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Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso

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Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso.

E’ quanto si sta assistendo in questi giorni nel triste orizzonte politico italiano. Gli scandali occorsi in Lazio (dove i consiglieri spendevano i soldi della regione per comprare Suv, Smart, organizzare feste e party in maschera da 20000 euro, acquistare libri e ceste pasquali per migliaia di euro, oltre a buoni benzina, cene) e Campania non sono l’eccezione di un sistema giusto ed equo, ma la normalità di un sistema corrotto e sprezzante e ormai dilagante. Un sistema che ha basato tutto sull’Economia, che ha fatto del Denaro l’unico dio, l’unico valore che conta, senza avere nessun ritegno di democrazia, rispetto: è diventato un culto dell’Ego, dove l’egocentrismo e l’egoismo imperano, divenendo esempio da seguire per la massa, dato che passa il messaggio che questo è ciò che conta, è con questo che si va avanti e si ottengono risultati.
Tutti a scandalizzarsi dei politici, dei consiglieri colpevoli di tali crimini, ma si dovrebbe vergognare anche chi li ha votati, chi li ha voluti come guida. Perché se il crimine nato da un comportamento sbagliato di alcuni è grave, è ancora più grave che questi individui siano specchio della parte della popolazione che li ha scelti, che li ha votati perché in essi si è riconosciuta, li ha sentiti come propri simili. Una verità dura da accettare, ma la verità è che molti sono ormai abituati al sotterfugio, al compromesso, alle raccomandazioni, allo scambio di favori, ad abbassarsi a qualsiasi cosa per ottenere quello che vogliono, a svendersi, a sfruttare; la legge dell’ignoranza (io non lo sapevo) e quella del tanto fanno tutti così (se la maggioranza ha un pensiero o prende certe decisioni non è affatto scontato che abbia ragione) non sono leggi né valide né accettabili. L’unica accettazione possibile è che queste persone sono responsabili di un mondo ingiusto che sta implodendo portando tutti alla rovina (alcuni sintomi sono il crollo dei consumi, il crollo delle retribuzioni, solo per citarne qualcheduno). E se ci sono persone che arrivano a gesti estremi di violenza (verso sé o verso gli altri) è che perché sono state così esasperate, ridotte in condizioni così aberranti da far scaturire reazioni eclatanti: vedere il caso della Foxconn, la ditta produttrice degli Iphone, dove ci sono stati scontri tra duemila lavoratori per le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Condizioni che hanno portato la tensione al massimo: non c’è da meravigliarsi a vivere da reclusi come in una prigione, sotto un regime militare, dove per regolamento è vietato fare qualsiasi cosa (tranne il lavorare, dove si devono subire carichi e orari di lavoro esorbitanti), anche il suicidio. Di fronte a questo, si dovrebbe pensare che oggetti che vengono usati quotidianamente sono costruiti con il sangue e la disperazione di propri simili; soprattutto si dovrebbe pensare che in una società civile ci dovrebbero essere altri modi per realizzare le cose.
Ma questa non è una società civile, è una società barbara, come quelle studiate e criticate dalla storia che usavano la forza per imporre il proprio dominio. E’ questo con cui abbiamo a che fare: una società barbara. Invece di armature di bronzo o ferro si hanno giacche e cravatte, invece di spade e lance si hanno contratti e avvocati, ma la storia è sempre la stessa: la legge del più forte. Non c’è pietà, misericordia, comprensione, sostegno.
Solo che a tirar troppo la corda, scatta il senso di rivalsa e le conseguenze sono sempre devastanti, spesso totali. Per questo è illuminante, soprattutto incarnazione di questo senso di reazione che vuol pagare con la stessa moneta, l’agire all’interno di Venti di Morte che colpisce l’Impero Letheri, specchio nel mondo fantastico creato da Steven Erikson del mondo reale con i suoi indebitati e il credo nel potere del denaro (per chi non volesse spoiler consiglio di fermare la lettura a questo punto).

Lei lo studiò con uno sguardo così penetrante da metterlo a disagio. «Sai, Tehol Beddict, mai avrei pensato a te come a un agente del male».
Tehol si lisciò i capelli e gonfiò il petto.
«Davvero impressionante ma non sono convinta. Perché fai tutto questo? C’è forse una ferita del passato che soverchia tutte le altre? Un irrefrenabile bisogno di vendetta per sanare un qualche terribile trauma? Sul serio, sono davvero curiosa».
«È stata un’idea di Bugg, naturalmente».
Lei scosse la testa. «Riprovaci».
«Esistono molti tipi di male, Janath».
«Sì, ma il tuo porterà allo spargimento di sangue. Di fiumi di sangue».
«C’è forse differenza tra spargere il sangue e farlo gocciolare lentamente, in modo straziante, nel corso di una vita di tensione, miseria, angoscia e disperazione, nel nome di qualche dio amorfo che nessuno osa definire santo? Anche mentre si inginocchia e ripete la litania del sacro dovere?».
«Oh, per l’Errante», mormorò Janath. «Be’, questa sì che è una domanda interessante. C’è differenza? Forse no, forse è solo una questione di intensità. Ma questo non ti pone certo su un elevato piano morale, giusto?».
«Non ho mai parlato di elevato piano morale», precisò Tehol, «cosa che, tuttavia, mi distingue dal mio nemico».
«Sì, capisco. E naturalmente sei deciso a distruggere quel nemico con le sue stesse armi, usando le sue stesse sacre scritture; usandole, in poche parole, perché uccida se stesso. Tu sei in fondo al pendio su cui è appollaiato il tuo nemico. Sai, che tu sia diabolico non mi sorprende, Tehol. L’avevo notato molti anni fa. Tuttavia, perché questa sete di sangue? Continuo a non capire».

Che tu sia, o meno, il più ricco cittadino, Tehol Beddict, il tuo obiettivo non è l’ostentazione di tale ricchezza, né lo sfruttamento del potere che ti garantisce. No, tu miri al crollo della struttura economica di questo impero. E ancora non riesco ad afferrarne il motivo».
Tehol si strinse nelle spalle. «Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso, Janath. Sei d’accordo?».
«Sì. Quindi, mi stai dicendo che tutto questo è un esercizio di potere? Un esercizio che culminerà in una lezione che nessuno potrà fare a meno di riconoscere per quello che è? Una metafora trasformata in realtà?».
«Ma Janath, quando parlavo del potere che distrugge se stesso, non parlavo in termini di metafora. Lo intendevo realmente. Allora, quante generazioni di Indebitati devono soffrire, proprio mentre i simboli esteriori di ricchezza si moltiplicano e abbondano ovunque, con una proporzione sempre crescente di quelle stravaganze materiali al di fuori della loro portata economica? Quante, prima che tutti quanti ci fermiamo e diciamo: “Alt! Adesso basta! Basta sofferenza, per favore! Basta con la fame, la guerra, le ingiustizie!”. Be’, per quanto mi è dato di capire, non ci saranno mai generazioni a sufficienza. Non facciamo che grattare e raspare, divorando tutto quello che troviamo a portata di mano, inclusi quelli come noi, come se tutto ciò non fosse niente più che un’innegabile espressione di una qualche legge naturale, e come tale non fosse soggetta né a un contesto morale né a una restrizione etica».
«C’è troppo sentimento nel tuo discorso, Tehol Beddict. Ti toglierò dei punti».
«Ti rifugi nello sterile umorismo, Janath?».
«Colpita. Va bene, comincio a capire le tue motivazioni. Provocherai caos e morte per il bene di tutti».
«Se fossi uno che si autocommisera, adesso potrei lamentarmi perché nessuno mi ringrazierà».
«Allora accetti la responsabilità per le conseguenze del tuo piano».
«Qualcuno deve pur farlo».
Lei restò in silenzio per una dozzina di battiti di cuore e Tehol vide i suoi occhi perlati, deliziosi, spalancarsi lentamente. «Tu sei la metafora trasformata in realtà».
Tehol sorrise. «Non ti piaccio? Ma non ha senso! Come posso non essere piacevole? Forse addirittura ammirevole? Sono diventato la personificazione del trionfante desiderio di acquisire, la vera icona di questo grande dio privo di nome! E se non faccio niente con tutta la mia vasta ricchezza, be’, me ne sono guadagnato il diritto. Stando a ogni norma citata nella litania sacra, me ne sono guadagnato il diritto!».
«Ma allora dove sta la virtù nel distruggere tutta quella ricchezza? Nel distruggere innanzitutto il sistema che hai sfruttato per crearla?».
«Janath, dove sta la virtù nel sistema? Il possesso è una virtù? Lavorare tutta la vita per qualche ricco bastardo è una virtù? Una leale attività nella casa di un mercante è una virtù? Ma leale a che cosa? A chi? Oh, e qualcuno ha forse pagato un centinaio di dock alla settimana per quella lealtà? Come per qualsiasi altra merce? Ma poi, quale versione è più vera: la virtù dell’egoistico desiderio di acquisire o la virtù della lealtà al proprio datore di lavoro? I mercanti appollaiati sulle loro ricchezze non sono spietati e crudeli come si addice a quei privilegi che hanno presumibilmente guadagnato? E se è giusto per loro, perché non lo è per il servo più umile della loro casa? Dov’è la virtù in due insiemi di norme in disaccordo l’una con l’altra, e perché parole stravaganti come “morale” ed “etico” sono le prime a essere pronunciate dalla bocca di coloro che hanno perso di vista entrambe nella loro scalata verso la vetta? Da quando l’etica e la morale sono diventate armi di sottomissione?».

Venti di Morte – Parte Seconda, pag. 276-278. Steven Erikson

4 comments to Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso

  • Il problema è che molti “indebitati” in questo momento stanno facendo le file davanti ai negozi Apple. Un tempo pensavo anch’io che questo potere distruggerà se stesso, oggi comincio ad avere paura che questo potere invece risorgerà sempre, si autoalimenterà all’infinito e sarà lui a distruggere tutto il resto.

    • Sì, distruggerà tutta e alla fine non rimarrà più nulla: in questo modo però cesserà anche lui di esistere, perché senza gli uomini non può esistere, visto che sono loro a dargli energia, sostentamento.

  • Ok, sperando che un depresso non ci legga, leggendo il tuo commento mi parte la chiosa… Mi hai riportato alla memoria il Dialogo di un folletto e di uno gnomo, contenuto nelle “Operette morali” di Leopardi e me lo sono riletto. Attraverso questo dialogo scopriamo che gli esseri umani sono tutti morti, tutti spariti dalla terra (che, per stare a “Matrix”, sarebbe quindi guarita dal tumore e dalle metastasi – noi – che la stavano corrodendo) proprio per i motivi esposti nel tuo post (wow, non so se mi spiego), ossia si sono autodistrutti, e be’, questo mondo come si presenta appunto nel day after non è affatto male. Come dice il Folletto: “Ora che ei [gli umani] sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non son stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie”.
    Della serie: #vanitàdeltutto

    • Come dice l’agente Smith, “ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus.”
      Ormai è da tempo che si riflette su questa parte distruttiva dell’uomo, si è vista la realtà e non si è ancora imparato nulla da questa lezione.

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