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Berserk – L’epoca d’oro

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Berserk - L'epoca d'oroBerserk – L’epoca d’oro è una trilogia di film dedicata a quello che per molti è il miglior arco narrativo della storia narrata da Kentaro Miura. Senza dilungarsi troppo sulla trama, le pellicole raccontano dell’ingresso di Gatsu (qui chiamato Guts), adolescente ma già esperto guerriero, nella Squadra dei Falchi dopo aver perso a duello con il suo comandante, Grifis. Una vittoria dopo l’altra, il gruppo di mercenari guadagna sempre più notorietà presso la corte del re delle Midland; oltre alla fama però cominciano a sorgere anche l’invidia e il rancore da parte dei nobili, che non sopportano che persone che vengono dalla plebe ottengano una simile attenzione: ciò porterà attentati alla vita di Grifis, che però falliranno.
La vendetta del Falco Bianco non si farà attendere e chi si metterà sulla sua strada farà una brutta fine.
Tutto sembra andare per il meglio, se non fosse per la profezia che Zodd l’Immortale ha rivelato a Gatsu dopo essersi scontrato con lui e Grifis e aver visto che quest’ultimo indossa il Bejelit del Re Conquistatore. Un presagio oscuro, un presagio di morte, aleggia su Gatsu e i suoi compagni e la causa di tutto sarà proprio Grifis.
Le nubi nere però per il momento sembrano lontane e i Falchi ottengo un’importante vittoria contro i nemici delle Midland, al punto da essere elevati al rango di nobili. Gatsu però non è soddisfatto di ciò e decide di andarsene per trovare la propria strada, convinto dalle parole pronunciate da Grifis su chi considera suo amico. Ma ciò che è perso con la spada, va riconquistato con la spada e per potersene andare deve sconfiggere a duello Grifis.
La sconfitta lascia una profonda ferita sul Falco Bianco che, incapace di accettare l’abbandono di Gatsu, perde il controllo e fa qualcosa di avventato, andando a letto con la figlia del re delle Midland; scoperto, viene imprigionato e torturato per un anno. La Squadra dei Falchi viene messa al bando e braccata senza pietà; solo il ritorno di Gatsu eviterà il peggio. Assieme a Caska, Judo e Pipin, libereranno Grifis ma ormai il capo dei Falchi è un rudere, con tendini di gambe e braccia recisi e lingua tagliata. La condizione in cui versa e l’aver rivisto Gatsu generano in lui una disperazione tale che lo porta ad attivare il potere del Bejelit: l’Eclissi ha inizio e i membri della Mano di Dio (demoni di un’altra dimensione) giungono sulla terra per accogliere il quinto di loro, che altri non è appunto che Grifis.
Grifis accetta quanto offerto e sacrifica i suoi compagni. Inizia una carneficina tremenda, dove solo Gatsu e Caska sopravvivono; l’uomo perde un braccio e un occhio, la donna, stuprata da Grifis rinato come Phempt, il Falco delle Tenebre (qui chiamato corvo), perde la ragione. Solo l’intervento del Cavaliere del Teschio li salva da morte certa; ma sarà una salvezza effimera, perché portando su di loro il marchio del Sacrificio, saranno sempre perseguitati da spiriti, mostri e Apostoli (servitori della Mano un tempo umani divenuti mostri dopo aver usato un bejelit).
Berserk – L’epoca d’oro presenta grossi difetti. Tralasciando la computer grafica che non è eccezionale (anche se è meglio di quella dell’ultima serie realizzata su Berserk, ma ci voleva poco), il vero problema riguarda i tagli, che lasciano buchi di trama non da poco, e la rivisitazione dei dialoghi, che fanno perdere molto della bellezza del manga. Tradotto in parole povere: anche questi film non si avvicinano al livello del manga.
Si può comprendere che con il tempo a disposizione non si possa mettere tutto, ma la scelta di cosa mettere e cosa no compromette la comprensione della storia.
Del passato di Gatsu c’è un breve flashback di qualche secondo dove, se non si conosce il manga, non si capisce chi sono le figure mostrate (uno è Gambino, il mercenario che l’ha adottato, l’altro è il soldato a cui il padre adottivo l’ha venduto e che l’ha violentato). Il bejelit rosso viene mostrato da Grifis a Gatsu in un momento diverso da quello del manga, dando una spiegazione differente: è più lunga e articolata, ma rivela troppo e toglie aspettativa, facendo capire troppo di quello che accadrà. Viene eliminata la figura della regina delle Midland e tutta la parte a essa relativa. Stessa sorte tocca a Godor il fabbro, all’arco narrativo che lo riguarda e al periodo che Gatsu ha passato lontano dalla Squadra dei Falchi. Idem per i Barkilaka, Wiald e i Cani Neri. Nello scontro tra Gatsu e il generale dei Rinoceronti Viola viene eliminato l’intervento di Zodd, decisivo per l’esito del combattimento. Il rapporto sessuale tra Gatsu e Caska dopo il ritorno del guerriero tra ciò che resta della Squadra dei Falchi viene semplificato, eliminando la parte in cui Gatsu ricorda la violenza subita da piccolo e ha una reazione improvvisa contro la donna.
Tutti questi sono tagli importanti, ma la cosa più grave è la modifica fatta ai dialoghi, uno dei punti di forza dei manga: troppo affettati, al punto da essere a tratti banali. Con questa scelta si perde troppo della poesia e della profondità trovata tra le pagine disegnate da Kentaro Miura.
In definitiva, il giudizio dato a Berserk – L’epoca d’oro non è propriamente positivo, al punto che si rivaluta la prima serie realizzata negli anni novanta per questo manga. Peccato aver perso un’occasione per fare un buon lavoro.

Il potere della magia

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Il potere della magiaComplice un forte sconto outlet, ho acquistato Il potere della magia, volendo dare un’altra occasione a Terry Brooks. Brooks è stato un autore che ho apprezzato quando ero adolescente (anche rileggendo le sue opere da adulto, pur non provando le stesse sensazioni, non ho potuto che trovare buoni i suoi lavori) e che fino alla fine degli anni 90 ha saputo scrivere romanzi interessanti. Ma con Il viaggio della Jerle Shannara è cominciata la china discente: idee valide ma sfruttate male, personaggi di cui ci si dimentica presto. Brooks ha preso a perdere sempre più colpi; il culmine è giunto con La Genesi di Shannara, dove, dopo un inizio in cui l’autore sembrava tornato ai suoi livelli migliori, c’è stato il crollo, soprattutto con I figli di Armageddon: questo romanzo funziona benissimo finché parla del gruppo degli Spettri e del Cavaliere del Verbo Logan Tom, sa creare un’atmosfera veramente buona. Poi la rovina mettendo all’improvviso gli elfi, che fino a quel momento nella serie di Verbo e Vuoto non si erano mai visti: prende il sense of wonder e in un istante lo fa a brandelli (ed è uno dei rarissimi momenti in cui m’è partito un “ma v……..”). Va bene che la trilogia di cui fa parte I figli di Armageddon doveva essere l’anello di congiunzione tra Shannara e mondo reale visto da Verbo e Vuoto, ma si poteva e doveva fare meglio. Brooks ha utilizzato male un personaggio come O’olish Amaneh; poteva usarlo in modo più centrale, legare il mondo degli spiriti (date le origini indiane del personaggio), il mondo di Faerie, con quello degli elfi, facendo sì che l’armageddon scatenato incarnasse le essenze immateriali e dando così vita agli orecchi a punta. E invece… “ecco, gli elfi ci sono sempre stati e se ne stanno tra le montagne americane”.
Il Brooks di questo periodo è riuscito a rovinare oltre Shannara e Verbo e Vuoto, anche la saga di Landover con quel lavoro pessimo di young adult che è La principessa di Landover (e questo problema non da poco si rivede anche in Il potere della magia).
Per queste ragioni, smisi di leggere nuove uscite di questo autore. Il passare del tempo alle volte fa strani scherzi e, portando un poco di nostalgia, fa venire voglia di rivedere (in questo caso leggere) cose che sono state legate al passato, e quindi ecco ad avere tra le mani Il potere della magia.
Certo, è il secondo volume di una duologia, ma questo non influisce sulla comprensibilità della storia (essendo poco originale ed essendo divenuto ripetitivo, non è difficile capire le trame di Brooks): la barriera magica protettiva erta per difendere umani ed elfi creata diversi secoli prima ai tempi di Falco (la Genesi di Shannara) sta venendo meno e le creature che vivono fuori dalla pacifica valle cominciano a entrare. Sider Ament, l’ultimo dei Cavalieri del Verbo, deve avere a che fare con i troll che cercano di invaderla, ma muore e lascia il suo bastone magico e il suo compito a Panterra Qu, un diciassettenne, compito che divide con la sua migliore amica, la quindicenne Prue Liss. Verranno aiutati dalla giovane principessa degli elfi Phryne Amarantyne, che però è accusata ingiustamente dall’invidiosa matrigna dell’omicidio del padre, di cui lei è artefice.
Da queste basi parte Il potere della magia. Occorre premettere che ero arrivato a questa lettura preparato, non avendo gradi aspettative, viste le tante critiche ricevute da questo lavoro: ripetitività delle trame, troppa introspezione. Tutto giusto, ma il vero problema di questo romanzo è un altro: Brooks si è adeguato allo young adult. Ma è lo young adult più scarso, perché c’è modo e modo di farlo. Anche Sanderson ha scritto young adult, ma l’ha fatto in modo diverso, con risultati decisamente migliori, basti vedere Il ritmatista o la trilogia degli Eliminatori (che ha qualche piccola caduta, ma nel complesso il suo dovere lo fa); qui invece Brooks segue la linea peggiore di questo filone.
I protagonisti sono due adolescenti che non hanno grandi capacità e neppure eccellono di preparazione (anzi, si può dire che non ne hanno), ma che si ritrovano a essere i salvatori di tutto: gli adulti come Sider Ament, che in altre sue opere sarebbero stati gli eroi della storia, vengono tolti di mezzo per lasciare spazio a questi giovani con facilità e quasi banalità. E mentre il destino della valle ricade sulle loro spalle, il lettore si deve sorbire pianti e crisi adolescenziali, baci e amori da cotta, pensieri che ruotano attorno a essi, oltre a bisticci e dialoghi che che fanno cascare le braccia (“ah, tu pensi che sia colpa mia, che io non sia capace, ma io ho le capacità!” “io non pensavo questo…” “no, tu pensavi proprio questo!” e via con le lacrime agli occhi, ai singhiozzi e agli abbracci di conforto “no, io credo in te, ti sarò sempre a fianco perché ti voglio bene”).
Le “adolescenzialate” però non si limitano a questo. Oltre a eliminare Sider Ament, si tirano via quei personaggi adulti che potrebbero rubare il palcoscenico ai giovani: via il mercenario Deladion Inch, via la nonna di Phryne (tutte figure che col Brooks del passato avrebbero avuto una caratterizzazione e uno sviluppo interessante) perché si deve puntare sui giovani. Il che non sarebbe nemmeno un problema, se Brooks si comportasse come si è comportato con il ciclo degli Eredi. Anche lì c’erano dei giovani (giovani, non adolescenti), come Wren, come Morgan Leah, ma o erano stati addestrati fin da piccoli (primo caso), oppure da tempo combattevano contro la Federazione (secondo caso); a differenza di questi due, Par non aveva nessuna capacità combattiva, ma possedeva la Canzone Magica (che almeno all’inizio era capace di creare solo illusioni) e per questo era stato scelto dallo spirito di Allanon per il compito di soccorrere le Quattro Terre; ispirato dalle geste di eroi di cui canta, decide di accettare quanto richiesto dal druido di un tempo, ma per questo chiede aiuto a chi è più capace ed esperto di lui (Morgan Leah, Padisar Creel e i Nati Liberi), come il buon senso suggerirebbe di fare. Invece ne Il potere della magia il buon senso viene messo da parte e si punta tutto sul “youth power” (adolescenti che solo perché tali hanno il potere di risolvere tutto).
Così, grazie al “youth power”, ci si deve sorbire una scena ridicola dopo l’altra. Prue e Panterra sono seguiti da un nemico molto pericoloso, come li avvisa la nuova capacità di Prue avuta dal re del Fiume Argento (saltato fuori così all’improvviso); si apprestano a fargli un’imboscata, lui li sorprende ma viene lo stesso messo al tappeto in pochi secondi. Catturato e legato, l’assassino Bonnasaint, declama che non rivelerà nulla ai due giovani, nemmeno se è giorno e notte; nel giro di poche pagine, Prue e Panterra decidono di portarlo dalla regina degli elfi e l’assassino spiattella tutto senza colpo ferire. Poco dopo, sfrutta una cavolata di Prue e la prende in ostaggio per scappare, ma la ragazza si libera e lo pugnala ammazzandolo all’istante. Per fortuna era uno che aveva eliminato tanti avversari molto più pericolosi dei due giovani: bei tempi quando Brooks raccontava di Pe Ell (personaggio di Il druido di Shannara), un assassino con i fiocchi, non quella buffonata che è stato Bonnasaint.
Ma questo termine si può estendere a tutto il romanzo e spiace usarlo per un autore che ha saputo dare molto fino a un certo punto (fino al 2000), ma questa è la realtà: Il potere della magia è una buffonata. Scene assurde. Dialoghi penosi. Ragionamenti altrettanto scadenti. Personaggi secondari ben caratterizzati fino a questo momento rovinati, come successo con La principessa di Landover (qui alla domanda di Prue “Dove devo andare?” Il Re del Fiume Argento risponde “Segui il tuo cuore”…). Deus ex machina penosi (Panterra e la principessa degli elfi stanno andando incontro a un grande pericolo ma in loro soccorso arriva un drago che li ha seguiti percependo la scia lasciata dalle pietre magiche; la principessa capendo ciò, per addomesticarlo, usa di nuovo le pietre magiche e il drago si mette a giocare con la luce emanata da essa e a rincorrerla come farebbe un gatto. Le pietre magiche sono una cosa seria, non un oggetto da usare banalmente così). L’unica parte un poco passabile è quella del demone, anche se Brooks ha saputo fare di meglio con la trilogia del Verbo e del Vuoto e con Le Pietre Magiche di Shannara. Visti i successi avuti, non si riteneva possibile che un autore come Brooks per continuare a pubblicare si vendesse alla direttive dello young adult. Questa però è la realtà e occorre accettarla e trarne le relative conclusioni. Brooks adeguandosi a questo mercato ha perso moltissimo, sia come qualità dei lavori svolti, sia come lettori: se questo è il nuovo corso che ha deciso di seguire l’autore, come già dimostrato con La principessa di Landover, non ho intenzione di leggere altro di quanto ha scritto in seguito. E sconsiglio anche altri a farlo. Molto meglio rileggere quanto scritto in precedenza (praticamente tutto quello che viene prima della pubblicazione di Il viaggio della Jerle Shannara, che, comunque, alla luce di quanto letto, può tranquillamente essere rivalutato e addirittura divenire positivo). Lo stesso consiglio viene dato a chi volesse conoscere questo autore: si legga tutto quello che ha fatto prima del 2000.
Spiace dare un giudizio così negativo, visto il rispetto avuto per questo autore fino a un certo punto, ma Il potere della magia non merita altro. L’unica cosa utile di questo libro è che insegna a come non scrivere un buon romanzo fantasy e d’avventura. E fa riflettere su un aspetto: questo è quello che si pensa debbano leggere dei giovani lettori? Se è così, allora non si ha una gran considerazione di loro, dimostrando che tipo d’immagine ci si è fatti di chi sta per diventare adulto; una cosa per niente positiva e, se si vuole, a tratti pure insultante.

(su Letture Fantastiche c’è un approfondimento riguardo il calo di qualità delle opere di Terry Brooks)

L'oro bianco

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L'oro biancoCon L’oro bianco si conclude la seconda trilogia di Thomas Covenant e prosegue con la stessa atmosfera del volume precedente, ovvero l’assenza di speranza. La missione che ha portato il gruppo all’Albero Magico per creare un nuovo Scettro della Legge è fallita, uno dei giganti è morto nell’imprensa, degli Haruchai partiti per l’impresa (che un po’ ha ricordato il viaggio degli Argonauti e quello di Ulisse) è rimasto soltanto Cail, e Linden Avery scopre con gran sconcerto che non c’è nessuna possibilità di salvare Thomas, ferito a morte sulla Terra, ma che col potere dell’oro bianca era riuscito a curarsi sulla Landa; come già si sa, il tempo tra i due mondi scorre in maniera molto diversa (quelli che sono pochi istanti sulla Terra, sulla Landa sono giorni o settimane) e quindi Thomas Covenant nel mondo diventato ormai dello Spregiatore è ancora vivo, ma la sua vita sta inevitabilmente scivolando via. Covenant è consapevole di questo, ma non lo ha voluto rivelare a Linden, anche se essendo lei medico sperava che potesse salvarlo; ciò non ha fatto che portare attrito e lontananza tra i due. Come se non bastasse, l’Elhoim che è con loro non fa che rimarcare come Covenant debba cedere a Linden il suo anello, causando ancora più tensione tra i due; Covenant non vuole saperne di fare un simile gesto e l’unica possibilità che ha Linden per ottenere l’anello è quella d’impossessarsi di lui e usarne il potere.
Il ritorno sulla Landa non è per niente facile. Con la nave gravemente danneggiata, Thomas, Linden, Cail, la Prima, Posapece, Tessitore e Cercaporti debbono lasciarla e raggiungere la terra a piedi attraverso i ghiacci; vengono attaccati dagli arghuleh, feroci predatori del ghiaccio, e inseguiti fin oltre il loro territorio. Soltanto il prodigioso, quanto casuale, intervento di Hamako e dei silfidi li salva da fine certa. Ma si tratta di un momento di breve gioia: scoprono che i Silfidi giunti fin lì sono gli ultimi, distrutti nei propri rifugi dalle Abbiezioni, convinte che abbiano rivelato a Thomas e Linden il segreto riguardante Vain.
Hamako, per fermare gli arghuleh si sacrifica, distruggendo il croyel (creatura già incontrata quando hanno combattuto contro Kasreyn) che teneva uniti i feroci esseri del ghiaccio. Il gruppo raggiunge la Rocca dei Signori, dove trovano Hollian, che è incinta, e Sunder e gli Haruchai che sono stati liberati dalle prigioni delle rocca: loro sono gli unici che si oppongono al potere dei signori, dato che i Pietrai e i Silvani, benché li sostengano, sono stati razziati da tutte le persone che possono combattere per alimentare con il sangue il Sole Ferito. Covenant riesce a vincere il Posseduto che guida i Signori e a distruggere la fornace che alimenta il Sole Ferito, ma viene perso Cercaporti, desideroso di avere vendetta per la fine del fratello.
Ormai non rimane che affrontare lo Spregiatore, nel suo covo sotto le radici del Monte del Tuono. Hollian muore per cambiare il Sole Ferito e far sì che abbiano le condizioni favoreli per raggiungere la base del nemico, ma quando raggiungono l’Andelain, l’unica area della Landa non colpita dal Sole Ferito, Caer Cavedal, suo Forestale e un tempo Hile Troy, si sacrifica per riportala in vita; ora, Thomas Covenant è l’ultimo rimasto delle avventure della trilogia precedente. Il Morto Kevin il Distruttore (il Signore che ha portato la distruzione sulla Landa quando ha combattuto contro lo Spregiatore molti secoli prima del primo arrivo di Covenant) avverte Linden che Covenant vuole consegnare allo Spregiatore l’Anello Bianco; Covenant non parla con lei del suo piano, ma prosegue per la sua strada. Alla donna non resta che fidarsi di lui.
Superati i Coboldi nelle catacombe del Monte del Tuono, il gruppo viene catturato: Covenant fa proprio quello che Kevin aveva detto e lo Spregiatore con il nuovo potere lo uccide. Il nemico è sicuro ormai di poter distruggere l’Arco del Tempo, ma non ha mai capito cosa è realmente l’oro bianco: come disse un tempo il Signore Mhoram a Covenant, è lui l’oro bianco. Covenant compare come Morto e lo Spregiatore si accanisce su di lui: avendo ora lui l’anello e usandolo su Covenant, è come se colpisse se stesso. E infatti lo Spregiatore finisce per distruggersi.
La Landa è salva, ma il processo di guarigione è lungo. Linden, venuto a mancare chi l’ha evocato, ha solo il tempo di affidare il nuovo Scettro della Legge (nato dalla fusione tra Vain, che ha funto da involucro, e Findail, che è Potere della Terra incarnato) alla Prima e Posapece, così che lo possano consegnare a Sunder e Hollian. Tornata sulla Terra, non può che costatare la morte di Covenant anche lì e affrontare quella che a tutti, tranne che a lei, appare come una follia collettiva mossa da isteria (la moglie di Covenant, dopo la morte del marito e la sconfitta dello Spregiatore, non è più preda della pazzia che si era impossessata di lei).
L’oro bianco chiude così l’avventura di Thomas Covenant (anche se negli anni duemila Donaldson ha realizzato altri quattro romanzi dedicati all’Incredulo, al momento mai arrivati in Italia), lasciando l’amaro in bocca, a differenza della prima trilogia che dava un piccolo spiraglio di luce; il male che ha colpito la Landa è stato fermato, ma non si sa se quel mondo si riprenderà. Covenant dopo averne passate di cotte e di crude, senza aver assaporato una gioia ma conoscendo solo dolori, muore. Linden ritorna sulla Terra lasciando dietro di sé morte e ritrovando ad attenderla morte. Anche se si fa presagire che la Landa si riprenderà, non si hanno certezze sulla sua avvenuta; alla fine della lettura rimane solo perdita. Non che questo sia negativo (anzi, è di certo molto meglio di tanti young adult che purtroppo hanno infestato la lettura odierna con adolescenti che senza capacità diventano all’improvviso salvatori dell’universo ma che si mettono a cigare (frignare) appena l’ormone gli si gira), però si sperava in qualcosa di più simile al finale della prima trilogia, anche se, analizzando il tutto, la scelta fatta da Donaldson è coerente con tutto quello che ha scritto.
L’oro bianco conclude degnamente questa seconda trilogia dedicata all’Incredulo, anche se, va detto, che per affrontarla occorre la giusta predisposizione d’animo.

L'assassino di corte

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L'assassino di corteRobin Hobb con L’assassino di corte riprende le avventure di FitzChevalier. Sopravvissuto al tentativo di omicidio da parte dello zio Regal (tentativo che avrà un prezzo alto, dato che perderà il primo cane con cui è stato legato e che il veleno con cui è stato colpito lascerà segni duraturi sulla sua salute), ma riuscendo a sventare il piano di eliminare Veritas, FitzChevalier ritorna a Castelcervo. La sua convalescenza è lunga, ma il suo sacrificio ha permesso a Veritas di sposare Kettricken, principessa del Regno delle Montagne, ottenendo così il prezioso legname per costruire le navi con cui combattere i Pirati Rossi. Dopo un iniziale successo contro il pericoloso nemico, le vittorie cominciano a diminuire: i pirati vengono avvistati tardi, le richieste di soccorso non arrivano, tutto quello che Veritas aveva messo in atto sembra aver smesso di funzionare. Così, in un ultimo disperato tentativo, il re in attesa decide d’intraprendere un lungo viaggio per trovare gli Antichi, che già in passato erano stati d’aiuto contro i pirati.
FitzChevalier, che lentamente si è ripreso, rimane a Castelcervo a vegliare su Kettricken e il bambino che porta in grembo, perché i piani di Regal per ottenere sempre più potere non sono finiti, anzi, s’intensificano sempre di più. E mentre combatte contro i pericolosi nemici che continuano ad assalire i villaggi della costa, si prende cura di un cucciolo di lupo (che diverrà suo fedele compagno) salvato da un avido mercante di animali, ha una relazione amorosa con la cara Molly (andata a lavorare nel castello dove anche lui vive), FitzChevalier ha a che fare con la dissolutezza di Regal, che impoverisce sempre più Castelcervo a favore dei ducati interni, di cui è originaria la madre defunta. Il malvagio zio, oltre a minare sempre più la credibilità dell’assente Veritas, a mettere in difficoltà e attentare alla salute di Kettricken, a usare gli addetti dell’Arte per controllare chi gli sta vicino, si spinge a eliminare lentamente suo padre, il re Sagace, avvelenandolo e prosciugando le sue energie tramite l’Arte. FitzChevalier, lasciato da Molly che lo accusa di essere troppo fedele alla corona, dopo aver visto spirare tra le proprie braccia il re, decide di mettere da parte sotterfugi e piani e decide di vendicarsi, riuscendo a uccidere i due addetti dell’Arte che hanno prosciugato l’energia vitale del re prima di essere catturato. Accusato di possedere la magia dello Spirito, viene torturato perché confessi la sua natura; aiutato da Umbra e Burrich, simulando la propria morte, a fuggire dalla prigione, Fitzchevalier è libero, anche se tutti lo credono morto.
L’assassino di corte, come il precedente volume, è coinvolgente e si fa leggere con piacere, ma ci si pone una domanda: com’è possibile che, nonostante abbia già dimostrato di cosa è capace nel primo romanzo, Regal sia lasciato agire indisturbato? Ha tentato di uccidere Veritas, Burrich, FitzChevalier, ha complottato impoverendo sempre più Castelcervo, da quando si prende cure del re Sagace la salute è sempre peggiorata: tutto quello che di negativo succcede nel regno si sa che è colpa sua e nessuno fa niente per fermarlo, tutti assistono immobili a quello che fa senza mai intervenire. Sotto questo aspetto, verrebbero da fare delle critiche a Robin Hobb per come ha caratterizzato l’antagonista e per come gli altri personaggi reagiscono. Poi si guarda la realtà e si vede che di Regal, nel mondo, in posizioni di potere, che complottano, fanno i fatti suoi a discapito degli altri e del proprio paese, ce ne sono stati e ce ne sono tanti, in primis l’Italia, che purtroppo ha avuto al comando per quasi vent’anni una figura che ha fatto esattamente quello che ha fatto il personaggio creato da Robin Hobb; e allora non ci si meraviglia più e passa la voglia di criticare: tutti i paesi hanno il proprio Regal. E di Regal ce ne saranno sempre.
Piccola nota a margine su L’assasino di corte: dopo Regal, che ha il titolo di personaggio più odioso della serie, non si può fare a meno di dare una menzione per antipatia a Molly.

L'albero magico

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L'albero magico di Stephen R. DonaldsonIn L’albero magico continua il viaggio di Thomas Covenant e Linden Avery attraverso il mondo creato da Stephen R. Donaldson. Dopo aver affrontato la nuova Landa devastata dal potere del Sole Ferito, creato dal potere corrotto dei nuovi Signori della Rocca asserviti allo Spregiatore, i due provenienti dalla Terrra si sono uniti a un gruppo di Giganti e alla loro ricerca; legati da un fine comune, salgono sulla gigantesca nave di pietra Gemma della Rotte per raggiungere i famosi Elohim, coloro che possono indicare la rotta per trovare il Primo Albero, capace di dare il legno per ricreare lo Scettro della Legge. Lo Spregiatore però non si darà per vinto e continuerà a perseguitarli, attaccando Covenant attraverso un Posseduto e avvelenandolo ulteriormente, rendendo il potere dell’anello bianco sempre più fuori controllo.
Giunti sull’isola degli Elohim, scopriranno che questi esseri che possono assumere qualsiasi forma, sono molto di più di quel che appare, essendo profondamente legati al potere della terra, e non sono benevoli come le storie raccontano. Mistreriosi, pragmatici, non danno ai nuovi arrivati il benvenuto che si aspettavano, anzi, risultano essere quasi una minaccia con il loro tentativo di isolare i membri della spedizione e ammaliarli con le loro visioni. Senza contare che proveranno a isolare Vain, la creatura dei Demondim affidata a Covenant dal morto Seguischiuma, e che per dare la rotta per l’Albero Magico, imporrano il silenzio su Covenant, rendendolo praticamente un vegetale, visto che lo considerano una minaccia per l’intera creazione.
Fuggiti dall’isola degli Elohim, ma accompagnati da uno di essi, Flidail l’Incaricato, incapperanno in una tempesta che danneggerà seriamente la nave, costringendoli a cercare rifugio nel porto dei Bhrathair. Anche qui l’accoglienza è solo in apparenza benevola e tutto non è come si vuole credere: dietro la corte e chi comanda c’è in realtà il malvagio e quasi immortale mago Kasreyn, colui che ha imprigionato nel vortice le temibili Gorgoni del Grande Deserto. Come lo Spregiatore, mira a impossessarsi dell’anello di Covenant, ma fallisce nell’impresa, anche se ciò richiederà un prezzo alla compagnia.
Scampati al pericolo delle sirene, con gli Haruchai (il popolo da cui provenivano le Guardie del Sangue incontrate nella prima trilogia) che hanno seguito che Covenant che si dimettono dal suo servizio per quello che hanno provato con l’incontro con le creature marine, arrivano finalmente all’isola dove è custodito l’Albero Magico. Lì, Brinn, uno degli Haruchai, affronta il Guardiano dell’isola e, sacrificandosi, lo sconfigge, prendendo il suo posto e potendo così condurre Covenant alla meta. Quanto temuto da Sognamare (il gigante muto è dotato del potere della Vista, una sorte di chiaroveggenza) si sta per avverare, ma il suo sacrificio nel prendere un ramo dell’Albero Magico, riesce a sventare i piani dello Spregiatore, il cui fine era quello di spingere Covenant, col potere dell’anello bianco, a infrangere l’Arco del Tempo, perttendogli così di essere finalmente libero da quel mondo che lo tiene prigionero.
Con la missione fallita, la speranza sembra ormai perduta.
Così termina L’Albero Magico e non si può non notare come Donaldson si accanisca contro Covenant, come se volesse fargli pagare le mancanze che ha avuto nella prima trilogia: lo stupro di Lena, il non credere che la Landa sia un mondo reale, l’essere restio ad aiutare chi crede in lui e ha bisogno del suo aiuto. Non bastasse la lebbra e l’essere emarginato, prima ha a che fare sulla terra con una moglie impazzita che lo ferisce di continuo e un accoltellamento che lo lascai in fin di vita, poi nella Landa viene avvelenato più volte e più volte imprigionato per prendere possesso della sua fede nuziale, dato che è fatta di oro bianco, materiale rarissimo nel mondo magico in cui è finito.
Covenant non è certo un persoanggio simpatico (non fa neanche niente per esserlo) e non è neppure un eroe (essere il protagonista non rende automatica la cosa), però questo non avere un attimo di pace fa pensare. Per tutto L’albero magico, come anche nel precedente romanzo, c’è un’atmosfera cupa, quasi angosciosa, dove non c’è spazio per la speranza; certo, anche nella precedente trilogia le cose non andavano bene, ma c’era un’epica, un bene che si opponeva al male, che rendeva sopportabile la cupezza della storia. Qui invece non è così, visto che la corruzione dello Spregiatore ha colpito anche quelli che dovevano essere dalla parte della luce, come i Signori della Rocca e i Pietrai; in più, non c’è neanche la Landa con la sua magia, dato che il viaggio intrapreso da Covenant e compagni lo porta lontano da essa, verso terre che hanno ben poco di ospitale e gradevole.
Ecco, forse è proprio questa la cosa di cui si sente più la mancanza in L’albero magico: la figura della Landa. Sì, perché è proprio la Landa la vera protagonista dell’opera di Donaldson. E non bastano l’eroismo e lo stoicismo degli Haruchai Brinn, Cail, Ceer e Hergrom, le storie del gigante Posapece, la guida sicura di sua moglie, la Prima, e di tutti gli altri membri della Gemma delle Rotte per sopperire alla sua assenza. La ricerca, il lungo viaggio per mare che possono ricordare un poco le imprese dei miti greci, sono affascinanti, ma è la Landa che rende il lavoro di Donalson meritevole di essere letto.
Tutto sommato, L’albero magico non è da buttare, però risente del difetto che spesso accomuna i libri di mezzo di una trilogia. Un peccato.

L’apprendista assassino

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L'apprendista assassinoL’apprendista assassino è il primo volume della Trilogia dei Lungavista realizzata dalla scrittrice americana Robin Hobb. Scritto in prima persona, il romanzo narra le vicende dall’infanzia di FitzChevalier, figlio bastardo di Chevalier Lungavista, re-in-attesa del Regno dei Sei Ducati; il suo arrivo inatteso (fino ai sei anni era vissuto con la madre e il nonno materno) fa cadere in disgrazia il padre, costringendolo ad abdicare. Affidato a Burrich, braccio destro di Chevalier che se n’è andato in esilio lontano da Castelcervo (la capitale del regno), cresce nelle stalle in compagnia di cavalli e cani; fin da subito mostra una grande affinità con gli animali, rivelando di possedere lo Spirito, la capacità di comunicare mentalmente e spiritualmente con le bestie. Ciò non è un bene, almeno per quanto riguarda la maggior parte delle persone, dato che viene visto come stregoneria, comportando la conseguente condanna a morte. Burrich, per difenderlo e far sì che la sua capacità non sia scoperta, sarà molto duro con lui sotto tale aspetto.
Ma le difficoltà non si limiteranno a questo per il piccolo Fitz, a lungo chiamato il bastardo. Il re Sagace mette gli occhi su di lui e decide di affidarlo alla guida del misterioso Umbra, assassino reale, per farlo divenire suo apprendista e successore. Nonostante il ruolo che ha, Umbra si rivelerà essere una figura paterna più di molte altre, dandogli insegnamenti che vanno oltre l’arte dell’assassinio e della conoscenza delle erbe; è sotto la sua ala che avrà a che fare con i Forgiati, persone private di umanità dai feroci pirati delle Navi Rosse, nemici spietati e grande minaccia dei Sei Ducati.
La vita di Fitz, non fosse già abbastanza complicata, viene sconvolta dall’arrivo di dama Pazienza, moglie del defunto Chevalier, che vuole conoscerlo e insegnargli a essere uomo di corte. Non solo: con grande insistenza riesce a ottenere che il giovane venga iniziato agli insegnamenti dell’Arte, la capacità d’entrare nella mente altrui. Per Fitz inizierà un periodo difficile, dovendo subire tutto l’odio di Galen, maestro dell’Arte, senza contare il disprezzo di Regal, suo zio e figlio minore di re Sagace. Tuttavia non sarà solo, ma potrà contare sulla simpatia e sul supporto di Veritas, secondogenito di Sagace, e sull’amicizia (e forse qualcosa di più) di Molly, una ragazzina di Borgo Castelcervo.
Gli anni dell’infanzia si trasformeranno in quelli dell’adolescenza e Fitz, affrontando prove sempre più dure, mostrerà la sua lealtà alla corona e soprattutto a Veritas, sventando a proprie spese una congiura ordita da Regal e Galen per eliminare lo scomodo secondogenito.
L’apprendista assassino può essere definito come il cammino di crescita di un bambino che s’avvia verso l’età adulta in una corte piena d’intrighi e sotterfugi, ma è molto più di questo: c’è la magia, il mistero, ma soprattutto ci sono i rapporti con i personaggi, dove Robin Hobb dà il meglio di sé caratterizzandoli con grande perizia. Proprio questo è il punto di forza del romanzo che spinge il lettore ad andare avanti nello scoprire la storia di Fitz e del mondo che crescendo conosce sempre più; con uno stile accattivante, mai pesante, la scrittrice americana crea trame coinvolgenti che tengono sempre incollati alle pagine, rendendo L’apprendista assassino una lettura fortemente consigliata.

Sulla pornografia

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Adriana Chechik, l'attrice hard che ha avuto seri problemi fisici a causa del suo lavoro nella pornografia

Photo by Glenn Francis/www.PacificProDigital.com

Qualche tempo fa, ho letto un paio di articoli che Bruno Bacelli ha scritto riguardo la pornografia partendo dalla lettura di due libri sull’argometno, L’Ideologia del Godimento (Fabrizio Fratus e Paolo Cioni) e Your Brain on Porn (Gary Wilson); poi mi è capitato di vedere un video sempre sullo stesso argomento, Ecco come i porno ti distruggono il Cervello. Il discorso fatto da Bruno è più approfondito, quello di Marco Tomasin è più accennato, ma entrambi si basano sullo stesso concetto: la pornografia è una problematica. Una problematica diffusa, ma di cui si parla poco e che specie in Italia sembra essere quasi tabù. Tale fenomeno è già preoccupante quando va a colpire gli adulti (come con gioco, droghe e alcol, si può arrivare a parlare di dipendenza da sesso, al punto che sono nati centri per disintossicarsi: la sessualità è qualcosa di naturale, ma se la si vive in modo inappropriato, se diventa ossessione, allora occorre intervenire, come successo a figure note del mondo dello spettacolo come Michael Douglas, Ben Affleck, Rocco Siffredi), ma lo diventa ancora di più quando si tratta di adolescenti.
La pornografia c’è sempre stata, quello che però è cambiato negli ultimi anni è stata la sua fruibilità: se prima per un ragazzino era più complicato trovare materiale pornografico (riviste, videocassette, dvd), ora con uno smartphone e una connessione a internet si può avere una quantità illimitata di contenuti pornografici. E spesso non c’è bisogno neanche di andare su siti pornografici, vista la mercificazione che viene fatta del corpo umano, soprattutto quello femminile: per avere like, per avere visibilità, per essere più seguiti, ci si mette in mostra in modo molto esplicito (basta vedere le pagine dei social di influencer o figure note, come per esempio quella di Wanda Nara: una visibilità nata non certo per capacità intellettuali, ma per la mostra che si fa del corpo).
Non si fanno moralismi e non ci si scandalizza certo se si guarda un bel corpo: a tutti fa piacere vederlo e questo riguarda sia uomini sia donne. A tanti è capitato di soffermarsi a osservare un corpo in costume in piscina o al mare (e finché ci si limita a questo va tutto bene; non va per niente bene se invece si va oltre e si commettono dei crimini, come spesso succede, ma di quello che scatta in certi casi se ne parlerà fra poco). Il problema sorge quando diventa una continua ricerca di stimoli per avere questa gratificazione, questo piacere: in questo caso si può parlare di disturbo, che può divenire ossessione e patologia. E il problema diventa ancora più grande se a esserne colpiti sono degli adolescenti, maggiormente influenzabili, dato che la loro psiche e il loro cervello sono in fase di sviluppo, e non hanno ancora quei meccanismi di difesa che dovrebbero svilupparsi con l’età adulta: sono come delle spugne che assorbono tutto quello che incontrano. E in certi casi, come questo, non è certo un bene, dato che assorbono insegnamenti sbagliati che portano a comportamenti sbagliati, deleteri per se stessi e per gli altri.
Uno degli effetti negativi della pornografia è che allontana dalla realtà (cercando di sorridere un poco, viene in mente una puntata della serie Friends, quando Joey e Chandler si ritrovano per caso a prendere sulla loro tv un canale pornografico e si meravigliano che nella realtà le donne che incontrano non si comportano come in quei film) e per gli adolescenti è un grosso problema, dato che in certi casi si arriva a pensare che quello che vedono faccia parte della normalità; viene da domandarsi se tanti casi di violenza commessi da giovani siano dovuti proprio a questa mancanza di distinguere da ciò che è reale da ciò che è finzione. E si nota anche come senza un’educazione adeguata i ragazzi pensano che si possa avere tutto quello che vogliono, trovandosi poi destabilizzati quando nella vita reale ciò non avviene; non abituati ad avere dei paletti, ad avere dei no, se non ottengono quello che vogliono, allora se lo prendono con la forza, arrivando anche a punte di violenze estreme come purtroppo si sente nei notiziari.
La pornografia, occorre ribadirlo, è proprio questo: una finzione, che spesso non trova riscontro nella realtà. Si tratta di uno spettacolo, di una forma d’intrattenimento (un po’ particolare e che non dovrebbe essere per tutti) fatta per essere seguita dal maggior numero di persone, che però può portare a fare danni se non si è consapevoli di cosa si sta guardando, che nell’atto sessuale sono coinvolte persone che hanno sentimenti e che non è semplicemente un’attività fisica che non lascia conseguenze. Si pensa che sia solo un divertimento, un passatempo, dimenticandosi che avendo a che fare con un’altra persona, se le cose sono fatte in una maniera distorta, possono esserci degli strascichi, possono rimanere dei segni emotivi non da poco.
Vedendo spettacoli porno, tanti pensano che sia un bel divertimento, ma non è tutto rosa e fiori; si sentono commenti in cui si dice che fare l’attrice o l’attore porno sia uno spasso, il lavoro più bello del mondo, ma non si prende in considerazione quanto torbido possa essere, quanto fango possa esserci in un simile ambiente, e non si pensa che per avere i fisici che si vedono nello schermo occorrono ore di palestra. Non è un caso poi che siano sorte associazioni di supporto psicologico per chi lavora in questo mondo, visto che per accontentare un pubblico sempre più esigente si arrivino a fare cose che mettono a dura prova la propria psiche.
Il problema con le dipendenze è proprio questo: con l’andare del tempo, quello che dava piacere comincia a perdere efficacia e si cercano nuovi stimoli, si cerca qualcosa che faccia provare di più, spingendosi verso gli estremi. La pornografia non scampa a tutto ciò: il mostrare il normale atto sessuale con il tempo non è più bastato e così ci si è spinti a filmare orge, pratiche bdsm, umiliazioni e torture più spinte (quando gli attori del porno, per fare il loro mestiere, hanno conseguenze fisiche, si capisce che non si è più davanti a qualcosa di normale). Il puntare a ricercare e mostrare cose sempre più estreme fa fare un’analogia con il film horror Hellraiser di Clive Barker, dove la ricerca di nuovi piaceri porta un personaggio a sconfinare in una dimensione infernale. Un’analogia che non è neanche tanto forzata, dato che ci si trova davanti a cose che di piacevole hanno ben poco, mentre hanno tanto di orrore e angoscia.
Trovare una risoluzione al problema è cosa lunga e forse non la si risolverà mai a livello globale (a livello personale, invece, ci si può riuscire benissimo, se si ha la volontà di farlo), ma una cosa è sicura: occorre tornare a seguire i ragazzi ed educarli in modo consapevole, in modo che non vengano danneggiati dall’abuso della pornografia e soprattutto dall’abuso della rete, visto la gran dipendenza che sta sviluppando nei giovani.

Il Sole Ferito

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Il sole feritoCon Il sole ferito Stephen Donaldson dà inizio a Le nuove cronache di Thomas Covenant l’Incredulo, seconda trilogia ambientata nel mondo della Landa. Sono trascorsi dieci anni da quando Thomas Covenant ha sconfitto lo Spregiatore e salvato la Landa dalle sue grinfie; ora lo scrittore continua a vivere nella sua casa, lontano da tutti, vivendo dei proventi del suo lavoro, ma non è più solo, dovendosi occupare della moglie. Linda Avery, un medico, dietro insistenza del suo datore di lavoro e amico di Covenant, si reca presso di lui per capire cosa sta succedendo e lì ha incontro con uno strano vecchio che, dopo essere stato rianimato da lei, sparisce sotto i suoi occhi, non prima di avergli rivolto delle frasi che la turbano non poco. Turbamento che prosegue quando scopre la condizione in cui si trova la moglie di Covenant, che sembra posseduta da qualcosa di mai visto e che trova un poco di pace solo quando ferisce il marito e ne beve il sangue.
Linda non crede alla spiegazione data da Covenant sul motivo per cui la moglie si trova in quella condizione, ma vuole andare in fondo alla questione, ritrovandosi coinvolta in qualcosa che la sconvolgerà: Covenant decide di seguire il gruppo di persone che ha rapito la moglie e che la sacrificherà se lui non farà ciò che vuole il loro maestro. Per salvarla, Covenant accetta di morire al suo posto, ma l’intervento di Linda interrompe il sanguinoso rituale ed entrambi si ritrovano catapultati nella Landa, nello stesso punto in cui l’Incredulo era giunto la prima volta, la Guglia di Kevin.
Come scopriranno, nella Landa sono trascorsi quattromila anni, ma questa non è la cosa più sorprendente, purtroppo: tutto è stato stravolto. La terra è martoriata dal Sole Ferito, che alterna periodi di siccità ad altri di fertilità, piogge torrenziali e pestilenze. Gli abitanti della Landa, che un tempo la servivano per mantenerla integra, attuano riti di sangue per sopravvivere, completamente dimentichi dell’ospitalità che un tempo li contraddistinguevano. Ma la cosa peggiore è che tutti sono assoggettati alla tirannia dei Signori della Rocca, che non fanno che chiedere sacrifici a ogni villaggio per controllare il Sole Ferito.
Covenant non ha più la capacità di vedere la vera natura delle cose come le altre volte che è giunto sulla Landa, contaminato com’è dal tocco dello Spregiatore per via del sacrificio di salvare la moglie, ma sa che tutto quello che sta succedendo è completamente sbagliato, anche se non conosce il motivo di questo stravolgimento. Accompagnato da Linda e dal Pietraio Sunder, che si è convinto delle parole di Thomas, parte alla volta della Rocca, deciso di fare chiarezza su quello che sta succedendo nella Landa. Il viaggio gli mostrerà sempre di più gli orrori generati dal Sole Ferito, rimanendo sempre più colpito di quanto poco rimane della Landa che ha conosciuto, ma grazie all’aiuto di quello che un tempo fu Hile Troy e alle rivelazioni date dai Morti un tempo da lui conosciuti (il Signore Mhoram, la Guardia del Sangue Bannor, il Gigante Salcuore Seguischiuma, la figlia Elena), il suo obiettivo si fa più chiaro. Supportato da Hollian, un Oracolo del Sole salvato dai Corrieri, e da Vain, una creatura delle Abbiezioni donatogli da Seguischiuma, Thomas Covenant, ora capace di scatenare il potere dell’oro bianco a causa del veleno che scorre in lui, giunge alla Rocca delle Celebrazioni e lì scopre la verità: a capo dei Signori c’è un Posseduto, un servitore delle Spregiatore. Con gran rincrescimento, l’Incredulo scopre che proprio la vittoria sullo Spregiatore è stato causa di come la Landa si è ridotta: il nemico, infatti, ha approfittato del periodo di prosperità portato dai Signori per insinuarsi tra loro e traviarli, arrivando a generare il Sole Ferito. Tutto ciò è stato possibile perché lo Scettro della Legge, l’artefatto che manteneva in equilibrio il potere sulla Landa, è andato distrutto; Covenant, che sa di essere responsabile di tutto ciò, decide di partire alla ricerca di un modo per ricreare lo Scettro. Un viaggio disperato ma che si rivelerà possibile quando incontrerà un gruppo di Giganti, impegnati a loro volta in un’importante missione: loro non sanno quello di cui Covenant ha bisogno, ma possono condurlo dagli Elhoim, coloro che possono rivelarglielo.
Stephen Donaldson crea con Il Sole Ferito una nuova affascinante avventura che riporta il lettore nella Landa, la vera protagonista dei suoi libri, mostrata nella trilogia precedente attraverso gli occhi di Covenant e in questa attraverso anche quella di Linda; sia lei che Covenant sono personaggi tormentati dai propri demoni interiori, ma soprattutto dal senso di colpa, altro grande protagonista di quest’opera come lo è la terra su cui viaggiano i personaggi. Il Sole Ferito è un’ottima lettura, che naturalmente può essere apprezzata se già si conosce il mondo della Landa; un fantasy maturo, adatto per chi cerca qualcosa in più del young adult che da diversi anni va tanto in voga.

Sulla scuola: di diseducazione, di furbizia e non solo.

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Continuiamo a parlare di storture nella scuola, anche se in realtà si dovrebbe parlare di storture nel concetto che si ha dell’educazione da dare a un figlio.
La professoressa colpita da pallini ora rischia una denuncia. Già la notizia aveva fatto scalpore perché non si era capita la gravità della situazione (infatti, il ragazzo aveva nove in condotta come se non avesse fatto niente), ma la cosa si aggrava ancora di più ora con i genitori che ritengono che perché il ragazzo si era scusato, era tutto sistemato. Ma al peggio non c’è limite: ora vogliono denunciare la professoressa, facendo le vittime. A te, genitore, non ti viene il dubbio che sparare, anche se sono solo pallini, non è cosa da fare non solo in classe, ma da nessuna parte? Che la scuola, come qualsiasi altro ambiente, è un luogo dove ci vuole rispetto per l’altro, e che non si può fare tutto quello che si vuole? Più che da riprendere il figlio, ci sarebbe da fare rieducazione ai genitori…

Le buste delle prove dell'esame di maturità della scuola superiorePassiamo alla seconda notizia: dei ragazzi sono stati beccati a copiare durante l’esame di maturità. Giustamente, prova annullata e bocciatura: una cosa che sanno tutti. Ma ci si meraviglia e ci si lamenta, e anche la commissione ci si mette dicendo, quasi giustificandosi, che non poteva fare altro. Stiamo facendo sul serio o stiamo prendendo in giro? Se copi e ti beccano, la paghi, senza se e senza ma.
Ma la cosa è sempre stata così. In Italia quella di fare i furbi è una cosa conclamata, di cui pure ci si vanta. Ma a fare i furbi non sempre è cosa buona. E qui devo raccontare un fatto accadutomi personalmente alle superiori.
Verifica in classe. Il professore aveva l’abitudine di andare fuori a fumare e stare lontano diversi minuti. Aveva anche l’abitudine di fare il compito da assegnare e tenerlo nella sua borsa, che teneva sulla cattedra. I miei compagni pensano bene allora di aprire la borsa, prendere il compito e copiarlo. La verifica era su un argomento appena fatto, di cui sinceramente non avevo capito nulla; c’era un altro modo per risolverlo, ma era molto più lungo. Diversamente dal solito, in quella prova non fui lucido come al solito; i miei compagni non facevano che dirmi “dai, copia”, “che vuoi che sia” e mi passarono anche il foglio con la verifica fatta. Non lo usai. E non fu una questione di morale, etica o cose varie: io sono per fare le cose bene o non farle. E fare qualcosa di cui non capivo nulla non era una cosa fatta bene. Inoltre, se dopo il compito mi avesse interrogato, avrebbe visto che non avevo capito nulla dell’argomento: mi sarebbe cascata la faccia dalla figura di m***a che avrei fatto. Un professore, specie se capace, sa come vedere se uno sa o non sa le cose: un compito lo puoi copiare, ma durante l’interrogazione non la si scampa. Mi rassegnai al fatto che in quella prova non sarei andato bene e feci il compito nel modo che sapevo; certo mi giravano perché non avevo fatto un buon compito come le altre volte.
Per giorni, fino alla consegna del compito, subii gli sfottò dei compagni di classe. “noi prendiamo tutti nove e te neanche la sufficienza”, “vedi a che serve studiare come fai tu.” Non importava che quando non sapevano delle cose venivano da me per avere un aiuto: si sa che la riconoscenza è merce rara, soprattutto tra i giovani.
Arrivò il giorno della consegna del compito. Tutti su di giri, pregustando il gran risultato. Tutti tranne due persone. Una ero io, consapevole che ero andato da schifo. L’altra era il professore che entrò scuro in volto. Infatti, quando in tanti gli chiesero “hai i compiti?”, lui rispose seccato “Sì, ma sarebbe meglio che non ve li dessi e annullassi la prova.”
“Ma noooo? Ma perché?”
“Perchè avete tutti copiato.”
“Non è vero!” Coro quasi unanime.
“Vedete” cominciò a spiegare con calma ” un professore è un essere umano e anche lui sbaglia. Succede. Ed è successo che quando ho risolto il compito che dovevate fare, ho commesso un errore. Errore che tutti voi avete fatto nello stesso modo e nello stesso punto.” Silenzio di tomba. “L’unico che non l’ha fatto è stato questo povero pellegrino, che ha scelto il modo più lungo” disse indicando me. “Perché hai fatto così e non come gli altri?”
Dissi la verità. “Perché del nuovo argomento non ho capito assolutamente nulla.”
Ricordo bene che il prof rimase a fissarmi diversi secondi, poi annuì lentamente. “Riprendiamo a spiegare da capo l’argomento.” E la lezione cominciò.
La verifica non fu annullata: tutti presero tre, tranne io che raggiunsi la sufficienza, anche se rispetto al solito era stato sotto le aspettative.

E dulcis in fondo c’è quel gran genio di Briatore, che riscopre le caste, secondo le quali i figli devono fare i lavori dei padri. Un discorso non certo nuovo, dove chi è come lui cerca d’imporre anche con la forza questa mentalità, perché certe cose, come lo studio, devono appartenere solo ai ricchi, ai nobili, ai prescelti, e chi sta in basso non si deve permettere di andare oltre la condizione in cui è nato. E chi è figlio di contadini, di operai, chi fa parte della plebe, deve restare in basso, deve restare ignorante, a farsi dominare, figurarsi permettersi di studiare e magari permettersi pure di andare meglio dei figli di papà.