Racconti delle strade dei mondi

Il falco

L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

Jonathan Livingston e il Vangelo

L’Ultimo Demone

L'Ultimo Demone

L’Ultimo Potere

L'Ultimo Potere

Strade Nascoste – Racconti

Strade Nascoste - Racconti

Strade Nascoste

Strade Nascoste

Inferno e Paradiso (racconto)

Lontano dalla Terra (racconto)

365 storie d’amore

365 storie d'amore

L’Ultimo Baluardo (racconto)

365 Racconti di Natale

365 racconti di Natale

Il magazzino dei mondi 2

Il magazzino dei mondi 2

365 racconti d’estate

Il magazzino dei mondi 2
Maggio 2024
L M M G V S D
 12345
6789101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Archivio

Il Sole Ferito

No Gravatar

Il sole feritoCon Il sole ferito Stephen Donaldson dà inizio a Le nuove cronache di Thomas Covenant l’Incredulo, seconda trilogia ambientata nel mondo della Landa. Sono trascorsi dieci anni da quando Thomas Covenant ha sconfitto lo Spregiatore e salvato la Landa dalle sue grinfie; ora lo scrittore continua a vivere nella sua casa, lontano da tutti, vivendo dei proventi del suo lavoro, ma non è più solo, dovendosi occupare della moglie. Linda Avery, un medico, dietro insistenza del suo datore di lavoro e amico di Covenant, si reca presso di lui per capire cosa sta succedendo e lì ha incontro con uno strano vecchio che, dopo essere stato rianimato da lei, sparisce sotto i suoi occhi, non prima di avergli rivolto delle frasi che la turbano non poco. Turbamento che prosegue quando scopre la condizione in cui si trova la moglie di Covenant, che sembra posseduta da qualcosa di mai visto e che trova un poco di pace solo quando ferisce il marito e ne beve il sangue.
Linda non crede alla spiegazione data da Covenant sul motivo per cui la moglie si trova in quella condizione, ma vuole andare in fondo alla questione, ritrovandosi coinvolta in qualcosa che la sconvolgerà: Covenant decide di seguire il gruppo di persone che ha rapito la moglie e che la sacrificherà se lui non farà ciò che vuole il loro maestro. Per salvarla, Covenant accetta di morire al suo posto, ma l’intervento di Linda interrompe il sanguinoso rituale ed entrambi si ritrovano catapultati nella Landa, nello stesso punto in cui l’Incredulo era giunto la prima volta, la Guglia di Kevin.
Come scopriranno, nella Landa sono trascorsi quattromila anni, ma questa non è la cosa più sorprendente, purtroppo: tutto è stato stravolto. La terra è martoriata dal Sole Ferito, che alterna periodi di siccità ad altri di fertilità, piogge torrenziali e pestilenze. Gli abitanti della Landa, che un tempo la servivano per mantenerla integra, attuano riti di sangue per sopravvivere, completamente dimentichi dell’ospitalità che un tempo li contraddistinguevano. Ma la cosa peggiore è che tutti sono assoggettati alla tirannia dei Signori della Rocca, che non fanno che chiedere sacrifici a ogni villaggio per controllare il Sole Ferito.
Covenant non ha più la capacità di vedere la vera natura delle cose come le altre volte che è giunto sulla Landa, contaminato com’è dal tocco dello Spregiatore per via del sacrificio di salvare la moglie, ma sa che tutto quello che sta succedendo è completamente sbagliato, anche se non conosce il motivo di questo stravolgimento. Accompagnato da Linda e dal Pietraio Sunder, che si è convinto delle parole di Thomas, parte alla volta della Rocca, deciso di fare chiarezza su quello che sta succedendo nella Landa. Il viaggio gli mostrerà sempre di più gli orrori generati dal Sole Ferito, rimanendo sempre più colpito di quanto poco rimane della Landa che ha conosciuto, ma grazie all’aiuto di quello che un tempo fu Hile Troy e alle rivelazioni date dai Morti un tempo da lui conosciuti (il Signore Mhoram, la Guardia del Sangue Bannor, il Gigante Salcuore Seguischiuma, la figlia Elena), il suo obiettivo si fa più chiaro. Supportato da Hollian, un Oracolo del Sole salvato dai Corrieri, e da Vain, una creatura delle Abbiezioni donatogli da Seguischiuma, Thomas Covenant, ora capace di scatenare il potere dell’oro bianco a causa del veleno che scorre in lui, giunge alla Rocca delle Celebrazioni e lì scopre la verità: a capo dei Signori c’è un Posseduto, un servitore delle Spregiatore. Con gran rincrescimento, l’Incredulo scopre che proprio la vittoria sullo Spregiatore è stato causa di come la Landa si è ridotta: il nemico, infatti, ha approfittato del periodo di prosperità portato dai Signori per insinuarsi tra loro e traviarli, arrivando a generare il Sole Ferito. Tutto ciò è stato possibile perché lo Scettro della Legge, l’artefatto che manteneva in equilibrio il potere sulla Landa, è andato distrutto; Covenant, che sa di essere responsabile di tutto ciò, decide di partire alla ricerca di un modo per ricreare lo Scettro. Un viaggio disperato ma che si rivelerà possibile quando incontrerà un gruppo di Giganti, impegnati a loro volta in un’importante missione: loro non sanno quello di cui Covenant ha bisogno, ma possono condurlo dagli Elhoim, coloro che possono rivelarglielo.
Stephen Donaldson crea con Il Sole Ferito una nuova affascinante avventura che riporta il lettore nella Landa, la vera protagonista dei suoi libri, mostrata nella trilogia precedente attraverso gli occhi di Covenant e in questa attraverso anche quella di Linda; sia lei che Covenant sono personaggi tormentati dai propri demoni interiori, ma soprattutto dal senso di colpa, altro grande protagonista di quest’opera come lo è la terra su cui viaggiano i personaggi. Il Sole Ferito è un’ottima lettura, che naturalmente può essere apprezzata se già si conosce il mondo della Landa; un fantasy maturo, adatto per chi cerca qualcosa in più del young adult che da diversi anni va tanto in voga.

Sulla scuola: di diseducazione, di furbizia e non solo.

No Gravatar

Continuiamo a parlare di storture nella scuola, anche se in realtà si dovrebbe parlare di storture nel concetto che si ha dell’educazione da dare a un figlio.
La professoressa colpita da pallini ora rischia una denuncia. Già la notizia aveva fatto scalpore perché non si era capita la gravità della situazione (infatti, il ragazzo aveva nove in condotta come se non avesse fatto niente), ma la cosa si aggrava ancora di più ora con i genitori che ritengono che perché il ragazzo si era scusato, era tutto sistemato. Ma al peggio non c’è limite: ora vogliono denunciare la professoressa, facendo le vittime. A te, genitore, non ti viene il dubbio che sparare, anche se sono solo pallini, non è cosa da fare non solo in classe, ma da nessuna parte? Che la scuola, come qualsiasi altro ambiente, è un luogo dove ci vuole rispetto per l’altro, e che non si può fare tutto quello che si vuole? Più che da riprendere il figlio, ci sarebbe da fare rieducazione ai genitori…

Le buste delle prove dell'esame di maturità della scuola superiorePassiamo alla seconda notizia: dei ragazzi sono stati beccati a copiare durante l’esame di maturità. Giustamente, prova annullata e bocciatura: una cosa che sanno tutti. Ma ci si meraviglia e ci si lamenta, e anche la commissione ci si mette dicendo, quasi giustificandosi, che non poteva fare altro. Stiamo facendo sul serio o stiamo prendendo in giro? Se copi e ti beccano, la paghi, senza se e senza ma.
Ma la cosa è sempre stata così. In Italia quella di fare i furbi è una cosa conclamata, di cui pure ci si vanta. Ma a fare i furbi non sempre è cosa buona. E qui devo raccontare un fatto accadutomi personalmente alle superiori.
Verifica in classe. Il professore aveva l’abitudine di andare fuori a fumare e stare lontano diversi minuti. Aveva anche l’abitudine di fare il compito da assegnare e tenerlo nella sua borsa, che teneva sulla cattedra. I miei compagni pensano bene allora di aprire la borsa, prendere il compito e copiarlo. La verifica era su un argomento appena fatto, di cui sinceramente non avevo capito nulla; c’era un altro modo per risolverlo, ma era molto più lungo. Diversamente dal solito, in quella prova non fui lucido come al solito; i miei compagni non facevano che dirmi “dai, copia”, “che vuoi che sia” e mi passarono anche il foglio con la verifica fatta. Non lo usai. E non fu una questione di morale, etica o cose varie: io sono per fare le cose bene o non farle. E fare qualcosa di cui non capivo nulla non era una cosa fatta bene. Inoltre, se dopo il compito mi avesse interrogato, avrebbe visto che non avevo capito nulla dell’argomento: mi sarebbe cascata la faccia dalla figura di m***a che avrei fatto. Un professore, specie se capace, sa come vedere se uno sa o non sa le cose: un compito lo puoi copiare, ma durante l’interrogazione non la si scampa. Mi rassegnai al fatto che in quella prova non sarei andato bene e feci il compito nel modo che sapevo; certo mi giravano perché non avevo fatto un buon compito come le altre volte.
Per giorni, fino alla consegna del compito, subii gli sfottò dei compagni di classe. “noi prendiamo tutti nove e te neanche la sufficienza”, “vedi a che serve studiare come fai tu.” Non importava che quando non sapevano delle cose venivano da me per avere un aiuto: si sa che la riconoscenza è merce rara, soprattutto tra i giovani.
Arrivò il giorno della consegna del compito. Tutti su di giri, pregustando il gran risultato. Tutti tranne due persone. Una ero io, consapevole che ero andato da schifo. L’altra era il professore che entrò scuro in volto. Infatti, quando in tanti gli chiesero “hai i compiti?”, lui rispose seccato “Sì, ma sarebbe meglio che non ve li dessi e annullassi la prova.”
“Ma noooo? Ma perché?”
“Perchè avete tutti copiato.”
“Non è vero!” Coro quasi unanime.
“Vedete” cominciò a spiegare con calma ” un professore è un essere umano e anche lui sbaglia. Succede. Ed è successo che quando ho risolto il compito che dovevate fare, ho commesso un errore. Errore che tutti voi avete fatto nello stesso modo e nello stesso punto.” Silenzio di tomba. “L’unico che non l’ha fatto è stato questo povero pellegrino, che ha scelto il modo più lungo” disse indicando me. “Perché hai fatto così e non come gli altri?”
Dissi la verità. “Perché del nuovo argomento non ho capito assolutamente nulla.”
Ricordo bene che il prof rimase a fissarmi diversi secondi, poi annuì lentamente. “Riprendiamo a spiegare da capo l’argomento.” E la lezione cominciò.
La verifica non fu annullata: tutti presero tre, tranne io che raggiunsi la sufficienza, anche se rispetto al solito era stato sotto le aspettative.

E dulcis in fondo c’è quel gran genio di Briatore, che riscopre le caste, secondo le quali i figli devono fare i lavori dei padri. Un discorso non certo nuovo, dove chi è come lui cerca d’imporre anche con la forza questa mentalità, perché certe cose, come lo studio, devono appartenere solo ai ricchi, ai nobili, ai prescelti, e chi sta in basso non si deve permettere di andare oltre la condizione in cui è nato. E chi è figlio di contadini, di operai, chi fa parte della plebe, deve restare in basso, deve restare ignorante, a farsi dominare, figurarsi permettersi di studiare e magari permettersi pure di andare meglio dei figli di papà.

La morte di Sauron

No Gravatar

Sauron visto nella trilogia cinematografica di Peter Jackson

– Frodo, ti sei svegliato!
– Gandalf, che è successo?
– Oh, ragazzo mio, ci sei riuscito. Hai gettato l’anello nel vulcano e con esso hai distrutto Sauron.
– Ce l’ho fatta…
– Hai salvato la Terra di Mezzo.
– Oh Gandalf, non vedo l’ora di rivedere tutti quanti.
– Li vedrai presto, Frodo. Ti stanno aspettando.
– Dove?
– Ai funerali di Sauron.
– Non ho inteso.
– I funerali di Sauron, è importante. È un evento. Lutto nazionale. Ci sono tutti i popoli della Terra di Mezzo.
– Perché?
– Come perché, per rendergli omaggio, per commemorarlo e celebrarne la vita straordinaria.
– Sauron.
– Sì.
– Ma Sauron è…
– Che?
– No, dico Sauron era un… un…
– Un?
– Un despota. Uno stregone malvagio. Ha devastato metà continente.
– Un po’ di rispetto, Frodo! Stai parlando di un morto, per la miseria!
– Ho capito, ma c’abbiamo combattuto per tre libri e tre film…
– Esatto. Non si può negare che abbia avuto un certo impatto.
– Un impatto di merda.
– Intanto ti devi sciacquare la bocca quando parli dell’Oscuro Signore. Lui non era malvagio.
– L’hai appena chiamato Oscuro Signore.
– Ma no, lui era… come dire… ecco, sì! Era un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia.
– Un desiderio di gioia?
– Sì. Come ti sembra? Sai, mi hanno chiesto di dire due parole alle esequie.
– Sauron, il Crudele. Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor era un desiderio di amore?
– Guarda che le cose che ha fatto lui tu te le sogni.
– Gandalf, ma che cose? Cosa stai dicendo?
– Tirala su te Barad-dûr. Dai, prova. Tirala su te una torre di millequattrocento metri su suolo vulcanico!
– Ho capito, ma era una fortezza di pura malvagità!
– Che dava lavoro a migliaia di persone.
– Orchi Gandalf! Orchi! Mostri! Nazgul! Te li ricordi, sì? Ti ricordi il fuoco, la lava, gli eserciti incazzati, le battaglie, l’ombra cupa che scende.
– Ha segnato la Storia di questo paese.
– In peggio!
– Ha dato a tutti la possibilità di essere suoi servi, senza chiedere niente in cambio.
– Voleva conquistare il mondo.
– Ma amava i cani.
– Gandalf, ti sei rincoglionito? È per via della tinta? Questo era uno stregone oscuro, non ha mai nascosto la cosa e si è comportato di conseguenza per tutta la sua vita.
– Bella gratitudine.
– Eh?
– Guarda che te senza Sauron non eri nessuno. Senza sta cosa dell’anello tu te ne stavi ancora lì in Contea a farti i drummini. Altro che eroe. Tu la carriera la devi a Sauron.
– Ma a me m’ha rovinato la vita Sauron. E pure a tanti altri.
– Quanto odio, Frodo. Che persona piccola. Da te proprio non me l’aspettavo. Sauron era uno di noi.
– Uno di noi? Io sono un postadolescente coi piedi pelosi e lui era un cristo di dio re malvagio che ha forgiato un anello per dominare tutti gli altri. Scusami eh, ma com’è passata sta narrazione che era uno di noi? Noi chi?
– Ascolta, era una persona coi suoi pregi e i suoi difetti. E magari sì, ha dedicato la sua vita all’accumulo di potere per rendere questo Paese un posto peggiore e ci è pure riuscito, ma tu dimentichi una cosa importante.
– Cosa?
– Era un grandissimo comunicatore.
– Gandalf, porcoddue…
– Di Sauron si può dire tutto ma non che non sapesse comunicare.
– Ho capito, c’hai centocinquant’anni, hai cambiato colore e mo non capisci più un cazzo e hai paura di morire e questo è un pezzo della tua vita che se ne va e tu guardi tutto attraverso un vetro spesso così di nostalgia, ma sticazzi! Proviamo a essere un attimo obbiettivi, vuoi?
– E proviamo.
– Questo c’ha fatto passare l’inferno a tutti e ha lasciato il mondo peggio di come l’ha trovato.
– Diciamo che era una figura unica nel suo genere.
– Diciamo che era letteralmente un essere spregevole. L’incarnazione di almeno cinque dei sette vizi capitali.
– Che brutta bestia l’invidia.
– Perché a Boromir non gli abbiamo fatto i funerali così?
– Boromir era divisivo.
– Théoden.
– Comunista col Rolex.
– E Sauron invece?
– Sauron, nel bene e nel male rappresenta la Terra di Mezzo.
– Ma proprio per un cazzo io mi son sentito rappresentato da questo.
– Tu non capisci, Frodo.
– Cosa?
– La Terra di Mezzo è un Paese fondato sul condono. E dopo la morte condoniamo tutto a tutti. Però recitando frasi fondamentali come “nel bene e nel male” oppure “ha fatto anche cose buone” non neghiamo che sia stato un figlio di puttana, anzi lo rimarchiamo. Perché ne abbiamo bisogno.
– In che senso?
– Abbiamo bisogno di santificare le merde. E più uno è merda, più lo dobbiamo celebrare. Sauron va santificato, è per il bene di tutti. Così i nostri egoismi, i nostri piccoli squallori, le ipocrisie quotidiane, smettono di farci star male, di metterci in crisi. Se pure Sauron incontra Dio, se pure Sauron va in paradiso, se alla fin fine riusciamo a raccontarci che anche Sauron era una brava persona, allora lo siamo tutti. E nessuno deve pagare i propri conti con la vita e con la Storia.
– Va be’, ma con questo ragionamento non finiamo per circondarci ciclicamente solo di gente che “ha fatto anche cose buone”?
– Certo.
– E quindi altri Sauron?
– Siamo un fantasy, Frodo. Noi adoriamo le saghe.

Il testo qui riportato appartiene a Non è successo niente e merita di essere diffuso perché fa riflettere sulla percezione che si hanno di certe cose in Italia, soprattutto di come si fa in fretta a dimenticare la realtà e la verità.

Ombre nella pietra

No Gravatar

Ombre nella pietraIl mondo di Ombre nella pietra di Alex Coman è ambientato in un futuro in cui le persone vivono in caverne dove sono stati ricavati degli alloggi; il clima è freddo, ostile per la vita umana: anche se non viene spiegato, qualcosa è successo al pianeta, sconvolto da una qualche catastrofe, forse causata dall’uomo, che rende dura vivere al di fuori dei rifugi.
Il clima però non è l’unico elemento negativo con cui avere a che fare: il mondo sembra aver perso molto della sua civiltà, con le persone che cercano di approfittare, spesso con la forza, degli altri per ottenere le fialette contenenti la preziosa medicina che permette di continuare a vivere. Mina e Robi Colletti, due fratelli che hanno perso i genitori in giovane età (la madre per la malattia che colpisce tutti quanti, il padre ucciso mentre tornava a casa), devono affrontare ogni giorno questa realtà, tra vicine strozzine e lavori all’interno della bolla alle volte umilianti, ma continuano ad andare avanti perché hanno un sogno da realizzare: potersi comprare l’accesso a una grotta migliore, dove la vita è più sicura e a misura d’uomo. E Robi, per mantenere la richiesta fatta dalla madre in punto di morte, è pronto a tutto.
La caratterizzazione dei due protagonisti è ben fatta, con Mina che incarna l’essere non ancora del tutto contaminato dalle brutture del mondo e Robi il fratello maggiore che protegge la sorella più piccola e vuole darle una vita migliore, nascondendole una realtà più dura di quella che lei crede; un compito non facile, dato che tutto, persino i pensieri, i sogni e i ricordi, è collegato alla rete e può essere visionato da chiunque ne faccia richiesta; un po’ come succede nella nostra realtà, solo in maniera molto più invasiva e intima, il che fa riflettere fin dove ci si può spingere con la tecnologia e qual è il prezzo da pagare per essere parte di un sistema. L’uomo, con lo sviluppo della tecnologia è davvero progredito oppure questa è soltanto un’illusione il cui prezzo da pagare è la perdita della libertà? Una libertà che è per pochi, per chi sta in alto, mentre per chi sta in basso c’è solo lo spazio per servire ed essere sfruttati, sperando un giorno di poter salire di un gradino e avere un’esistenza leggermente migliore?
La vita mostrata da Ombre nella pietra non è per niente rosea, dove ognuno cerca solamente di tirare avanti e sopravvivere, dove la consolazione si può trovare solo quando si passa a un’altra vita, come spesso le varie religioni hanno fatto credere. E in un certo senso, in Ombre della Pietra è proprio così, anche se sta al lettore scoprire questa verità.
Il testo è ben scritto, scorrevole, a tratti magari un po’ nebuloso perché non vengono date molte informazioni sul mondo in cui ci si trova, lasciando chi legge con delle domande che non trovano risposta, ma questo non inficia su quello che il testo vuole trasmettere. Può piacere o meno, ma questa è una tecnica narrativa usata da diversi autori, dove non viene data la pappa pronta al lettore, ma tocca lui spingersi a cercare, o immaginare, quello che vuole conoscere.
Nel file avuto in lettura c’è qualche refuso e la punteggiatura è da migliorare nelle prime pagine, ma questo è un qualcosa che nella versione finale di Ombre nella pietra sarà stato sistemato.
Per chi ama mondi distopici che facciano anche riflettere, Ombre nella pietra è una lettura consigliata.

I figli del tempo

No Gravatar

I figli del tempoI figli del tempo è un’opera di fantascienza di Adrian Tchaikovsky. In un futuro prossimo, la scienziata Avrana Kern ha trovato il modo di far sviluppare nelle scimmie un’intelligenza pari a quella degli umani: grazie a un particolare virus, nel giro di qualche secolo una nuova specie sarà in grado di essere al livello di quella umana. Con la tecnologia sviluppata, Avrana è riuscita a terraformare un pianeta che permetta di replicare le stesse condizioni di vita della Terra e ora è in procinto di dare il via al suo progetto più ambizioso, donando il nuovo mondo alle scimmie, cui il virus permetterà di sviluppare una nuova intelligenza. Certo ci vorrà del tempo, ma per lei che ha creato il gene di vivere in eterno, l’attesa non è nulla, anche se non sarà lei a sorvegliare la nuova specie, dato che vorrà occuparsi di altri progetti. Le cose però non andranno nel modo da lei programmato: il collaboratore scelto per questo compito si rivela essere membro di Non Ultra Natura, un gruppo che sostiene la superiorità dell’essere umano ed è contrario che ci siano altre specie intelligenti come gli umani, convinti che non bisogna superare i limiti imposti dalla natura. I suprematisti umani fanno così un attentato all’astronave che sta per dare via al progetto, distruggendo tutto l’equipaggio e le scimmie che dovevano popolare il nuovo mondo; solo Avrana, la sua consapevolezza caricata nel computer e l’intelligenza artificiale da lei creata si salvano, restando in orbita attorno al pianeta terraformato in attesa che giunga qualcuno a salvarla mentre lei scivola nel sonno artificiale. Le cose però non vanno nel modo previsto: sulla Terra scoppia un conflitto fra la fazione di Avrana e i Non Ultra Natura che distrugge il pianeta e riduce la società umana a un’ombra di quella che era, costringendo i sopravvissuti a mettere insieme quel che resta della tecnologia umana e fuggire nello spazio alla ricerca di una nuova casa. Sul pianeta terraformato però il virus trova un’altra forma di vita da far evolvere: i ragni.
Ci si trova così a seguire due percorsi: quello dei ragni che evolvono sempre di più, creando prima una sorta di società, poi sviluppando una tecnologia sempre più evoluta che permetterà loro di comunicare con la dormiente Avrana che orbita attorno al pianeta. E quello della Gilgamesh, una delle poche astronavi che è riuscita a lasciare la Terra e arrivare nei pressi di un pianeta abitabile, proprio quello creato da Avrana. Purtroppo dovranno scontrarsi con l’ostilità della scienziata, dato che non permetterà in nessun modo agli umani di accedere al mondo che tanto ha voluto. Gli umani, guidati prima dall’autoritario Guyen, che cerca di caricare la sua coscienza nelle macchine come ha fatto Avrana, e poi dal classicista Holsten e dall’ingegnere Lain, vagano per secoli, tra un sonno artificiale e l’altro, alla ricerca di un luogo dove sbarcare, prima di ritornare di nuovo al pianeta dei ragni, pronti a combattere contro di loro per avere di nuovo una casa. L’esito finale sarà totalmente inaspettato.
Adrian Tchaikovsky crea con I figli del tempo una sci-fi inaspettata molto ben fatta, coinvolgente e davvero riuscita. Non è facile per uno scrittore far appassionare alle vicende di un popolo di ragni, ma Tchaikovsky ci riesce: con una grande attenzione ai particolari e alle motivazioni degli insetti, una trama coinvolgente, lo sviluppo di una società dalla sua preistoria all’era industriale, passando dalle credenze superstiziose alla religione e poi alla ragione della scienza, lo scrittore mostra la crescita di una civiltà fino all’incontro con un’altra civiltà completamente diversa dalla sua. Ed è molto interessante vedere il confronto tra una civiltà che si sta sviluppando (quella dei ragni) con una decandente (quella umana) che da tempo ha superato il suo apice e sta scivolando sempre più in basso, perdendo sempre più di quello che ha avuto. Il finale poi non è scontato come può sembrare e di certo dà una lezione su cose che si dovrebbero essere imparate da tempo. Non si può quindi che consigliare la lettura di I figli del tempo.

Notte dei coltelli

No Gravatar

Notte dei coltelliNotte dei coltelli è il primo romanzo realizzato da Ian C.Esslemont legato al mondo Malazan. Ambientato diversi anni prima delle vicende narrate nell’ampia saga Il Libro Malazan dei Caduti di Steven Erikson, racconta, nell’arco di un giorno, le vicende ambientate nell’isola di Malaz dove, in una particolare congiunzione di poteri, sfocia una resa dei conti che ha atteso a lungo. Assassini contro sicari, il vecchio imperatore Kellanved contro Surly, colei che vuole prendere il suo posto, il tutto alla luce della spaventosa Luna d’Ombra, portatrice di sciagure e creature che sarebbe meglio non incontrare.
Mentre gli abitanti dell’isola si rinchiudono in casa per non avere a che fare con chi si muove nelle buie strade, c’è chi si aggira sull’isola perseguendo i suoi obiettivi o si ritrova coinvolto in qualcosa di più grande di lui; è così per Temper, veterano un tempo al seguito della Prima Spada dell’Impero, per Kiska, una giovane in cerca di emozioni e una vita avventurosa, e per Tayschrenn, Alto Mago Imperiale.
Con loro si viene a scoprire ciò che è stato letto nella saga Malazan di Erikson, ovvero di come Surly è divenuta Imperatrice e di come Kellanved, in apparenza da lei sconfitto, abbia invece raggiunto il suo vero scopo, ovvero sedere sul Trono d’Ombra e così Ascendere. Ma c’è altro oltre alla realizzazione della profezia del ritorno di Kellanved e della conquista del regno dell’Ombra: ci sono gli attacchi di strani cavalieri che cavalcando sul mare cercano di conquistare l’isola.
In una notte di sangue, scontri di poteri, Dimore Fanstasma che vengono risvegliate, Jaghut per niente benigni, Kiska scoprirà che non è così in gamba come crede, che ha ancora molto da imparare, e Temper avrà modo di pareggiare i conti con chi ha portato tradimento nei confronti di chi ha servito a lungo.
Adrenalinico, scorrevole, Notte dei Coltelli è una storia aggiunge un altro tassello al mondo Malazan, perché, come dice Erikson, c’è tanto da raccontare e un solo scrittore non può farlo. Non si può non notare come il titolo del romanzo faccia il verso al fatto storico la Notte dei Lunghi Coltelli, la notte in cui tanti membri delle SA del partito nazista furono assassinati dalle SS, da Berlino a Monaco. Considerazione personale: il fatto che sia tutto spiegato lascia un poco spiazzati, visto che si è abituati allo stile di Erikson dove le informazioni necessarie per capire la storia sono centellinate e il lettore se le deve andare a cercare. C’è da dire che un poco mancano i dialoghi in puro stile Erikson e pure quella complessità che tanto ha caratterizzato lo scrittore canadese. Ciò non toglie che Notte dei coltelli sia un buon libro e aggiunga un ulteriore tassello a quel grande mosaico che è il mondo Malazan.

Il richiamo di Cthulhu (di Gou Tanabe)

No Gravatar

Il richiamo di Cthulhu disegnato da Gou TanabeIl richiamo di Cthulhu non ha bisogno di tante presentazioni: si può dire tranquillamente che è l’opera più conosciuta di Lovecraft. Talmente conosciuta che ha non solo influenzato musica, film, giochi da tavolo, videogiochi, serie tv e animate, ma ha segnato anche l’immaginario collettivo. Lovecraft con Cthulhu (ma non solo con esso) ha saputo creare qualcosa che si è radicato a fondo nell’immaginario umano, insediandosi nella psiche, scavando nei meandri inconsci della mente e solleticando paure e timori atavici anche se si tratta tutto di un’invenzione. Perché l’uomo è sempre attratto dal mistero, dalle conoscenze occulte e dimenticate: proprio questa è la forza delle opere di Lovecraft, andare a creare qualcosa di cui si sa poco e di cui si rivela altrettanto poco, lasciando alla mente del lettore il vagare alla ricerca di risposte che non si troveranno. Proprio come succede a Francis Wayland Thurston che, dopo aver ereditato i diari del defunto prozio George Gammell Angell, viene a conoscenza di una realtà che sarebbe meglio fosse rimasta celata. Il parente, esperto linguista, morto apparentemente perché il suo cuore aveva ceduto dopo un fortuito scontro con un marinaio, aveva cominciato a interessarsi di uno strano bassorilievo portatogli da un giovane scultore, Wilcox, e dei sogni inquietanti che faceva.
Inizia così Il richiamo di Cthulhu, gettando sin dalle prime pagine ombre cariche di mistero. Ed è molto bravo Gou Tanabe con il suo adattamento e i suoi disegni a rendere simili atmosfere: sin dalle prime tavole, così scure perché ambientate di notte, fa capire in che razze di tenebre è precipitato Thurston, alla paura che lo pervade perché sa che fine andrà a fare per il sapere che ora possiede.
Attraverso gli scritti del prozio, scopre che quelli che inizialmente erano considerati i deliri di una mente alterata in realtà sono qualcosa di molto di più, sono indizi che portano a una civiltà, se così si può chiamarla, più antica di quelle umane; una civiltà aliena, fatta di creature che solo gli incubi possono generare ma che sono reali e stanno aspettando di risvegliarsi e portare il caos. Lo studioso, inizialmente scettico riguardo il racconto di Wilcox, ricorda che molti anni prima aveva avuto a che fare con una statuetta molto simile al bassorilievo mostratogli dallo scultore, legata a un culto presso una palude che rapiva persone e le sacrificava a una misteriosa entità chiamta Cthulu. La situazione sprofonda ancora di più quando Thurston trova un vecchio foglio di giornale in cui si parla dell’unico superstite di un naufragio e di una statua uguale alle due precedenti; letti i diari del marinaio norvegese, Gustaf Johansen, il superstite, viene a scoprire di un’isola inesplorata e di R’lyeh, la città che vi sorge sopra: essa è dove dimora Cthulu, il sacerdote degli Antichi.
Thurston, ora conoscitore della segreta verità dell’universo, sa di essere condannato e lascia al suo esecutore testamentario la testimonianza di quanto scoperto, pregando che nessuno ne venga a conoscenza.
Gou Tanabe crea una rappresentazione molto fedele di Il richiamo di Cthulu, andando con le sue tavole a creare scene che nello scritto di Lovecraft sono accennate, rendendo la storia, se possibile, più completa. Con grande cura dei dettagli, il mangaka riesce perfettamente a rendere lo spirito dell’opera lovecraftiana, facendo percepire nella loro pienezza orrore, incredulità, sconcerto; Cthulu, R’lyeh sono rese davvero magnificamente, è come ritrovarsi in un incubo dei più cupi. Per gli appassionati di Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu di Gou Tanabe è una lettura che non può mancare.

Il Dio Indifferente

No Gravatar

Il Dio IndifferenteIl Dio Indifferente è il primo volume di La Trilogia del Testimone, realizzata da Steven Erikson e appartenente al vasto mondo Malazan. Ambientato diversi anni dopo le vicende narrate in Il Libro Malazan dei Caduti, vede tra i protagonisti Rant, uno dei figli di stupri di guerra di Karsa Orlong, famoso e potente Toblakai che ora viene adorato come un dio, anche se a lui della cosa non può importare di meno, dato che non vuole essere la guida di nessuno. Descritto così, Karsa Orlong del mondo di Malazan, per chi non lo conoscesse, può sembrare un mostro, un essere brutale, ma le azioni da lui compiute sono state effettuate sotto l’effetto dell’olio-sangue, una sostanza con cui i Toblakai creano le loro famose spade di legno-sangue, che portano a contatto con le loro labbra prima delle battaglie, stimolando così i muscoli e riempiendo le menti di lussuria e rabbia; una pratica molto diffusa tra le tribù Toblakai e le cui vittime, sempre della stessa specie, accettavano di buon grado (un po’ meno gli umani).
Rant vive nella cittadina di Lago d’Argento, metà Toblakai e metà umano, assieme alla madre impazzita per via dell’olio sangue, temuto e odiato da tutti. Allontanato da lei prima che abusi di nuovo di lui, Rant viene salvato da un cacciatore del luogo prima che anneghi; Damisk, questo il nome dell’uomo, si fa carico della sua incolumità, cercando in qualche modo di espiare il senso di colpa per quello che è stato costretto a fare in passato, e conducendolo verso le tribù del padre.
Intanto, un gruppo di fanti di marina si sta preparando a proteggere la cittadina da un’invasione proveniente dal nord, dato che lo scioglimento dei ghiacci (conseguenza di quanto successo nella saga di Il Libro Malazan dei Caduti) sta spingendo tante tribù verso i territori meridionali. E con il gruppo solo in apparenza sgangherato di soldati Malazan, Erikson dà il meglio di sé: momenti esilaranti e dialoghi irresistibili si alternano a momenti toccanti e di eroismo, con i fanti che dimostrano un’umanità che di rado ci si aspetta da gente temprata dalle guerre e dagli orrori dei campi di battaglia. Perché i fanti di marina combattono per proteggere, non per conquistare, e, soprattutto, per fare la cosa giusta.
I due archi narrativi procedono parallelamente fino a incrociarsi nel finale, mostrando da una parte il percorso di crescita di Rant (che impara in fretta a divenire adulto, senza diventare però cinico e duro, ma sviluppando un’empatia verso il prossimo e il dolore rara da trovare in un Toblakai ma anche tra gli umani) e dall’altra la genialità e la generosità dei fanti di marina, facendoli apprezzare sempre di più. Senza dimenticare i Jhek, con il loro dramma di cercare di sopravvivere e ritrovare quella guida che da tempo hanno perso, e la conoscenza del loro diverso punto di vista dagli umani (sono tribù selvagge di soletaken e d’ivers).
Con Il Dio Indifferente Erikson riesce a mettere un altro tassello nel grande quadro che è il mondo Malazan, fatto di canali, poteri e creature misteriosi, per non parlare delle affascinanti Runt, monete che hanno lo stesso compito del famoso Mazzo dei Draghi. E poi c’è Karsa Orlong, protagonista nel suo non essere presente, almeno fisicamente, nella storia: genitore, guida, leader e dio assente, le cui colpe ricadono su quelli che sono venuti dopo di lui, ma di cui è indifferente, come se non fossero una sua responsabilità.
Un romanzo di guerra, ma anche una storia di crescita, di prendere consapevolezza del dolore e della rabbia e di come superarli per divenire qualcosa di migliore ma soprattutto creare un mondo migliore, dove si superarono le barriere della differenza di etnia.
Personalmente, ho avuto alcune difficoltà nella prima parte del romanzo, un po’ perché è passato molto tempo dalla lettura della saga Malazan ed è difficile ricordarsi tutto, un po’ per motivi che esulano dal valore del libro, che mi hanno fatto interrompere la lettura; ma superati quei momenti, devo ammettere che Il Dio Indifferente è stata una lettura davvero valida, divertente e coinvolgente, dove viene mostrato quanto Erikson è cresciuto come scrittore rispetto ai suoi primi libri, confermando di essere un autore notevole.

Silent Hill

No Gravatar

silent hillSilent Hill è uno dei pochi, anzi, forse pochissimi, film tratto da videogiochi a essere convincente (si fa riferimento solo a pellicole con attori in carne e ossa, altrimenti, se si prendessero in esame anche quelli di animazione, le cose andrebbero un pochino meglio). Qualcuno potrebbe sottolineare che con il materiale a disposizione non era difficile, dato che la serie di Silent Hill ha un certo spessore e approfondimento psicologico, a differenza di quei film tratti per esempio da picchiaduro (Street Fighter, Mortal Kombat, Dead or Alive, Tekken, che a livello di storia non erano dei capolavori di complessità) o platform (sarebbe meglio dimenticare quel flop che è stato Super Mario Bros; un po’ meglio è andato con Sonic). Con i videogiochi d’avventura le cose potevano andare diversamente, ma qui le fortune e i successi sono stati alterne: se da un lato Prince of Persia ha raggiunto un giudizio positivo (e, personalmente, pure Warcraft – L’inizio), non si può dire lo stesso per quelli legati a Tomb Rider (anche se quello del 2018 è migliore di quelli interpretati da Angelina Jolie).
Si possono poi menzionare i vari Tron, Hitman, Rampage – Furia animale, Double Dragon, Doom (anche se ricorda un po’ il secondo Alien, non era partito male, ma di certo non è finito bene), Assassin’s Creed, che hanno avuto alterne fortune, fino ad arrivare alle pellicole horror, di cui fa appunto parte Silent Hill, che hanno avuto un filone di successo come Resident Evil (essere andato bene al botteghino però non è sempre sinonimo di qualità) e altri film che sono stati tra i peggiori realizzati (Alone in the Dark).
Cos’ha Silent Hill in più rispetto alle storie sopra citate per essere considerato di un altro livello? Si focalizza sulla storia, approfondendo i personaggi, senza cercare di stupire troppo con effetti speciali e adrenaliniche scene d’azione (che in questo contesto ci starebbero a dire ben poco). Soprattutto, si concentra a realizzare al meglio l’ambientazione e l’atmosfera che permea tutta la vicenda. E se su questo punto praticamente tutti sono d’accordo, la critica si divide sulla storia, tra chi l’ha apprezzata e chi contesta che non rimane completamente fedele a quanto visto nei videogiochi. Sinceramente, non conosco approfonditamente la serie videoludica e quindi il mio giudizio è parziale, ma per quello che ho visto il film sta in piedi da solo e si fa apprezzare anche senza conoscere tutto quello che c’è dietro.
Tutto ruota attorno a Sharon, una bambina adottata da Rose e Christopher Da Silva: la piccola, oltre a soffrire di sonnambulismo, ha incubi ricorrenti su una cittadina chiamata Silent Hill. Rose, decisa a risolvere lo stato in cui versa la figlia, parte alla volta di Silent Hill nonostante il parere contrario del marito, che rimane a casa a indagare su di essa, scoprendo che è una cittadina fantasma evitata da tutti. Chirstopher prova a fermarla, ma senza successo.
Rose viene seguita da una poliziotta, Cybil, e durante la fuga ha un incidente. Al risveglio, si ritrova in un ambiente avvolto dalla nebbia, dove piove cenere, e sua figlia è scomparsa. Comincia a cercarla fino a quando il suono di una sirena fa cambiare tutto attorno a lei: tenebra e sangue piovono dal cielo ed è attaccata da creature mostruose, che però svaniscono come sono apparse. Poco dopo incontra una donna vestita malamente che riconosce nel medaglione di Sharon che Rose porta la figlia perduta tempo prima. Rose fugge da lei per incontrare di nuovo Cybil: oltre a scoprire che la strada è interrotta e sono isolate dal mondo, sono attaccate da altre creature orrorifiche.
Mentre le due sono impegnate nella ricerca di Sharon, Cristopher, con l’aiuto di uno sceriffo, giunge a Silent Hill, ma qui non ci sono né nebbia, né cenere che cade dal cielo: è solo una città abbandonata. A questo punto si comincia a capire che, benché il posto sia lo stesso, le vicende si stanno sviluppando su due piani differenti, come se ci fossero due mondi paralleli.
Rose e Cybil, addentrandosi sempre più nella loro Silent Hill e nell’oscuro segreto che la circonda, incontrano i suoi abitanti, che si rifugiano in una chiesa quando suona la sirena, e nuove creature, tra le quali il potente Pyramid Head (a lui si deve una delle scene più riuscite del film). In apparenza le due donne sembrano al sicuro all’interno del luogo sacro, ma scopriranno che in realtà esso non è che un ritrovo di fanatici guidati da Christabella, capaci di tutto per la loro distorta fede, adesso come in passato. Rose scoprirà il segreto che si cela dietro Sharon, un segreto nato dal fanatismo, dall’isteria, dalla caccia a streghe che solo la setta vede (ovvero chiunque non la pensa come essa e non segue le sue regole malate). E, portandolo alla luce, darà il via a una vendetta che ha atteso per anni di essere compiuta.
Benché non completamente fedele al soggetto originale, Silent Hill riesce a mantenere il suo spirito, dove la colpa e il peccato generano qualcosa che s’incarna in un male tremendo e maledetto, che non lascia alcuna possibilità di fuga. A nessuno.