“Robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non ci possiamo permettere.” Così ha esordito Tremonti. Poche ore dopo, il portavoce Bravi s’è affrettato a precisare che per il ministro dell’economia “la sicurezza del lavoro è essenziale”
Le solite frasi di circostanza per cancellare parole che esprimono il pensiero di esponenti di spicco che sono al governo, per nascondere ciò che realmente è la linea guida della classe dirigente. Ormai la gente si è abituata a questo genere di cose, non ci fa più caso, ne è assuefatta e lascia correre. C’è da fermarsi e riflettere. Tutto questo non va assolutamamente bene, è totalmente sbagliato: a furia di lasciar andare, di permettere al lassismo e al disinteresse di prendere piede, si è finiti in un baratro che trascina sempre più in basso.
Robe: così è stata definita la 626, la legge che tutela la sicurezza sul lavoro e salvaguarda la vita di chi lavora. Questo termine dimostra disprezzo per la dignità dei lavoratori ed è la dimostrazione del valore che si dà alla vita umana. I lavoratori sono considerati oggetti da utilizzare e buttare via quando non sono più utili: carne da macello, ecco come sono ritenuti.
La vita umana, la dignità non hanno più valore: è questo il messaggio che passa. Ormai la morte ha talmente saturato la vita che non ci si fa più caso, la si tratta con indifferenza. Nei piccoli paesi dove le generazioni dei nostri genitori sono cresciute, la morte di una persona era un evento, un fattore che sconvolgeva, interessava tutta la comunità; ora è quotidianità, come andare al lavoro e fare la spesa. Non meraviglia, non tocca più.
Ma non si può morire per lavorare. Fatti di cronaca come questo non devono più succedere: è uno dei tanti, ma non deve più essere considerato solo un numero che va a sommarsi all’ammontare delle morti bianche. Ogni persona è importante, ogni morte lo è, non deve più essere solo un cumulo di numeri dati nei notiziari o sui giornali.
Siamo alla tragedia nazionale dove si muore per colpa del lavoro. Questo succede in un paese la cui forza è fondata proprio sul lavoro. Con il lavoro si crea ricchezza, ma, nello stesso tempo, uno rischia di morire ammazzato. E chi muore è sempre il lavoratore che mette a repentaglio la sua vita per sopravvivere. I diritti conquistati dai nostri padri sono stati perduti e calpestati. Anni di sacrifici, ma non è cambiato nulla d’allora, anzi è peggiorata la condizione operaia con le morti bianche.
Le promesse della politica che le morti bianche cessino e la falsa indignazione della classe dirigente sono solamente atteggiamenti retorici che durano un battito di ciglia. Il giorno dopo la scomparsa di un lavoratore non pensano più alle morti bianche, ma le persone continuano ad andare a lavorare con il pensiero che ogni momento potrebbe essere l’ultimo.
Il mondo del lavoro è un teatro di guerra altamente disumanizzato, con le persone ridotte a utensili, esistenze cosificate costrette a rincorrere la speranza di sopravvivere, anche quando in fondo a quella speranza c’è il concreto rischio di trovare la morte. Una guerra senza regole, senza senso e senza futuro, combattuta nel nome della produttività e della competizione sfrenata, dove tutti i soldati sono irrimediabilmente destinati a perdere, mentre a vincere sono soltanto i pochi burattinai che attraverso questa guerra costruiscono immensi profitti. E poco importa a loro se si tratta di profitti realizzati attraverso l’alienazione della vita umana.
E’ ora di dire basta.
Non si può morire per lavorare.
La vita e la dignità umana e personale devono tornare in primo piano ed essere tutelate a ogni costo, impedendo a chiunque di offenderle e toccarle.
[…] salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma prima di andare a commentare ci sono da ricordare le parole di Tremonti, secondo il quale la sicurezza sul posto di lavoro è un lusso che non ci si può permettere. […]
[…] tutela e si prende cura di lui, ma che è capace solo di fare spot pubblicitari (vedi quello sulla sicurezza del lavoro.). Un governo che afferma che bisogna risparmiare sulla cultura, che fa andare in pezzi il proprio […]