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Di Grandi Fratelli 2

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Che 1984 di George Orwell abbia molto da insegnare è fuori discussione. Nell’articolo precedente si è visto come attraverso la tecnologia l’individuo che vive nella società attuale non sia libero, ma continuamente studiato, monitorato, la sua sfera privata invasa. Già di per sé questa situazione è allarmante, ma ugualmente preoccupante è il fatto come la memoria sia labile, ci si dimentichi di quanto è stato, come se nulla fosse successo e quelli che un tempo erano nemici e rivali ora siano alleati. Come si sa, questo è il gioco della politica, attuato da chi è al potere per cercare il maggior numero di consensi e appoggi e consolidare la propria posizione, ma a tutto c’è un limite: un contesto assurdo se si pensa per esempio a quello italiano dove la sinistra, la destra e il centro non si differenziano più, non hanno più idee proprie, ma s’incrociano per fare alleanze traballanti ed equivoche pur restare al potere (si veda quanto ha fatto Renzi, che è andato a fare un accordo con Berlusconi, facendo rientrare dalla finestra chi è stato condannato per i suoi reati e che invece non dovrebbe più avere a che fare con il mondo politico).
In tutto questo è allarmante come la popolazione lasci fare, si adatti, si sottometta rassegnata a poteri che volendo potrebbe annullare: ci si dimentica che le persone che sono al potere sono state votate dalla popolazione e che come sono state messe in certi ruoli possono essere anche tolte. Ma l’appiattimento di pensiero impedisce il cercare di cambiare la situazione, in modo molto simile a quello che succede in 1984 dove l’unica forma di pensiero ammissibile è il Bipensiero, con i suoi famosi slogan “la menzogna diventa verità e passa alla storia”, “chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”: non è un caso che ci sia stato negli anni passati il tentativo dei governi di destra di revisionare e riscrivere i testi di storia, stravolgendone la realtà con menzogne atte a tirar acqua al proprio mulino e a modificare la realtà a proprio favore. Proprio come fatto in 1984 dove i testi vengono riscritti continuamente espellendo tutto quanto non sia in linea con le idee del momento del Socing: tutti i fatti che rivelino contraddizione o fallibilità del partito vengono periodicamente e sistematicamente cancellati e sostituiti, la storia non esiste più, se non per dare ragione al Partito (stessa cosa avviene in un’altra opera di Orwell, La fattoria degli animali, dove i comandamenti sulla parete del granaio cambiano in base al pensiero di chi le crea e tutti li accettano a causa della propria ignoranza e passività).
Va preso in considerazione anche l’appiattimento del linguaggio realizzato attraverso le trasmissioni televisive che culturalmente e intellettualmente sono sempre andate al ribasso, trattando temi sempre più poveri e superficiali; stessa cosa è accaduta con le produzioni di quotidiani, riviste e libri, dove in prevalenza le tematiche girano attorno a pettegolezzi, cotte, avventure amorose e sesso (libri di successo come quelle legati alle serie di Twilight e alle varie Sfumature ne sono la dimostrazione). Non è un caso che con un’ignoranza così dilagante chi è al potere si rafforzi sempre più, perché non si hanno i mezzi per ribellarsi al sistema: davvero, come inneggia il Grande Fratello, “l’ignoranza è forza”, perché permette di controllare una popolazione intera. Con l’impoverimento del linguaggio, dove non si hanno più tante sfumature dovute alle conoscenze di un gran numero di parole risulta difficile concepire un pensiero critico individuale.
Se poi si pensa alle attuali produzioni in campo letterario e musicale realizzate in Italia che sono tutte dello stesso stampo, non ci si meraviglia di trovare somiglianze con quello che veniva realizzato nel romanzo di Orwell, dove produrre letteratura, ossia la scrittura a mano, è stata di fatto abolita: poesie, canzoni e romanzi vengono realizzati automaticamente da complessi macchinari elettromeccanici detti versificatori, in base a schemi predefiniti.
Orwell non è stato certo l’unico a mostrare sistemi del genere: basta pensare a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury dove i pompieri non spengono incendi ma li appiccano, bruciando i libri come decreta la legge, alienati da schermi televisivi grandi come pareti pieni di slogan che appiattiscono e condizionano la mente della popolazione. Ma anche Alan Moore e David Lloyd con V per Vendetta hanno raccontato della perdita di libertà e d’identità in un mondo totalitario, la cronaca di un mondo in cui regnano la disperazione e un’opprimente tirannia. I due autori s’ispirano molto ai lavori di Orwell e Bradbury: criticano i sistemi totalitaristici e narrano di un personaggio che si ribella al sistema, che vuole vedere oltre la realtà come appare, vuole scoprire la verità. Ma se in 1984 il protagonista Winston Smith è destinato a fallire nel suo intento e ad adattarsi al sistema e in Fahrenheit Montag fugge dal sistema per non farne più parte e avere la speranza in futuro di cambiare lo stato delle cose, nel fumetto di Moore e Lloyd il protagonista V (di cui non si conosce l’identità perché indossa sempre una maschera di Guy Fawkes) attua il processo di distruzione del sistema totalitaristico minandolo con colpi mirati alle persone di potere e agli organi di controllo, attuando nello stesso tempo l’insegnamento di consapevolezza di cui l’individuo deve essere cosciente per poter essere creatore di qualcosa di nuovo. V è l’uomo attivo che non più subisce, ma agisce per cambiare le cose, proprio come fece il personaggio storico da cui la maschera trae ispirazione: nell’immaginario inglese Guy Fawkes è un terrorista cattolico che provò a far esplodere il Parlamento nel tentativo di uccidere il re Giacomo I con tutta la sua famiglia e gran parte dell’aristocrazia protestante; esecutore del piano ideato da Robert Catesby, venne tradito e catturato e poi giustiziato. Il tentativo di cambiare il sistema fallì, ma l’idea di ribellarsi e agire contro un potere ingiusto rimase nei secoli: “Ricorda per sempre il cinque novembre e la congiura contro lo stato. Ricorda e sta’ attento che quel tradimento mai e poi mai sia dimenticato”, è la filastrocca nata in memoria di quel giorno che ogni anno viene festeggiato in Inghilterra bruciando fantocci a immagine dell’attentatore. Naturalmente Moore e Lloyd nella loro opera hanno rivoltato l’idea di questa festa, facendo di Guy Fawkes un eroe, un’icona cui ispirarsi, creando un piccolo grande capolavoro che non ha nulla da invidiare alla migliore letteratura dei migliori scrittori esistiti.

Allo stesso modo fa Guy Gavriel Kay con Il paese delle due lune, mostrando come la divisione e l’ignoranza siano una debolezza e possano spezzare un’intera nazione, frammentandola in tante parti divise tra loro: questo è lo scenario dell’Italia attuale, ma anche quello che tante volte si è visto in passato nella sua storia. Oggi come allora la nazione è divisa, non geograficamente, ma nello spirito. Più che nazione sarebbe corretto parlare di persone che abitano nello stesso luogo, perché gli italiani non sono individui che formano un paese coeso, ma individualisti che pensano al proprio interesse e nient’altro, ben rappresentati dalla classe politica e dirigenziale, specchio di ciò che gli italiani sono realmente. Kay con la sua opera fantastica mostra sì la storia del nostro paese, ispirandosi a un tempo (quello rinascimentale) dove si era soggetti all’egemonia di potenze straniere (a nord il regno austro ungarico a sud il regno borbonico), vessato e spezzato in tanti stati che litigavano tra loro, ma anche e soprattutto la sua anima, il suo spirito privo di forza e unità. Non è un caso che l’autore canadese chiami la penisola in cui è ambientata la vicenda il Palmo, utilizzando questa immagine per dare forma al dialogo che meglio mostra il pensiero di cui il suo romanzo è permeato:
«Che cosa c’è di tanto divertente, vecchio mio?» chiese l’uomo dagli occhi grigi.
«Voi », rispose il guerriero. «Tutti voi. Non ho mai visto tanti ciechi in una sola stanza.»
«Che intendi dire?» chiese con sospetto il mercante di lana.
«Occorre spiegarlo?» mormorò l’uomo di Khardhun, fingendosi stupito. «Va bene, allora. Perché mai dovrebbe prendersi il disturbo di rendervi schiavi?» Indicò il mercante che aveva dato inizio alla discussione. «Se cercasse di farlo, quel poco di virilità che rimane ancora nella penisola potrebbe giungere a ribellarsi.»
Ettorcio tornò a guardare nervosamente la porta.
«Viceversa», proseguì l’uomo di Khardhun, «se si limita a spremervi con tasse e pedaggi e confische, può ottenere lo stesso risultato senza far infuriare nessuno. Alberico», terminò, bevendo un sorso di birra, «non è uno stupido.»
«E tu», disse l’uomo dagli occhi grigi, «sei uno straniero insolente e arrogante! »
L’uomo di Khardhun smise di sorridere. Fissò minacciosamente il mercante, ed Ettorcio ringraziò gli dei di avergli fatto togliere la spada, quando era entrato.
«Sono qui da trent’anni», disse l’uomo dalla pelle nera.
«Da prima che tu nascessi, scommetto. Proteggevo le carovane su questa strada quando tu bagnavi ancora il letto. E per il fatto di essere uno straniero, be’, l’ultima volta che ho chiesto informazioni, mi hanno detto che Khardhun era un paese libero. Noi siamo riusciti a ricacciare indietro gli invasori, e questo è più di quanto possa dire qualsiasi uomo della penisola!»
«Voi avevate la magia! » esclamò il ragazzo che faceva colazione appoggiato al banco. «Noi no! È il solo motivo!»
L’uomo di Khardhun si girò verso il ragazzo e gli rivolse una smorfia sprezzante. «e pensi di poter dormire meglio, credilo pure. Forse sarai più contento di pagare le tue tasse, o di patire la fame perché non c’è grano. Se invece vuoi sapere la verità, te la posso dire gratis.
Diversi uomini si erano alzati in piedi e fissavano con ira l’uomo di Khardhun.
Guardandosi attorno, questi disse chiaramente: «Noi abbiamo ricacciato indietro Brandin di Ygrath, quando ci ha invaso, perché il Khardhun ha combattuto come una sola nazione. Voi siete stati sconfitti da Alberico e da Brandin perché vi preoccupavate troppo delle piccole dispute di confine tra voi, o di che duca o che principe dovevano condurre l’esercito, che prete o che sacerdotessa doveva benedirlo, chi doveva stare al centro e chi alle ali, dove si doveva trovare il campo di battaglia, o chi era maggiormente amato dagli dei. Le vostre nove province sono state inghiottite dai due maghi una alla volta, un dito alla volta. Io ho sempre pensato», terminò, fra il silenzio degli avventori, «che la mano combatte meglio quando è stretta a pugno.»
(1)
Un insegnamento da ricordare, perché la memoria serve a rammentare il passato con le sue lezioni da assimilare e comprendere; un bene che va difeso perché se dalla conoscenza viene potere, dall’ignoranza viene sottomissione e un popolo senza memoria, senza coscienza di sé è un popolo spezzato, come succede con quello di Tigana, il cui nome è stato gettato nell’oblio da una maledizione.

1. Il paese delle due lune, pag. 197,198. Guy Gavriel Kay. Sperling&Kupfer 1992

Profezia

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Quando si parla di profezie, subito viene in mente Nostradamus con le sue famose quartine, l’Apocalisse di Giovanni o i Maya riguardo al 2012.
Ma che cos’è una profezia?
E’ la conoscenza degli eventi che si verificheranno, senza l’utilizzo di basi quali raziocinio, esperienze.
Ma in alcuni casi tale conoscenza non serve a niente, non permette di cambiare il corso degli eventi, non si può fare nulla per intervenire: quanto predetto si verificherà, a prescindere da quello che si cercherà di fare per cercare di evitarla. E’ il caso di Erode, di re Artù che, presi da paura per la venuta di un bimbo che avrebbe minacciato il loro trono e regno, compiono una strage d’innocenti; un tentativo inutile, dato che non cambierà quanto è stato predetto, visto che in tali casi il destino è ineluttabile, come accade nel mito greco di Edipo, dove la profezia diventa vera nonostante tutti i tentativi per evitarla, anzi proprio a causa di essi. Proprio come succede nella tragedia Macbeth di William Shakespeare: una sorta di autoadempimento ineluttabile che è stato spesso usato anche nella realizzazione di opere contemporanee letterarie, come fa la conosciuta saga di Harry Potter di Rowling, o cinematografiche, quali Guerre Stellari, Matrix.
La profezia può essere portatrice di speranza o di sventura, annunciare la fine o un nuovo inizio, e in un modo o nell’altro ha sempre avuto influenza sugli uomini, i quali, condizionati dalle sue parole, spesso hanno fatto in modo inconsciamente che essa si avverasse. Anche se dice di credere diversamente, spesso l’uomo non crede di essere libero, di essere padrone delle proprie scelte, ma ritiene d’essere pedina di qualcosa di più grande che decide per lui, troppo grande perché possa contrastarla e ribellarvisi.
E’ quello che ritengono le popolazioni delle Dominazioni che vivono sotto il giogo del Lord Reggente, costrette a vivere in condizioni di schiavitù, mentre il potere è in mano a una minoranza, i nobili e il clero; solo un uomo, Khelsier, si erge contro il sistema, convinto che le cose possano essere cambiate. Ed è grazie alla sua volontà indomita che il cambiamento viene messo in atto e la profezia dei tempi passati, quasi dimenticata, trova compimento. Ma come ogni profezia, il suo significato non è chiaro, se non quando essa si sta realizzando, perché le cose accadono nel modo in cui non lo si aspetta, non importa quanto studio e attenzione sono stati riversati su di essa. Brandon Sanderson è stato bravo con la trilogia dei Mistborn a mostrare tutto questo, magnifico nel giocare con il lettore e a sorprenderlo, nonostante avesse messo sotto i suoi occhi tutti gli indizi necessari per giungere alla giusta deduzione.
In altri casi, sapere in anticipo il verificarsi degli eventi, come visto in precedenza, non permette di cambiare ciò che avverrà, ma consente di prepararsi, affrontando meglio la realtà cui si va incontro. Un esempio è quello nella Bibbia di Giuseppe quando interpreta il sogno delle vacche magre e delle vacche grasse del Faraone; un altro è quello di Gatsu nel manga Berserk di Kentaro Miura,
Qualcosa di simile hanno fatto Margaret Weis e Tracy Hickman con la saga della Spada Nera nel mostrare come la profezia non sia qualcosa di ineluttabile, ma semplicemente un monito a non farsi sopraffare dalla paura, dal timore del cambiamento, dando la possibilità di scoprire un nuovo inizio senza passare attraverso la tribolazione e la distruzione, ma solo usando mezzi pacifici. Se solo si fosse stati abbastanza accorti d’accorgersi di tutto questo: una consapevolezza che purtroppo giunge solo con la perdita, dopo aver commesso errori e aver imparato da essi. Una visione amara, che è certamente in contrasto con quella invece di stampo salvifico presente nella saga degli Ultimi creata da Silvana De Mari , dove, nonostante le tribolazioni, le cose sono poi destinate a cambiare e a elevare le popolazioni a una condizione migliore.
Come tutto ciò che esiste, si è visto che la profezia può essere tante cose. In certi casi serve solo a mostrare la vera natura di qualcosa o di qualcuno. Toccante è il modo in cui Guy Gavriel Kay mostra attraverso tale forma ciò cui vanno incontro Kevin e Fiin, protagonisti delle vicende del mondo di Fionavar. Il primo, trova attraverso le parole del Canto di Rachel (un canto scritto proprio da lui per un amico) la profonda verità personale di cui si deve ancora accorgere appieno e scopre come esse siano il vero compimento della propria esistenza. Il secondo, attraverso la ta’kiena, considerato dai più un gioco per bambini, scopre una verità più grande su se stesso, che lo lega a un fato oscuro e potente, incontrollato e incontrollabile, portandolo a prendere la Strada più Lunga.
Molto più centrale rispetto a quelle appena elencate, è invece il ruolo che le profezie ricoprono in La Ruota del Tempo di Robert Jordan, dove tutto gira attorno al ritorno del Drago Rinato: una storia epica, millenaria, che vede l’eterna lotta tra caos e ordine, tra distruzione e preservazione, mostrando in un contesto fantasy ciò che viene raccontato da molte religioni, ovvero l’imperfezione, l’elemento destabilizzante che va a guastare la perfezione di quanto creato. Shaitan, il Tenebroso, è l’entità imprigionata dal Creatore che ricorda molto il Satana che la religione cristiana relega all’inferno, il nemico che secondo le profezie sarà sempre contrastato dal Campione della Luce a ogni ruotare delle ere.
Tanto è stato scritto su questo argomento, elemento che come si è visto negli esempi citati è stato usato in ogni forma di rappresentazione e intrattenimento; quel che è certo, è che le profezie hanno sempre esercitato un gran fascino sull’uomo e sempre lo eserciteranno.
(Per un maggiore approfondimento del tema, si può leggere questo articolo.)

Andare avanti

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In un modo o nell’altro, la vita va avanti, non c’è modo di tornare indietro: le macchine del tempo sono al momento solo un frutto dell’immaginazione e il passato non può essere cambiato. Certo, col ricordo lo si può andare a rivisitare, imparare le lezioni che eeso ha dato, ma non può essere modificato. Non si può sapere quale svolta avrebbe preso la vita se si fossero prese altre decisioni, se si fossero intraprese vie differenti: si può provare a immaginarle, ma non si può avere la certezza di cosa sarebbe avvenuto. E’ su questo che si basano certe storie di fantascienza che parlano dei mondi paralleli e delle biforcazioni che ci sono in ogni punto della vita, creando in questa maniera un’infinità di universi, dimensioni e di versioni differenti degli individui.
La realtà invece presenta uno scenario diverso, dove si ha solo la possibilità di cogliere il momento nell’attimo in cui lo si vive: tutto ciò che non viene fatto nel presente, ogni opportunità persa, viene lasciato alle spalle, divenendo un mondo morto, un semplice pensiero di cosa potrebbe essere e che invece non è stato. E’ questo uno dei temi dominanti di La rinascita di Shen Tai di Guy Gavriel Kay: la vita va avanti e non si può sapere in che modo sarebbe potuta essere se si fossero intraprese scelte differenti. Di certo non sarebbe stata la stessa, ma come lo sarebbe stata, questo non è dato saperlo.
5 cm per second Il come affrontare questo andare avanti dipende sempre dall’individuo, è sua scelta accettare, comprendere quello che sta succedendo. E’ quanto viene mostrato da Hayao Miyazaki in I sospiri del mio cuore e da Makoto Shinkai in 5 cm per second. Per quanto in entrambi i film ci sia la perdita dell’infanzia, del lasciare l’atmosfera sognante che caratterizza l’età, dove il mondo sembra essere un luogo pieno d’opportunità, dove tutto è possibile, l’approccio dei due registi è diverso: se con Miyazaki si respira un’atmosfera più magica, sognante, possibilista, dove s’avverte la speranza che le cose possono andare come si desiderano nonostante le difficoltà, le lontananze, con Shinkai si ha una visione più amara, nostalgica della vita, dove il protagonista non riesce a farsi una ragione del cambiamento, del passato trascorso, continuando a vivere una vita nell’attesa di qualcosa che non può tornare, come un cosmonauta con lo sguardo rivolto a una galassia lontana, troppo distante per essere raggiunta. Una vita vissuta nel passato che porta solo dolore, tristezza, che non fa accorgere di quello che ha da dare il presente, creando ferite a se stessi e a quelli che si ha al fianco; aspettative che non possono essere realizzate perché si è imboccato un bivio che ha portato lontano da quello che si avrebbe voluto avere, perché non si è saputo osare abbastanza, non si ha avuto il coraggio di fare certe scelte. Un fatto normale, che capita a tanti quando si è giovani, e che solo con il tempo e l’esperienza si riesce a comprendere e a farsene una ragione; perché se non si fa così, allora si è destinati a restare bloccati, sperando nell’insperabile, fino a quando non si ha più niente, solo amarezza e rimpianto per aver sprecato l’esistenza e non aver vissuto. Stare ad aspettare non porta a nulla, solo a lasciar sfuggire ciò che di bello c’è da incontrare. E se anche accadesse che quello che si desidera trovasse realizzazione, non è detto che le cose vadano come si spera, perché tutto, specie le persone, con le esperienze cambia.

La rinascita di Shen Tai - Under Heaven - Guy Gavriel Kay

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Grande è la saggezza del cielo, che fin dalla nascita del mondo osserva le vicende degli uomini: sotto la sua volta storie su storie si sono succedute in un alternarsi d’incroci e allontanamenti, in un continuo ripetersi d’errori e insegnamenti, di svolte improvvise e strade lasciate o mai intraprese nel continuo ciclo di vita e morte. Una sapienza di eoni, in cui trovare risposta a qualsiasi domanda, se si conoscesse il modo attraverso il quale attingervi; una conoscenza cui forse solo gli dei hanno la possibilità di raggiungere, mentre ai mortali non resta che trovarla solamente vivendo.
A causa di tale realtà l’uomo avanza attraverso dubbi, senza avere la certezza di dove le proprie scelte lo porteranno: è dunque vero che egli è creatore della propria fortuna o della propria rovina? E’ davvero padrone del suo destino?
Una domanda che gli uomini si pongono generazione dopo generazione, spesso chiedendosi se è meglio seguire la corrente o andargli contro, se piegarsi al vento come fa il giunco oppure cercare di contrastare il suo impeto; sta di fatto che non c’è niente di scritto, che c’è sempre una possibilità di scelta, almeno all’inizio: dopo è solo una conseguenza della strada intrapresa, perché la vita rende quello che si fa, spesso in maniera inaspettata, seguendo vie traverse, all’apparenza inspiegabili.
E’ così che la vita di Shen Tai viene immessa su un percorso imprevisto: un’esistenza tranquilla scossa all’improvviso da un dono giunto come un fulmine a ciel sereno; mai avrebbe ritenuto possibile che un gesto nato per compassione verso il padre defunto, un atto d’onore e anche d’affetto per quello che era stato un grand’uomo, potesse giungere a tanto. Vedere il generale Shen Gao, eroe di una guerra costata migliaia di morti agli imperi in conflitto, trascorrere le giornate nella villa lungo la riva meridionale del fiume Wai, bevendo vino e osservando le foglie e i boccioli di prugno cadere in acqua e perdersi nella corrente fino al giungere della sua morte, aveva lasciato in lui un segno indelebile. Soprattutto le parole del padre, quelle parole che potevano essere considerate un tradimento, lo avevano condotto sul campo di battaglia di cui aveva sentito parlare fin da piccolo per dare sepoltura ai morti, vivendo isolato dal mondo, con l’unica compagnia degli spiriti che di notte urlavano di rabbia e disperazione; parole mosse dal dolore, dal rimpianto, dal senso di colpa nell’aver visto troppi uomini morire per il bene superiore dell’impero, per assecondare equilibri di potere. Uomini morti per una terra che alla fine non sarebbe stata di nessuno; vite spezzate e sacrificate a un bene superiore che non si sarebbe mai ricordato di loro.
E’ in seguito a quanto visto e ascoltato che Shen Tai decide di trascorrere i due anni di lutto che la tradizione impone, cercando di dare sollievo a spiriti inquieti dando riposo alle loro spoglie mortali, conscio d’aver intrapreso un compito che non avrebbe mia portato a termine, adatto agli dei, non agli uomini; un compito che s’è accollato in memoria della voce gentile del padre, inconsapevole che le sue azioni avrebbero attirato attenzione e rispetto e un dono che avrebbe cambiato per sempre la sua esistenza e non solo: duecentocinquanta Cavalli Celesti, un dono degno di un imperatore, giunto forse per ammirazione, forse per capriccio, da parte della principessa di Giada Bianca Chend-wan, diciassettesima figlia dell’imperatore Taizu, data a Taguran per essere una delle spose di Sangrama il Leone, guida dell’impero rivale del proprio paese natio, il Kitan, per sancire la pace tra i due paesi dopo la lunga guerra.
Forze di questo mondo e di quello spirituale si mettono in moto per distruggerlo e per proteggerlo, portandolo in un mare di eventi attraverso i quali occorre muoversi con cautela, seguendo i passi di una danza sottile, alla quale non è avvezzo: proprio questa sua mancanza di conoscenza potrebbe portarlo alla rovina se al suo fianco non si fossero poste figure che fungono sia da guide sia da protettori. Figure di cui Tai non riesce a trovare spiegazione per la loro presenza, se non quella d’essere diventato da persona qualunque a eroe, ago della bilancia tra i poteri che governano e sostengono il Kitan.
In un mondo dove non si è liberi d’esprimere liberamente ciò che si pensa e la verità deve essere nascosta dietro delle maschere, piegandola spesso alle gerarchie e al senso dell’onore imposto dalla società, dove ogni gesto e parola deve sottostare all’etichetta, si scopre passo per passo il complesso equilibrio che regola il governo dell’impero, dove ogni suo membro cerca di trovare il favore di chi ha più potere per avanzare e acquisire posizioni di maggior rilievo e onore. Dal freddo e manipolatore primo ministro Wen Zhou e dallo spietato governatore del Settimo, Ottavo e Nono Distretto An Li, a Wen Jian, la Preziosa Consorte dell’Imperatore Taizu, il Figlio del Cielo, graziosa e seducente figura che sotto amabili e affascinanti sorrisi muove le trame del potere con grande influenza: Guy Gavriel Kay mostra i sotterfugi di una politica immersa in un mondo ricco di fascino ispirato dalla storia della Cina, con le sue tradizioni, i suoi costumi, il suo folclore. Il famoso mondo degli spiriti di cui la cultura cinese è così ricca sembra essere una presenza secondaria all’interno delle vicende del romanzo, eppure ha un peso specifico, fondamentale nello svolgersi dell’intreccio: senza di esso la storia si sarebbe conclusa poco dopo le prime pagine. Senza il timore reverenziale verso gli spiriti e i morti dovuto alla forza che essi sono possono scatenare, Tai non sarebbe stato elevato al rango d’eroe, quasi di santo eremita, per il compito cui si era preso in incarico: un segno di coraggio che in pochi avrebbero saputo dimostrare. Coraggio, ma anche pietà; quella pietà che non ha dimostrato solamente sulle rive del lago di Kuala Nor, ma anche in passato quando aveva prestato servizio presso l’esercito. E che nel presente gli sta portando frutto, rendendogli quanto fatto.
Strade che si lasciano, strade che non vengono mai prese: ogni scelta porta verso una direzione diversa, ma è lo spirito che le ha mosse che decide quale sarà il destino verso cui l’uomo che le ha intraprese va incontro. Un’esistenza dissoluta porterà a una caduta miserevole, così come una mente calcolatrice e sfruttatrice patirà un fato freddo e senza compassione; allo stesso modo, chi si schiererà dalla parte di individui simili patirà uguale sorte.
Molto c’è da imparare dai destini forgiati nel bene e nel male dalle scelte degli uomini, sempre che si sappia osservare e ascoltare la voce della saggezza; quella voce che nasce dal profondo e che sempre consiglia di non rinnegare il proprio essere, di non sottostare a sistemi creati da altri, piegando la propria natura e costringendosi a vivere un’esistenza di angustie e pesi da portare per parole non dette e scelte non fatte per rispettare regole sorte per tradizione, per assecondare il potere di chi sta in alto. Perché si ha solo una vita da vivere e per quanto possa essere importante, come tutte le cose giunge a una fine, perché niente può durare per sempre. Così è l’esistenza sotto il cielo: un grido che sale sempre più in alto tra le pareti delle montagne fino a che non svanisce.

Kay ha dimostrato ancora una volta le sue capacità narrative e di saper creare una storia avvincente e profonda, una prosa intrisa di poesia ed epicità. Ed è bello, per chi come me ha avuto la fortuna di poter leggere altri suoi libri, trovare in questo suo ultimo volume echi di storie già incontrate. Ci sono analogie tra alcuni personaggi di La Rinascita di Shen Tai e la trilogia di Fionavar; quello che salta più all’occhio sono le similitudini tra Shinzu e Diarmuid, entrambi principi del regno in cui vivono: stesso modo scanzonato di affrontare le cose, che però è solo una maschera per celare le reali capacità e acquisire così vantaggio sugli altri. Un modo di lavorare nell’ombra per sopperire alle mancanze di un padre (come lo sono Taizu e Ailell) un tempo grande regnante, ma ormai in declino, che vive nella ricerca di un passato che più non tornerà.
Piccoli dettagli che però, per chi ha apprezzato le opere di questo autore, arricchiscono ulteriormente il libro di cui si è parlato finora.
Per chi ama la poesia, le belle avventure e fare riflessioni sull’uomo e su come agisce, questo è un romanzo che può dare tanto.

Mad Max – Viaggio attraverso gli Archetipi e la Mitologia

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Questo è l’articolo pubblicato su Fantasy Magazine lunedì sulla trilogia di Mad Max che vede come interprete del protagonista Mel Gibson.
Un pezzo che era nato inizialmente con un altro intento, dato che volevo utilizzarlo per mostrare come questa trilogia cinematografica fosse stata in parte ispirazione per un romanzo che ho scritto e che sto pubblicando sulle pagine del sito. Ma si sa che alle volte gli articoli, come i libri, prendono una piega differente da quella iniziale ed ecco che ci si trova con un pezzo come quello che si può leggere sulla rivista FM.
Un pezzo che parla dell’archetipo del Viaggio, del Guerriero e degli altri che in ogni vita umana, in momenti precisi, sono presenti, che mostra come agiscono e come riconoscerli.
Non solo: mostra anche la caduta di un mondo, di una società, del degrado dell’animo umano, come ben viene riassunto dalla voce narrante all’inizio del secondo film della serie, Interceptor – Il guerriero della strada.

La mia vita si spegne e la vista si oscura. Mi restano soltanto alcuni ricordi di un caos immane: i sogni infranti delle terre perdute. E l’ossessione di un uomo sempre in lotta: Max.
Era figlio dei tempi in cui l’uomo viveva sotto il dominio dell’oro nero. E i deserti brillavano per le fiamme delle gigantesche torri che estraevano il petrolio.
Ora tutto è distrutto, scomparso, come e perché non lo ricorda più nessuno, ma è certo che un immane conflitto annientò due grandi potenze. Senza il petrolio l’uomo tornò alle sue origini primitive e tutte le sue macchine favolose andarono in rovina. Tutti i popoli tentarono di raggiungere un accordo, ma nessuno riuscì a fermare la valanga del caos. Nel terrore dei saccheggi e nelle fiamme della violenza il mondo scoppiò. E tutte le sue città crollarono una dopo l’altra.
L’uomo si nutrì di carni umane per sopravvivere.
Su tutte le strade vincevano coloro che avevano la forza e i mezzi per piombare sulle vittime e depredarle, anche dell’ultimo respiro; niente aveva più valore di una piccola tanica di benzina.
I deboli scomparivano senza nemmeno lasciare il segno di una croce su delle misere pietre.
Nel ruggito di un motore, quelli come Max si difendevano dai demoni del passato e dalle inutili speranze di un futuro svuotati di ogni sentimento umano, condannati a inseguire ogni piccola traccia di vita nelle Terre Perdute.
E alla luce di quei giorni desolati, Max imparò a dominare il suo destino.

E’ in tempi come questi che il Guerriero deve sorgere e combattere per ciò che è importante; una lezione adatta alla società attuale, che ha dimenticato cosa significa lottare per qualcosa che vale molto di più del denaro e del prestigio di una posizione sociale.

Under Heaven

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Il 29 marzo in Italia uscirà pubblicato da Fanucci, con il titolo La Rinascita di Shen Tai, l’ultimo libro di Guy Gavriel Kay, Under Heaven: la notizia appare sul sito dell’editore, mentre sulla pagina Facebook è possibile leggere l’incipit dell’opera.
Per gli appassionati del genere fantastico questa è un’ottima notizia, perché rappresenta un gradito ritorno dopo tanti anni di assenza di un autore dalle indiscusse capacità, che nel corso della sua carriera ha realizzato opere di qualità che l’hanno portato a vincere diversi Awards e ad avere diverse Nominations.
Un autore purtroppo poco valorizzato nel nostro paese, che ha visto dare invece spazio ad autori che non raggiungono il livello di bontà e profondità delle sue opere; un’occasione, questa pubblicazione, che spero serva come trampolino per la traduzione degli altri libri che ha scritto (A Song for Arbonne,The Lions of Al-Rassan,The Sarantine Mosaic, The Last Light of the Sun, Ysabel ).
Un autore che consiglio di scoprire per chi già non lo conosce, perché grazie alla sua prosa e alle storie a cui dà vita si veda che il fantasy non è quel genere così bistrattato e banalizzato da buona parte dell’editoria italiana (e non solo), ritenuto una lettura per bambini/adolescenti e persone dalla conoscenza e dalla visione delle cose limitata.
Sembro esagerato a consigliare un libro che devo ancora leggere? Forse, ma la bontà delle opere che ho letto di Kay mi dà la fiducia di consigliarlo, visto l’esperienza avuta con tale scrittore: la saga di Fionavar e Il Paese delle Due Lune sono state letture che sono rimaste impresse nella mia mente, che hanno saputo dare tanto con la ricchezza dei mondi e dei personaggi che li hanno abitati.
Nel caso qualcuno volesse ulteriori “garanzie”, rimando alla recensione fatta da Martina Frammartino, che ha già letto Under Heaven in lingua originale.

Piccole Soddisfazioni

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“Che cos’è quello che più cerchiamo? Che cos’è quello che ciascuno di noi vuole? Sicuramente è importante scoprirlo. Probabilmente la maggior parte di noi cerca qualche genere di felicità, qualche genere di pace; in un mondo sconvolto dai tormenti, dalle guerre, dalle contese, dalla lotta, vogliamo un rifugio dove ci possa essere pace. Penso che sia quello che la maggior parte di noi vuole. Così ci mettiamo al seguito di qualcuno, passiamo da un leader all’altro, da un’organizzazione religiosa all’altra, da un maestro a un altro.
Ora, noi cerchiamo la felicità oppure cerchiamo una gratificazione di qualche tipo, dalla quale speriamo di derivare la felicità? C’è differenza tra felicità e gratificazione. Si può cercare la felicità? Forse si può trovare gratificazione ma sicuramente non si può trovare felicità. La felicità è derivata; è un sottoprodotto di qualcos’altro. Allora, prima di mettere le nostre menti e i nostri cuori su qualcosa che richiede una grande dose di onestà, attenzione, pensiero e cura, non dobbiamo forse scoprire che cos’è che stiamo cercando, se la felicità o la gratificazione? Temo che i più stiano cercando la gratificazione. Vogliamo essere gratificati, alla fine della nostra ricerca vogliamo trovare un senso di pienezza.”

Queste sono le prime righe di La ricerca della felicità di Krishnamurti, riflessioni che sono iniziatiche di una presa di consapevolezza di sè, della vita, di che cosa si cerca in essa. In fondo quello dell’uomo è sempre stato un continuo viaggio, un continuo inizio di qualcosa di nuovo e non c’è mai una vera fine, una meta cui arrivare.
Quello che spesso gli individui non riescono a cogliere è che ciò che conta di più non è tanto l’inizio o la fine, quanto il cammino che si conduce, il viaggio e ciò che in esso s’incontra.
Una vita è meritevole d’essere vissuta più che per raggiungere un obiettivo (se ci si fa caso, spesso, quando questo avviene, ci si sente svuotati perché si è perso lo scopo, la meta che era divenuto il fulcro della vita), per il saper cogliere quanto l’esistenza ha da proporre giorno per giorno. Spesso non ci si accorge di questo perché troppo concentrati (o distratti) su altre cose, su se stessi, e si pensa che ci sia solo povertà quando invece per rendere ricca la vita basterebbe veramente poco, basterebbe accorgersi di ciò che si ha intorno, aprire gli occhi: l’incontro con una persona, un paesaggio, un libro. Tante piccoli fatti piacevoli che rendono l’esistenza più luminosa.
Dal canto mio, in questi giorni una piccola soddisfazione l’ho avuta, ancora migliore dato che non l’ho cercata: fa piacere ricevere la richiesta d’essere menzionati sul sito ufficiale di Guy Gavriel Kay l’articolo che avevo scritto sulla trilogia di Fionavar (lo si può vedere in questa pagina del sito dell’autore canadese).
Certo, non è un fatto che cambia la vita, ma la rende un pò migliore, dato che è una soddisfazione ricevere un apprezzamento da chi si è apprezzato.

La Mitologia e il Fantastico

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Guy Gavriel Kay è uno scrittore del genere fantastico le cui capacità letterarie sono riconosciute a livello internazionale; non è un caso che le sue opere arrivino sempre ad ambire premi e riconoscimenti e spesso riescano ad ottenerli.
Certo, il valore di un libro non si riconosce dai premi e dai titoli che gli sono assegnati: non baso il mio giudizio su un romanzo in base a questi elementi dato che conosco i meccanismi che si celano dietro a queste assegnazioni e che non hanno nulla a che vedere con la validità e lo spessore di un’opera.
E il mio giudizio dopo aver letto i romanzi di questo autore dice che è un gran narratore, capace di dare spessore e profondità alle sue opere.
Sfortunatamente in Italia (come spesso succede con altri validi scrittori) è stata pubblicata una minima parte dei suoi lavori: in molti hanno avuto modo di leggere Il Silmarillion di Tolkien che ha visto l’impronta dello scrittore canadese nel terminare il lavoro lasciato incompiuto dall’inglese; in pochi invece hanno conosciuto Il Paese delle Due Lune e la trilogia di Fionavar (La strada dei Re, La via del Fuoco, Il sentiero della notte), le uniche opere tradotte nel nostro paese.
Un’opera quest’ultima avvincente e affascinante, ricca di analogie e riferimenti alla mitologia greca, scandinava e arturiana, che non tralascia le credenze dei nativi americani. Un’opera che mostra come la storia, le religioni, la psicologia insegnano che ogni cosa ha un’unica origine, che tutto comincia dallo stesso punto. Non è un caso che culture differenti, pur cambiando nomi e costumi, abbiano gli stessi miti e le stesse leggende: si tratta di storie identiche solo con una veste diversa. Con il passare del tempo l’uomo ha dimenticato, sembra quasi voler dimenticare il passato e le origini da cui discende, ma l’inconscio fa ritornare alla mente memorie che non ha perduto, che ha messo solo da parte smarrendone il ricordo. Una realtà che Guy Gavriel Kay ha voluto utilizzare per creare la storia di Fionavar e di cui ho voluto parlare nell’articolo “La mitologia, fonte di consapevolezza e ispirazione: il mondo di Fionavar di Guy Gavriel Kay” realizzato per Fantasy Magazine.
Chi ha la fortuna d’imbattersi nei libri di questo autore, non si lasci sfuggire l’occasione di farli entrare nella propria biblioteca: sono letture davvero meritevoli.

La Realizzazione del Desiderio

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Mentre la luna stava per passare dietro gli alberi a occidente e così sparire dalla radura, la Verde Ceinwen aveva detto, con un tono pigro ma diverso da quello usato fino ad allora, più denso di significati: « Flidais, piccolo essere della foresta, non ti chiedi nemmeno che cosa ti accadrà se mai dovessi apprendere il nome che cerchi?»
« Che cosa, dea? » si ricordò di averle domandato, i nervi messi improvvisamente allo scoperto da questo semplice accenno al desiderio che covava da così lungo tempo.
« La tua anima non rimarrà orfana, senza scopo, se venisse quel giorno? Che cosa farai, avendo conquistato l’ultima e unica cosa che brami? Placata la tua sete, non rimarrai spogliato di ogni gioia nella vita, di ogni ragione per vivere? Prendilo in considerazione, piccolo. Pensaci.»
Poi la luna se n’era andata. E anche la dea.

E’ quanto può accadere a chiunque quando arriva a trovare realizzazione ai propri progetti, desideri. Chiunque ha provato un senso di vuoto, di desolazione al raggiungimento di qualcosa cui teneva; spesso perché ci si è caricati troppo di aspettative, alle volte perché quanto si desiderava era importante, ma non era quello che da sempre si cerca: non era il desiderio del cuore, quello che raggiunge il centro del proprio essere. E si prova tristezza nell’essere soltanto avvicinatisi a quanto si cerca da sempre: la propria natura.
Guy Gavriel Kay ne Il Sentiero della Notte (terza opera del mondo di Fionavar) è molto bravo a mostrare gli aspetti dell’esistenza (per chi volesse conoscere di più questo scrittore c’è questo interessante articolo pubblicato da Martina Frammartino); sa andare nel profondo, anche a costo di ferire.
Ma non è sempre necessario apprendere dal dolore, anche se è un grande maestro di vita; duro, severo, ma ha sempre qualche insegnamento da lasciare. Alle volte la crescita trova realizzazione in qualcosa che è come la nascita di un sole, dello sciglimento di ghiaccio.

E soltanto adesso, adesso che era accaduto, poteva tirare un respiro dopo l’altro, tutti dal sapore di gioia, e rendersi conto che si era sbagliata. Sarebbe potuto andare diversamente, lo sapeva: soddisfare il desiderio del suo cuore poteva rivelarsi una sventura, non questa luminosità trascendente nella propria vita. Ma non era stato così: il suo sogno era divenuto realtà, i mondi separati erano divenuti uno intero, e assieme alla gioia Flidais degli andain aveva conosciuto finalmente la pace.