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Social Card

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Molti ricorderanno il battage pubblicitario e i grandi proclami fatti per la social card dei poveri. Spot realizzati in pompa magna da Sacconi e Tremonti, veri e propri showmen piuttosto che politici che devono governare; ma ormai è noto che queste figure passano più tempo ad apparire in televisione che a fare il loro lavoro in parlamento, cercando di trovare soluzioni valide per il paese per migliorarlo (invece il loro operato, o non operato, è volto a farlo peggiorare).
Dopo tutte le promesse e i proclami fatti, che fine ha fatto questa ricetta miracolistica per eliminare la povertà? Che quaranta euro risolvessero poi i problemi delle persone era utopia ai massimi livelli: certo, meglio averli piuttosto che farne senza, ma non era una cifra sufficiente per essere realmente d’aiuto a persone con difficoltà ad avere lo stretto necessario per sopravvivere.
Una misura che oltre a non essere di reale supporto, ha causato non poche difficoltà e disagi alle persone che ne dovevano beneficiare; un flop, specialmente all’inizio a causa delle inefficienze del sistema e dei malintesi tra governo e Poste Italiane. Come capita di sovente, in Italia è mancata la pianificazione, l’organizzazione e la chiarezza, evidenziando la mancanza di collegamenti e dialogo tra le parti interessate a fornire il servizio; un “armiamoce e partite” stile armata Brancaleone, un andare allo sbaraglio senza aver chiaro quello che si ha da fare.
Centinaia di migliaia di cittadini aventi fatto richiesta si sono presentati a sportelli o casse con la carta scarica; specie le persone anziane hanno dovuto subire la vergogna e l’umiliazione (oltre alla brutta sorpresa di non aver soldi su cui si era contato) di sentirsi dire di non poter acquistare i prodotti perché la tessera era vuota, costretti a lasciarli perché non avevano altro modo per pagare. Un’umiliazione gratuita e sgradevole che si è dovuta subire per colpa di altri che non hanno saputo fare il loro lavoro e che hanno fatto promesse che non hanno poi mantenuto: la solita presa in giro.
Vergogna e beffa che non è toccata solo a pensionati, ma anche a decine d’immigrati a cui inizialmente è stata data la carta perché genitori di bambini sotto i tre anni nati in Italia e a cui in seguito è stata ritirata, con richiesta che i soldi spesi venissero restituiti perché non spettanti. La motivazione di tale gesto risulta trovarsi nella tessera bianca di riconoscimento del minore accompagnante il permesso del genitore, riportante la sigla Ita sotto la voce cittadinanza, in base alla nascita sul territorio italiano che però la legge del minore non riconosce come cittadino italiano.
Un mare di disservizi ai quali va aggiunto che dell’1.3 milioni di utenti secondo il governo aventi i requisiti per averne diritto, soltanto la metà ha potuto avere e usare la social card.
Un flop di grande portata, se si considera anche la spesa di trecento milioni di euro fatta per dare un’elemosina di quaranta euro a meno dell’8% dei quasi otto milioni di poveri indicati a oggi dall’Istat. E se si considera che sono esclusi a questo servizio le persone indigenti prive di reddito, i disabili titolari di altro trattamento, le famiglie con minori sopra i tre anni, il quadro non migliora di certo.
Va ricordato che i 450 milioni annui necessari per finanziare la carta dovevano arrivare dalla famosa Robin Tax: la tassa pubblicizzata in tv da un Tremonti/Robin Hood che tendeva l’arco per colpire e vessare le imprese elettriche e petrolifere. Peccato solo che tale fonte di finanziamento non sia ancora disponibile.
Ora, a due anni di distanza dalla partenza di questa iniziativa, il governo sembra intenzionato a non rifinanziare la misura, a tagliarla, dato che la voce non è presente nei capitoli di spesa.
In teoria i finanziamenti ci sarebbero, sia per l’anno in corso sia per il successivo, data la raccolta tra fondi pubblici e privati di un miliardo di euro, ma si tratta di risorse virtuali, non sono disponibili in concreto, dato che tali soldi dovrebbero tornare da aiuti di Stato alle banche sono però bocciati dall’Unione Europea.
E allora da dove possono arrivare i soldi necessari per continuare a mantenere questa beffa?
Una buona domanda, considerando che il governo ha tagliato la spesa nazionale portandola dai 2.5 miliardi di euro del 2008 ai 538 milioni di euro di quest’anno.
Un’ulteriore dimostrazione d’inefficienza e incapacità del governo di fare qualcosa d’utile per le persone: non solo perché i mezzi che mette a disposizione sono insufficienti e mancanti, ma anche perché incapace di comprendere le persone.
Molti infatti, oltre che a causa degli annunci contraddittori e confusionari e della solita burocrazia, hanno preferito rinunciare allo scarso servizio perché non volevano avere un marchio che connotasse la propria condizione di difficoltà e indigenza: questo era per tanti avere e mostrare la tessera.
E in una società basata sull’apparenza e sul consumismo, sulla superficialità e sull’egoismo, chi è in difficoltà preferisce rimanere nel silenzio e nell’anonimato per non subire l’umiliazione e il disprezzo di essere compatito e messo da parte perché considerato un peso e una macchia da cancellare dalla vista.

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