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La Riforma del Lavoro

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Sono trascorsi dieci anni dall’omicidio di Marco Biagi.
In questi giorni governo e parti sociali discutono della riforma del lavoro.
Coincidenza?
Non è un fatto casuale. Forse non è voluto, ma non è un caso che eventi o tematiche si ripresentino nello stesso periodo: pare che in certi giorni ci siano energie all’opera perché si verifichino, o non si verifichino certi fatti (e le energie di questo periodo spingono a ribellarsi a ciò che ingiusto, al conformismo, alle menzogne, all’ipocrisia, al farsi prendere in giro, al farsi sfruttare sottostando ai poteri costituiti, non a continuare a perpetrare modelli e sistemi sbagliati, fallimentari che calpestano l’uomo).
Qualcuno può definirle fantasie, teorie astratte e astruse, ma il fatto che non si riescono a vedere certe energie non significa che non esistono: se ci si pensa, è così per la legge di gravità, di cui si è a conoscenza grazie agli effetti che essa ha nella realtà, ma che di certo non si vede, né si sente né si tocca.
Chi crede invece nei complotti può pensarla diversamente, ovvero che quanto accaduto a Marco Biagi è stato premeditato, un far accadere un evento per avere una ragione forte per perseguire una certa strada e percorrerla fino in fondo. Non sarebbe un caso il fatto che non gli fosse assegnata una scorta, un esporlo al pericolo e lasciare che venisse ucciso, usando poi la sua morte come pretesto per dare vita a un progetto di riforma radicale del mondo del lavoro; un trasformare una persona come le altre in un eroe e un martire, perché le bandiere e i simboli hanno un grande potere che può essere sfruttato.
Che sia stato così oppure un sottovalutare una situazione pericolosa, sta di fatto che più di quando era in vita le sue idee sono state spinte con forza dai governi di centro-destra e dagli imprenditori. E’ interessante osservare il potere che può avere la morte di una persona, come può trasformarla, farla assurgere a qualcosa di più grande di quello che era: quando un individuo muore, l’idea che si aveva di lui viene modificata, i lati negativi vengono messi da parte e ampliati quelli positivi, quando non gliene vengono attributi pure dei nuovi che in realtà non possedeva. Questo è l’effetto che ha la morte e l’idealizzazione, che così velocemente sono sfruttate dagli opportunisti e da chi vuole avere potere.
La morte di Marco Biagi è stato un atto violento e chi credeva che colpendolo avrebbe dato un messaggio a chi cercava di smantellare le tutele del mondo del lavoro, facendo recedere da quegli intenti, ha commesso un errore perché ha ottenuto il risultato opposto, ha rafforzato le intenzioni, dando un pretesto a chi voleva fare la riforma.
Che questa fosse sbagliata è un dato di fatto, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la perdita di produttività e di competitività, l’instabilità, il calo delle vendite e del potere d’acquisto delle persone, l’impossibilità per le persone di fare progetti anche di breve scadenza che di conseguenza si ripercuotono sul sistema bloccandolo. La tanto decantata flessibilità e il tanto incensato lavoro interinale hanno portato a far sì che la gente non possa permettersi l’acquisto (e alle volte nemmeno l’affitto) di una casa (e nemmeno di altre cose), di non potersi creare una famiglia e fare figli perché non ha il modo di mantenerli e di sostenere le spese che tutto ciò comporta.
Nonostante i riscontri evidenti, adesso, al tavolo delle trattative tra governo e parti sociali, si punta con forza su molte delle idee di Marco Biagi. E si vuole andare a tutti i costi in una direzione già conosciuta, non rendendosi conto che così s’impantana ancora di più la situazione, gettando sempre più in basso la popolazione, riducendola sempre più allo stremo (togliendo l’articolo 18 lo scenario che si propone è questo: le persone sono solo oggetti da usare e da buttare via quando non servono più.). E quando si tira troppo la corda, quando non si lasciano vie d’uscita alla popolazione, il risultato è che scoppia la violenza, alle volte la guerra civile. Ci si deve accorgere di questa distruttività, di questa violenza che bolle, pronta a esplodere come è accaduto nel periodo tra il ’40 e il ’45, quando il carico d’odio d’allora fece milioni di vittime.
Prima che questo avvenga, e sia troppo tardi per intervenire e rimediare, occorre fermare e cambiare questo sistema, perché se non lo si fa adesso, dopo non si potrà più aiutare nessuno, dato che questo sperare di tirare avanti finché si può arriverà a farla pagare caramente.