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The Heroes

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La guerra è una merda.
Porta distruzione, rovina, morte. Le città vengono distrutte, i villaggi depredati, gli abitanti derubati. I soldati, quando non muoiono, riportano ferite che lasciano cicatrici, quando non sono menomazioni permanenti che lo rendono un invalido, emarginato dalla società perché non più utile. Chi ha la fortuna di sopravvivervi senza riportare conseguenze fisiche, ne rimane comunque segnato, profondamente mutato: gli orrori, le violenze viste e vissute sul campo di battaglia, uccidono una parte di lui, facendo nascere qualcosa di morto che si porta dietro per sempre.

La guerra è uno specchio.
Mostra come sono realmente le persone, fa uscire la loro vera natura. Una natura che alle volte risulta inaspettata perché la verità è che pochi conoscono veramente se stessi; nel momento del bisogno viene fuori chi si è davvero. E così c’è chi si scopre codardo, coraggioso, spietato, misericordioso, protettore, approfittatore. C’è chi scopre che la guerra è il suo habitat naturale, l’elemento che lo rende veramente vivo, e chi si accorge che non è affatto nelle sue corde essere un soldato, facendo uscire il meglio o il peggio di ciascun essere umano.

La guerra è violenza.
Aggredisce tutti i sensi. Si è assaliti dai colpi che si subiscono, che lacerano la propria carne. Si è colpiti dalle immagini dei propri colpi che mutilano, aprono squarci. Si è aggrediti dalla furia con cui gli uomini si gettano gli uni sugli altri. Si è bombardati dalle urla, dal clangore delle armi, dai cozzi degli scudi. Si è raggiunti dall’odore di sudore, sangue, escrementi, viscere che vengono all’aria. Lo spirito è travolto, esaltato, lacerato, dall’impeto delle battaglie.

La guerra è un’opportunità.
Dove alcuni trovano perdita, altri hanno guadagno. Sgradevole da accettare, ma c’è chi prolifera, trae vantaggio dalle disgrazie altrui. La morte lascia vuoti che vengono occupati da chi è ancora in vita. Dopo una guerra c’è sempre da ricostruire, cose che vanno aggiustate, case che vanno di nuovo edificate: quando c’è un periodo di stagnazione, sembra che non ci sia niente di meglio di qualcosa che fa tabula rasa del vecchio, rendendo necessario la nascita del nuovo per far sì che l’economia riprenda a girare. Un guadagno che più che altro riguarda i potenti, i governanti, individui che conoscono la guerra solo per nome, usandola come mezzo per aumentare il loro potere, usando parole maestose, risonanti di virtù per ammaliare le masse e manipolarle secondo i loro voleri. Per la gente comune invece ci sono solo briciole e cocci.
Quelli che usano i potenti sono soltanto veli per celare la realtà alle masse, esaltando le vittorie, le conquiste conseguite sul campo. Ma in guerra non ci sono vincitori: tutti perdono. Nella guerra non c’è nulla di glorioso, nulla di eroico. Gli unici eroi sono le immagini che la gente crea nella propria mente atte a innalzare persone perché incarnino valori astratti. Oppure sono semplicemente le pietre poste sopra una collina protagonista degli scontri tra due eserciti, come mostra Joe Abercrombie in The Heroes.
Con uno sguardo realista, duro e crudo, privo di abbellimenti e licenze poetiche come usavano nei tempi andati i bardi per cantare le gesta di re e cavalieri, lo scrittore inglese mostra gli aspetti che caratterizzano la guerra, lo spirito con cui gli uomini la vivono. Senza mezzi termini, li sbatte in faccia al lettore, immergendolo, costringendolo a guardare attraverso il punto di vista dei tanti personaggi la natura di questo costrutto umano. Uno sguardo che non è cinico, ma semplicemente disincantato, tipico di chi ha fatto esperienza e vede oltre le apparenze che il sistema crea.
Le scene descritte parlano di violenza senza censura, brutale, ma questa è la realtà della guerra: crani fracassati, gambe e braccia amputate, viscere che si riversano a terra, sangue che schizza a terra come se piovesse. Una violenza per niente gratuita, come non lo è la scurrilità.
Attraverso tre giorni di scontri senza quartiere, Abercrombie fa conoscere le lotte, gli interessi politici ed economici del Nord e del Sud del mondo che ha creato, un’ambientazione fantasy (anche se gli elementi di questo genere sono ridotti veramente all’osso, quasi inesistenti e bisogna aspettare le ultime pagine per poterli vedere) che ricorda molto il medioevo del nostro mondo quando vennero fatti i primi passi dell’uso della polvere da sparo sui campi di battaglia. Una narrazione fluente con personaggi davvero ben caratterizzati, vivi, al punto che si riesce a infilarsi nei loro panni senza fatica, anche se tra loro sono antagonisti. Individui che hanno guadagnato un nome sul campo di battaglia per essersi distinti, per aver dimostrato il loro valore. Dimenticarsi di Curden lo Strozzato, Caul il Brivido, Whirrum di Bligh (conosciuto anche come Whirrum il Tocco), Beck, il principe Calder, Bremer dan Gorst, Tunny, non è per niente facile, vista l’impronta che sono capaci di lasciare in chi legge le loro vicende.

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