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Demon Slayer - Il treno Mugen

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Demon Slayer - Il teno MugenDemon Slayer – Il treno Mugen è il seguito della prima stagione di Demon Slayer ed è decisamente un passo avanti rispetto a essa, non tanto per l’aspetto visivo, dato che lo Studio Ufotable aveva già fatto un ottimo lavoro, quanto per ciò che riguarda il modo di far andare avanti la storia. Realizzato sia in versione cinematografica sia anime (a parte la prima puntata dell’anime, dove viene presentato il Pilastro delle Fiamme Rengoku Kyojuro, la storia è praticamente la stessa), Tanjiro, Zen’itsu e Inosuke, guidati da Rengoku stanno indagando su un demone che ha fatto scomparire quaranta persone sul treno Mugen. La situazione sembra risolversi subito per il meglio con la sconfitta di due demoni, ma la realtà è molto differente, visto che si tratta tutto di un sogno: i quattro sono tutti caduti sotto l’effetto del potere della prima Luna Calante, Enmu. L’abilità vampirica del demone permette di controllare i loro sogni: dapprima gli fa avere quello che più desiderano, poi li fa sprofondare negli incubi prima di ucciderli.
La scelta dell’abilità vampirica di questo demone è stata davvero azzeccata, perché è molto interessante mostrare l’inconscio dei vari personaggi e soprattutto non è il solito modo di combattere a colpi di spade e tecniche distruttive. Le parti migliori sono quelle di Rengoku e Tanjiro, con il primo che sogna il padre e il fratello, addestrando quest’ultimo, e il secondo che ritrova tutta la sua famiglia ancora viva; quelle relative a Zen’itsu e Inosuke, sono più leggerine, con lo spadaccino delle respirazione del fulmine che sogna di camminare insieme con Nezuko (la sorella di Tanjiro) e quello della respirazione della bestia che è un sogno macchietta dove lui si vede a capo degli altri animalizzati a combattere un mostro.
Enmu, grazie alla collaborazione di quattro giovani che si legano con delle corde agli spadaccini e addormentandosi cercano di trovare il loro nucleo spirituale e distruggerlo con un punteruolo, sembra avere la meglio, ma non ha tenuto conto dello spirito combattivo di Rengoku, né del fatto che Nezuko, essendo diventata una demone, è immune al suo potere e con i suoi tentativi di svegliare il fratello fa accorgere Tanjiro che sta sognando; lo spadaccino, per svegliarsi, si suicida nel sogno e dice alla sorella di bruciare le corde che tenevano legati gli altri. Nel mentre lei fa ciò, sale sul tetto e combatte contro Enmu, sfuggendo alla sua tecnica vampirica suicidandosi in sogno ogni volta che finisce addormentato; il demone viene decapitato, ma ciò non serve a sconfiggerlo, perché ormai il demone si è fuso con l’intero treno.
Lo scontro diventa improbo, ma l’intervento di Inozuke, risvegliatosi, e il lavoro di coppia dei due spadaccini porta la vittoria contro il demone. Il treno deraglia e tutto sembra finito, ma dalla foresta giunge Akaza, la Terza Luna Crescente, che dapprima cerca di uccidere Tanjiro, poi cerca di convincere Rengoku a divenire un demone. Il Pilastro del Fuoco rifiuta e tra i due nasce uno scontro epico, che però termina con la sconfitta dello spadaccino; tuttavia, Akaza deve scappare per il sorgere del sole, prima che la luce diurna lo consumi.
In punto di morte Rengoku rivede l’amata madre, orgogliosa di lui per aver usato la sua forza per difendere i più deboli. Tanjiro, Inozuke e Zen’itsu sono in lacrime davanti al corpo di Rengoku mentre i corvi portano agli altri Pilastri la notizia della fine di quello del fuoco. Il capofamiglia dei Pilastri loda l’operato di Rengoku, essendo riuscito a salvare la vita di tutti i duecento passeggeri del treno.
Demon Slayer – Il treno Mugen è un ottimo prodotto, che si concentra sulla storia e non si perde dietro tutte quelle scenette presenti nella prima serie che dovrebbero essere ilari. Scene di combattimento spettacolari (ma questa non è una novità per Ufotable), buon approfondimento dei personaggi di Regoku e Tanjiro, ottimo lo sviluppo dell’idea di ambientare buona parte dell’azione nel mondo dei sogni, il tutto accompagnato da una colonna sonora azzeccata, soprattutto per quanto riguarda l’epico scontro tra Akaza e Rengoku.
Per amanti di storie di spadaccini, katane e demoni, Demon Slayer – Il treno Mugen è una visione che non può sfuggire.

Oltre le nuvole, il luogo promessoci

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Oltre l nuvole, il luogo promessociOltre le nuvole, il luogo promessoci è il primo film di animazione realizzato per il cinema da Makoto Shinkai; ambientato in un mondo ucronico, dove il Giappone è un paese diviso in due parti (una dominata dall’America, l’altra dalla Russia), vede come protagonisti due ragazzi, Hiroki Fujisawa e Takuya Shirakawa, che hanno come sogno quello di costruire un aereo e così raggiungere la gigantesca torre costruita dai russi in Hokkaido. Nell’estate in cui stanno per terminare il progetto cominciano a frequentare una compagna di classe, Sayuri Sawatari, il cui nonno ha progettato la famosa torre, che, venuta a sapere di quello che stanno facendo, si fa promettere che la porteranno con loro.
Il periodo che passano insieme è idilliaco e tiene lontano le ombre di un mondo pieno di conflitti, ma alla fine delle vacanze estive la ragazza scompare senza lasciare traccia e dopo questo evento Hiroki e Takuya non portano a conclusione la costruzione dell’aereo.
Passano tre anni e si scopre che Sayuri è finita ed è rimasta in coma da quell’estate; nel mentre, la parte del Giappone tenuta sotto controllo dall’America monitora e studia l’attività della torre, che, grazie agli studi fatti sui mondi paralleli, sta sostituendo parte della realtà attuale con un’altra; se tutto ciò avvenisse, sarebbe la fine del pianeta.
Incredibilmente, l’attività della torre è in qualche modo legata al coma in cui è caduta Sayuri: la ragazza sogna un mondo in cui è l’unica essere vivente del pianeta e nei momenti in cui la sua attività cerebrale s’intensifica, la torre si attiva sostituendo sempre più parti della Terra. Gli studiosi che la tengono monitorata ipotizzano che se lei si svegliasse completamente, sarebbe la fine del mondo.
Hiroki, venuto a sapere di lei attraverso un sogno ricorrente dove la ragazza ricorda solamente la promessa fatta durante quella bella estate, riallaccia i contatti con l’amico di un tempo (che adesso fa parte del team che studia la torre) e vuole portare a termine la costruzione dell’aereo per adempiere a quello che si erano detti tre anni primi. Dopo che i due hanno litigato (si deve scegliere se salvare Sayuri o il mondo), Hiroki riesce a convincere Takuya: quest’ultimo preleva Sayuri dal luogo in cui era tenuta e Hiroki la porta con sé sull’aereo alla volta della torre dove, una volta che lei si sarà risvegliata, lancerà contro la torre una bomba speciale capace di annullare gli effetti della struttura. Il piano andrà a buon fine, ma il desiderio di Sayuri di poter ricordare l’amore per Hiroki, l’unica cosa che l’aveva tenuta ancorata alla realtà, non verrà esaudito; Hiroki, vedendola in lacrime, la consola dicendole che potranno ricominciare di nuovo da capo.
In Oltre le nuvole, il luogo promessoci la componente principale è il legame che si è creato tra i tre ragazzi, soprattutto tra Hiroki e Sayuri, il cui amore andrà oltre il tempo e le dimensioni; l’elemento fantascientifico (i mondi paralleli, la torre che fa da congiunzione a essi), il clima da guerra fredda che ha diviso in due il Giappone, sono marginali e fungono da pretesto per mostrare quanto sono forti e assoluti i sentimenti amorosi che si creano quando si è adolescenti, dove si è disposti a tutto pur di soddisfarli (tema ripreso dall’autore in Weathering with you). Anche se il tema principale può lasciare perplessi, visto come gli altri aspetti del film sono messi da parte a suo favore, è affrontato da Shinkai in tono delicato e soprattutto malinconico, soprattutto per il  sottolineare come crescendo venga perso molto dello spirito adolescenziale (tema che verrà sviluppato in maniera più profonda e meglio riuscita in 5 cm per second).
Seppur non perfetto, Oltre le nuvole, il luogo promessoci è un buon esordio per Shinkai e getta i semi di quella che sarà la sua produzione futura, anche se diverse cose vengono lasciate nell’ombra (come nasce la torre, qual è davvero il suo scopo oltre a scoprire altri mondi, perché è legata al mondo dei sogni, qual è il legame che c’è tra essa e Hiroki: s’intuisce che il tutto è connesso al fatto che lei è la nipote del suo ideatore, ma non si sa il perché). Il comparto grafico, seppur si sia di fronte a una pellicola del 2004, è di alto livello ed è uno spettacolo per gli occhi per quanto riguarda i paesaggi.

Italianità

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Paola Egonu rapprensenta l'italianità molto meglio di altre figure italiane.

Foto di Osvaldo Telese

Secondo Vannacci, autore del libro Il mondo al contrario, Paola Egonu non rappresenta l’italianità. Il riferimento è chiaramente rivolto al colore della pelle e ai tratti somatici: pur essendo italiana, dato che è nata in Italia, non può essere simbolo d’italianità dato che i suoi genitori vengono da un’altra nazione. Premettendo che rappresenterebbe la cosiddetta italianità molto meglio di persone come Berlusconi, Renzi e Salvini (e non ci si riferisce solo fisicamente), bisogna riflettere su cosa sia l’italianità: è questione solo di colore della pelle? Di tratti somatici?
Se ci si limitasse a basarsi solo sull’apparenza esteriore, si farebbe un passo indietro di diverse decine di anni, tornando a quei principi negativi di cui era pervaso l’arianesimo ai tempi del nazismo, dove occorreva corrispondere a determinati requisiti fisici per essere considerati degni, di valore.
L’italianità, invece, è qualcosa che va oltre l’aspetto fisico e non sono certo quegli steriotipi che gli italiani si ritrovano affibbiati dagli altri paesi, purtroppo dovuti al modo di fare di certe persone che con la loro visibilità mediatica hanno avuto una certa influenza sulla considerazione di cosa era l’essere italiano (senza girare tutto il mondo, ma andando semplicemente nei paesi europei vicini, gli italiani erano etichettati come “mandolino, pizza, mafia, Berlusconi, Bunga Bunga”).
Non è neppure l’essere i furbetti che cercano sempre di ottenere quello che si vuole raggirando le regole, cercando raccomandazioni o di fare il meno possibile, ridendo in faccia all’impegno e al merito.
E non è neppure fare soldi a qualsiasi costo, pronti a tutto per il guadagno, come succede per le morti bianche, che per guadagnare di più si risparmia sulla sicurezza. O lasciare da parte etica e ideali, pronti a vendere di tutto come ha fatto la casa editrice che pubblicherà il libro di Vannacci e non perché, come asserito da essa, è contro la cancel culture, ma perché non si sputa sui soldi, visti i grandi guadagni che Il mondo al contrario ha portato all’autore (al momento si parla di più di ottocentomila euro). Viene da chiedersi se la casa editrice pubblicherebbe, se mai fosse scritto, anche il libro dell’imam che spiega come lapidare le donne, visto che è contro la cancel culture e quindi a favore della libertà d’espressione.
L’italianità non è neanche il prendere in giro le persone e nascondersi dietro falsità, nascondere la verità dietro storielle inventate cui tutti dovrebbero credere. Non è l’arrampicarsi sugli specchi asserendo che le critiche su un libro sono sullo stile quando invece sono sul contenuto: questa non è italianità, ma uno sviare l’attenzione. E nemmeno asserire che Vannacci adora tanto le figlie da non rinunciare alle vacanze in Sardegna per via delle critiche subite sul libro scritto (spiacenti, ma questo non dimostra nulla: l’affetto è altra cosa).
L’italianità non è voler arricchirsi usando populismo, smerciando mentalità distorte che istigano all’intolleranza, all’odio per chi non rientra nella maggioranza, non è insultare omosessuali o immigrati, anche se una parte degli italiani fa proprio questo.
L’italianità è la somma di culture ed etnie diverse. E non si tratta di utopia o idealismo, ma di fatti storici, dato che l’Italia ha ospitato popoli diversi: etruschi, greci, popoli del nord, ottomani, borboni, austriaci. Se siamo quello che siamo è perché l’italianità è l’unione di tante diversità; se non fosse stato così non ci sarebbe stata evoluzione. Se non ci fosse stata contaminazione, come molti non vorrebbero sentire dire, l’italianità non sarebbe andata avanti e sarebbe rimasta ferma a una popolazione di pastori priva di cultura. Cultura, va fatto notare, che non è mai stata propria ma di cui ci si è impossessati rubandola agli altri con la forza, come è successo con quella greca: senza di essa non ci sarebbe stato il fiorire dell’impero romano.
Se ci si soffermasse ai tecnicismi e si sfrondasse tutto ciò che non è italianità pura, ci si ridurrebbe ad avere un popolo di ladri e di bruti.
Se invece si guarda alla realtà, l’italianità è un miscuglio di tanti elementi che hanno portato ad affrontare e a superare sfide impossibili, a sognare in grande, a realizzare opere di bellezza allo stato puro, a fare grandi scoperte.
L’italianità è il saper cogliere il meglio di quello con cui si entra in contatto e far sì che porti frutto. Non importa la classe sociale d’appartenenza, il colore della pelle, i tratti somatici o i gusti sessuali: questo non ha nulla a che fare con l’italianità.

P.s.: fa pensare che tanti testi migliori e superiori a Il mondo al contrario hanno venduto molto meno. Questo la dice lunga su quello che la gente vuole sentirsi dire e su com’è; il che, sotto certi aspetti, è abbastanza preoccupante. A dimostrazione che non si è mai venuti a patti con la carica d’odio (causata da fascismo e nazismo) che ha fatto scaturire, al momento, il peggior conflitto che la Terra abbia mai visto.
E per riflettere un altro po’, un video di Crozza su Vannacci; fa pensare come siano i comici quelli che mostrano e analizzano di più la realtà.

P.p.s.: fa un po’ sorridere la scelta del titolo dell’opera di Vannacci, visto che proprio l’autore usufruisce dei benefici di un mondo del genere. Infatti, in un mondo dove le cose vanno per il verso dritto, in posizioni di comando non ci sarebbero persone come lui e a vendere sarebbe libri fatti bene e con contenuti validi.

 

Il Signore degli anelli di Bakshi

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Il signore degli anelli di Bakshi Andavo alle elementari (anni 80) quando vidi Il Signore degli Anelli di Bakshi in televisione. Allora, a differenza di adesso, non c’erano molti film e serie dedicate al fantastico, e quindi fu un piccolo evento; la storia si capiva che non terminava con la fine della pellicola, dato che c’era sì la vittoria al fosso di Helm, ma Frodo e Sam erano ancora in viaggio con Gollum per portare l’Unico Anello al Monte Fato, e quindi aspettai con trepidazione la trasmissione della seconda parte. Attesa vana, perché non ci fu mai un seguito, ma allora non c’era internet per fare ricerche e quindi non era possibile avere notizie rapidamente. In seguito scoprii le ragioni del perché non ci fu un prosieguo della storia e di tutto quello che c’era stato dietro: dal rifiuto di Kubrick alla controversa sceneggiatura di Boorman che tradiva ciò che era Il Signore degli Anelli con alcune licenze che la fecero bocciare senza se e senza ma, fino ad arrivare a Ralph Bakshi, che decise di farne una versione animata.
Visti i costi che una produzione del genere avrebbe richiesto e che i mezzi di allora non avrebbero permesso di creare un’ambientazione adeguata a quella del romanzo, la scelta fatta da Bakshi sembrava quella giusta: un’animazione realistica, senza tanti fronzoli, lontana dallo stile disneyano tanto conosciuto fino ad allora, con fondali curati nei dettagli maniacalmente (ci ha lavorato anche un allora sconosciuto Tim Burton). Lo stesso Bakshi definì il suo lavoro un dipinto animato, pura pittura in movimento.
Per l’impossibilità di disegnare tutto, si decise di usare il rotoscopio, ovvero di ricalcare le scene a partire da pellicole girate in precedenza. Dopo gli acquerelli dei fondali e lo stile dei personaggi, l’uso di questa tecnica può risultare stridente e creare un risultato finale grottesco. Eppure, proprio questa scelta ha reso caratteristico Il Signore degli Anelli creato da Baksji: può piacere o non piacere, ma ha dato al film un suo perché. Ed è un rammarico che al regista non sia stata data la possibilità di completare il lavoro (benché a fronte di un investimento di quattro milioni di dollari ne avesse guadagnati trenta) perché aveva saputo adattare abbastanza bene l’opera di Tolkien; certo, c’erano stati dei tagli (eliminata la parte di Bombadil, visto che risulta slegato alla trama principale), ma nel complesso lo spirito originario viene mantenuto.
Seppur stroncato dalla critica, il film ha diversi punti positivi, al punto da avere una forte influenza sul più fortunato Il Signore degli Anelli girato da Peter Jackson, che non solo effettua molti dei tagli realizzati da Bakshi, ma rifà diverse inquadrature alla stessa maniera del suo precedessore (la festa di Bilbo, l’incontro dei quattro hobbit con il Nazgul nella foresta, quello con Aragorn). Sia ben chiaro: la pellicola del 1978 non è perfetta, visto che non approfondisce i personaggi, è troppo compressa per via di tagli richiesti dalla produzione con salti di trama non da poco (mancano venti minuti di scena che il regista non è riuscito a completare per poter far uscire il film nella data prevista) e si può essere perplessi su certe scelte (Gimli non è un nano ma un silvano), ma se ne si ha la possibilità, la si recuperi, perché ha subito un giudizio troppo duro.