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By M.T., on Settembre 29th, 2024% Matrix Resurrections: perché è stato realizzato?
In realtà lo si sa (per fare soldi, anche se l’intento, visti i risultati ottenuti, non è stato raggiunto), ma ce n’era davvero bisogno? A mio avviso, no.
Nel film si percepisce una certa stanchezza (e pure una certa svogliatezza) e si può dire che non si prende neanche tanto sul serio, anzi, ci sono dei momenti in cui si fa parodia da solo, ma questo non basta certo a risollevare le sue sorti. Si rivedono i due attori protagonisti Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, oltre a Jada Pinkett Smith, Lambert Wilson e Daniel Bernhardt che interpretano gli stessi personaggi dei film precedenti, mentre spicca l’assenza di Laurence Fishburne; nonostante un cast di buon livello e già collaudato per questa serie, Matrix Resurrections non decolla mai e il motivo è presto detto: perché il mondo di Matrix aveva già detto tutto quello che c’era da dire.
Sinceramente, già con il primo film ci si poteva fermare: con qualche limite, Matrix funzionava, aveva una storia con un suo senso che coinvolgeva, mettendo insieme diverse idee che creavano un mondo e un’atmosfera buoni, senza contare le varie filosofie che davano vita all’anima del film e gli effetti speciali caratterizzati dall’utilizzo del bullet time. Non per niente fu un grande successo, sia di critica sia d’incassi.
Già col secondo film, Matrix Reloaded, le cose non furono le stesse, seppure gli incassi furono superiori a Matrix: la novità e la sorpresa non c’erano già più e si era cercato di mettere qualcosa di nuovo. In parte ha funzionato (l’immissione di un personaggio come il Merovingio), in parte no (l’Architetto lascia un po’ a desiderare); in certe parti sembra essere troppo ricercato ed elaborato, allungando un po’ troppo la storia. Gli effetti speciali sono sempre ottimi, ma la storia non è al livello del predecessore; certo, ci sono delle parti interessanti (il dialogo tra Neo e la Veggente prima dello scontro iconico tra il protagonista e la schiera senza fine della sua nemesi Smith (accompagnato dall’adrenalinico brano Burly Brawl di Juno Reactor & Don Davis) è molto bello), ma non sufficiente da creare la stessa atmosfera.
Le cose non migliorarono con Matrix Revolutions: anche qui la simbologia (il finale “cristiano” legato al sacrificio di Neo) e i vari pensieri si sprecano, stessa cosa vale per scontri ed effetti speciali, ma il film non convince e ha perso la verve iniziale. Il film peggiore della serie. Questo almeno se ci si fosse fermati alla trilogia (c’è da considerare anche Animatrix, un film collettivo d’animazione a episodi, che tutto sommato non è male e fa conoscere un po’ di più il mondo di Matrix, ma è legato marginalmente alla trama principale): con l’arrivo di Martix Resurrections il titolo passa di mano.
Come già detto dal titolo, Neo e Trinity risorgono, ma vivono separatemente e non si conoscono, anche se nel profondo sentono che qualcosa manca. Neo, nei panni di Thomas Anderson, è uno sviluppatore di videogiochi di successo, creatore della serie Matrix che si basa su frammentari ricordi della sua incarnazione precedente; va da uno psichiatra perché ha dei casi in cui non riesce a distinguere la realtà. Dopo essersi “risvegliato” e aver scoperto che era tenuto in una capsula con al fianco Trinity, Neo si mette in moto per combattere il nuovo nemico, l’Analista, e far tornare Trinity a lui.
La trama è stata riassunta molto brevemente, ma a grandi linee è così; quel che è certo, è che Matrix Resurrections non funziona, nemmeno come effetti speciali: si è di fronte a qualcosa di cui si poteva fare a meno.
By M.T., on Settembre 22nd, 2024% Con The Batman ero partito prevenuto e tutto era dovuto alla scelta di Robert Pattison come interprete di Bruce Wayne: memore che aveva recitato nella serie di Twilight, la cosa non mi aveva invogliato né ad andare al cinema né a prendere dvd o roba simile. Ho visto The Batman per curiosità quando è passato in televisione e devo dire che non è stato male come temevo, anzi, direi che il giudizio è abbastanza positivo. Certo, Pattison non è molto espressivo (verrebbe da dire che è monoespressivo), ma è abbastanza adeguato nel ruolo di Batman (anche se ho preferito Crhistian Bale e Michael Keaton): la sua interpretazione di un Bruce all’inizio del cammino di Batman è discreta ed è abbastanza convincente. Molto più convincente però è Zoë Kravitz nel ruolo di Selina Kyle/Catwoman: davvero buona la sua interpretazione (come già in altre pellicole, vedasi quelle della serie Divergent, il secondo film di Animali Fantastici, X-men – L’inizio, Mad Max – Fury Road).
Cosa dire della trama? In un qualche modo ricalca la struttura di Il cavaliere oscuro (a mio avviso il miglior film su Batman finora realizzato) seppur non riesca a raggiungere lo stesso livello, benché tutto sommato si sia su un buon livello. Perché non siamo sullo stesso piano? Uno, perché l’Enigmista non è al livello di Joker come nemico e Paul Dano non può raggiungere la magnifica interpretazione di Heath Ledger. Due, perché gli attori in ruoli secondari danno un’interpretazione migliore in Il cavaliere oscuro. Tre, la storia di The Batman, benché cupa, non raggiunge il dramma di Il cavaliere oscuro: in The Batman non ci sono le stesse perdite che Bruce deve affrontare, anzi, si può dire che non ce ne sono affatto. Certo, Alfred viene ferito; sì, scopre che il padre non era così retto come credeva. Ma il Bruce di Pattison non subisce gli stessi traumi del Bruce di Bale. In Il cavaliere oscuro Bruce si trova a dover fare scelte più combattute e dolorose: se vuole avere una relazione con l’amata Rachel deve scegliere se continuare a essere Batman, trovandosi però costretto a non poterlo fare per non darla vinta al crimine e a Joker; quando deve scegliere tra la vita di Rachel e quella di Dent lui sceglie la prima ma il Joker lo beffa e lui si ritrova a salvare il secondo, con lei che muore nell’esplosione; dopo aver puntato tutto su Dent come paladino di Gotham, si ritrova a dover fare i conti che Dent è diventato uno dei cattivi e ad affrontarlo, vedendo il lavoro che lui e il commissario Gordon hanno fatto andare quasi in frantumi, tutto ciò evitato solo perché come Batman si prende la colpa di tutti i crimini commessi dall’ex procuratore, divenendo così il nemico pubblico numero uno.
In The Batman le cose non sono così drastiche. Gotham è certamente più cupa e corrotta, tutti hanno una parte oscura (tranne forse il commissario Gordon), ma a parte l’assassinio di alcune figure che dovrebbero essere dalla parte della giustizia e invece sono marce e coinvolte in qualcosa di losco, non ci sono perdite eclatanti: alla fine è tutta una questione di mafia e corruzione. L’Enigmista, anche se fuori di testa, ha una ragione nel suo modo di agire che non è poi così sbagliata di base: sta cercando di far venire alla luce un sistema traviato. Certo, il modo in cui lo attua è sbagliato, dato che porterebbe alla fine a una carneficina, ma di base le sue sono le azioni di una vittima di un sistema che è per i potenti, con i deboli che sono sfruttati e gettati sempre più nel fango. Senza contare che il suo modo di agire è ispirato da un Batman mosso da vendetta per la morte dei genitori (non per niente lui dichiara “io sono vendetta”) ed è proprio questo che alla fine fa capire a Bruce che non è il modello, l’esempio che voleva dare alla città e che se vuole che ci sia davvero un cambiamento lui è il primo che deve cambiare.
Interessante il finale che non vede lo scontro fisico tra Batman e l’Enigmista (dove non ci sarebbe storia, dato che, come dice il villain, lui non è un tipo fisico), ma che vede affrontare una minaccia che è molteplice: bello, intelligente nel mostrare i danni che può fare la rete se usata in un certo modo, ma la risoluzione che non avviene con lo scontro finale tra protagonisa e antagonista si è già vista in Il cavaliere oscuro (magnifica la frase che il Joker rivolge a Batman mentre combattono prima di arrivare all’epilogo: “Non avai pensato che rischiassi di perdere la battaglia per l’anima di Gotham in una scazzottata con te?” facendo intendere che le cose non si sarebbero risolte con il loro scontro).
In definitiva The Batman è un buon film, non il migliore ma abbastanza valido da non far pentire di averlo visto (vedasi Batman Forever ma soprattutto Batman & Robin).
By M.T., on Settembre 15th, 2024% I film di Mamoru Oshii non sono mai molto allegri (eufemismo), ma molto probabilmente Jin Roh – Uomini e lupi è quello che lo è meno di tutti. Appartenente alla Kerberos Saga, in una realtà alternativa, un Giappone ambientato negli anni Sessanta è guidato da un governo autoritario; ispirato alle proteste e alle manifestazioni avvenute realmente nel paese nipponico in quel periodo, nel mondo mostrato da Oshii la nazione dopo dieci anni dalla sconfitta nella guerra si sta risollevando economicamente. Tuttavia la crescita forzata ha causato masse di disoccupati e vaste aree metropolitane si degradarono divenendo terreno fertile per una violenta criminalità; da essa sorsero gruppi armati antigovernativi. Le forze di polizia locali non furono in grado di contrastarli e non volendo far intervenire le forze di autodifesa, il governo istituì una terza forza armata, la DIME, Divisione di Sicurezza Metropolitana, dotata di autonomia decisionale e armamento pesante. I movimenti antigoverantivi furono banditi, ma dopo violenta repressione, i reduci si riunirono in un movimento chiamato la Setta; gli scontri tra la Setta e il corpo speciale della Dime si fecero sempre più violenti, rendendo le strade della capitale dei veri e propri campi di battaglia, il che fece aumentare le proteste dell’opinione pubblica. Benché avessero lottato a lungo per difendere il paese, i membri del corpo speciale della DIME, conosciuti come Kerberos, stavano per essere messi da parte. Protettori inflessibili e spietati dell’ordine, il cui nome ricorda quello di Cerbero, cane a tre teste della mitologia greca custode severo dell’entrata nell’Ade ma citato anche nella Divina Commedia (il nome però non è l’unico riferimento infernale: le loro maschere dotate di visori hanno una caratteristica colorazione rossa che si rifà agli occhi di brace di Caronte, altra figura presente sia nella mitologia greca sia nella Divina Commedia), i Kerberos non sono disposti a essere messi da parte o a essere sacrificati per giochi di potere. Ed è qui che inizia la storia di Jin Roh – Uomini e lupi.
La polizia è impegnata a contenere una manifestazione della popolazione che presto sfocia in violenza; la Dime, anche lei presente, resta a guardare perché non ha ordine d’intervenire. Membri della Setta s’infiltrano tra i manifestanti, facendo uso di bombe e causando feriti tra la polizia; una ragazzina, assoldata dalla Setta, funge da corriere e ha il compito di consegnare le bombe (non è l’unica: sono tante a venire usate per questo scopo e vengono chiamate Cappuccetti Rossi). Mentre sta seguendo un gruppo della Setta attraverso la rete fognaria per portare a termine la sua missione, viene raggiunta da un gruppo di Kerberos, che era sulle tracce dei rivoltosi; i compagni vengono tutti eliminati e lei è l’unica sopravvissuta. Terrorizzata, scappa ma viene raggiunta da uno dei Kerberos, Kazuki Fuse, che, vedendo che è poco più di una bambina, si blocca, non riuscendo a spararle (i Kerberos hanno l’ordine di eliminare i terroristi, senza eccezioni). La ragazza, presa dal panico, attiva la boma e si fa esplodere. Fuse, grazie all’equipaggiamento corazzato e all’intervento di un compagno, si salva, riportando solo una lieve ferita, ma per questa sua esitazione viene rimandato al centro d’addestramento, dove trova non poche difficoltà ad agire durante le esercitazioni.
Grazie alle dritte di un ex compagno di corso, viene a sapere dove è ubicata la tomba della ragazza e lì incontra la sorella maggiore della vittima, Kei Amemiya, la quale non prova alcun risentimento verso di lui. I due cominciano a parlare e Kei vuole che lui abbia un libro caro alla sorella, la fiaba di Cappuccetto Rosso; iniziano a frequentarsi e Kei gli rivela che in realtà non è la sorella della ragazza uccisa, ma anche lei è un ex corriere della Setta che sta venendo usata dalla Pubblica Sicurezza. Dopo i disordini avvenuti e lo scoppio della bomba, le proteste dell’opinione pubblica sono aumentate al punto che si vuole usare l’esitazione di Fuse per far sparire i Kerberos: le varie forze, escluse quelle dei Kerberos, stanno cercando d’incastrare Fuse con Kei. Il loro piano è di dare una bomba a Kei e farla incontrare in un musero con Fuse così da far sembrare i due in combutta: avendo un membro dei Kerberos coinvolto con la Setta, lo scandalo sarebbe così grande che inevitabilmente il gruppo speciale verrebbe chiuso. Tuttavia, non hanno fatto i conti con Jin Roh, gli uomini lupi, un gruppo del controspionaggio interno ai Kerberos (che i più reputano solo una diceria): informato della trappola, Fuse evita di essere preso e scappa con la ragazza. Però non fugge, nonostante la ragazza lo supplichi di lasciare la città con lei e ricominciare da un’altra parte, dato che ha ancora una cosa da fare. Scesi nelle fognature, sono raggiunti da altri membri dei Kerberos, che portano l’equipaggiamento pesante per Fuse; sono raggiunti anche da coloro che lo volevano incastare, dato che nella borsa della bomba c’era un segnalatore di posizione. Si scopre così che Fuse è un Uomo Lupo, un membro della Jin Roh, che avrà così non solo la possibilità di eliminare i nemici dell’organizzazione, ma potrà anche riscattare la sua esitazione; nessuno rimane in vita, nemmeno l’ex compagno di corso che lo aveva aiutato e faceva parte della cospirazione.
Il complotto è stato sventato e con la ragazza nelle mani della Jin Roh ora le posizioni di potere sono cambiate; tuttavia c’è sempre la possibilità che lei possa essere ripresa. Perché il potere sia sempre nelle mani della Jin Roh, occorre far credere che Kei sia sempre in loro custodia ma non per questo lei deve essere viva: come ultimo segno di essere un Uomo Lupo, Fuse ha l’ordine di uccidere la ragazza. Sebbene straziato da quello che deve fare, mentre Kei recita la parte finale di Cappuccetto Rosso, Fuse le spara; per la ragazza comunque non c’era nessuna possibilità di salvezza: essendo una terrorista, sarebbe stata uccisa comunque (questo è il credo dei Kerberos), anche se non l’avesse fatto Fuse (e probabilmente, se non avesse sparato, lo stesso Fuse sarebbe stato ucciso). Il film si chiude sulle parole dell’istruttore di Fuse che termina il racconto di Cappucceto Rosso col lupo che divora la bambina.
Jin Roh – Uomini e lupi è un film privo di speranza (emblematiche della crudeltà della storia sono le parole dell’istruttore dei Kerberos dette a Kei prima che Fuse entri in azione: “solo nelle favole che raccontano gli uomini i cacciatori uccidono i lupi” e “i membri della Jin Roh sono lupi travestiti da uomini”), dove spesso si fa l’associazione della spietatezza umana a quella del lupo (benché, in realtà, i lupi non sono animali così feroci e spietati, ma sono bestie capaci di gesti affettuosi e premurosi verso i propri simili) e non manca certo la critica dei gruppi che cercano sempre di sopprimire l’individualità perché l’individuo non possa sfuggire al loro controllo (un lupo che va a vivere tra gli uomini e assume le loro sembianze non potrà mai essere uno di loro). Il quadro che fa Oshii non è roseo: la ricostruzione dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale (in questo caso dovuto alla Germania nazista) non è andata come si sperava, ha portato un’urbanizzazione violenta e straniante, piena di contestazioni e conflitti, che può essere tenuta sotto controllo solo con la forza. L’influenza tedesca non solo è ben visibile dall’armamento indossato dai Kerberos, ma anche dalla mentalità che si è radicata nel paese. Jin Roh è un’opera ucronica e distopica, che mescola thriller, politica e dramma e che fa un’allegoria della società attraverso la favola di Cappuccetto Rosso dei fratelli Grinn, racconto che è modificato e che è reso più cupo, violento e crudele. In quest’opra di Oshii, l’uomo, la società e le sue strutture non ne escono bene: tutto è pervaso da pessimismo e rassegnazione. Si va avanti perché è inevitabile farlo, ma non si hanno prospettive buone, perché non c’è possibilità di bene, solo cercare di sopravvivere, dove il più forte prevale e non c’è spazio per i sentimenti. Soprattutto c’è un forte senso di solitudine, dove anche se si è nella massa e si cerca di adattarsi a essa, si è sempre soli, incapaci veramente d’integrarsi in una società che è tale solo di nome.
Jin Roh – Uomini e lupi è un’opera complessa, intelligente nella sua crudeltà e spietatezza, che sicuramente merita di essere vista ma per la quale occorre essere preparati, perché colpisce senza esclusioni di colpi e non risparmia nessuno.
By M.T., on Settembre 8th, 2024% Dune di David Lynch l’avevo visto da piccolo e lo ricordavo abbastanza positivamente; certo, c’erano dei momenti di stanca, ma nel complesso il giudizio era buono. Ho voluto rivederlo di recente e tale giudizio non è più buono, non tanto perché ho fatto il confronto con il Dune di Villeneuve (con più di trent’anni di differenza è normale che gli effetti speciali siano migliori), ma perché conosco il romanzo e Lynch si è preso delle licenze che non ho propriamente apprezzato: la prima che mi viene in mente è l’immettere il Modulo Estraniante, l’arma segreta degli Atreides su cui contano per combattere la trappola degli Harkonnen in cui sanno di star per cadere. Non solo tale arma non esiste nel romanzo, ma travisa il motivo per cui il Duca Leto va su Dune: ricercare la forza dei Fremen.
Altra cosa che non ho apprezzato è come sono stati usati personaggi come Duncan (figura molto importante per Paul) che fa una breve apparizione e muore come un qualsiasi altro soldato mentre la sua fine è molto più epica e drammatica (in questo è stato bravo Jason Momoa nel film di Villeneuve); come il dottor Kynes (Max von Sydow, per il poco tempo che appare, è davvero sprecato in questo film), come Chani (altra figura importante per Paul, qui mostrata come semplice ragazza perdutamente innamorata del protagonista) o come Thufir Hawat (figura complessa che Lynch purtroppo usa male e fa uscire malamente di scena).
Rappresentare il romanzo di Herbert non è facile, vista la grandezza e la complessità dell’opera, e bene ha fatto Villeneuve a dividerlo in due parti per cercare di mostrare il più possibile; Lynch in poco più di due ore e quindici minuti cerca di mettere tutto e per farlo deve comprimere, tagliare e inevitabilmente tralasciare qualcosa, su tutto il messaggio ecologista del libro, il mostrare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente creatosi tra il pianeta Dune e i Fremen, che Paul col tempo arriva a conoscere. Degli studi e del lavoro del dottor Kynes (cercare di trasformare il pianeta desertico di Dune in un mondo verde) non c’è traccia: tutto si concentra su Paul, alla fine mostrato praticamente come un dio, capace di far piovere su Dune (cosa non vera, perché non sono i suoi poteri a far arrivare la pioggia, ma tutto il lavoro che è stato fatto portando avanti gli studi di Kynes).
Purtroppo, conoscendo la storia, il Dune di Lynch è qualcosa di frettoloso e pure raffazzonato (in una scena finale, prima dello scontro tra Paul e Feyd-Rautha (interpretato da Sting), si vede Chani con due bambini gemelli, i figli che ha avuto con Paul: la cosa è sbagliata perché uno, il bambino che ha avuto con Paul nel romanzo Dune è stato ucciso durante un attacco nemico, e due perché i gemelli (un maschio e una femmina) li avrà in Messia di Dune, morendo subito dopo il parto; forse non è tutta colpa sua, forse sono stati fatti troppi tagli, andando a inficiare la qualità della pellicola, ma il giudizio che viene dato dopo averlo rivisto è negativo, da cui si salvano i vermi delle sabbie di Carlo Rambaldi e la fotografia di Freddie Francis (la rappresentazione degli scudi è meglio però lasciarla perdere).
By M.T., on Settembre 1st, 2024% Cosa dire di Watchmen? Non molto, se non che è una delle migliori graphic novel finora realizzate. Qualcuno asserisce che è un capolavoro, qualcun altro sentendo una simile affermazione storce il naso perché i capolavori sono altri: a ognuno il suo. Per me rimane un’opera molto valida e meritevole d’essere sia letta sia vista; con le dovute piccole differenze, sia il fumetto realizzato da Alan Moore sia la trasposizione cinematografica sono da seguire. E fa sorridere che nonostante il film sia uno dei pochi a mantenere trama e spirito dell’opera originaria, Alan Moore fosse contrario alla sua realizzazione (in realtà, l’autore britannico è contrario a qualsiasi trasposizione cinematografica delle sue opere).
Per questione di tempi (la versione cinematografica dura sulle due ore e quaranta minuti) alcune parti sono state tagliate, ma se si è interessati è possibile vederle nel dvd I racconti del Vascello Nero, che contiene per l’appunto I Racconti del Vascello Nero e Sotto la maschera, l’auotbiagrafia di Hollis Mason, il primo Gufo Notturno; la loro assenza nella pellicola del 2009 di Zack Snyder non pregiudica la comprensione della storia, ma la loro visione permette di approfondire e comprendenre maggiormente il mondo di Watchmen; se l’autobiografia di Mason permette di saperne di più su come sono nati i Watchmen e capire come si è arrivati al punto in cui la storia viene narrata, per I Racconti del Vascello Nero le cose si fanno un po’ più sottili: esso è un metafumetto, ovvero un fumetto dentro al fumetto, e viene letto da un ragazzo presso un’edicola. Si tratta di una storia di pirati che narra la discesa verso la pazzia di un uomo, unico sopravvissuto di una nave, che cerca di tornare a casa per avvisare i concittadini dell’arrivo della nave pirata Vascello Nero. Se a qualcuno la narrazione di tale storia può essere avulsa da quella di Watchmen, beh, le cose non stanno proprio così: I racconti del Vascello Nero presenta forti analogie con uno dei membri del gruppo dei Watchmen e aiuta a comprendere meglio la sua psiche e diventa metafora del cammino che ha deciso d’intraprendere. Non rivelerò chi è il personaggio in questione per non dire troppo, ma posso affermare che ben si associa con l’oscurità del metafumetto.
C’è anche un’altra differenza tra fumetto e film: l’evento che porta alla conclusione della storia. O meglio, ciò che causa la catastrofe che farà riunire i Watchmen rimasti, l’evento che il Comico aveva scoperto e per il quale aveva pianto, venendo poi ucciso a causa di tale scoperta perché non rivelasse ogni cosa.
Oltre a essere una storia interessante, che fa riflettere sul fine che giustifica i mezzi e su come gli eventi e l’ambiente possono condizionare e cambiare le persone, il punto forte di Watchmen sono i personaggi, la loro complessità, la loro profondità. Watchmen non è la solita storia di supereroi, anzi, a pensarci bene di supereroi (ovvero individui con superpoteri) c’è solo il Dottor Manatthan,che praticamente può fare di tutto (solo che questo suo smisurato potere lo fa allontanare sempre più dall’umanità, sia sua, sia come appartenenza alla specie): i restanti membri del gruppo sono persone normali, dei vigilantes che a un certo punto hanno preso a combattere il crimine e si sono uniti in un gruppo, il tutto con l’approvazione del governo, almeno fino a quando non è stato deciso di mettere a riposo i Watchmen (uno, Rorschach, continua a fare il vigilantes e per questo viene ricercato dalla polizia; il Cominco e il Dottor Manhattan diventano agenti governativi).
La bellezza di Watchmen è il calare questi supereroi in un contesto reale, mostrando le loro debolezze (l’ultimo Gufo Notturno), i loro lati oscuri (il Comico), i loro tormenti (Rorschach); queste persone non sono diventate eroi per un bene superiore, per la giustizia, ma ognuno ha le sue ragioni: per il Comico è avere un modo per usare la violenza (spesso viene accusato di essere un fascista), per Rorschach è combattere il crimine senza compromessi (soprattutto dopo che una bambina è stata rapita e massacrata, data in pasto a dei cani furiosi), per la seconda Spettro di Seta è seguire le orme della madre (uno dei dialoghi più belli lo si ha quando scopre chi è il proprio padre), per Ozymandias quelle di Alessandro Magno.
Ma non ci si ferma a questo: l’opera è piena di simbolismi. Riferimenti agli orologi, al nodo gordiano, agli egizi, al famoso smiley tanto caro al Comico, all’ombra della minaccia nucleare (presente nel mondo fin da quando si è pensato di usare l’energia atomica a scopi bellici).
In Watchmen praticamente funziona tutto: incipit, sviluppo, finale. Un finale lasciato in un qualche modo aperto, a suo modo amaro ma anche bellissimo. Non per niente Watchmen ha cambiato, assieme Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, il modo d’intendere e di fare il fumetto supereroistico; pertanto, merita di essere tra le migliori opere (non solo fumettistiche) mai realizzate.
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