In un modo o nell’altro, la vita va avanti, non c’è modo di tornare indietro: le macchine del tempo sono al momento solo un frutto dell’immaginazione e il passato non può essere cambiato. Certo, col ricordo lo si può andare a rivisitare, imparare le lezioni che eeso ha dato, ma non può essere modificato. Non si può sapere quale svolta avrebbe preso la vita se si fossero prese altre decisioni, se si fossero intraprese vie differenti: si può provare a immaginarle, ma non si può avere la certezza di cosa sarebbe avvenuto. E’ su questo che si basano certe storie di fantascienza che parlano dei mondi paralleli e delle biforcazioni che ci sono in ogni punto della vita, creando in questa maniera un’infinità di universi, dimensioni e di versioni differenti degli individui.
La realtà invece presenta uno scenario diverso, dove si ha solo la possibilità di cogliere il momento nell’attimo in cui lo si vive: tutto ciò che non viene fatto nel presente, ogni opportunità persa, viene lasciato alle spalle, divenendo un mondo morto, un semplice pensiero di cosa potrebbe essere e che invece non è stato. E’ questo uno dei temi dominanti di La rinascita di Shen Tai di Guy Gavriel Kay: la vita va avanti e non si può sapere in che modo sarebbe potuta essere se si fossero intraprese scelte differenti. Di certo non sarebbe stata la stessa, ma come lo sarebbe stata, questo non è dato saperlo.
Il come affrontare questo andare avanti dipende sempre dall’individuo, è sua scelta accettare, comprendere quello che sta succedendo. E’ quanto viene mostrato da Hayao Miyazaki in I sospiri del mio cuore e da Makoto Shinkai in 5 cm per second. Per quanto in entrambi i film ci sia la perdita dell’infanzia, del lasciare l’atmosfera sognante che caratterizza l’età, dove il mondo sembra essere un luogo pieno d’opportunità, dove tutto è possibile, l’approccio dei due registi è diverso: se con Miyazaki si respira un’atmosfera più magica, sognante, possibilista, dove s’avverte la speranza che le cose possono andare come si desiderano nonostante le difficoltà, le lontananze, con Shinkai si ha una visione più amara, nostalgica della vita, dove il protagonista non riesce a farsi una ragione del cambiamento, del passato trascorso, continuando a vivere una vita nell’attesa di qualcosa che non può tornare, come un cosmonauta con lo sguardo rivolto a una galassia lontana, troppo distante per essere raggiunta. Una vita vissuta nel passato che porta solo dolore, tristezza, che non fa accorgere di quello che ha da dare il presente, creando ferite a se stessi e a quelli che si ha al fianco; aspettative che non possono essere realizzate perché si è imboccato un bivio che ha portato lontano da quello che si avrebbe voluto avere, perché non si è saputo osare abbastanza, non si ha avuto il coraggio di fare certe scelte. Un fatto normale, che capita a tanti quando si è giovani, e che solo con il tempo e l’esperienza si riesce a comprendere e a farsene una ragione; perché se non si fa così, allora si è destinati a restare bloccati, sperando nell’insperabile, fino a quando non si ha più niente, solo amarezza e rimpianto per aver sprecato l’esistenza e non aver vissuto. Stare ad aspettare non porta a nulla, solo a lasciar sfuggire ciò che di bello c’è da incontrare. E se anche accadesse che quello che si desidera trovasse realizzazione, non è detto che le cose vadano come si spera, perché tutto, specie le persone, con le esperienze cambia.
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