A questo mondo i complotti esistono. Certo, seppur raccontati in maniera anche credibile, in oltre il 99% dei casi si tratta di pure e semplici fantasie, oppure di balle colossali. Eppure…
Nonostante tutto questo, noi esseri umani andiamo letteralmente fuori di testa per la parola “complotto”. Complotto.
Un sostantivo affascinante, dal suono dolce e malinconico. 1 teorizzatovi dei complotti proiettano all’esterno la propria indolenza. Costruiscono al di fuori di sé un “nemico” immaginano. Nemico.
Un nemico personale, un nemico della società.
Chi teorizza questi complotti farebbe bene a osservare di più la realtà. Non c’è nessun “nemico”. Il “male” non esiste là fuori.
Però…
Nonostante questo…
Esiste un uomo che si è accorto di un vero “complotto”. Un testimone di ciò che subdolamente si sta attuando in questo stesso istante. E chi è quell’uomo?
Sono io.
Questo è un brano riportato sulla quarta di copertina di Welcome to the NHK, il romanzo di Tatsuhiko Takimoto pubblicato nel 2002 e dal quale è stato poi realizzato un manga nel 2005 e nell’anno successivo un anime, di cui ho fatto la recensione poco tempo fa.
Come sempre accade con le varie trasposizioni, qualche piccola differenza c’è. I personaggi di Megumi Kobayashi e di suo fratello non sono presenti nella versione letteraria (neppure vengono affrontati i riferimenti alle vicende che li riguardano, come quelle del multi-level marketing e della dipendenza dei giochi online), come non sono presenti alcuni eventi presenti nella versione anime.
L’essenza di questa storia però rimane inalterata. Una storia che parla di solitudini, di disagi e difficoltà o incapacità ad adattarsi alla società, che critica il sistema, il mondo degli adulti e dei genitori che impongono il proprio volere ai giovani perché si adattino al copione per loro preparato, cercando d’annullare il valore dell’individuo a favore di quello della comunità. Non ci sono guide, non ci sono aiuti: anche la religione, che dovrebbe essere un supporto, una consolazione, è solo una facciata di sorrisi ed educazione che nasconde la realtà meschina di ottenere una posizione all’interno di una gerarchia per ottenere ammirazione e guardare gli altri dall’alto; un potere che viene fatto pesare, facendo sentire la propria influenza.
Di fronte a questa desolazione non sorprende che la percentuale di giovani che ricorrono ad alcol, psicofarmaci e droghe legali sia così elevata, così da ricavarsi un proprio angolo dove essere felici, dove non essere raggiunti da quel mondo così opprimente che li circonda. Il romanzo in certi punti è molto più crudo e duro rispetto all’anime, specie nel mostrare le reazioni di Yamazaki di fronte alle delusioni avute dalle ragazze e dai compagni di scuola: dialoghi taglienti che mostrano tutta la rabbia, l’insoddisfazione, la frustrazione a lungo covata negli anni. Ma è soprattutto un viaggio interiore lucido e profondo quello che fa Tatsuhiko Takimoto attraverso il personaggio di Tatsuhiro Satō, mettendo su carta la sua esperienza reale nell’essere un hikikomori, affrontando un tema terribilmente attuale per lui: è così che nasce un’opera introspettiva, dolce e amara allo stesso tempo, dove sono state riversate paure, ansie, lo spavento d’affrontare un futuro che angoscia e terrorizza, la difficoltà nell’avere relazioni che non siano superficiali, dove tutto ciò che si desidera non è altro che trovare un proprio posto nel mondo e avere un poco di calore umano che renda l’esistenza meritevole d’essere vissuta.
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