Anche oggi la notizia di una persona che si è suicidata perché non riusciva a trovare lavoro: il numero dei morti spinti dalla disperazione di essere disoccupati è in aumento. E mentre queste tragedie si consumano finendo presto nel dimenticatoio, la classe imprenditoriale si preoccupa solamente di poter pagare meno tasse e i lavoratori, pensa solamente a sé senza comprendere che creando ricchezza anche per gli altri avrebbe anche lei da guadagnarci di più.
E’ triste costatare che senza un lavoro, quindi senza soldi, si è preclusi alla vita: questo è il messaggio e la regola che vige in questo sistema. Se non si hanno i soldi non si può creare una famiglia, non si può vivere insieme a qualcuno e avere figli, perché non si sa come mantenerli, non ci sono i mezzi per portare avanti il progetto di vita insieme: è amaro costatare come amore, sentimenti e rapporti dipendano dal denaro. Non è così per tutti, c’è chi si ribella a questo sistema e anche se a fatica e con tanti sacrifici porta avanti questo progetto; ma ci sono tanti rapporti che di fronte alle difficoltà economiche lasciano andare perché non si riesce ad avere una vita spensierata: questo è il frutto della cultura di questo sistema.
Ma la mancanza di denaro non va ad intaccare solo i rapporti di coppia, ma anche quelli sociali: i punti di aggregazione sono pochi e se si vuole avere a che fare con altre persone occorre pagare: palestre, pub, scuole, università (le ultime due non sono solo luoghi d’istruzione e apprendimento, ma anche di socializzazione: i prezzi elevati di tasse d’iscrizione e il costo dei libri limitano l’accesso a chi è in difficoltà).
Anche il lavoro, per quanto ora sia un inferno, è un luogo dove avere contatti sociali (ci si passa la maggior parte delle ore della giornata).
Senza soldi si è privati del rapporto con gli altri, si è isolati. E la natura insegna che una creatura isolata, solitaria, ha meno possibilità di sopravvivere rispetto a chi è in gruppo. Un ramo se staccato da un albero si secca e muore. Così è anche per l’uomo: l’isolamento può portarlo ad ammalarsi e da qui alle volte anche a morire. Sì, perché ci sono tanti modi di morire, non c’è solo la morte del corpo, ma anche quella interiore.
Stessa cosa è per le malattie: sono sia fisiche sia psichiche. E quando una persona è malata si ha a che fare con reazioni poco piacevoli.
Nel vedere una persona che non sta bene, fisicamente, ma anche psicologicamente, s’avverte un muro, un freno verso di lei. Ci si trova a disagio perché non si sa come comportarsi, come muoversi, temendo d’urtare l’altro con una frase o un atteggiamento poco appropriato: si teme d’indisporlo, mancando di rispetto alla sua condizione. Un eccesso di sensibilità e preoccupazione. Ma spesso ci si attacca a simili ragionamenti per celare l’ipocrisia, per nascondere la voglia di non avere a che fare con i lati meno belli della vita.
Chiunque potendo scegliere preferirebbe aver a che fare solo con i lati piacevoli dell’esistenza, è normale; non è normale invece il rifiuto, sintomo d’egoismo, di durezza d’animo, superficialità. Non si vuole avere a che fare con la persona malata per timore che la malattia che l’ha colpita possa a sua volta afferrarla; ciò che si teme davvero è un giorno di trovarsi in una condizione simile ed essere isolato dagli altri, abbandonato.
Il problema non è la malattia fisica o psichica che colpisce l’individuo: il problema è che è la società la malattia. E’ lei con la sua mentalità traviata ed estraniante a creare patologie e scompensi nelle persone.
Gli individui malati, in numero sempre crescente, sono spia d’allarme di qualcosa di sbagliato nella società. Ossessioni, depressioni, schizofrenie, atteggiamenti di chiusura che portano a pensare che queste persone sono dei disadattati perché non riescono a vivere all’interno della società. Si è davvero sicuri che la società sia sana e normale? Un segnale molto forte arriva dalle persone affette da Hikikomori: un ritirarsi all’interno di se stessi (stanza interiore) chiudendo le porte a ciò che è all’esterno, ritenuto minaccia e pericolo.
Uno dei tanti segnali che va ascoltato.
Il quadro che ci circonda non è confortante. Quando le cose vanno male, da sempre l’uomo alza gli occhi al cielo e desidera avere le ali per volare in alto.
Un desiderio di fuga?
Forse.
Ma anche la volontà di ricercare qualcosa di più elevato nella vita: i valori che rendono importante l’esistenza.
Già, e quando non hai nè lavoro nè soldi ma la bellezza di 55 anni di vita alle spalle la situazione è ancora più tragica.
Mia madre ad esempio è genitore single, disoccupata, senza nessun aiuto dalle istituzioni.
Ovviamente, si è ammalata sia fisicamente che psicologicamente e con questo abbiamo fatto l’en plein.
Ma si lotta, si va avanti. Non c’è scelta. Per aiutarla l’ho quasi costretta a uscire la sera, a vivere la vita nonostante tutto. E’ dura, durissima. Per tutte e due. Ma ne vale la pena.
Purtroppo se non sei utile ed efficente in questo sistema sei fuori, messo da parte. Ma il valore di un individuo non è questo, è molto di più: ogni individuo è un mondo di storie ed esperienze da trasmettere e arricchire gli altri, come ha detto Val nella sua storia.
Dall’alto non c’è da aspettarsi nulla, per questo occorre che dal basso ci si dia una mano l’un l’altro: è l’unico modo per essere vivi e vivere veramente la vita, comprendere il suo significato e riscoprire valori messi in secondo piano.
Coraggio!