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I Reietti

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I reietti esistono da quando esiste la società: esseri emarginati dal resto della comunità perché ritenuti deboli, inutili, diversi, perché non corrispondenti al modello che il sistema reputa più consono alle proprie regole. Individui volutamente ignorati, come se non esistessero, considerati dei fantasmi che ogni tanto manifestano la propria presenza; e quando questo avviene sono disprezzati, odiati, considerati un fastidio, qualcosa che si desidera ardentemente che sparisca dalla faccia della terra.
E’ quello che accade quando si passeggia per le città e s’incontra un mendicante che chiede l’elemosina: si cerca d’ignorarlo, di non vederlo, di guardare da un’altra parte, come se il pensiero fosse sufficiente a cambiare la realtà e a far sì che venga cancellato da essa. Ma quando non si può fare a meno di evitarli, s’avverte una tensione crescente, un detestarsi vissuto a vicenda: una parte augura che capiti a quello cui sta chiedendo l’elemosina la stessa cosa che è toccata in sorte a lui e sappia cosa si prova a vivere in una certa maniera (in una parola, sperare che la vita renda quello che si è fatto); l’altra vorrebbe che quella scomoda presenza sparisse, perché il suo essere lì davanti gli mette la pulce nell’orecchio che non ci sono certezze nella vita e potrebbe toccare pure a lui la stessa sorte, dato che non c’è nessuno d’intoccabile.
Una tensione che cresce sia perché nel domandare un aiuto ci si umilia, ci si abbassa, costringendo d’accorgersi di aver bisogno degli altri per superare certe difficoltà, sia perché si ha difficoltà a dare, bloccati dall’egoismo, dall’essere chiusi in se stessi, considerandosi delle isole, dei mondi a se stanti, come se si fosse l’unico nucleo dell’universo. Un conflitto che continua a perpetrarsi perché non si capisce che si vive sotto lo stesso cielo, si fa parte della stessa esistenza e che il modo giusto per vivere è quello di crescere insieme, aiutandosi l’un l’altro.
E così, per questa mancanza di comprensione, continuano a perpetrarsi fratture, isolamenti, ferite che diventano piaghe che infettano ciò con cui vengono in contatto. Ferite che spesso è la propria società che si autoinfligge, dato che colpisce e martoria parti di sé quali sono gli individui che accantona in un angolo come se fossero una malattia di cui poi cerca di dimenticarsi. Ma dimenticarsi di una malattia e non curarla non è mai un bene: produce sempre effetti controproducenti. E il problema non sono i senzatetto, i barboni, i mendicanti che si trovano nelle strade che vengono etichettati come spazzatura, come disadattati, ma coloro che li hanno ridotti a questa condizione.
Si pensa che queste persone vengono dalla povertà, che alcuni anzi lo sono fin dalla nascita, e in alcuni casi può anche essere vero; ma sempre più di frequente a causa della crisi economica, famiglie o persone che un tempo erano “normali” si ritrovano senza una forma di sostentamento, costrette a recarsi alla Caritas per avere un pasto o un posto dove dormire. In alcuni casi, proprio a causa delle difficoltà economiche o della perdita del lavoro, gli individui vengono abbandonati dalla famiglia perché li considera un peso, un fastidio che intralcia la loro esistenza, fautori solo di problemi e che per questo devono essere scaricati. Oltre alle difficoltà e al colpo che il mondo gli ha inflitto, queste persone devono subire il tradimento delle persone che ritenevano care, scoprendo che quelli che avevano considerato sentimenti in realtà erano solo falsità, apparenza. Privati di tutto, traditi e abbandonati, la vita per loro perde significato e si lasciano andare, come sacchi dell’immondizia abbandonati negli angoli della strada: è questo che il mondo e gli altri li hanno convinti di essere.
Dunque che cosa si può dire su chi è veramente un reietto?
E’ un individuo che non trova o non ha il proprio posto nel mondo, alle volte perché questo voluto dagli altri, come accade in Rosso Malpelo di Verga (l’unica persona ad avere un briciolo di umanità viene disprezzata e abbandonata da una comunità che pensa solo alla roba, alla praticità e all’interesse), alle volte per scelta, come fanno Talpa nel ciclo Gli Eredi di Shannara di Terry Brooks e Richard Mayhew in Nessun Dove di Neil Gaiman.
Il primo è un individuo che vive nelle fogne di Tyrsis, lontano dalle persone, con la sola compagnia di pupazzi di pezza gettati via dal mondo di superficie, a cui ha dato un nome e che tratta come persone, proiettando su di esse quella ricerca d’affetto che gli esseri umani non hanno mai saputo dargli; una famiglia che non gli farà mai del male, che non lo abbandonerà, i cui membri sente così vicini perché sono come lui: non voluti, gettati via quando non servono più. Talpa da molti può essere considerato un disadattato: e’ il giudizio in cui di solito incappano le persone sensibili, diverse dalla massa che vede solo la superficie delle cose, non quello che ci sta sotto (1), di buon cuore, che vedono l’assurdità, la violenza e l’ingiustizia di un sistema sbagliato e decidono di non essere collaboratori nel creare altro male e sofferenza. Anime così delicate che o per le ferite subite o per la loro indole pacifica non contrastano il sistema, ma semplicemente cercano di non farne parte e starne alla larga.
Cosa analoga accade anche al secondo, che a seguito di un evento casuale si ritrova a scoprire una realtà diversa da quella conosciuta e questa non gli basta più, anzi gli appare assurda e limitata: ciò che ha da offrire per lui non ha più alcun significato.
«Senti Gary,» iniziò Richard «ti sei mai chiesto se questo è tutto quello che c’è?»
«Cosa?»
Richard fece un gesto vago, che comprendeva ogni cosa. «Lavoro. Casa. Il pub. Incontrare ragazze. Vivere in città. La vita. È tutto qui? Non c’è altro?» (2)

E allora si giunge a fare una scelta di vita: abbandonare un mondo che non ha senso per ricercare ciò che ha veramente significato. Il valore dell’esistenza non viene dai costrutti creati dalla massa per servire la maggioranza, per coloro che si adattano a vivere una vita incanalata su binari prestabiliti, dove tutti sono sfruttati inconsciamente, usati come pile per far funzionare delle macchine, nient’altro che un carburante, una risorsa energetica da utilizzare, come ben viene mostrato in Matrix quando Morpheus rivela a Neo qual è la verità che si cela dietro il velo di quella che si considera realtà.

1 – Gli Eredi di Shannara, Terry Brooks, p.389 – Arnoldo Mondadori Editore 1990
2 – Nessun Dove, Neil Gaiman, p. 321 – Fanucci Editore 2008

L’Ultimo Potere – Preludium – V Esplosione – Parte II

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I bagliori della città rendevano la cima della collina una danza di rosso, giallo e arancione. Uno sferzare selvaggio di lampi e ombre screziava l’orizzonte.
“Molto coreografico.” La donna sdraiata sotto l’albero osservò il cielo nero della notte indietreggiare sotto l’incalzare del gigantesco falò che era diventata la città. “Davvero un magnifico incendio.”
Quanti spettacoli simili aveva assistito nella sua vita. Quante persone erano state legate a essi. Sì, erano stati bei tempi. Ma non erano gli individui a mancargli, ma le emozioni che avevano vissuto e che in un qualche modo avevano condiviso con lei.
Un pizzico di quello che poteva essere etichettato come rimpianto la pervase, lasciato però dissolvere sul nascere. “E’ inutile cercare di far rivivere nel presente quanto trascorso: il passato non ritorna. Perciò quei momenti sono eterni: perché sono unici. Provare a farli tornare, farebbe rivivere delle ombre, delle cose morte, come gli zombi: l’eternità è nel ricordo, finché questo perdura. Ecco cos’è quello che tanto spesso gli uomini ricercano.”
Un fruscio dell’erba la riscosse dai suoi pensieri.
«Devi essere sempre di cattivo umore?» Borbottò vedendo il volto affilato dell’altro mentre copriva ad ampie falcate i metri mancanti alla sommità della collina.
L’uomo la fulminò con un’occhiata rovente.
«La città è in fiamme.» Sbottò seccato.
«Difficile non vederlo.» Costatò serafica lei.
«E’ tutto quello che hai da dire?» Abbaiò l’altro.
Una scrollata fece sobbalzare le molli spalle. «Quel che è fatto non può essere cancellato.»
Un grugnito si levò dalle labbra tese e serrate dell’uomo. «Deve essersi lasciato prendere la mano.»
«Come succede spesso a te.» Fu la candida constatazione. «Era un’eventualità da prevedere: dovresti averlo saputo, conoscendo la natura della fonte.»
Il volto affilato di lui scattò con fare minaccioso. «Critica finché ti pare, ma non puoi negare l’evidenza.» Un’espressione di trionfo si dipinse sulla labbra. «La città è caduta ai miei piedi. Il mio campione ha vinto. Io ho vinto.»
La donna reclinò il capo, un barlume divertito negli occhi socchiusi. «Tu hai vinto? Se vuoi spiegare come fai a fare un’affermazione del genere, potresti schiarirmi le idee.»
«Non vedo il tuo Potere in azione e nemmeno il tuo campione. O è stato distrutto incontrando malauguratamente il mio oppure non ha fatto in tempo nemmeno a scendere in campo.»
«Ah.» Disse la donna inarcando un sopracciglio. «Non ti sembra un quadro della situazione un po’ riduttivo?»
«Neghi l’evidenza?» Fu la rabbiosa reazione.
«Quanto vedo è che la città è in fiamme.» Fu la constatazione laconica. «E presto sarà completamente distrutta: come fai a dire di aver vinto, se il trofeo della contesa viene perduto?»
«Cosa vuoi dire?» La guardò in cagnesco l’altro.
«Che hai perso.» Sentenziò l’essere seduto. «Tu volevi il controllo della città, della sua popolazione, ma ora che cosa ti rimane? Solo macerie.» Fece un cenno con la mano indicando i palazzi avvolti dalle fiamme. «Dov’è allora la vittoria?»
Lo sfidante volse lo sguardo alla città, serrando la mascella. La pelle, sotto la luce delle fiamme, prese una colorazione dorata. Un lampo dilatò le pupille, tornandolo a far girare di scatto. «Tu sapevi che sarebbe finita in questo modo. Tu sapevi che anche con la sfida tra i due campioni, la città non sarebbe andata a nessuno di noi: i nostri Poteri si contrastano annullandosi, anche se usati da altri, rendendo ogni tentativo di conquista e vittoria inutile.»
«Mi meraviglio che tu non ci sia arrivato da subito. Eppure te l’ho anche fatto notare.» La donna scosse il capo. «Ti lasci trascinare dalla tua natura.» Lo ammonì distrattamente.
I muscoli dell’altro si tesero in uno spasmo come se stesse per saltarle addosso. «Se lo sapevi già, perché hai proposto la sfida? Per divertirti?»
«Non essere sciocco: non s’impiegano energie per banalità del genere. Anche se devo dire che è servito a far passare l’attesa perché i tempi arrivassero a maturazione.»
«Che maturazione?»
«Tu non riesci a vedere più in là del tuo naso, per questo non arriverai mai lontano.» La donna si lisciò il ventre morbido. «Per te conta il subito, l’immediato, ma non riesci a comprendere che alle volte occorre perdere una battaglia per vincere una guerra. Sempre che la si voglia considerare una sconfitta.»
«Che cosa?»
«Si è sconfitti solo se si perde una cosa che interessa. Quindi non mi posso considerare tale.»
L’altro la squadrò schifato. «Sei forse impazzita?»
Mollemente la rivale s’alzò in piedi, un sorriso compiaciuto che s’andava allargando sulle guance cadenti. «Sai, la tua semplicità fa quasi tenerezza. Lascia che ti riveli una cosa: la città non m’interessava come potevi credere.»
«E allora perché mi hai proposto la sfida per avere il controllo su di essa?»
«Povero sciocco. La città era caduta nelle mie mani prima ancora che tu arrivassi quaggiù. E non te ne sei reso conto. O non hai voluto, credendo di poter vincere lo stesso, di avere la meglio su di me. Mi hai considerato debole perché possiedo un’apparenza passiva. Ma avresti dovuto capire qual era la mia forza. In fondo me l’hai anche rinfacciato, come se fosse un difetto.»
L’altro assunse un’espressione di feroce perplessità.
«Io faccio agire gli altri per me, la mia forza è il lasciar andare che indebolisce la volontà altrui, privare d’ogni motivazione e spinta di fare. Non hai visto come tutto era decadenza? Come pensi che ti sia stato così facile insinuare i tuoi tentacoli negli animi di quelle persone?» Disse la donna in un sussurro sibillino. «Non c’era più resistenza in loro, non c’erano barriere a difenderli dai tuoi attacchi: non potevano far altro che soccombere. Arrivando qua, credevi di fare il conquistatore, di acquisire potere, ma la città era già stata conquistata perché io c’ero prima di te; tutto quello che hai fatto non è stato altro che collaborare.»
«Collaborare?»
«Sì: con me.» Nel tono molle non c’era alcuna traccia di scherzo o derisione.
La faccia affilata dell’altro si contrasse, gli occhi due sottili lame di freddo odio. «Mi stai dicendo che mi hai usato.»
«Esatto. Hai fatto quello che volevo; si può dire che in realtà tu non hai avuto nessuna scelta, solo quella di assecondare ciò che già avevo predisposto. »
Un ringhio si levò dalla gola pulsante dell’uomo. «Lo sai cosa questo comporta. O pensi di uscirne senza pagare pegno?» Scariche cremisi saettarono attorno agli avambracci. «Mi auguro che quello per cui hai profuso tanto impegno ne valesse la pena, perché ora è venuto il momento di pagarne il prezzo.»
«Certo che ne è valsa la pena.» Ammiccò lei. «E se tu fossi intelligente, ti ringrazierei, ma davvero, non vedi di là del tuo naso: ti accechi da solo. Dovresti cercare di conoscerti meglio, ma se lo facessi, non saresti tu. Ma non è più tempo di discussioni.» Sorrise sorniona. «Non starò a spiegarti il mio agire, perché non sono affari che ti riguardano. Inoltre restare qua non ha più alcun senso, per nessuno dei due: la città è distrutta, tutti sono morti e ciò per cui abbiamo lottato è sparito.» Volse un ultimo sguardo sulle fiamme che salivano lungo i palazzi come se fossero tante torri di Babele. «Lascia che ti dia un consiglio: non venirmi a cercare. Allo stato attuale delle cose, ti sarebbe impossibile battermi, dato che il mio Potere si è rafforzato e di parecchio. Di questo non hai che da ringraziare te stesso.» La massa molle del suo corpo tremolò in uno sciacquio liquido. Poi la pelle si ruppe e una massa adiposa sciabordò sull’erba in una pozza bianco acido.
Con riflessi felini, l’uomo saltò all’indietro, evitando di venire colpito dagli schizzi oleosi. Un moto di disgusto sul volto, osservò il terreno assorbire la sostanza grassa. “Se l’è squagliata; in ogni senso. Non resta altro che un’ombra liquida ad ammorbare il terreno.” Lanciò una rapida occhiata in direzione dello scoppio che aveva squassato il fianco di un grattacielo. Con una smorfia sputò per terra: tanta fatica per niente. Non aveva vinto nessuno e la città, con tutti i suoi morti, era inservibile.
«Maledetta femmina.»
Seccato, se ne andò scalciando un sasso e facendolo volare lontano nella notte.
Adesso doveva rimettersi in cerca di una nuova città che gli facesse aumentare la forza, prima che gli altri rubassero le fette di Potere più grosse.