sullo scrittore che sarebbe poi divenuto il giovane Ronald mostrato dal regista. E quindi, a mio avviso, gli si può dare un’opportunità.

Contraddizioni 2

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Crozza parla di un mondo pieno di contraddizioniViviamo sempre più in un mondo di contraddizioni, dove i comici sono le persone più serie che mostrano la realtà e i politici diventano sempre più barzellette di se stessi e del ruolo che ricoprono, al punto che si pensa che forse sarebbe meglio che le due parti si scambiassero di posto.
Se non fosse tragico, farebbe sorridere che chi ha appoggiato il fascismo, responsabile di milioni di morti assieme al nazismo nella Seconda Guerra Mondiale (forse anche di più, dato che è stato il primo a ispirare il secondo e a causare quello che è stato; ora, non esiste la controprova che senza il fascismo non ci sarebbe stato il nazismo, ma i fatti mostrano ciò e dobbiamo fare i conti con esso, anche se molti hanno fatto e fanno finta di non vedere), per rifarsi la faccia asserisce di stare dalla parte degli ebrei, quando nel conflitto tra Israele e Palestina in questo caso ci sarebbe da condannare entrambi, dove da salvare ci sono solo le popolazioni che come sempre ci si rimettono sempre.
Non si fa che parlare della piaga dell’alcol tra i giovani, di come tanti di essi perdano la vita in incidenti stradali o ammazzano altre persone perché ubriachi, e poi c’è un ministro (Lollobrigida) che vuole che si aumenti il consumo dell’alcol legandolo agli eventi sportivi.
Ora si criticano tanto i calciatori perché c‘è lo scandalo scommesse, ma poi ci si dimentica come si è bombardato con la pubblicità su giocare online e fare scommesse (quello che fa sorridere è che dopo aver fatto l’illecito, si vuol far diventtare i calciatori colpevoli del fatto testimonial contro il gioco, per aiutare gli altri, perché così facendo “salveranno migliaia di vite”, stando ad alcune dichiarazioni di procuratori: in breve tempo li si fa passare da incriminati a eroi o martiri. La gente non è stata già presa in giro abbastanza?)
In un mondo dove le violenze sulle donne si fanno sempre più serrate, dove vengono ammazzate per i motivi più stupidi (Italia) o più fanatici (Iran), c’è ancora chi se ne salta fuori con discorsi del piffero (Gianbruno) sulle brutalità che subiscono.
Contraddizioni ovunque e si fa fatica, come dice Crozza (il video postao merita davvero di essere visto), a capirci qualcosa in tutta una confusione sempre più generalizzata, salvo che l’odio sta prendendo il sopravvento e sta aumentando a dismisura (basta vedere solo nel piccolo, dove i social, la rete, diventano un mezzo per scatenarsi nel modo peggiore).
Contraddizioni. Contraddizioni. Contraddizioni.

Suzume

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SuzumeCosa dire di Suzume di Makoto Shinkai? Si tratta di un film a due facce: la prima molto buona, spumeggiante, coinvolgente, mentre la seconda non mantiene lo stesso livello. Forse da uno come Shinkai ci si aspetta sempre tanto, ma in questo caso si va a finire in qualcosa di già visto, sia da parte dello stesso regista, sia da parte di altre storie. E la morale alla fine è che occorre sia accettare la scomparsa di coloro cui si tiene e andare avanti (Suzume), sia accettare le proprie responsabilità (Daijin): niente che non sia già stato affrontato.
Suzume è una liceale che vive con la zia, dato che la madre è morta quando lei era piccola. Il suo obiettivo è diventare infermiera, proprio come lo era il genitore (del padre non si ha traccia: la madre l’ha cresciuta da sola). Fa spesso un sogno ricorrente, in cui lei è piccola e sta cercando disperatamente la madre in mezzo a rovine e distese d’erba, fino a quando incontra una donna di cui non riesce a vedere il volto.
La sua è un’esistenza tranquilla fino a quando mentre va a scuola incontra un ragazzo che le chiede se nelle vicinanze ci sono delle rovine, dicendo che sta cercando una porta. Suzume rimane sia perplessa sia colpita da questo incontro e dopo un poco decide di seguire il ragazzo; raggiunge le rovine ma di lui nessuna traccia. Tuttavia, in mezzo a uno specchio d’acqua creatosi al centro di una grande struttura sta una porta solitaria; incuriosita, la apre, trovandosi davanti a uno splendido paesaggio sovrastato da un magnifico cielo stellato che le ricorda il sogno. Appena però attraversa la soglia, si ritrova nel mondo reale, non importa quanti tentativi faccia; l’unica cosa diversa è che all’improvviso compare una statuetta di gatto. Appena la estrae dal terreno, questa si trasforma in un gatto vero, che corre via.
Spaventata, Suzume scappa e torna a scuola, ma la sua tranquillità dura poco, dato che vede comparire dal punto in cui sono situate le rovine un fumo viola e nero. Torna alle rovine e ritrova il ragazzo incontrato poco prima che sta tentando di chiudere la porta dalla quale fuoriesce lo strano fumo. Dopo tanti sforzi riescono nell’impresa, ma il giovane, che si chiama Suota, rimane ferito a un braccio. Accoltolo in casa propria, Suzume lo cura e da lì viene a sapere che di porta come quella che ha visto, che sono dei passaggi dimensionali, ce ne sono diverse in tutto il Giappone e il compito di Souta è quello di chiuderle per impedire che da esse escano delle forze chiamate il Verme che si trovano sotto il terreno (il fumo che ha visto) che, abbattendosi sulla terra, causano i terremoti; la cosa è solo temporanea, dato che per fermarlo in modo più duraturo occorre usare la chiave di volta.
Mentre stanno parlando compare un gatto macilento: Suzume gli dà da mangiare e il gatto per la sua gentilezza cambia di aspetto e fa diventare Souta la piccola sedia a tre gambe di Suzume. Il gatto, infatti, che verrà chiamato Daijin, si rivelerà essere la chiave di volta che però non vuole più essere tale ma bensì divenire l’animale domestico della ragazza; inizierà così un lungo inseguimento a tratti comico, dove Suzume sul suo cammino incontrerà diverse persone che l’aiuteranno nel suo viaggio inaspettato.
Presto però Souta non potrà più essere con lei, dato che dopo essere stato mutato in sedia perderà sempre più se stesso; il che è una logica conseguenza dell’essere diventato lui la chiave di volta. Suzume, per fermare una manifestazione particolarmente potente del Verme è costretto a usarlo, ma non si rassegnerà a perderlo e andrà a parlare col nonno del ragazzo per sapere se c’è un modo per poterlo far tornare indietro.
Naturalmente esiste ed è proprio lei che può farlo, basta che ritrovi la porta che ha già attraversato una volta: infatti, Suzume è in grado di vedere l’Oltremondo (il mondo dei morti) essendoci stata da piccola. Qui scoprirà che quello che crede un sogno in verità è stato la realtà e per lei comincerà un altro viaggio non solo per riportare in vita Souta, ma per venire a patti anche con un passato che la tormenta ancora.
Ed è da questo punto in poi che il film Suzume perde quella verve che l’aveva caratterizzato; un po’ perché ripete in parte temi già visti in Viaggio verso Agartha, conosciuto anche come I bambini che inseguono le stelle (non per niente la scatola che Suzume dissotterra nei pressi nella sua vecchia casa distrutta porta scritto sopra il nome di Agartha), un po’ perché vuole rendere omaggio a ciò che è successo l’11 marzo 2011 (l’incidente alla centrale nucleare di Fuchushima avvenuto dopo il terremoto e il successivo maremoto). Se a questo si aggiungono i conflitti generazionali tra giovani e figure genitoriali, tra sogni infranti e rinunce in nome della responsabilità e difficoltà a comunicare i propri sentimenti, si capisce come Suzume venga appesantito più del dovuto prima di avviarsi verso un lieto fine, con Suzume che finalmente viene a patti con quello che è successo in quel tragico giorno di tanti anni prima (e come Shinkai suggerisce di fare in un qualche modo anche al Giappone).
Visivamente magnifico, Suzume fa un passo indietro rispetto ai film precedenti, soprattutto se lo si confronta a Your name; rimane un buon film, ma da Makoto Shinkai ci si aspetta qualcosa di più.

La spada della verità

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La spada della veritàLa spada della verità di Terry Goodkind è una sorta di copia di La spada di Shannara di Terry Brooks, che a sua volta era una copia di Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien e, visto il risultato ottenuto da Brooks, vien da pensare che il giudizio non sia positivo. Quindi tutto da buttare?
No: a Goodkind va riconosciuto che ha il coraggio di mostrare stupri, violenza sulle donne e pedofilia. Certo i cattivi sono più cattivi che non si può e ne fanno di cotte e di crude con tutti, anche con i bambini, e possono essere stereotipati al massimo della malvagità (per avere la popolazione dalla sua parte non ci pensano due volte a camuffare i propri soldati per quelli avversari e far massacrare quelli che dovrebbero proteggere), prendendo delle decisioni che lasciano perplessi (Darken Rahl, dopo che un mago ha ucciso con il fuoco magico il padre e ne è rimasto a sua volta profondamente ustionato, ha imposto che nessun fuoco venga acceso nel suo regno, pena gravi conseguenze; senza contare che fa giustiziare per un non nulla le persone, tipo che ci siano petali caduti sul pavimento nella tomba del padre), ma non sono molti gli autori che descrivono le violenze senza tanti giri di parole.
Senza contare che, benché non sia il massimo dell’originalità, la storia raccontata (il classico bene contro il male), le vicende e l’ambientazione create hanno un certo fascino. Certe tematiche (come a esempio la spiegazione che c’è dietro la Prima Regola del Mago, ovvero che la gente è stupida e crede a quello che vuole credere) sono interessanti, benché alle volte si va troppo sullo “spiegone”. E va riconosciuto che alcuni personaggi sono ben caratterizzati, come succede con Denna, visto che non è facile mostrare la mente di una torturatrice senza scadere nel classico cliché della figura assetata di sangue: Goodkind riesce a creare una mente complessa, seppur distorta, coniugando uno strano connubio di amore legato al dolore che rasenta la pazzia.
Però ci sono delle cose che davvero non vanno. Appena Richard e Kahlan s’incontrano diventano subito amici (sentimento che diverrà presto amore) e porteranno avanti per centinaia di pagine un rapporto young adult come purtroppo si è visto tante volte: sospiri, struggimenti, vorrei ma non posso, pianti (tutti e due piangono con una facilità disarmante). Per non parlare che tutte le figure femminili quando si tratta Richard parlano come se fossero sempre la stessa persona: tutte non fanno che ripetere che lui è una persona molto rara.
Se si riesce a sopportare tutto questo e si supera la prima parte, oltre a soprassedere che il potere delle Depositarie è il potere dell’amore  (non sorprende che la prima volta che Richard lo sente dire si mette a sghignazzare), la storia a un certo punto può anche essere godibile.
Richard è una guida che vive nei Territori Occidentali e da poco ha perso il padre, ucciso in strane circostanze; mentre sta cercando di fare chiarezza sul fatto, incontra e aiuta una donna vestita di bianco, Kahlan Amnell, salvandola dall’attacco di quattro uomini. Richard è sorpreso di sapere che lei viene dalle Terre Centrali e ha attraverso il pericoloso Confine (una sorta di barriera magica che ha a che fare con il mondo dei morti) per trovare il Primo Mago, l’unico che può aiutarla a fermare Darkhen Rahl, il tiranno del D’Hara che dopo le Terre Centrali vuole conquistare anche quelle Occidentali; infatti, se venisse in possesso delle tre Scatole dell’Orden e riuscisse ottenere il loro potere, per il mondo inizierebbe un’era oscura.
Richard porterà Kahlan da Zedd, un vecchio un po’ strambo suo amico, che si rivelerà essere proprio la persona cercata. Zedd darà la Spada della Verità (un potente artefatto magico che dona sì potere, ma che pervade l’utilizzatore di rabbia; senza contare che può diventare bianca se chi la impugna è mosso da vera compassione e perdono, l’opposto della rabbia) a Richard e lo nominerà Cercatore (un guerriero che lotta per portare verità e guidare i popolo verso la saggezza). Assieme a Chase, un Custode del Confine, partiranno alla volta delle Terre Centrali per entrare in possesso dell’unica Scatola dell’Orden non ancora nelle mani di Rhal. Sarà un viaggio lungo e pieno di pericoli, dove incontreranno la saggia incantatrice Adie, il popolo del fango, la strega Shota, le perfide regnanti di Tamarang e la piccola Rachel.
Richard scoprirà che Khalan è la Madre Depositaria e per via del suo potere non potranno stare insieme. Dopo essere stato catturato e torturato per settimane dalla Mord-Sith Denna, una donna addestrata a catturare i dotati di potere magico e a piegarli alla sua volontà, Richard acconsente ad aiutare Rhal, ma nel mentre cerca di trovare un modo per sconfiggerlo. Dopo essersi fatto amica Scarlet, il drago rosso personale di Rahl, salvando il suo uovo, Richard, che aveva memorizzato quando il padre era ancora in vita Il Libro delle Ombre Importanti prima di distruggerlo, quando tutto sembra perduto ha la meglio su Rhal utilizzando la Prima Regola del Mago, e relegando il tiranno nel Mondo Sotterraneo, il mondo dei morti. Richard, Kahlan e Zedd sono di nuovo riuniti; Richard prenderà il posto di Rhal e farà giustiziare il fratello, rivelatosi il traditore al soldo del Tiranno, e potrà stare con Kahlan, avendo scoperto il modo per non sottostare al potere della Depositaria; Zedd ha ottenuto la sua vendetta su Rahl, ma non rivelerà per il momento che il despota era il vero padre di Richard, avendo stuprato la figlia del mago quando era giovane, e che George Cypher era solo il padre adottivo, che aveva accolto amorevolmente Richard e la madre quando si erano rifugiati nei Territori Occidentali.
In definitiva, il primo volume di La spada della verità non è proprio malaccio: si è letto di peggio, ma si è anche letto di meglio.

Hunger Games

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Hunger GamesNon c’è molto da raccontare sulla storia di Hunger Games scritta da Susanne Collins, dato il grande successo avuto dal film che ha visto Jennifer Lawrence interpretare il ruolo della protagonista, Katniss Everdeen. In un’America postapocalittica, la nazione chiamata Panem è governata da Capitol City, mentre dodici distretti le riforniscono le materie prime e di sostentamento; un tempo i distretti erano tredici, ma uno di essi è stato distrutto durante una rivolta scatenatasi settantaquattro anni prima gli eventi narrati nel libro. Dopo quel fatto, per ricordare il potere di Capitol City, ogni anno vengono realizzati dei giochi celebrativi, gli Hunger Games, dove ogni distretto deve inviare un ragazzo e una ragazza, di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, a parteciparvi; i ventiquattro partecipanti si dovranno sfidare in un’arena e uccidersi, finché soltanto uno rimarrà in vita.
Questi Hunger Games, che un po’ ricordano il tributo che Atene doveva a Creta e che tanto è conosciuto come il mito del Minotauro, servono sia per dimostrare il potere di Capitol City, sia per spezzare lo spirito delle persone dei distretti e tenerli sotto controllo; un sistema subdolo, ma efficace, che per decine d’anni ha impedito che ci fossero altre rivolte.
Tutta la storia viene vista attraverso lo sguardo di Katniss Everdeen, una giovane che, dopo la morte del padre avvenuta in uno scoppio in maniera, si è accollata sulle spalle la madre e la sorella più piccola: va a cacciare di frodo nella foresta vicina il distretto e per avere più tessere per il cibo riceve delle nomine in più nella urna che selezionerà chi dovrà andare agli Hunger Games. Nonostante le alte possibilità di venire selezionata alla Mietitura, la scelta ricade sulla sorella, al suo primo anno negli Hunger Games; sapendo che non ha nessuna possibilità di farcela, Katniss si offre volontaria al suo posto. Assieme a lei andrà Peeta Mellark, figlio del fornaio che una volta di nascosto la sfamò.
Giunti a Capitol City, i due vengono truccati, vestiti, fatti sfilare, addestrare e intervistati, il tutto sotto l’occhio attento delle telecamere che non li lascia mai un momento. Perché è questo che sono gli Hunger Games: un grande show televisivo dove la gente di Capitol City si appassiona, si emoziona per i tributi, trepidando per le loro vicissitudini, piangendo per le loro morti.
Soli in un mondo così diverso dal loro (pieno di luci, comodità e cibo di ogni genere), l’unico aiuto che hanno è quello della frivola Effie, dei loro stilisti (specialmente Cinna) e dello scorbutico e spesso ubriaco Haymitch, unico vincitore del Distretto 12 degli Hunger Games ancora in vita e loro mentore e l’unico che può fargli avere degli sponsor che li possono aiutare quando saranno nell’arena.
Separata fin dall’inizio del gioco dal suo compagno di distretto (durante l’intervista erano stati fatti passare come i due sfortunati innamorati), Katniss si troverà a lottare da sola contro gli altri tributi e le insidie proposte dagli Strateghi; inaspettatamente troverà in Rue, la ragazzina del Distretto 11, un’alleata e assieme faranno saltare in aria le riserve di cibo dei tributi favoriti. Rue morirà però tra le sue braccia, causandole un dolore straziante; ritroverà però un ferito Peeta e insieme continueranno la loro sceneggiata di innamorati.
Questa cosa, per rendere i giochi più interessanti, farà cambiare la regola degli Hunger Games che vede solo un vincitore: ora possono essercene due, purché siano dello stesso distetto.
Con un po’ di fortuna e abilità riusciranno ad arrivare insieme in fondo ai giochi, ma ci sarà un colpo di scena: la regola dei due vincitori viene tolta. Stanca di stare al gioco e sapendo che non può esserci nessun vincitore, decide con Peeta di mangiare nello stesso momento i morsi della notte, delle bacche velenose che uccidono all’istante. Vengono fermati all’ultimo istante e così per la prima volta ci saranno due vincitori. La cosa ai piani alti di Capitol City non piace per niente e il pericolo per Katniss non è ancora finito.
Il romanzo di Hunger Games presenta qualche dettaglio in più rispetto al film, che comunque mantiene lo spirito dell’opera cartacea e ne è molto fedele. Ci sono alcuni personaggi in più, ma non sono determinanti nello svolgimento; rispetto al film c’è solo il punto di vista di Katniss e il presidente Snow viene mostrato per qualche riga solo nel finale, mentre nella pellicola (ben interpretato da Donald Sutherland) ha delle parti che ne mostrano la natura; nel libro si parla di strateghi, nel film ne viene fatto vedere soltanto uno. Cambia un poco lo scontro finale nell’arena che è sempre tra Cato, Peeta e Katniss, ma gli ibridi che vengono scagliati contro i tre nel film sono una sorta di mastini giganti, nel romanzo sono delle creature create con i geni dei concorrenti morti: nel film Cato fa un discorso di una certa profondità, nel romanzo fa a malapena una battuta e la sua fine è molto più brutale (per lo spettacolo, le creature lo dilaniano lentamente per ore). Peeta nel romanzo perde una gamba, sostituita poi con una artificiale.
A Susanne Collins va dato il merito di aver saputo scrivere una storia coinvolgente, con un buon ritmo, riuscendo a criticare il mondo dello spettacolo e della spettacolarità sempre più ricercata della nostra società senza essere pedante.