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Il potenziale della Rete

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La qualità e l’utilità di un mezzo dipendono sempre da chi lo utilizza: una legge che vale sempre, anche per la Rete.
La Rete può essere uno stupido gioco dove mettersi in mostra, scrivere sciocchezze e dare adempimento alla ricerca d’attenzioni e soddisfazione del proprio narcisismo.
La Rete può essere fonte d’informazione, può dare conoscenze e far scoprire cose nuove; può rendere consapevoli di situazioni, realtà sconosciute. Può anche essere la spinta a cambiare, migliorare. Un’opportunità non possibile fino a qualche anno fa.
L’esempio può essere banale, ma si prenda l’editoria e di come oggi gli utenti possano avere influenza su di essa.
Sia Mondadori con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin, sia Fanucci con La Ruota del Tempo di Jordan, hanno realizzato opere con diversi errori di traduzione e refusi. Finché internet non era diffuso, non si aveva molta conoscenza di questi sbagli: si poteva mandare una lettera di reclamo alla casa editrice, ma non si veniva ascoltati, dato che si era solamente un minuscolo numero e quindi non si aveva nessuna forza, nessun potere. Ora le cose invece sono cambiate e gli editori non possono fare finta di niente, specie se si è in tanti a dire la stessa cosa, dato che la rete oltre che un mezzo pubblicitario, è anche un mezzo di stroncatura e denuncia. Grazie a essa, qualcosa cambia.
Mondadori, grazie al lavoro dei lettori appassionati, farà un’edizione rivista e corretta delle Cronache di Martin; stessa cosa ha fatto Fanucci con La Ruota del Tempo, come si legge dal commento lasciato su un articolo che ho scritto in precedenza.
E visto che la rete è un mezzo per far sapere le cose e mostrare ciò che non va, non reputo possibile che per avere I Segugi dell’Ombra di Erikson, abbia dovuto aspettare più di un mese. Armenia usa Messaggerie Libri per la distribuzione, il più importante distributore nazionale: possibile che in tutte le librerie Feltrinelli di Bologna non ci fossero copie di tale libro e che quando col tempo sono giunte, ne fosse presente solo una in un solo negozio? Ma questo è irrilevante, dato che il volume l’avevo prenotato i primi di marzo, ergo doveva essere consegnato il giorno di uscita prevista, al massimo il giorno dopo.
Un disguido che si è verificato altro volte sempre con Armenia e sempre con volumi di Erikson (per la prima parte di Venti di Morte ho aspettato due mesi): scritto alla casa editrice segnalando il fatto, non ho ottenuto risposta.
C’è qualcosa che non funziona in certi meccanismi e occorre risolvere. Vediamo se a parlarne in rete servirà a cambiare qualcosa.

Visto che si parla di mostrare le cose che non vanno, altra mancanza di rispetto da parte di Fanucci. Sul suo blog è comparso l’articolo della nuova edizione economica di La Ruota del Tempo di Robert Jordan. Per diverse volte ho postato un commento facendo le mie rimostranze sul loro modo di operare, commento che sempre non è stato pubblicato. Ecco quanto scritto, che spiega il motivo del mio malcontento
“Un plauso al gruppo di lettori che ha fatto il lavoro di correzione, ma si spera che nelle prossime produzioni non ci siano più decine di refusi ed errori di traduzione come è successo con quelle viste finora. I lettori, dato che pagano con denaro buono, meritano volumi altrettanto buoni, ben realizzati fin da subito.
Altra cosa da far notare, è che se un lettore manda una mail per avere informazioni, sarebbe cortesia e professionalità rispondere, come è successo a me in tutte le occasioni che ho avuto di scrivere. L’ultima in ordine di tempo che ho mandato, riguardava proprio la saga di Jordan, chiedendo se ci sarebbero state ristampe o nuove edizioni, dato che alcuni volumi erano di difficile reperibilità. Da poco sono riuscito a completarla, ma se Fanucci avesse risposto alla mail o comunque avvisato per tempo di questa nuova uscita, avrei potuto risparmiare non pochi euro; senza contare il dover pagare libri che contengono parecchi errori, il che rende la situazione ancora meno accettabile.
Il servizio che la casa editrice sta dando non è dei massimi livelli.”

Un pessimo modo di fare che dimostra come sono accettati solo elogi e consensi, mentre le critiche non vengono accettate, perché si deve dimostrare che non ci sono ombre, pecche, che va tutto bene e che il lavoro realizzato è il meglio ottenibile (modo di fare di cui parlerò nel post di venerdì).
Un pessimo modo di fare che mostra il rispetto per i lettori (vedasi anche la scelta delle copertine, dello stesso stile della saga Mistborn: veramente pessime).
Un pessimo modo di farsi pubblicità, dato che con la rete si possono far conoscere le cose che non vanno: Fanucci si deve ricordare che se ha la possibilità di esistere, è solo grazie ai lettori. Senza di loro non esisterebbe.

La Paura del Saggio

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Di Patrick Rothfuss ho apprezzato molto Il Nome del Vento, primo volume di Le Cronache dell’Assassino del Re. Lettura che si è rivelata ugualmente piacevole con La Paura del Saggio, secondo capitolo di questa saga: romanzo più corposo del precedente, con l’autore sempre intento a mostrare il percorso d’evoluzione di Kvothe all’interno dell’Accademia e la sua ricerca dei Chandrian. Lo stile di scrittura si mantiene sempre sul livello del precedente romanzo, le avventure del protagonista continuano ad affascinare, tuttavia l’opera presenta dei momenti di stanca: seppur ben scritto, l’avere incentrata tutta l’attenzione su un unico personaggio, può far scendere l’interesse.
Questo è uno dei rischi in cui s’incorre nel focalizzarsi su un solo elemento: allungare la storia, renderla molto particolareggiata, invece di aumentare la suspense, la fa allentare. Aggiungere sempre tasselli che lentamente vanno a formare il quadro della storia può sì arricchire la trama, ma anche stancare il lettore che vede accumulare informazioni che non lo portano all’avvicinarsi alla soluzione del mistero.
Tener viva l’attenzione del lettore non è facile, occorre pianificazione nel creare l’intreccio e saperlo tenere sulle spine, ma non si può mantenere sempre questo stato: una corda non si può tenere sempre tesa, altrimenti, inevitabilmente, s’allenta. Occorre saper dare al lettore un “contentino”, far vedere che la sua pazienza è ripagata.
Elemento ben conosciuto da autori come Jordan, Erikson e Sanderson che in fatto di saghe lunghe dai tomi corposi hanno molto da dire: loro hanno compreso che per non ripetersi e non stancare, per scrivere opere lunghe e mostrare un mondo con la sua storia, occorrono più punti di vista. La diversità, come in tutte le cose, arricchisce e intriga, è la spinta ad andare avanti per scoprire ciò che si trova oltre il già conosciuto.

Venti di Morte

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Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso.

Questa semplice e penetrante frase sarebbe sufficiente a mostrare l’essenza di Venti di Morte. E non si tratta affatto di una riduzione, ma di cogliere l’essenza del settimo romanzo della saga Malazan di Steven Erikson. Un romanzo che mostra piani su piani che si sovrappongono e si scontrano in un continuo ribaltamento, in un costante usare ed essere usati, manipolare e venire manipolati. L’intreccio tessuto è una rete fitta e complessa, dove occorre avere la pazienza di saper aspettare, come l’archeologo che toglie con calma uno strato alla volta per giungere al reperto che gli permetterà di svelare i segreti di una civiltà scomparsa; attraverso questo modo di fare viene alla luce la formazione avuta dallo scrittore canadese, dimostrando come archeologia e antropologia abbiano avuto influenza nel modo scrivere e creare la trama.
La forza e la bellezza degli scritti di Erikson è che viene calata in un contesto fantastico la Storia che l’uomo ha forgiato sulla Terra dalla sua nascita, dopo averla spogliata di nomi, date, contesti specifici, lasciando solo ciò che è veramente importante: l’insegnamento che essa ha da dare alle generazioni future perché possano evolvere, imparare dall’esperienza altrui e non commettere più gli stessi errori. Perché la Storia non è altro che la conoscenza dell’animo umano, con le sue luci e le sue ombre, impegnata a mostrare i suoi lati più sordidi o quelli più eroici, dove si muore, ci si sacrifica per proteggere gli altri, dove anche in mezzo al sangue e al fango e alla violenza si è capaci di gesti gentili.
Questi sono alcuni dei temi più risaltanti della saga Malazan e di Venti di Morte di cui ho parlato più in dettaglio nella recensione della seconda parte del romanzo realizzata per FM.

Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso

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Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso.

E’ quanto si sta assistendo in questi giorni nel triste orizzonte politico italiano. Gli scandali occorsi in Lazio (dove i consiglieri spendevano i soldi della regione per comprare Suv, Smart, organizzare feste e party in maschera da 20000 euro, acquistare libri e ceste pasquali per migliaia di euro, oltre a buoni benzina, cene) e Campania non sono l’eccezione di un sistema giusto ed equo, ma la normalità di un sistema corrotto e sprezzante e ormai dilagante. Un sistema che ha basato tutto sull’Economia, che ha fatto del Denaro l’unico dio, l’unico valore che conta, senza avere nessun ritegno di democrazia, rispetto: è diventato un culto dell’Ego, dove l’egocentrismo e l’egoismo imperano, divenendo esempio da seguire per la massa, dato che passa il messaggio che questo è ciò che conta, è con questo che si va avanti e si ottengono risultati.
Tutti a scandalizzarsi dei politici, dei consiglieri colpevoli di tali crimini, ma si dovrebbe vergognare anche chi li ha votati, chi li ha voluti come guida. Perché se il crimine nato da un comportamento sbagliato di alcuni è grave, è ancora più grave che questi individui siano specchio della parte della popolazione che li ha scelti, che li ha votati perché in essi si è riconosciuta, li ha sentiti come propri simili. Una verità dura da accettare, ma la verità è che molti sono ormai abituati al sotterfugio, al compromesso, alle raccomandazioni, allo scambio di favori, ad abbassarsi a qualsiasi cosa per ottenere quello che vogliono, a svendersi, a sfruttare; la legge dell’ignoranza (io non lo sapevo) e quella del tanto fanno tutti così (se la maggioranza ha un pensiero o prende certe decisioni non è affatto scontato che abbia ragione) non sono leggi né valide né accettabili. L’unica accettazione possibile è che queste persone sono responsabili di un mondo ingiusto che sta implodendo portando tutti alla rovina (alcuni sintomi sono il crollo dei consumi, il crollo delle retribuzioni, solo per citarne qualcheduno). E se ci sono persone che arrivano a gesti estremi di violenza (verso sé o verso gli altri) è che perché sono state così esasperate, ridotte in condizioni così aberranti da far scaturire reazioni eclatanti: vedere il caso della Foxconn, la ditta produttrice degli Iphone, dove ci sono stati scontri tra duemila lavoratori per le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Condizioni che hanno portato la tensione al massimo: non c’è da meravigliarsi a vivere da reclusi come in una prigione, sotto un regime militare, dove per regolamento è vietato fare qualsiasi cosa (tranne il lavorare, dove si devono subire carichi e orari di lavoro esorbitanti), anche il suicidio. Di fronte a questo, si dovrebbe pensare che oggetti che vengono usati quotidianamente sono costruiti con il sangue e la disperazione di propri simili; soprattutto si dovrebbe pensare che in una società civile ci dovrebbero essere altri modi per realizzare le cose.
Ma questa non è una società civile, è una società barbara, come quelle studiate e criticate dalla storia che usavano la forza per imporre il proprio dominio. E’ questo con cui abbiamo a che fare: una società barbara. Invece di armature di bronzo o ferro si hanno giacche e cravatte, invece di spade e lance si hanno contratti e avvocati, ma la storia è sempre la stessa: la legge del più forte. Non c’è pietà, misericordia, comprensione, sostegno.
Solo che a tirar troppo la corda, scatta il senso di rivalsa e le conseguenze sono sempre devastanti, spesso totali. Per questo è illuminante, soprattutto incarnazione di questo senso di reazione che vuol pagare con la stessa moneta, l’agire all’interno di Venti di Morte che colpisce l’Impero Letheri, specchio nel mondo fantastico creato da Steven Erikson del mondo reale con i suoi indebitati e il credo nel potere del denaro (per chi non volesse spoiler consiglio di fermare la lettura a questo punto).

Lei lo studiò con uno sguardo così penetrante da metterlo a disagio. «Sai, Tehol Beddict, mai avrei pensato a te come a un agente del male».
Tehol si lisciò i capelli e gonfiò il petto.
«Davvero impressionante ma non sono convinta. Perché fai tutto questo? C’è forse una ferita del passato che soverchia tutte le altre? Un irrefrenabile bisogno di vendetta per sanare un qualche terribile trauma? Sul serio, sono davvero curiosa».
«È stata un’idea di Bugg, naturalmente».
Lei scosse la testa. «Riprovaci».
«Esistono molti tipi di male, Janath».
«Sì, ma il tuo porterà allo spargimento di sangue. Di fiumi di sangue».
«C’è forse differenza tra spargere il sangue e farlo gocciolare lentamente, in modo straziante, nel corso di una vita di tensione, miseria, angoscia e disperazione, nel nome di qualche dio amorfo che nessuno osa definire santo? Anche mentre si inginocchia e ripete la litania del sacro dovere?».
«Oh, per l’Errante», mormorò Janath. «Be’, questa sì che è una domanda interessante. C’è differenza? Forse no, forse è solo una questione di intensità. Ma questo non ti pone certo su un elevato piano morale, giusto?».
«Non ho mai parlato di elevato piano morale», precisò Tehol, «cosa che, tuttavia, mi distingue dal mio nemico».
«Sì, capisco. E naturalmente sei deciso a distruggere quel nemico con le sue stesse armi, usando le sue stesse sacre scritture; usandole, in poche parole, perché uccida se stesso. Tu sei in fondo al pendio su cui è appollaiato il tuo nemico. Sai, che tu sia diabolico non mi sorprende, Tehol. L’avevo notato molti anni fa. Tuttavia, perché questa sete di sangue? Continuo a non capire».

Che tu sia, o meno, il più ricco cittadino, Tehol Beddict, il tuo obiettivo non è l’ostentazione di tale ricchezza, né lo sfruttamento del potere che ti garantisce. No, tu miri al crollo della struttura economica di questo impero. E ancora non riesco ad afferrarne il motivo».
Tehol si strinse nelle spalle. «Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso, Janath. Sei d’accordo?».
«Sì. Quindi, mi stai dicendo che tutto questo è un esercizio di potere? Un esercizio che culminerà in una lezione che nessuno potrà fare a meno di riconoscere per quello che è? Una metafora trasformata in realtà?».
«Ma Janath, quando parlavo del potere che distrugge se stesso, non parlavo in termini di metafora. Lo intendevo realmente. Allora, quante generazioni di Indebitati devono soffrire, proprio mentre i simboli esteriori di ricchezza si moltiplicano e abbondano ovunque, con una proporzione sempre crescente di quelle stravaganze materiali al di fuori della loro portata economica? Quante, prima che tutti quanti ci fermiamo e diciamo: “Alt! Adesso basta! Basta sofferenza, per favore! Basta con la fame, la guerra, le ingiustizie!”. Be’, per quanto mi è dato di capire, non ci saranno mai generazioni a sufficienza. Non facciamo che grattare e raspare, divorando tutto quello che troviamo a portata di mano, inclusi quelli come noi, come se tutto ciò non fosse niente più che un’innegabile espressione di una qualche legge naturale, e come tale non fosse soggetta né a un contesto morale né a una restrizione etica».
«C’è troppo sentimento nel tuo discorso, Tehol Beddict. Ti toglierò dei punti».
«Ti rifugi nello sterile umorismo, Janath?».
«Colpita. Va bene, comincio a capire le tue motivazioni. Provocherai caos e morte per il bene di tutti».
«Se fossi uno che si autocommisera, adesso potrei lamentarmi perché nessuno mi ringrazierà».
«Allora accetti la responsabilità per le conseguenze del tuo piano».
«Qualcuno deve pur farlo».
Lei restò in silenzio per una dozzina di battiti di cuore e Tehol vide i suoi occhi perlati, deliziosi, spalancarsi lentamente. «Tu sei la metafora trasformata in realtà».
Tehol sorrise. «Non ti piaccio? Ma non ha senso! Come posso non essere piacevole? Forse addirittura ammirevole? Sono diventato la personificazione del trionfante desiderio di acquisire, la vera icona di questo grande dio privo di nome! E se non faccio niente con tutta la mia vasta ricchezza, be’, me ne sono guadagnato il diritto. Stando a ogni norma citata nella litania sacra, me ne sono guadagnato il diritto!».
«Ma allora dove sta la virtù nel distruggere tutta quella ricchezza? Nel distruggere innanzitutto il sistema che hai sfruttato per crearla?».
«Janath, dove sta la virtù nel sistema? Il possesso è una virtù? Lavorare tutta la vita per qualche ricco bastardo è una virtù? Una leale attività nella casa di un mercante è una virtù? Ma leale a che cosa? A chi? Oh, e qualcuno ha forse pagato un centinaio di dock alla settimana per quella lealtà? Come per qualsiasi altra merce? Ma poi, quale versione è più vera: la virtù dell’egoistico desiderio di acquisire o la virtù della lealtà al proprio datore di lavoro? I mercanti appollaiati sulle loro ricchezze non sono spietati e crudeli come si addice a quei privilegi che hanno presumibilmente guadagnato? E se è giusto per loro, perché non lo è per il servo più umile della loro casa? Dov’è la virtù in due insiemi di norme in disaccordo l’una con l’altra, e perché parole stravaganti come “morale” ed “etico” sono le prime a essere pronunciate dalla bocca di coloro che hanno perso di vista entrambe nella loro scalata verso la vetta? Da quando l’etica e la morale sono diventate armi di sottomissione?».

Venti di Morte – Parte Seconda, pag. 276-278. Steven Erikson

Prossime uscite

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che rientrano nei miei interessi.
La prima riguarda la pubblicazione della seconda parte di 1Q84 di Haruki Murakami: sono curioso di leggere la conclusione di un romanzo che ho trovato coinvolgente e veramente ben fatto, con storia e personaggi davvero molto belli.
La seconda riguarda il film Imaginaerum realizzato dai Nightwish: ho apprezzato molto l’album e adesso aspetto di vedere cosa è saltato fuori con la pellicola cinematografica.
La terza è l’ormai attesissima conclusione di La Ruota del Tempo con A Memory of Light, iniziata da Robert Jordan e portata a termine da Brandon Sanderson: una storia epica che ha saputo mostrare un mondo vasto che affonda nel mito e nella leggenda, con personaggi che lasciano un segno in chi legge.
Concluso il monumentale lavoro, Sanderson potrà dedicare le sue energie al secondo capitolo di Le Cronache della Folgoluce: in questo caso ci sarà da attendere un pò di più, visto che lo scrittore americano deve terminare il lavoro, pubblicarlo e cosa non da poco venire tradotto in Italia.
Attesa che si spera giunga presto a risoluzione anche per l’edizione italiana dell’ottavo volume della saga Malazan di Steven Erikson, Toll the Hounds: lo scrittore ha concluso da un anno la serie e sarebbe tempo che Armenia, la casa editrice che ha pubblicato in Italia finora le sue opere, cercasse di mettersi in pari, magari evitando di spezzare come ha già fatto in tre occasioni i volumi in due parti. Un’attesa che risponde agli studi fatti sul mercato interno, ma che, di fronte alla bontà dell’opera, risulta ingiustificata. Come sempre la qualità a discapito del guadagno: ma in questo caso non si è di fronte a un esordiente su cui si hanno timori che non dia i risultati sperati, bensì a uno scrittore di livello internazionale che ha dimostrato quanto il suo lavoro possa dare guadagno.
Che sia tempo di cambiare modo di fare è evidente; che lo si sia capito invece è un altro paio di maniche.


Luna

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In questi giorni, leggendo la seconda parte di I Cacciatori di Ossa di Steven Erikson, tra i tanti brani che mi hanno colpito (posso dire che ogni pagina di questo scrittore ha qualcosa da trasmettere ed è qualcosa di veramente grande e profondo), ce n’è stato uno che mi ha fatto tornare in mente un ricordo del passato.

«Nessuno ha notato la luna ieri sera?» chiese Scillara. «E’ screziata. Strana, come se fosse stata bucherellata.»
«Alcuni di quei buchi», osservò Barathol, «sembrano ingrandirsi».
La donna lo guardò; annuì. «Bene: lo credevo anch’io, ma noi ne ero sicura. Cosa significa, secondo te?»
Barathol scosse le spalle. «Si dice che la luna sia un altro regno come il nostro, con gente sulla superficie. A volte, cose precipitane dal nostro cielo. Rocce. Palle di fuoco. Si racconta che così fu la Caduta del Dio Storpio: montagne intere piombarono giù, cancellando quasi tutto un continente e riempiendo metà del cielo di fumo e di cenere.» Lanciò un’occhiata a Scillara, poi a Cutter, «Pensavo che, forse, qualcosa ha colpito la luna allo stesso modo.»

Il ricordo è legato a un videogioco, Final Fantasy 8, e in particolar modo al Pianto Lunare.
Anche nel gioco creato dalla Squaresoft, la Luna è abitata da creature (in questo caso però mostri) e secondo una leggenda, quando la Luna è vicina alla Terra si verifica il Pianto Lunare, un fenomeno che fa piovere i mostri sul mondo. Fu tale evento a distruggere un intero continente: Centra ora è solo una terra piena di rovine.

Più che pensare a Steven Erikson ispirato dal videogioco, mi sono soffermato a riflettere su quante leggende circondano il satellite che ruota attorno al nostro pianeta, quante storie la Luna ha ispirato nelle persone, dai pensatori agli artisti, dai filosofi alla gente comune.
Dalle culture nomadi che ritenevano che la Luna morisse ogni notte scendendo nel mondo delle ombre, o fosse in un perenne inseguimento del Sole, agli antichi greci che ne fecero una dea con Selene, figlia dei titani Iperione e Teia, sorella di Elio ed Eos, identificata poi nella tarda mitologia greca e romana con Artemide e Diana.
Dai Mesopotamici con Nanna o Sin, dagli Egiziani con Thoth, dai Frigi e dai giapponesi con Men e Tsukuyomi, fino ad arrivare alle credenze medievali con i lupi mannari che si trasformavano alla luce lunare e le streghe che si riunivano per i loro Esbat (feste minori che celebravano le fasi lunari) (tale nome dà il titolo a un’opera di Lara Manni ) e a Isil, che fa parte della mitologia di Arda, il mondo immaginario creato da J.R.R. Tolkien.
Certo, la scienza e la tecnologia hanno dato molte risposte su questo satellite, togliendo parte di quell’aura magica che l’astro argentato ha sempre posseduto; tuttavia non si è risuciti a togliere del tutto la poesia e il fascino che la Luna possiede.
Innamorati si baciano con una passione particolare nelle notti in cui l’astro brilla.
Cantanti e gruppi musicali sono ispirati dai suoi raggi, come i Sonata Arctica in My Selene e i Kamelot in Moonlight.
Poeti e scrittori,come Leopardi e Gianni Rodari, Pirandello in Ciaula scopre la Luna, compongono le loro opere pensando a questo astro lucente.
Tanti, infiniti possono essere gli esempi di come la Luna ha influenza, dalla materia (maree, fermentazioni), alla psiche (cambiamenti d’umore, lunatismo) e l’immaginazione.
Una cosa però è certa: quando l’uomo alza lo sguardo al cielo (non solo alla Luna ma anche alle stelle) apre le porte di un altro mondo, lasciando spazio alla fantasia, al sogno, alla spiritualità, alla ricerca di risposte, perché forse è consapevole, anche se inconsciamente, che in luoghi lontani e infiniti è celata la risoluzione alle domande che da sempre si pone, è celata la propria origine.
O forse sono soltanto lo specchio di qualcosa che è più vicino di quanto possa pensare.

L'Errore del non Ricordare

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Gli anniversari dei giorni scorsi dovrebbero far riflettere sugli eventi incorsi nel passato.
Molto spesso si sottolinea l’importanza della memoria, delle esperienze di chi ci ha preceduto, delle lezioni racchiuse nella storia.
E altrettanto spesso si devono osservare gli effetti di cosa porta la dimenticanza, del non dare credito agli insegnamenti celati in quanto trascorso.
Un male che porta sempre e solo a un’unica conclusione.

“Yadeth Garath, la prima città di umani, era ora ridotta a macerie putrefatte dal sale e inghiottite dal limo, sepolte profondamente sotto la palude. Non restavano più segni del suo passato, al di là delle innumerevoli derivazioni dell’antico nome; di coloro che, con le loro vite, morti e storie, vi erano, un tempo, esistiti, non sopravvivevano nemmeno le ossa.
Dejim Nebrahl ricordava i pescatori che avevano abitato sulle sue rovine, vivendo nelle loro squallide palafitte, solcando le acque nelle loro imbarcazioni rotonde, di pelle di animale, e percorrendo le piattaforme di legno che attraversavano i canali naturali serpeggianti nella palude. Non erano discendenti di Yadeth Garath. Non sapevano niente di ciò che turbinava sotto il limo nero; era un’innegabile verità che, alla fine, il ricordo dovesse appassire e morire. Non c’era un solo albero della vita, per quanto unica e fondamentale fosse stata questa Yadeth Garath; no, c’era una foresta e, ripetutamente, un albero, dal tronco fradicio, crollava per svanire rapidamente nella fanghiglia soffocante.
Dejim Nebrahl ricordava quei pescatori, il modo in cui il loro sangue sapeva di pesce e di molluschi; un sangue denso, scialbo, intorpidito dalla stupidità. Se uomini e donne non possono – non vogliono – ricordare, allora meritano tutto ciò che viene loro inflitto. Morte, distruzione, devastazione. Non si trattava del giudizio di un dio, ma del mondo, della natura. Ingiunto in quella cospirazione di indifferenza che tanto sconcertava e terrorizzava la razza umana.
Le terre sprofondano. Le acque irrompono. Le piogge arrivano, poi non arrivano mai. Le foreste muoiono, rinascono, muoiono ancora. Uomini e donne si stringono ai figli in stanze buie, suppliche tardive sulle labbra, il vacuo fallimento negli occhi; e ora sono granelli di bianco e di grigio nel limo nero, immobili come il ricordo delle stelle in un cielo notturno scomparso da tempo.
Comminare il giudizio della natura, questo era lo scopo di Dejim Nebrahl. Gli immemori sono inseguiti dalle loro stesse ombre. Per gli immemori, la morte arriva sempre inaspettata.”

I Cacciatori di Ossa – Seconda Parte. Steven Erikson

Trasudare Carisma - Anomander Rake

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La penna di Steven Erikson ha creato uno dei personaggi più carismatici dl ciclo Malazan (e non solo). Certo, tutta la serie è costellata da individui che lasciano traccia nella memoria di chi legge le loro vicende: Mappo, Icarium, Ben lo Svelto, Kalam Mekhar, Iskarul Pust, Coltaine, Kruppe, Ganoes Paran. L’elenco potrebbe protrarsi ancora a lungo.
Ma pochi riescono a raggiungere il livello Anomander Rake, la cui sola presenza trasuda carisma.

All’improvviso, le mura intorno a lui gemettero, e Baruk ansimò, come schiacciato da un peso enorme. Il sangue gli martellò nella testa, trafiggendolo di dolore. Afferrò il bordo del tavolo delle mappe per riprendere l’equilibrio. La luce dei globi incandescenti che pendevano dal soffitto si affievolì, poi si spense. Nell’oscurità, l’alchimista udì crepe fendere i muri, come se la mano di un gigante fosse discesa sull’edificio. Poi, di colpo, la pressione svanì. Baruk si portò una mano tremante alla fronte lucida di sudore.
Una voce sommessa parlò alle sue spalle. «Saluti, Alto Alchimista. Sono il Signore della Progenie della Luna.»
Ancora rivolto verso il tavolo, Baruk chiuse gli occhi e annuì. «Il titolo non è necessario», mormorò. «Chiamatemi Baruk, ve ne prego.»
«Sono a mio agio nell’oscurità», spiegò il Signore. «Questo costituirà un fastidio per te, Baruk.»
L’alchimista borbottò un incantesimo. Davanti a lui, i particolari della mappa sul tavolo divennero netti, emanando un freddo chiarore azzurro. Si girò davanti al Signore, e restò sbigottito nello scoprire che quella figura alta, ammantata, rifletteva tanto poco calore quanto gli oggetti inanimati della stanza. Tuttavia, riusciva a distinguere abbastanza chiaramente i lineamenti dell’uomo. « Siete un Tiste Andii», osservò.
Il Signore fece un leggero inchino. I suoi occhi obliqui, cangianti, scrutarono l’ambiente. «Hai del vino, Baruk? »
«Ma certo, signore.» L’alchimista andò al suo scrittoio.
«Il mio nome, nella versione che meglio può essere pronunciata dagli umani, è Anomander Rake.» Il Signore seguì Baruk allo scrittoio; i suoi stivali martellavano sul pavimento di marmo lucido.
Baruk versò del vino, poi si volse a osservare Rake con una certa curiosità. Aveva sentito che guerrieri Tiste Andii combattevano contro l’Impero su a nord, agli ordini di una belva feroce di nome Caladan Brood. Si erano alleati con la Guardia Cremisi e, insieme, le due forze stavano decimando i Malazan. Così, c’erano dei Tiste Andii nella Progenie della Luna, e chi gli stava davanti era il loro Signore.
In quel momento, Baruk vedeva un Tiste Andii faccia a faccia per la prima volta. Ne era alquanto turbato. Occhi straordinari, pensò. Un attimo, una sfumatura intensa di ambra, felini, sconvolgenti, un attimo dopo grigi come quelli di un serpente – un arcobaleno micidiale, ad accompagnare ogni stato d’animo. Si chiese se fossero in grado di mentire.
Nella biblioteca dell’alchimista giacevano copie dei tomi superstiti della Follia di Gothos, uno scritto Jaghut dei millenni passati. I Tiste Andii erano menzionati qua e là con un’aura di paura, ricordò Baruk. Gothos stesso, uno stregone Jaghut che aveva disceso i canali più profondi dell’Antica Magia, aveva ringraziato gli dei dell’epoca perché i Tiste Andii erano così pochi. E, da allora, il numero degli appartenenti a quella razza misteriosa, dalla pelle nera, era probabilmente diminuito.
La pelle di Anomander Rake era nera come l’ebano, in accordo con le descrizioni di Gothos, ma la criniera fluente era color argento. Era alto quasi sette piedi. I suoi lineamenti erano angolosi, come scolpiti nell’onice, e i grandi occhi dalle pupille verticali erano leggermente inclinati verso l’alto.
Alla schiena, aveva legata una spada da reggere con entrambe le mani; il pomo d’argento a forma di teschio di drago e l’elsa a croce, di foggia arcaica, sporgevano da un fodero di legno lungo sei piedi e mezzo abbondanti. L’arma trasudava potere, che macchiava l’aria come l’inchiostro nero una pozza d’acqua. Nel posarvi lo sguardo, Baruk quasi barcollò, vedendo, per un attimo, una vasta oscurità spalancarsi davanti a lui, fredda come il cuore di un ghiacciaio, da cui venivano il puzzo dell’antichità e un debole gemito.

I Giardini della Luna – Steven Erikson

Religioni

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Lo scopo della religione è dare all’uomo la conoscenza del mondo, della vita, di se stesso; tutte le storie, le tradizioni che si tramandano dai culti più antichi ai credo di formazione più recente hanno questa radice comune che le fa appartenere allo stesso albero.
Purtroppo l’ego porta a una visione distorta di questa realtà, facendo credere agli appartenenti di un credo di essere nel giusto e pertanto migliori di tutti coloro che non la pensano come loro. Questo comportamento porta incomprensioni, divisioni, che nei casi più estremi sfociano in crociate e vere e proprio guerre.
Ma si sa che le guerre “sante” non sono altro che un usare la religione come maschera per ottenere quello che da sempre l’ego esige: la supremazia degli uomini sugli altri uomini, il dimostrare d’essere migliori, d’essere superiori.
E così facendo si rende il mondo l’inferno che è sotto gli occhi di tutti.
Se soltanto si capisse che tutto ha la stessa origine, che spesso si usano parole differenti per dire la stessa cosa, molte cose andrebbero davvero per il meglio.

«Trovi tutto questo divertente?» domandò lui, fulminandola con lo sguardo.
«Sì. Guardati. Eri un sacerdote di Fener, e ora sei un sacerdote di Treach. Entrambi dei della guerra. Heboric, quanti volti credi abbia il dio della guerra? Migliaia. E nei tempi lontani? Decine di migliaia? Quelli di ogni maledetta tribù, vecchio. Tutti diversi, e tutti uguali.» Accese la pipa; il fumo le inghirlandò il viso. «Non mi sorprenderebbe se tutti gli dei fossero solo aspetti di un unico dio e se tutto questo combattere dimostrasse semplicemente che quell’unico è pazzo.»
«Pazzo?» Heboric tremava. Sentiva il cuore martellare come un orribile demone alla porta della sua anima.
«O forse solo confuso. Tutti quegli adoratori litigiosi, ognuno convinto che la propria versione sia quella giusta. Immagina che cosa vuol dire ricevere preghiere da dieci milioni di credenti, nessuno dei quali crede alla stessa cosa di quello inginocchiato al suo fianco. Immagina tutti quei Libri Sacri, nessuno dei quali concorda su niente, ma tutti professano di essere la parola di quell’unico dio. Immagina due eserciti che si annientano a vicenda, in nome di quel dio. Chi non ne uscirebbe pazzo?»

I Cacciatori di Ossa – Parte Prima. Steven Erikson