Edward Mani di Forbici è uno dei primi e più famosi film realizzati da Tim Burton. Una storia nel tipico stile di questo regista, con tocchi cupi, dolci e malinconici allo stesso tempo. Una favola moderna, interpretata da un protagonista che sembra venire da un altro tempo, un periodo in contrasto stridente con quello in cui si svolgono le vicende.
Edward è una creazione di un uomo geniale, un inventore di automi, che un giorno decide di realizzare qualcosa di vivo, qualcosa che provi sentimenti ed emozioni; una sorta di Mastro Geppetto che dà forma e vita a un altro Pinocchio. Ma non fa solo questo: lo educa alla cortesia, all’educazione, alla gentilezza. Lo educa alla sensibilità, instillandogli nel proprio animo valori che lo renderanno un cuore puro.
Cuore puro, mani di forbici.
Purtroppo l’inventore, ormai anziano, non riuscirà a compiere la propria opera, morendo proprio il giorno in cui stava per donare a Edward il suo ultimo regalo: mani umane.
A lungo Edward vive solo nel castello sopra la collina, fino a quando non viene trovato per caso da una donna, che, mossa a compassione per la sua solitudine, lo prende a vivere assieme a lei e alla sua famiglia.
Dapprima Edward viene visto come un mostro, un diverso, poi grazie alla sua abilità nell’usare le forbici nel creare magnifiche acconciature per persone e animali e sculture con le siepi, lo rendono un’attrazione al centro dell’attenzione, ammirato, ma non compreso.
E’ quello che succede sempre a un artista, a un cuore puro: troppo grande la distanza con un mondo che non riesce a cogliere la bellezza, che pensa solo a usare e ad apparire. Un mondo possessivo, che con la sua smania di avere è capace solo di rovinare. Un mondo standardizzato, dove le persone più che individui sembrano macchine programmate per seguire lo stesso copione (non è un caso che Burton mostri la cittadina come un agglomerato schematico di abitazioni tutte uguali, dove la mattina le auto partono alla stessa ora per recarsi al lavoro); macchine guidate da un sistema chiuso, che non dà comprensione, che esclude, capace di farsi condizionare da paure e ossessioni, egoismi e invidie, capaci per un non nulla di reagire con violenza, di arrivare a voler uccidere, sobillata da una natura animalesca.
Una storia che si ripete sempre, da secoli; una storia che non si riesce mai a imparare, nonostante siano molti gli esempi. Gesù con i giudei e i farisei, mossi dalla paura dei sommi sacerdoti di veder scomparire il loro potere sulla popolazione; in ugual maniera Bach mostra la stessa scena in Il Gabbiano Jonathan Livingston (“E’ un demonio! E’ il DIAVOLO! E’ venuto a disgregare lo Stormo!” Erano spaventati, da quello cui avevano assistito. E il grido “E’ IL DIAVOLO! IL DIAVOLO!” Passò come una procella in mezzo a loro. Vitrei occhi, affilati i rostri, s’avanzavano, pronti ad uccidere.)
Una storia che parla di odio. Ma l’odio non è tanto una questione di cattiveria, quanto d’ignoranza; un’ignoranza così ottusa da creare un rifiuto sistematico. Incontrare una persona con un pensiero o un modo di vivere differente dalla media, è visto come un male. O come più comunemente veniva detto in passato, come una figura demoniaca, posseduta dal diavolo, rappresentazione di tutte le cose negative esistenti.
La maggioranza delle persone, avendo a che fare con individui diversi dal loro modo d’intendere il vivere, si trova in forte disagio; perciò reputa quelle persone la causa del loro stato d’animo. In realtà tali individui non fanno assolutamente nulla che possa essere ritenuto causa di un qualsivoglia malessere, dato che sono solamente loro stessi; se si vuole trovare il colpevole, basta che le persone che avvertono il disagio si guardino in uno specchio.
La realtà è una sola: gli unici nemici che le persone hanno sono sé stessi e nient’altro, nessun diavolo o avversario le minaccia. Quello che vedono quando provano certe sensazioni è semplicemente specchio di ciò che essi sono e che ancora non riescono, o non vogliono, riconoscere.
E’ incredibile come questo fastidio sia così forte da far desiderare di portare morte e distruzione attorno a sé; ma non è altro che l’ennesimo riflesso di un cattivo rapporto con l’interiorità e la vita. La storia per secoli ha mostrato questo aspetto e nessuno se n’è accorto, lasciando scorrere via questo insegnamento, facendo sì che il copione di chiusura e odio si ripetesse. Questo è demoniaco, non certo confrontarsi con ciò che è diverso, che porta a mutare; ma è proprio quello che molti individui ritengono pericoloso, perché scuote le fondamenta, i credo e ciò per loro è il male.
La verità è che le moltitudini odiano la verità e non fanno altro che cercare di eliminarla in ogni modo possibile.
Una realtà triste, dove c’è solo una gran perdita e la malinconia che rimane nel lasciar andare qualcosa di prezioso e raro.
Così è per i cuori puri, per gli artisti, per i sognatori, per chi riesce a vedere oltre gli strati della realtà e a cogliere la bellezza dell’essenza, che vedono e vivono un mondo diverso da quello conosciuto, un mondo per pochi. E’ per questo che vivono lontano e al di sopra dagli altri, come sta a indicare il castello sopra la collina; e alle volte, se si ha questa fortuna, scendono nel villaggio portando ciò che di prezioso hanno per chi sa coglierlo e apprezzarlo. Visite brevi, perché chi è così non può essere destinato a vivere in mezzo alla massa, con le sue regole e le sue limitazioni; uno spirito libero che torna nel suo rifugio per affacciarsi su altri mondi e dare vita a creazioni meravigliose.
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