Nel post Zombi si è parlato di cosa rappresentano queste creature, della simbologia di cui sono portatori: un sistema inglobante e appiattente, dove è imperante non pensare, dove non è l’individuo a osservare e valutare personalmente, ma il pensiero è immposto dall’esterno, da una forza più “alta”.
Ottimo esempio di ciò è 1984 di George Orwell.
L’unica forma di pensiero è un pensiero che impone che la mente si adatti senza resistenze alla realtà definita dal partito e cancelli ogni dato divergente ed ogni forma di obiezione; “la menzogna diventa verità e passa alla storia”, “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”: ecco alcuni esempi della propaganda inculcata dalla forza politica narrata nel libro.
Così è anche per la lingua, un linguaggio in cui tutte le parole hanno un’unica accezione riducendone il significato ai concetti più elementari, per rendere impossibile concepire un pensiero critico individuale. Si censura l’utilizzo di molte parole, raggruppando quelle sgradite nell’unico termine “psicoreato”: in questo modo si toglie la possibilità di formulare pensieri, di creare concetti che giudicherebbero l’operato del partito. Non è solo il divieto di esprimersi, ma spinge a vietare anche di pensare diversamente dai dettami del governo totalitario sotto il Grande Fratello. Un abbassare il linguaggio che comporta l’abbassamento dell’intelligenza e della comprensione umana; un linguaggio impoverito, come lo è il livello culturale ed etico di un popolo quando lo adotta. Un popolo senza volontà, dove gli uomini si adeguano cancellando la memoria dei fatti indesiderati. Esattamente come gli zombi, che non hanno alcuna memoria di sè o del mondo: sono solo un mezzo di rovina e morte.
Così fanno i regimi, così fanno i governi totalitari. Così succede adesso in Italia, dove giornali, televisioni inculcano un pensiero conformizzante, dove tutti devono pensarla alla stessa maniera, pena avere reazioni e giudizi violenti, dove la verità deve essere cancellata in nome del potere.
O ci si conformizza o si viene eliminati: non ci sono alternative.
E’ successo nel regime nazista dove o ci si lasciava trascinare dalla psicolsi collettiva o se si faceva diversamente si veniva perseguitati e uccisi. E quando un singolo s’oppone a una moltitudine il risultato appare uno solo.
Si può combattere, certo, ma è un combattere cercando di mettersi in fuga, un resistere aspettando l’occasione migliore per colpire. Ma senza il supporto, l’aiuto di una forza più grande non si può vincere un nemico soverchiante.
Raggiunsero l’incrocio della strada; sollevati, videro che i mostri non li stavano inseguendo.
Smisero di correre, mantenendo un passo affrettato attraverso l’intreccio di strade secondarie, arrivando in un piccolo parco,una pozza verde in un paesaggio fatto grigio e marrone. Con cautela si diressero verso la fontanella nel mezzo degli alberi.
«Non muovetevi.» Disse Periin appostato di guardia mentre i compagni si dissetavano. «Forse non ci hanno ancora visto.» Indicò i morti viventi che cominciavano ad affluire dalle strade vicine.
«Ma prima o poi lo faranno.» Gli fece notare Lerida.
Periin non staccò gli occhi dalle figure che s’avvicinavano. «Spostiamoci lentamente, utilizzando la copertura degli alberi.»
S’allontanarono dalla piazzetta, immettendosi in una stradina che ripiegava a nord, arrivando in un quartiere formato da due schiere d’abitazioni alte tre piani.
«Muoviamoci. Non dobbiamo farci trovare qua: non ci sono vie di fuga.» Li esortò Periin.
Fu a causa del curvare della strada che s’accorsero del pericolo solo quando gli furono praticamente addosso.
«Maledizione.» Lerida sbiancò di colpo.
Decine e decine di non più viventi sbarravano il passo trascinando le gambe, le braccia penzoloni e lo sguardo perso nel vuoto. Nell’istante in cui i tre fecero comparsa, presero ad avanzare verso di loro con passo da sonnambulo.
«Torniamo indietro e facciamolo alla svelta.» Intimò Periin.
Percorsero metà della strada e si ritrovarono a osservare la medesima scena. Il cerchio si stava stringendo su di loro.
«Siamo bloccati.» Ariarn strinse i pugni: impossibile passare, i non viventi erano più numerosi di prima.
«Che qualcuno ci aiuti.»
Sentì piagnucolare Lerida.
“Sarebbe bello se avvenisse.” Pensò Ariarn. “Ma nessuno verrà in nostro soccorso.”
Una feroce determinazione lo invase, un moto di giustizia mosso dall’odio per la crudeltà che aveva ridotto degli esseri umani a miseri burattini senza vita.
«Dobbiamo sfondare le loro linee.»
«E’ un suicidio: sono in troppi.» Lerida lo prese per un braccio.
«Non c’è altra soluzione.» Sentenziò Periin senza esitazione.
«Ricordati di mirare alla testa.» Lo ammonì Ariarn. «Torniamo da dove siamo venuti: incontreremo meno resistenza.»
A passo veloce s’allontanarono da un nemico solo per incontrarne un altro.
«Tenetevi pronti.» Disse Ariarn quando furono in vista dell’altro gruppo. «Ora!»
Fece esplodere tutta la rabbia nei muscoli del corpo, tranciando a mezzo il primo malcapitato che si fece sotto, mandando i due tronconi a rotolare sulla strada. Monca, la creatura annaspò sul terreno ruotando la testa in maniera incontrollata.
I tre falcidiarono chiunque li ostacolò. Le fila di non viventi furono tranciate e ricacciate indietro dai feroci fendenti, corpi spezzati senza grida e lamenti, che s’abbattevano al suolo con tonfi sordi.
Sfruttando il varco creato da Ariarn, Lerida e Periin sfuggirono alle mani che tentavano di ghermirli.
Poche decine di metri e si ritrovarono davanti un’altra folla di morti viventi.
«Sono troppi.» Sussurrò disperata Lerida.
“Ha ragione: non possiamo combatterli tutti.” Pensò Ariarn. “Alla fine avranno la meglio.”
«Venite.» Ordinò Periin partendo di scatto; raggiunse la porta di un’abitazione e l’aprì. «Entrate.»
Si gettarono all’interno. La porta fu richiusa in fretta, il catenaccio scattò a bloccarla.
I tre si guardarono ansimanti.
«Dite che proveranno a entrare?» Osò chiedere Lerida.
Periin scostò la tenda dalla finestra. «Adesso vedremo se sono poco intelligenti come si dice.»
Qualcosa di pesante s’abbatté sulla porta.
«Non saranno delle cime, ma sanno il fatto loro.» Sbottò Periin. «Datemi una mano a barricare la porta: si stanno tutti ammassando contro.»
Il legno dello stipite s’incrinò e la porta ballonzolò sui cardini mentre la credenza veniva spostata contro l’ingresso della casa. Uno schiocco secco e il mobile fu spostato di qualche centimetro. Ariarn e Periin vi si gettarono contro per impedire ai mostri d’entrare.
«Prendi quella panca e portala qua.» Ordinò Periin a Lerida.
La donna s’affrettò a fare quello che le era stato detto, aiutando l’uomo a puntellare la porta. I colpi sull’uscio si fecero più serrati, scheggiando il legno; un assalto più violento degli altri sbalzò via la panca e spostò nuovamente il mobile, permettendo a braccia biancastre con vene blu d’intrufolarsi nello spiraglio creatosi.
Periin si gettò con le spade a recidere gli arti. Con uno sforzo sovrumano Ariarn riuscì a spingere il mobile contro la porta, chiudendola nuovamente.
Le assi s’incrinarono; una si spezzò permettendo a un braccio d’annaspare all’interno della casa. Ci fu un rumore di vetri infranti e un busto si protese oltre il davanzale della finestra, ghermendo Lerida mentre cercava di puntellare la panca con il proprio peso. La donna si ancorò allo stipite con una per non essere trascinata via, tenendo lontana con l’altra un volto pallido che tentava di morderla. Un grido d’orrore si levò nella casa.
Ariarn la strappò dalle fredde grinfie: un colpo e la testa senza vita rotolò vicino al focolare. Il corpo decapitato penzolò sul davanzale scosso da convulsioni, prima d’essere sommerso da altri morti che si riversarono nell’apertura della finestra.
Lo spadone straziò le carni morte, senza arrestare il muro di corpi arrivato a oscurare la luce che filtrava nella casa.
Senza più il supporto di Ariarn, la porta fu persa. Le assi si spezzarono, scaraventando panca e dispensa al suolo.
L’orda di non morti precipitò su quello che restava della barricata, una cacofonia di braccia mulinellanti e mascelle che scattavano.
«Sulle scale!» Proruppe Periin spingendo Lerida sui gradini. «Muoviti Ariarn!»
Il compagno resistette ancora alcuni istanti prima di lasciare la sala piena di nemici, incuranti di calpestare i caduti che si dimenavano ancora.
Il puzzo di morte e decomposizione impestò l’aria.
Periin rovesciò una libreria giù dalle scale. «Non li tratterrà a lungo. Dobbiamo andare all’ultimo piano.»
Salirono di corsa con i rumori degli inseguitori che li seguivano da vicino.
«E ora?» Chiese Lerida con il panico che si stava impossessando di lei.
«Ce ne andiamo da qua.» Periin li condusse in una delle stanze da letto presenti sul piano, chiudendo la porta e spingendovi contro l’armadio e il letto matrimoniale. Rapidamente si diresse alla finestra e la spalancò. La visuale era agghiacciante: la via era un fiume brulicante di non morti.
Lerida guardò sconcertata Periin. «Mi spieghi in che modo?»
«Saliremo sul tetto e proseguiremo su quelli delle case antistanti, fino a quando non raggiungeremo una zona più tranquilla o non si calmerà la situazione. Non ci possono raggiungere quassù.»
Lerida guardò il bordo del tetto. «E’ troppo distante: non ce la faremo a raggiungerlo.»
Periin non la ascoltò. Salì sul davanzale e saltò verso l’alto, afferrandosi al bordo del tetto; si dondolò una volta e con un colpo di reni sparì alla vista.
«Dovremo fare come lui?» Domandò preoccupata Lerida ad Ariarn.
Una sottile fune comparve penzolando davanti ai loro occhi.
«Non sarà necessario: vai prima tu.»
Raggiunsero Periin sul tetto, trovandolo seduto vicino alla canna fumaria dove aveva assicurato la corda. Dalla sommità della casa osservarono il lungo sciamare degli esseri.
«Tutta la città è ridotta in questo stato.» Mormorò incredula la donna.
Delineandosi contro il cielo grigio, i tre furono spettatori dell’incubo che stava vivendo Reoxkro.
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