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L'attacco dei giganti

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L’ultima stagione della serie anime di L’attacco dei giganti sta per giungere al termine, mentre il manga si è concluso diversi mesi fa; non ci sono praticamente differenze tra la versione cartacea e quella su schermo, quindi, che giudizio dare sulla storia ideata da Hajime Isayama?
Innanzitutto, occorre fare una piccola premessa: una parte del successo di L’attacco dei giganti va accreditato alla serie anime perché ha saputo conquistare il pubblico e portarlo poi a leggere il manga. Questa non è una novità: molti manga hanno visto incrementare le loro vendite dopo che è stata realizzata la versione animata, soprattutto se su di esse è stato fatto un certo investimento. Com’è avvenuto con L’attacco dei giganti: il comportato grafico è di livello alto e così pure la colonna sonora, facendo risaltare ancora di più la regia e la sceneggiatura. Anzi, per quanto riguarda i disegni dei personaggi si può tranquillamente dire che hanno portato un netto miglioramento rispetto al manga, dato che in alcuni casi il tratto di Isayama non è proprio eccelso, visto che succede di far fatica a riconoscere dei personaggi e alle volte non si capisce se si è davanti a un personaggio di sesso maschile o femminile.
Seppure la serie animata abbia aiutato nell’aumentare il successo di L’attacco dei giganti, non ha evitato tuttavia critiche riservate a un finale che a tanti fan non è piaciuto e che è stato contestato non poco, dopo aver ricevuto grandi elogi per un inizio che è stato subito di grande impatto. Ma andiamo con ordine.
Siamo in un mondo post apocalittico e quel che rimane dell’umanità si è rifugiato all’interno di una grande città circondata da tre cinte di mura concentriche, il Wall Maria, il Wall Rose e il Wall Sina. Nessuno sa cosa sia successo, ma pare che gli abitanti della città siano gli unici sopravvissuti e che il resto del mondo sia abitato da giganti divoratori di uomini; a proteggerli ci sono tre ordini militari: il corpo di Guarnigione si occupa delle mura, quello di Gendarmeria dell’ordine cittadino, mentre l’Armata Ricognitiva si avventura fuori dalle mura per scoprire come sconfiggere definitivamente i giganti. Caratteristica comune a tutti e tre i corpi è l’attrezzatura per effettuare il Movimento Tridimensionale, che permette ai soldati di librarsi in aria con funi e gas ad alta pressione, permettendo così di affrontare i giganti ed eliminarli, dato che l’unico modo per ucciderli è praticare un taglio profondo alla base della nuca; ogni corpo ha un suo simbolo (quello dell’Armata Ricognitiva sono delle ali, dettaglio non da poco visto quello che accadrà nel finale).
La vicenda comincia a essere narrata ponendo l’attenzione su tre bambini, l’irruento Eren, il tranquillo Armin e la forte Mikasa, sempre al seguito di Eren, che si rivela essere il leader del trio; lui, come Armin, ha il sogno di vedere quel mondo oltre le mura di cui tanto si parla nei libri che leggono. La loro pacifica esistenza viene sconvolta quando un giorno fa la sua comparsa il Gigante Colossale, un gigante alto più delle mura, che con un calcio sfonda le porte d’ingresso del Wall Maria. I soldati cercano di chiudere la breccia e arrestare i giganti che si stanno riversando all’interno della città, quando un altro gigante anomalo, il Gigante Corazzato, irrompe dentro le mura: un terzo della città è perduta e i superstiti trovano rifugio all’interno della seconda cinta di mura, il Wall Rose. Eren riesce a salvarsi, mentre la madre viene divorata da un gigante davanti ai suoi occhi; in lui si genera un odio più grande della paura e giura di sterminare tutti i giganti. Rimasto solo con Armin e Mikasa, che viveva con la famiglia di Eren dopo essere stata adottata essendo orfana, entrerà nell’esercito, deciso a far parete dell’Armata Ricognitiva.
La copertina del volume 22 di L'attacco dei giganti ben rappresenta il finale della terza stagione animeL’addestramento trascorre senza grossi intoppi ed Eren trova una nuova famiglia nei suoi compagni finché, qualche anno dopo il suo ingresso nell’esercito, la città viene di nuovo attaccata dai giganti. (attenzione, da questo punto in poi SPOILER). Eren vede compagni morire accanto a sé, ma riesce a salvare Armin prima di essere divorato da un gigante, tuttavia, non muore, visto che le ferite riportate risvegliano il potere che era celato in lui e si trasforma in un gigante (il Gigante d’Attacco), divenendo così l’elemento decisivo per ribaltare le sorti di una battaglia che appariva disperata. La sua trasformazione permette di avere una rivelazione che lo spettatore già intuiva: i giganti sono uomini. La verità è molto più complessa di così, ma sarà il punto che darà il via a molte altre scoperte. La prima è che c’è qualcuno che non vuole che si scopra come stanno davvero le cose; la seconda, visto che Eren può trasformarsi in gigante, significa che anche il Gigante Colossale e quello Corazzato sono uomini con la stessa capacità e che possono essere tra di loro, all’interno della città. Loro però non sono gli unici due giganti anomali con cui avere a che fare: durante una missione dell’Armata Ricognitiva compare un gigante dalle fattezze femminili che comincia a dare la caccia a Eren.
Ben presto si verrà a scoprire che i tre giganti anomali si sono infiltrati nell’esercito e che sono tre di quei compagni con cui Eren aveva stretto rapporti di amicizia. Non solo: si scoprirà che murati nelle mura difensive, ci sono dei giganti. Come il Culto delle Mura già sa, il corpo di Ricerca scoprirà che quelli all’interno delle mura non sono gli unici esseri umani rimasti, ma che ce ne sono altri, ed è da oltre oceano che provengono. Infatti, gli abitanti della città sono di razza eldiana e discendono da Ymir Fritz, colei che ottenne il potere dei giganti e che dopo la sua morte fu diviso in nove giganti. Eldiani che sono fuggiti dalla nazione di Marley, da cui erano perseguitati per le guerre causate, per vivere in pace; è da lì che proviene il padre di Eren e che prima di morire ha trasmesso al figlio non solo il potere del Gigante d’Attacco, ma anche la Coordinata (un potere che connette tutti i giganti e che permette di comandarli), rubata alla famiglia reale Reiss, che governava la città e che aveva cancellato tutti i ricordi ai suoi abitanti perché non si venisse a sapere la verità.
Eren, sconvolto dalle rivelazioni, costretto a gestire un potere e una conoscenza più grandi di lui, decide di prendere una decisione drastica e si reca a Marley, infiltrandosi come reduce, per studiare il nemico: lì capisce che l’odio è troppo radicato da entrambe le parti e che esiste un’unica soluzione per far finire un conflitto che dura da anni, ovvero risvegliare i giganti delle mura e scatenare il Boato. Pochi nel finale apocalittico si salveranno e lui stesso perderà la vita per mano di quelli che sono stati i suoi amici.
Questa è a grandi linee la trama condensata di L’attacco dei giganti: diversi eventi non sono stati menzionati, un po’ per non rivelare troppo e rovinare la visione o la lettura, un po’ perché sarebbe risultato complesso e dilungante raccontare tutto. Arrivati a questo punto, è ora di dare un giudizio.
La parte migliore è sicuramente quella iniziale, quella vista nella prima stagione della serie anime e che è raccontata nei primi otto volumi del manga. Il non sapere nulla dei nemici, il senso di paura e impotenza, l’ignoto e il mistero che regnano su tutta la vicenda, il voler sopravvivere per trovare qualcosa che è più della vita che si vive: sono gli elementi che rendono la storia avvincente, una vera bomba. Ci sono scene e momenti drammatici che non si dimenticano (come quando Eren decide di fidarsi dei compagni destinati a proteggerlo e li lascia affrontare il Gigante Femmina, solo per vederli fatti a pezzi uno a uno e così perdere il controllo e trasformarsi in gigante; oppure quando l’Armata, per avere salvare la vita, deve lanciare i corpi dei compagni caduti contro i giganti per rallentare la loro avanzata). Anche la seconda stagione, che copre l’arco narrativo dei volumi del manga dalla fine dell’otto al dodici, è intensa e coinvolgente (non ci si può dimenticare dello scontro tra il Gigante Corazzato e quello d’Attacco); lo stesso si potrebbe dire della terza (gli scontri tra gigante Colossale, Corazzato e d’Attacco e tra Levi e il Gigante Bestia sono tanta roba), se non fosse che ci sono dei cali di ritmo dovuti al colpo di stato che fa cadere il falso re della città e della parte che riguarda Rod Reiss e la famiglia reale.
Con la quarta stagione, che è stata divisa in due parti (e che corrisponde nel manga dal volume 23 al 34), ci si avvia alla parte conclusiva della storia e, spiace ammetterlo, comincia ad avvertirsi un calo: la storia non ha più la stessa forza che possedeva all’inizio. Sono trascorsi quattro anni dalle vicende narrate nella terza (il salto temporale è abbastanza lungo e spiazza un poco) e vedere personaggi e ambientazione diversi da quelli finora conosciuti disorienta, oltre a rompere il ritmo che fino a quel punto è stato creato. La ricomparsa di un Eren più grande non risolleva del tutto la storia; certo la guerra che scatena non può non colpire, ma il cambiamento che in lui c’è stato rompe quella sintonia con la storia che si era creata. Prima avevamo un Eren sì rabbioso, voglioso di vendicarsi, ma capace ancora di provare speranza, di voglia di andare avanti; ora si ha un Eren cupo, freddo, distaccato, calcolatore, che tratta male i suoi amici e alleati. Come se fossero semplici pedine per raggiungere il suo obiettivo. Probabilmente è stata questa scelta dell’autore a far perdere punti alla storia. Ma non è stata una scelta sbagliata: può piacere o non piacere, ma ha un senso. Eren a un certo punto ha capito che non può esserci la pace se non pagando un prezzo altissimo, non solo a livello di vite umane ma anche a livello personale: decide così di divenire il nemico che occorre sconfiggere, così che tutti, anche quelli che erano nemici, si uniscano per fare fronte comune contro di lui. Quella di Isayama non è una scelta nuova, la si è già vista con Alan Moore in quella grande opera che è Watchmen; per chi volesse approfondire ulteriormente il finale, suggerisco la visione del video di Mortebianca:

Anche se alla fine ci sarà pace (ma non sarà eterna), sarà un finale amaro. Eren fa quello che fa non per l’umanità, ma per i suoi amici, per dar loro un futuro, anche se lui non potrà farne parte, dovendo rinunciare a tutto, pure all’amore; solo alla fine viene capito da loro, dopo essersi costretto a trattarli male e a rendersi odiabile perché solo in questo modo potevano lottare contro di lui e fermarlo. C’è però anche dell’altro: Eren, che ha sempre lottato per la libertà, con il potere di cui è in possesso non è più libero, cosa che non sopporta. Pertanto, decide di farla finita, ma da solo non può farcela: devono essere altri a liberarlo. E vuole che siano i suoi amici a farlo.
Un finale che ci si aspettava (anche se, come dice Armin nelle due pagine finali del volume 34, nella parte intitolata L’attacco dei ranghi scolastici, si sperava che le aspettative fossero tradite in senso buono), perché L’attacco dei giganti è una storia che parla di guerra e la guerra non porta mai nulla di buono, solo perdite e sofferenza. Se si vuole, questa è la morale che Isayama ha voluto lasciare con la sua opera: una critica spietata alla guerra, che non risparmia nessuno, dove non ci sono eroi, non possono esserci, dove ognuno cerca di salvare quello cui tiene di più. Eren, benché protagonista, non è certo un eroe, e a un certo punto diventa un mostro, ma chi è che ha creato questo mostro? I marleani si sono ritenuti superiori e migliori degli eldiani, ma con la loro repressione, con il loro recluderli in ghetti (ricorda molto gli ebrei ai tempi dei nazisti), farli sentire dei mostri, non hanno poi dato il via ad avere davvero a che fare con dei mostri? E poi gli adulti che sfruttano i bambini per i loro fini, che li trascinano in una lotta spietata che fa perdere ogni innocenza, non sono anch’essi dei mostri?
Isayama alla fine della sua opera ha mostrato che in guerra non ci sono innocenti, che tutti hanno le mani sporche di sangue, nessuno escluso: una volta coinvolti, tutti debbono fare cose che non gli piacciono, che vanno contro la loro morale, i loro ideali. Anche se più difficile, anche se più fragile, la diplomazia è l’unica strada che può portare a un certo equilibrio, perché se si segue la strada della guerra, non si farà che creare un vortice d’odio che porterà sempre a percorrere lo stesso percorso; quindi sbaglia Eren, sbaglia il suo fratellastro Zeke, hanno sbagliato Reiner, Annie e Berthold, ma dare tutta la colpa a loro sarebbe un errore, perché non sono altro che gli ultimi anelli di una catena che si è allungata nella storia forgiata dal maglio e dal fuoco di odi, incomprensioni e sopraffazioni.
Certo si sarebbe preferito un finale come quello voluto da Emma in The Promised Neverland, ma probabilmente, visto come si è evoluta la storia nel mondo di Isayama, non sarebbe stato possibile, perché troppa era la sofferenza vissuta (fine SPOILER).
Per chi non ha mai visto o letto L’attacco dei giganti, allora, questa storia è consigliabile?
Sì, la visione o la lettura (o entrambe le cose) è consigliata: anche se non perfetta, anche se ci sono dei punti che possono aver deluso o insoddisfatto, la storia ideata di Isayama colpisce, non lascia di certo indifferenti. Se non ci si vuole impegnare completamente (quattro stagioni televisive, 34 volumi manga), ma si vuole comunque darle una possibilità, si guardi la prima stagione, che è qualcosa di sbalorditivo: ottima caratterizzazione dei personaggi, regia ben diretta, ritmo serrato senza mai cali di tensione, grafica e musiche spettacolari. Non riuscisse a far presa, allora è meglio lasciar perdere questa serie; ma se ci riesce, si prosegua e non ce ne si pentirà (personalmente, il finale che avrei preferito sarebbe stato qualcosa di simile a quanto visto nel finale della terza stagione, anche se, come ho già spiegato, quello scelto dall’autore ha un senso e dà da riflettere).

P.s.: nel caso capitasse, evitare di vedere il live action su L’attacco dei giganti: non ha nulla a che vedere con la storia ideata da Isayama. Ed è anche qualcosa che non ha molto senso, per non dire di peggio.

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