Dune di David Lynch l’avevo visto da piccolo e lo ricordavo abbastanza positivamente; certo, c’erano dei momenti di stanca, ma nel complesso il giudizio era buono. Ho voluto rivederlo di recente e tale giudizio non è più buono, non tanto perché ho fatto il confronto con il Dune di Villeneuve (con più di trent’anni di differenza è normale che gli effetti speciali siano migliori), ma perché conosco il romanzo e Lynch si è preso delle licenze che non ho propriamente apprezzato: la prima che mi viene in mente è l’immettere il Modulo Estraniante, l’arma segreta degli Atreides su cui contano per combattere la trappola degli Harkonnen in cui sanno di star per cadere. Non solo tale arma non esiste nel romanzo, ma travisa il motivo per cui il Duca Leto va su Dune: ricercare la forza dei Fremen.
Altra cosa che non ho apprezzato è come sono stati usati personaggi come Duncan (figura molto importante per Paul) che fa una breve apparizione e muore come un qualsiasi altro soldato mentre la sua fine è molto più epica e drammatica (in questo è stato bravo Jason Momoa nel film di Villeneuve); come il dottor Kynes (Max von Sydow, per il poco tempo che appare, è davvero sprecato in questo film), come Chani (altra figura importante per Paul, qui mostrata come semplice ragazza perdutamente innamorata del protagonista) o come Thufir Hawat (figura complessa che Lynch purtroppo usa male e fa uscire malamente di scena).
Rappresentare il romanzo di Herbert non è facile, vista la grandezza e la complessità dell’opera, e bene ha fatto Villeneuve a dividerlo in due parti per cercare di mostrare il più possibile; Lynch in poco più di due ore e quindici minuti cerca di mettere tutto e per farlo deve comprimere, tagliare e inevitabilmente tralasciare qualcosa, su tutto il messaggio ecologista del libro, il mostrare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente creatosi tra il pianeta Dune e i Fremen, che Paul col tempo arriva a conoscere. Degli studi e del lavoro del dottor Kynes (cercare di trasformare il pianeta desertico di Dune in un mondo verde) non c’è traccia: tutto si concentra su Paul, alla fine mostrato praticamente come un dio, capace di far piovere su Dune (cosa non vera, perché non sono i suoi poteri a far arrivare la pioggia, ma tutto il lavoro che è stato fatto portando avanti gli studi di Kynes).
Purtroppo, conoscendo la storia, il Dune di Lynch è qualcosa di frettoloso e pure raffazzonato (in una scena finale, prima dello scontro tra Paul e Feyd-Rautha (interpretato da Sting), si vede Chani con due bambini gemelli, i figli che ha avuto con Paul: la cosa è sbagliata perché uno, il bambino che ha avuto con Paul nel romanzo Dune è stato ucciso durante un attacco nemico, e due perché i gemelli (un maschio e una femmina) li avrà in Messia di Dune, morendo subito dopo il parto; forse non è tutta colpa sua, forse sono stati fatti troppi tagli, andando a inficiare la qualità della pellicola, ma il giudizio che viene dato dopo averlo rivisto è negativo, da cui si salvano i vermi delle sabbie di Carlo Rambaldi e la fotografia di Freddie Francis (la rappresentazione degli scudi è meglio però lasciarla perdere).
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