Racconti delle strade dei mondi

Il falco

L’inizio della Caduta

 

Jonathan Livingston e il Vangelo

Jonathan Livingston e il Vangelo

L’Ultimo Demone

L'Ultimo Demone

L’Ultimo Potere

L'Ultimo Potere

Strade Nascoste – Racconti

Strade Nascoste - Racconti

Strade Nascoste

Strade Nascoste

Inferno e Paradiso (racconto)

Lontano dalla Terra (racconto)

365 storie d’amore

365 storie d'amore

L’Ultimo Baluardo (racconto)

365 Racconti di Natale

365 racconti di Natale

Il magazzino dei mondi 2

Il magazzino dei mondi 2

365 racconti d’estate

Il magazzino dei mondi 2
Aprile 2024
L M M G V S D
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930  

Archivio

Romanzi fantasy realizzati in Italia

No Gravatar

Il periodo di crisi colpisce ogni settore e l’editoria non ne è certo esentata. Le case editrici sono in difficoltà, stanno chiudendo o hanno chiuso; quelle che rimangono investono certamente meno e il fantasy non fa certo eccezione, specialmente per quanto riguarda la ricerca di nuove figure in ambito nazionale.
La causa di tutto ciò è solo dovuta alla crisi oppure c’è dell’altro?
La questione porta a riflettere e a fare un’analisi di quanto prodotto per poter esprimere delle opinioni sulle quali discutere.
La crisi ha portato sicuramente a un minor numero di vendite (con meno soldi a disposizione, la gente si concentra sul necessario e i libri, per quanto possono essere interessanti, non sono una necessità primaria) e di conseguenza a investimenti minori, soprattutto per quanto riguarda gli autori italiani; ma le cause di tale scelta sono anche altre e dipendono dal fatto che il periodo di boom del genere (che ha portato a una sua maggiore diffusione rispetto al passato) è stato un fuoco di paglia, che non solo non ha gettato le basi per un solido sviluppo e consolidamento del fantasy, ma ha bruciato la fetta di mercato che si era creato. A differenza dell’estero, dove si ottengono buoni risultati.
Che cos’è che crea questo divario? La grandezza delle case editrici? Il metodo di lavoro? La qualità di quanto producono gli scrittori? Perché il fantasy scritto in Italia ne esce male dal confronto con quello estero?
Prima però di addentrarsi nelle varie cause, occorre fare una doverosa precisazione: il fantasy non ha nazionalità, è di tutti e non appartiene a nessuno. Non esiste quello italiano, francese, inglese, tedesco, ma quello realizzato da autori di nazionalità differenti.
In Italia ci sono autori validi, ma si contano sulle dita delle mani di un uomo; i restanti dimostrano un livello mediamente basso: storie che ricalcano i cliché della moda del momento, propinando libri che sono cibo in scatola per gatti.
Questa scelta ha mostrato in breve tutti i suoi limiti; è logico che romanzi del genere possano essere solo comete, con un’esistenza della durata di una stagione, che non lasciano il segno. Segno inteso in senso positivo, perché in senso negativo invece c’è stato: a causa di essi il mercato è stato bruciato.
Com’è stato possibile tutto questo? E com’è invece che ci sono stati autori le cui opere sono rimaste e continuano a essere lette anche dopo la loro morte?
J.R.R.TolkienSi prenda uno degli esempi più famosi: J.R.R.Tolkien.
Lo scrittore inglese si è sempre lamentato e rammaricato che il suo paese non avesse una gran tradizione mitologica, al punto che ha voluto crearne una con la realizzazione del mondo in cui si svolge il suo romanzo più famoso, Il Signore degli Anelli. È partito dal principio, dalla creazione del mondo, dalla sua geografia, dandogli una storia millenaria, arrivando addirittura a creare le lingue delle varie razze. La sua professione certo l’ha aiutato (insegnante di lingua e letteratura anglosassone e inglese), ma si è dato da fare per ricercare e documentarsi delle favole e dei miti che possedevano altri paesi, una passione ereditata dalla madre.
Quello che ha conferito così tanta forza alla sua opera è stato il modo in cui è riuscito a riportare e far rivivere le sue esperienze di vita. L’amore per la moglie mostrato attraverso Beren e Luthien. Gli orrori delle battaglie, la perdita di compagni che tanto l’avevano segnato avendo partecipato alla Prima Guerra Mondiale. La consapevolezza di quanto la tecnologia e l’industrializzazione potessero essere dannose per la natura, come la distruggessero.
Tutte cose che la maturità raggiunta in una vita gli ha permesso di elaborarle e metabolizzarle e immetterle in un libro, facendole divenire così universali, comprensibili e vicine a chiunque.
Tutto ciò invece manca in molti dei libri prodotti dall’editoria italiana: si è di fronte a mancanza di conoscenza e mancanza di esperienza di vita. Di nuovo, si dà quello che si ha: in questo, parecchi degli autori italiani sono mancanti e il risultato si vede.
Il fantasy è più che mera commercialità, anche se va considerato che pure all’estero si ha la convinzione che il fantasy sia un sottogenere della letteratura, come ha denunciato Steven Erikson, autore di un fantasy adulto e maturo qual è la saga La Caduta di Malazan; una mentalità da questo punto di vista sbagliata, ma che nonostante ciò dimostra come ci sia da parte degli autori e degli editori una preparazione, un’attenzione che in Italia si è ancora ben lontani dall’avere.
Tutto questo è solo la punta di un iceberg di un modo di fare sbagliato che ha portato solo perdita in Italia, che ha radici molto più profonde, basti pensare al livello culturale e di conoscenza della sua popolazione (per farsene un’idea leggere questo pezzo). Per approfondire la questione, in questo articolo su FM ne parlo in maniera più ampia.

Di spade

No Gravatar

Le spade sono un elemento che è stato ben presente nella vita dell’uomo, sia nella realtà, sia nelle storie inventate.
Sono state oggetti ornamentali, fautori di violenza e morte. Sono state anche molto più di un’arma.
Per il loro essere lucenti, nell’antichità venivano usate come specchi. Non per niente un passo della Bibbia si riferisce proprio a questo: “il bagliore della spada che gira su se stessa” (Genesi 3,24) è appunto riferito a qualcosa che riflette, proprio come uno specchio. In questo caso naturalmente va inteso come un simbolo di un limite da superare.
Anche in altre culture la spada è qualcosa di più di un mezzo per difendersi o attaccare, specie per i samurai: nel periodo Tokugawa si diffuse l’idea che l’anima di un samurai risiedesse nella katana che portava con sé, a seguito dell’influenza dello Zen sul bujutsu. Senza contare che il possedere tali spade era simbolo di riconoscimento della casta di cui facevano parte.
Famoso simbolo di riconoscimento nell’immaginario collettivo umano è soprattutto la spada nella roccia (che alcuni associano a Excalibur, mentre altri le reputano due armi differenti), che avrebbe permesso di riconoscere chi sarebbe stato capace d’essere guida per il popolo e governarlo: è grazie a essa che si riconosce in Artù l’essere re del proprio paese.
Ma Excalibur non è la sola spada a essere usata come simbolo di riconoscimento. Anche Robert Jordan in La Ruota del Tempo ha fatto la stessa cosa con Callandor, la spada fatta di cristallo, la spada che non è una spada anche se può essere usata come tale, pur essendo molto di più: essa è un potente ter’angreal (residuo dell’Epoca Leggendaria che usa l’Unico Potere) che può essere liberata dal luogo dove è custodita solo dal Drago Rinato. Questo è uno dei segni che mostra il ritorno del Drago, perché solo lui è in grado di farla uscire dalla Roccia (in questo caso è la fortezza dove è stato custodito l’oggetto).
Ma di spade che sono più di una spada, la letteratura fantasy è ricca. Terry Brooks con la spada di Shannara crea un oggetto capace di mostrare la verità, di abbattere le illusioni e le menzogne (l’arma fu creata proprio per sconfiggere il druido rinnegato Brona, divenuto il Signore degli Inganni, dato che l’unica cosa in grado di sconfiggerlo era la verità su se stesso che tanto aveva cercato di non vedere). A parte Il Primo Re di Shannara dove l’arma viene creata, sia in La Spada di Shannara, sia nel ciclo degli Eredi, l’arma è custodita in un blocco di roccia; anche in questa storia, solo gli appartenenti a una determinata linea di sangue potranno usarla.
Oltre a queste si possono citare Tempestosa della saga di Elric creata da Michael Moorcock e Sanguinotte di Il Conciliatore di Brandon Sanderson, che benché non diano riconoscimenti o vengano estratte dalla roccia, sono molto più di un’arma: sono qualcosa di vivo e senziente, oltre che potente e pericoloso. Non va dimenticata Dragnipur, la gigantesca spada di Anomander Rake nella saga Malazan di Steven Erikson, contenente la Porta dell’Oscurità e capace di rinchiudere al proprio interno l’anima di chi uccideva.
Per non parlare della Spada Nera creata da Margaret Weis e Tracy Hickman nel ciclo Darksword capace d’annullare qualsiasi magia. O di Narsil, la spada che andò in frantumi tagliando il dito di Sauron cui era infilato l’Unico Anello nella famosa Terra di Mezzo creata da J.R.R.Tolkien. O Durlindana, la spada di Orlando, il paladino di Carlo Magno, narrata nella Chanson de Roland. O la gigantesca Ammazzadraghi di Gatsu nel manga Berserk di Kentaro Miura. O Gramr, la spada che Sigfrido usò per uccidere il drago Fáfnir (in I Nibelunghi è chiamata Balmung, mentre nella tetralogia L’anello del Nibelungo è chiamata Nothung).
Quale che sia il contesto in cui essa sia presente, racconto o fatto storico, una realtà è innegabile: chiunque, almeno una volta nella vita ha sognato di impugnarne una.

Profezia

No Gravatar

Quando si parla di profezie, subito viene in mente Nostradamus con le sue famose quartine, l’Apocalisse di Giovanni o i Maya riguardo al 2012.
Ma che cos’è una profezia?
E’ la conoscenza degli eventi che si verificheranno, senza l’utilizzo di basi quali raziocinio, esperienze.
Ma in alcuni casi tale conoscenza non serve a niente, non permette di cambiare il corso degli eventi, non si può fare nulla per intervenire: quanto predetto si verificherà, a prescindere da quello che si cercherà di fare per cercare di evitarla. E’ il caso di Erode, di re Artù che, presi da paura per la venuta di un bimbo che avrebbe minacciato il loro trono e regno, compiono una strage d’innocenti; un tentativo inutile, dato che non cambierà quanto è stato predetto, visto che in tali casi il destino è ineluttabile, come accade nel mito greco di Edipo, dove la profezia diventa vera nonostante tutti i tentativi per evitarla, anzi proprio a causa di essi. Proprio come succede nella tragedia Macbeth di William Shakespeare: una sorta di autoadempimento ineluttabile che è stato spesso usato anche nella realizzazione di opere contemporanee letterarie, come fa la conosciuta saga di Harry Potter di Rowling, o cinematografiche, quali Guerre Stellari, Matrix.
La profezia può essere portatrice di speranza o di sventura, annunciare la fine o un nuovo inizio, e in un modo o nell’altro ha sempre avuto influenza sugli uomini, i quali, condizionati dalle sue parole, spesso hanno fatto in modo inconsciamente che essa si avverasse. Anche se dice di credere diversamente, spesso l’uomo non crede di essere libero, di essere padrone delle proprie scelte, ma ritiene d’essere pedina di qualcosa di più grande che decide per lui, troppo grande perché possa contrastarla e ribellarvisi.
E’ quello che ritengono le popolazioni delle Dominazioni che vivono sotto il giogo del Lord Reggente, costrette a vivere in condizioni di schiavitù, mentre il potere è in mano a una minoranza, i nobili e il clero; solo un uomo, Khelsier, si erge contro il sistema, convinto che le cose possano essere cambiate. Ed è grazie alla sua volontà indomita che il cambiamento viene messo in atto e la profezia dei tempi passati, quasi dimenticata, trova compimento. Ma come ogni profezia, il suo significato non è chiaro, se non quando essa si sta realizzando, perché le cose accadono nel modo in cui non lo si aspetta, non importa quanto studio e attenzione sono stati riversati su di essa. Brandon Sanderson è stato bravo con la trilogia dei Mistborn a mostrare tutto questo, magnifico nel giocare con il lettore e a sorprenderlo, nonostante avesse messo sotto i suoi occhi tutti gli indizi necessari per giungere alla giusta deduzione.
In altri casi, sapere in anticipo il verificarsi degli eventi, come visto in precedenza, non permette di cambiare ciò che avverrà, ma consente di prepararsi, affrontando meglio la realtà cui si va incontro. Un esempio è quello nella Bibbia di Giuseppe quando interpreta il sogno delle vacche magre e delle vacche grasse del Faraone; un altro è quello di Gatsu nel manga Berserk di Kentaro Miura,
Qualcosa di simile hanno fatto Margaret Weis e Tracy Hickman con la saga della Spada Nera nel mostrare come la profezia non sia qualcosa di ineluttabile, ma semplicemente un monito a non farsi sopraffare dalla paura, dal timore del cambiamento, dando la possibilità di scoprire un nuovo inizio senza passare attraverso la tribolazione e la distruzione, ma solo usando mezzi pacifici. Se solo si fosse stati abbastanza accorti d’accorgersi di tutto questo: una consapevolezza che purtroppo giunge solo con la perdita, dopo aver commesso errori e aver imparato da essi. Una visione amara, che è certamente in contrasto con quella invece di stampo salvifico presente nella saga degli Ultimi creata da Silvana De Mari , dove, nonostante le tribolazioni, le cose sono poi destinate a cambiare e a elevare le popolazioni a una condizione migliore.
Come tutto ciò che esiste, si è visto che la profezia può essere tante cose. In certi casi serve solo a mostrare la vera natura di qualcosa o di qualcuno. Toccante è il modo in cui Guy Gavriel Kay mostra attraverso tale forma ciò cui vanno incontro Kevin e Fiin, protagonisti delle vicende del mondo di Fionavar. Il primo, trova attraverso le parole del Canto di Rachel (un canto scritto proprio da lui per un amico) la profonda verità personale di cui si deve ancora accorgere appieno e scopre come esse siano il vero compimento della propria esistenza. Il secondo, attraverso la ta’kiena, considerato dai più un gioco per bambini, scopre una verità più grande su se stesso, che lo lega a un fato oscuro e potente, incontrollato e incontrollabile, portandolo a prendere la Strada più Lunga.
Molto più centrale rispetto a quelle appena elencate, è invece il ruolo che le profezie ricoprono in La Ruota del Tempo di Robert Jordan, dove tutto gira attorno al ritorno del Drago Rinato: una storia epica, millenaria, che vede l’eterna lotta tra caos e ordine, tra distruzione e preservazione, mostrando in un contesto fantasy ciò che viene raccontato da molte religioni, ovvero l’imperfezione, l’elemento destabilizzante che va a guastare la perfezione di quanto creato. Shaitan, il Tenebroso, è l’entità imprigionata dal Creatore che ricorda molto il Satana che la religione cristiana relega all’inferno, il nemico che secondo le profezie sarà sempre contrastato dal Campione della Luce a ogni ruotare delle ere.
Tanto è stato scritto su questo argomento, elemento che come si è visto negli esempi citati è stato usato in ogni forma di rappresentazione e intrattenimento; quel che è certo, è che le profezie hanno sempre esercitato un gran fascino sull’uomo e sempre lo eserciteranno.
(Per un maggiore approfondimento del tema, si può leggere questo articolo.)

Redenzione e perdita

No Gravatar

Può darsi che confidando in una possibile redenzione, le persone compiano il male volontariamente. La redenzione rimane in attesa, come una porta laterale, in qualsiasi corte o tribunale noi finiamo per ritrovarci. Non è richiesto neppure il pagamento di una multa, basta la semplice negoziazione che solleva da qualsiasi responsabilità. Una stretta di mano e via, attraverso quella porta laterale con il giudice che ci osserva benevolo. E il senso di colpa e le conseguenze svaniscono all’istante.
Oh, Salind era davvero in crisi. Le argomentazioni erano sempre più deboli fino a quando rimaneva aperto il concetto stesso di redenzione. Il Redentore abbracciava tutto, facendosi carico di tutto. Senza fare domande, concedeva l’assoluzione come se fosse priva di valore, mentre la ricompensa per chi veniva abbracciato era un dono ancora più prezioso del tesoro del tiranno.
Dov’era la giustizia in tutto questo? Dov’era la punizione per i crimini commessi, la pena per il male perpetrato? Non esistono limiti morali in questo. E non se ne avverte neppure la necessità, perché ogni sentiero conduce nello stesso luogo, e quando la misericordia viene meno, non si fanno più domande.
Il culto del Redentore… è un abominio.
Lei aveva iniziato a cogliere i motivi per cui era nato il clero, il bisogno di riti, regole e divieti sanzionati, il filtro della morale definito dalle nozioni di giustizia comunemente accettate. Eppure, capiva anche fino a che punto una tale istituzione poteva diventare pericolosa, come dispensatrice di quella giustizia. Volti simili ad avvoltoi incappucciati, a guardia della porta del tribunale, che sceglievano chi poteva entrare e chi no. Quanto tempo sarebbe passato prima che una borsa d’argento cambiasse di mano? Quanto tempo sarebbe passato prima che un malvagio criminale trovasse costo tra le braccia del Redentore, cieco e generoso?
Lei poteva plasmare una chiesa simile, poteva formalizzare il culto in una religione, e poteva anche imporre un incrollabile senso della giustizia. Ma che ne sarebbe stato della futura generazione di sacerdoti e sacerdotesse? E di quella successiva, e di quella ancora seguente? Quanto tempo sarebbe passato prima che le rigide leggi trasformassero quella chiesa in una tirannia ipocrita e assetata di denaro? Quanto tempo sarebbe passato prima che arrivasse la corruzione, quando il fulcro segreto della religione si basa sul semplice fatto che il Redentore abbracciava chiunque si presentasse al suo cospetto? Un fatto capace di assicurare il prolificare del cinismo in seno al clero, e partendo da quel cinismo, l’avidità terrena sarebbe stata del tutto inevitabile.
Non era semplicemente la perdita della fede nel Redentore. Era la perdita della fede nella religione.

I Segugi dell’Ombra. Parte PrimaSteven Erikson Pag. 523-524

I Segugi dell'Ombra - Parte Prima

No Gravatar

I segugi dell'ombra - parte primaIl sangue del Dio Morente offre una via di fuga, da tutto quello che conta. (1)
Chi è il Dio Morente di cui scrive Steven Erikson nella prima parte di I Segugi dell’Ombra? Che razza di essere può ispirare un culto che fa sorgere nei campi coltivati schiere di spaventosi spaventapasseri colanti lucori scuri anziché rigogliose messi e dove bere il suo sangue porta alla pazzia, al perdere se stessi?
Un essere che anela certamente al potere e per arrivarci sfrutta le masse, ma per quale motivo lo vuole? Conquista? Vendetta?
E da dove è sorto? E’ sempre esistito o è la creazione degli umani o di un’altra entità sconosciuta?
Come se i pezzi sulla scacchiera non fossero sufficientemente numerosi nell’intricata trama della saga Malazan, nuovi protagonisti vengono gettati nella mischia da Erikson. Senza contare che lo scrittore canadese dà nuova forma a personaggi già incontrati nel lungo percorso che finora in Italia è giunto al suo ottavo capitolo, come succede al Redentore, una nuova divinità, con tanto di relativo culto, che si trova a dover coesistere proprio con quello del Dio Morente all’interno del territorio sotto il governo di Anomander Rake.
Mentre a Corallo Nero tutto appare immutabile perché avvolto nella perenne notte e permeato dalla vita senza sussulti emotivi condotta dai Tiste Andii e dal loro signore, la quotidianità che staziona a Darujhistan dopo gli scontri con l’Impero Malazan narrati in I Giardini della Luna, sta per essere scossa da diversi arrivi. Per Cutter (un tempo Crokus), Rallick Nom e Torval Nom è un ritorno a casa, ma diverse sono le cose che sono cambiate, a partir da loro stessi; per Barathol Mekhar, Scillara è la possibilità di cominciare una nuova vita. Se a questo si aggiunge un gruppo di ex Arsori di Ponti che ha aperto un bar dove un tempo sorgeva il tempio di K’rul (con annessi spiriti di gente dei tempi andati) e una Corporazione di Assassini che sta ristabilendo le proprie gerarchie e riappropriandosi del potere perduto, si può immaginare quale piega possano prendere gli eventi.
La staticità descritta per buona parte del libro è la quiete prima della tempesta: una narrazione lenta dove tanti sono i personaggi che si stanno preparando per entrare in scena, dove le forze soprannaturali che si tengono dietro le quinte stanno macchinando le loro mosse. Personaggi e forze di cui spesso non si riesce a capire l’identità, rendendo a lungo difficile comprendere chi è che sta agendo: questo è il punto debole di I Segugi dell’Ombra, dove ci si trova spaesati e non si capisce chi è in scena, se un nuovo elemento immesso dallo scrittore oppure una figura già incontrata lungo il percorso e che si presenta con una nuova identità. Per chi è abituato a leggere Erikson non è una novità, ma in certi punti è arduo riuscire a raccapezzarsi di chi sta agendo; senza contare che avere memoria di tutte le vicende passate e delle decine e decine di protagonisti che le hanno vissute e realizzate, è un compito non da poco. Se oltre a ciò si aggiungono variazioni di alcuni nomi che possono lasciare sul momento spaesati (Sorella Ripicca diventa Sorella Spite) e che si è potuto leggere solo la metà di un capitolo (ma non per colpa dell’autore, quanto della pubblicazione italiana che spezza in due parti volumi unici) che è solo l’ottavo tassello di un puzzle di dieci pezzi, non ci si deve meravigliare che il quadro generale non sia ancora chiaro.
Superati questi scogli, ci si trova come sempre dinanzi a un lavoro dal respiro epico, di una grandezza sconfinata e profonda come lo è la Storia con le sue lezioni, la saggezza che impartisce e la crudezza che elargisce. Un lavoro reso vivo da personaggi granitici nella loro determinazione, grandi anche nella sconfitta, nella perdita, nella morte.
Come sempre, temi centrali della saga Malazan sono l’osservazione, lo svisceramento e la critica delle meccaniche delle istituzioni (sia governative sia religiose), del potere e delle cosiddette società civili, con i loro pesi, le loro catene da appoggiare sulle spalle della gente così da creare ogni genere di schiavitù, da quella più evidente degli schiavi a quella invisibile dei rimpianti, dei sensi di colpa. Una schiavitù che è in silente attesa di un liberatore, di qualcuno che spezzi il giogo; un qualcuno che porta una libertà che per essere realizzata dovrà essere associata alla violenza, alla rovina, alla caduta, come preannuncia Karsa Orlong nel suo implacabile e travolgente cammino.
Una critica contro le società, i governi, la civiltà che è impietosa perché vuol mostrare come le organizzazioni, le moltitudini non fanno altro che calpestare l’individuo perché la prima legge della moltitudine è la conformità. La civiltà è il meccanismo di controllo e di mantenimento di tale moltitudine. Più una nazione è civilizzata, e più conforme risulta la sua popolazione, fino a quando arriva l’ultima fase di quella civiltà, quando la molteplicità dichiara guerra alla conformità. La prima diventa ancora più selvaggia, ancora più disfunzionale nei suoi limiti estremi, mentre la seconda cerca di aumentare la propria capacità di controllo, fino a quando tali sforzi sfociano in una diabolica tirannia.(2)
Una realtà che non è limitata solo a I Segugi dell’Ombra o che va allargata all’ambito dello studio storico (non va dimenticato che Erikson oltre a essere scrittore è anche archeologo e antropologo), ma che rappresenta un meccanismo da tenere sempre presente, che è sempre attuale, se ci si sofferma a osservare il presente in cui si vive. Un fattore che rende ancora più prezioso il lavoro realizzato dallo scrittore canadese.
Di perle del genere il romanzo è ricco: è come essere dentro a uno scavo archeologico che strato dopo strato porta alla luce preziosi reperti in grado di arricchire e dare conoscenza. Non mancano certo i momenti ironici (come non sorridere di fronte ai siparietti tra Mogora e Iskaral Pust o tra quest’ultimo e i suoi seguaci Bhokarala) capaci di alleggerire un’atmosfera che s’addensa sempre di più e che nella parte finale del volume trova la valvola di sfogo per azioni efferate e travolgenti; ma se si ricercano le azioni risolutive occorre attendere l’uscita della seconda parte.
Per chi è giunto fino a questo punto, Erikson continua a essere una garanzia con la sua complessità e profondità. Per chi invece leggendo questa recensione e le altre dedicate alle opere precedenti, facesse un pensiero su iniziare la lettura della saga Malazan, ci pensi bene: il fantasy scritto dallo scrittore canadese non è né semplice, né lineare, né immediato, né nella media delle pubblicazioni commerciali incentrate solo ad attirare il maggior numero di lettori a cui si è abituati nel nostro paese. E’ una lettura adulta e matura, non di semplice intrattenimento, dove occorre attenzione a saper cogliere ogni dettaglio per comprendere la grandezza di questa opera. Chi ricerca una lettura impegnata, intensa, capace di far riflettere, troverà in Erikson una vera miniera; gli altri, si astengano.

1. I Segugi dell’Ombra. Prima parte pag. 549
2. I Segugi dell’Ombra. Prima parte pag. 535

Andare per la propria strada

No Gravatar

Qualche tempo fa ho voluto fare un esperimento: mettere a confronto due incipit senza dire chi è l’autore e vedere che giudizio saltava fuori. Come riportato sul post di Writer’s Magazine dove l’ho proposto, stavo facendo una riflessione su come vengono giudicati lo stile, la tecnica di scrittura usata e l’approccio per proporre una storia. Entrambi gli incipit appartengono allo stesso genere letterario ed entrambi utilizzano lo stesso approccio, ovvero non dare un nome, un’identità precisa ai personaggi in scena, dando al lettore un certo senso di spaesamento, non dandogli certezze, ma lasciando che solo con l’avanzare della lettura le cose si chiariscono.
Un incipit è di I Segugi dell’Ombra di Steven Erikson, l’altro di L’Ultimo Potere, opera che ho realizzato. Non è stato un volermi confrontare o paragonare al lavoro di Erikson, ma osservare le reazioni dei lettori senza avere pregiudizi, un confronto basato solo sul valore delle opere.
I giudizi sono stati tra i più disparati, perché ognuno ha il proprio punto di vista, il proprio modo di vedere e intendere la scrittura: da tutti si può trarre spunto per migliorare. Ma una volta presa visione di quanto letto, occorre proseguire per la propria strada, non farsi condizionare dal giudizio di tutti perché altrimenti ci si bloccherà, perché non si può accontentare né piacere a tutti. Se si crede nel proprio lavoro, occorre proseguire per la propria strada, senza tentennamenti, portando avanti la storia che si vuole raccontare e l’idea di come la si vuole mostrare.

Visto che ho parlato di L’Ultimo Potere, quello di domenica è stato l’ultimo capitolo del romanzo che ho scritto. Il cammino è stato lungo, ha fatto il suo percorso ed è giunto alla tappa prefissata. Non la tappa finale, perché una storia se si vuole non finisce mai: nella nostra mente, anche dopo l’ultima pagina, si può continuare a immaginare nuove avventure per i protagonisti, perché quanto visto non è altro che una parte di vicende che lo scrittore ha voluto far vedere: il resto è un infinito crocevia di possibilità, dove ognuno volendo può vederci quello che vuole.
A fronte di ciò non si può dire che è stata la fine, ma è stata comunque una fine.
Tuttavia, di tappe ce ne sono altre, perché dei quesiti necessitano ancora di una risposta. Personaggi già incontrati hanno ancora una parte da recitare, nuovi devono entrare in scena per portare avanti la trama dei Tempi della Caduta: ci sono ancora dei Demoni da affrontare, dei lati oscuri da portare alla luce.
Ancora una volta, lo scrittore s’incammina, scoprendo strada facendo dove lo conduce il cammino che sta percorrendo, accorgendosi cosa il percorso gli ha tenuto in serbo. Certo, sa da dove è partito e dove vuole arrivare, ma cosa incontrerà nel viaggio è una sorpresa anche per lui: alle volte sa quello che accade perché lo va a cercare. Altre volte invece è lui a essere trovato e non può fare altro che raccontare cosa ha visto e vissuto. Ma alla fine del viaggio, avrà vissuto un’esperienza che lo ha cambiato, magari maturato: di certo gli ha conferito uno sguardo diverso sul mondo.
Ecco come sono ora: di nuovo in cammino per tornare a raccontare di quello che non si è potuto conoscere in L’Ultimo Potere.

Sfruttamento

No Gravatar

Per governare un impero, per governare un centinaio di imperi, era necessaria una certa obiettività. Tutto doveva essere usato, doveva essere rifatto in qualunque modo lui gradisse. Aveva avviato importanti progetti edilizi per glorificare il suo governo, ma pochi capivano che l’importante non era il completamento, ma il lavoro stesso e ciò che implicava: il suo controllo sulla loro esistenza, la loro lealtà, il loro lavoro. Poteva farli sgobbare per decenni, vedere generazioni di quegli idioti passare uno a uno, tutti obbligati a lavorare ogni singolo giorno della loro vita, e ancora continuare a non capire che cosa significasse per loro dare a lui, a Kallor, così tanti anni della loro esistenza mortale, così tanta parte che, in verità, qualsiasi anima razionale avrebbe ululato per la crudele ingiustizia di una vita simile.
Per quanto lo riguardava, quello era il vero mistero della civiltà, e per quanto la sfruttasse, alla fine non era più vicino a comprenderla. Quella disponibilità di persone per altri versi intelligenti (be’, ragionevolmente intelligenti) a impacchettare e poi svendere raccapriccianti percentuali delle loro limitatissime esistenze, totalmente al servizio di qualcun altro. E la ricompensa? Ah, un po’ di certezza, forse. Il cemento che era la stabilità. Un tetto sulla sesta, qualcosa nel piatto, l’amata prole, ognuno di loro destinato a ripetere l’intero ciclo. Ed era uno scambio equo?
Per lui non lo sarebbe stato. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Lui non avrebbe mai svenduto la sua vita. Non avrebbe servito nessuno, non avrebbe piegato il suo lavoro alla costruzione della ricchezza sempre crescente di qualche idiota che riteneva che la sua parte dell’accordo fosse profonda nella sua generosità e fosse, senza alcun dubbio, il più prezioso dei doni. Che riteneva -che lavorare per lui o lei fosse un privilegio. Per tutti gli dei! Che presunzione!
Ma quante norme del comportamento civile erano studiate per perpetuare tali notevoli schemi di potere e controllo dei pochi sui molti? Norme difese fino alla morte (solitamente dei molti, raramente dei pochi) con leggi e guerre, minacce e repressioni brutali. Ah, quelli erano giorni, no? Ah, come si era gloriato in quell’oltraggio!
Non sarebbe mai stato uno tra i tanti. E lo aveva provato, più e più volte. E avrebbe continuato a provarlo.

I Segugi dell’Ombra. Prima Parte – Steven Erikson pag. 244-245

Questo è lo sfruttamento di cui sempre l’umanità è soggetta.

Il vero artista

No Gravatar

Non esiste né è mai esistito un artista più vero di un bambino libero di fantasticare. Quella confusione di legnetti nella polvere, che un adulto prenderebbe a calci senza nemmeno badarci, sono in realtà le ossa di un vasto mondo, vestito e animato, di una fortezza, di una foresta, di una grande muraglia contro la quale si abbattono orde terribili e vengono respinte da un pugno di coraggiosi eroi. Un nido di draghi, e quei lucidi ciottoli levigati sono le loro uova, ognuna di esse la dimora di un futuro feroce, glorioso. Nessuna creazione è mai stata così gioiosamente trionfante e tutte le macchinazioni e manipolazioni degli adulti sono ricordi fantasma dell’infanzia e delle sue meraviglie, il maldestro accoppiamento con argomentazioni convincenti, obiettivi ragionevoli; e ogni facciata ha una storia da raccontare, una leggenda da osservare in stilizzato decoro. Le statue nelle nicchie esibiscono espressioni severe, indifferenti ai passanti. L’irreggimentazione governa queste menti rigide, immobili nell’abitudine e nella paura.
Trascinare i bambini a lavorare significa uccidere gli artisti, significa cancellare per sempre la meraviglia, il guizzo dell’immaginazione, bramosa come un passero di saltare da un ramo all’altro, e tutto viene schiacciato al servizio dei bisogni degli adulti e delle loro spietate aspettative. L’adulto che pretende tutto ciò ‘ morto dentro, svuotato dei colori brillanti della nostalgia, così soffici, così delicati, così colmi di desiderio dolce e al contempo amaro. Sì, un adulto simile è morto dentro e anche fuori. Cadaveri in movimento, colmi del risentimento che i defunti nutrono per tutto ciò che è ancora vivo, per ciò che è ancora caldo, che respirano ancora.
Questi esseri vanno forse compatiti? No, mai e poi mai, fintanto che trascinano orde di bambini in orrendi lavori, e poi consumano indifferenti i premi delle fatiche dei piccoli.
Questi esseri pasciuti osano lanciarsi in duri giudizi? Oh, c che sì. Un mondo costruito con un pugno di bastoncini può vocare lacrime nei piccoli occhi, mentre l’artista su mani e ginocchia canta canzoni senza parole, parla con mille voci e m figure invisibili nell’ampio panorama della tela della mente (fermandosi solo una volta per pulirsi il naso su una manica). E osa giudicare tutto ciò! E vorrebbe affrettare la fine di un crudele abuso.

I Segugi dell’Ombra. Parte PrimaSteven Erikson Pag. 468

Usare la propria testa

No Gravatar

In questa società, usare la propria testa non è una qualità ricercata, anzi viene deplorata. Chi pensa con la propria testa, chi difende le proprie idee, chi giudica ciò che è sbagliato, viene ritenuto un fastidio, un elemento destabilizzante che va messo da parte, tenuto fuori, eliminato.
Viviamo in un sistema chiuso dove si vuole uniformità di pensiero, appiattimento, obbedienza. Il confronto con idee e punti di vista diversi viene ritenuto superfluo se non intralciante. Fare domande, obiettare: sono considerati uno sterile trovare da dire.
Politici, imprenditori, dirigenti, istituzioni religiose, vogliono avere a che fare con persone che ubbidiscano e basta, eseguano tutto quello che gli viene detto senza domandare, porre obiezioni: si deve sottostare all’autorità, alle gerarchie. Le tanto declamate libertà, democrazia, sono solo parole vuote: lentamente si sta involvendo, si stanno facendo passi indietro di decenni, se non di secoli. E la gente sta accettando tutto questo restando passiva, adeguandosi a questo modo di fare.
Tutto ciò porta a un’assenza di riflessione critica per non mettere in discussione decisioni e strutture, perché si ritiene che consenso e assenza di domande rendano migliore l’efficienza e l’organizzazione. Si ritiene che l’intelligenza sia una perdita di tempo, mentre se invece regna la stupidità si riducono i conflitti e si aumenta la sicurezza. Una stupidità funzionale che elimina riflessione e ragionamento, che spinge sul senso d’appartenenza che fa mettere in secondo piano valori etici, morali e di dignità e far abbracciare il diktat promulgato. Un modo di fare che vuole che si rimanga inconsapevoli, che non si conosca ciò che non va, che porta a una fede irrazionale e a una cecità intenzionale: due elementi che portano solamente alla rovina. Il non voler vedere le cose che non vanno, l’evitare il confronto è spesso voluto da chi è al comando per non creare incrinature nel potere che possiedono; questo forse nell’immediato può dare risultati, ma alla lunga presenta un alto prezzo da pagare. Non ci si rende inoltre conto che questa cieca obbedienza, porta in continuazione a calpestare la dignità dell’individuo, crea stress, demoralizzazione, demotivazione e stanchezza, prima mentale e poi inevitabilmente anche fisica.
Una verità mostrata da Silvana De Mari con gli Yurdoni in L’ultima profezia del mondo degli uomini – L’epilogo, una popolazione barbara che deve eseguire gli ordini di chi li guida e basta, senza metterli mai in discussione: si vuole solo muta accettazione, nient’altro. Niente domande, niente critica, niente obiettività: solo conformarsi al modello di base conosciuto. Una stupidità diffusa in tutta la popolazione, dove cultura, istruzione, scrittura sono abolite e perseguitate. Una popolazione grezza e brutale che conosce solo la forza e la violenza, che non rispetta nulla e nessuno, capace solo di portare distruzione e di rovinare la bellezza. Proprio come sta facendo questa società.
Non si tratta di un semplice racconto, di una favola scritta per bambini, perché nel romanzo di De Mari, c’è la Storia, quella Storia che tanto spesso si dimentica o non si studia e che invece sarebbe meglio conoscere. Anche i tedeschi, prima della Seconda Guerra Mondiale, diedero cieca obbedienza ai loro capi, al loro governo, accettando tutto quello che gli veniva detto senza farsi venire dei dubbi (o se venivano, accantonandoli), senza porsi domande. Il risultato è stato il sorgere del Nazismo, della Seconda Guerra Mondiale, dell’eccidio di milioni di persone, dell’orrore dei campi di concentramento, della distruzione di molte città e regioni.
La mera e cieca obbedienza, il non sapere che cosa si sta facendo, porta solo disastri.
Sicuri che evitare la fatica di pensare, di seguire gli altri in nome di una fantomatica società civile, sia un risparmio di energie conveniente?
A fronte di questo, un brano che rende chiaro il pensiero esposto.

Insieme avrebbero portato la civiltà alla rovina, ovunque e in qualsiasi momento l’avessero trovata. Poiché, nonostante tutto il bene che creava, il suo unico scopo era allevare seguaci, a sufficienza da mettere in moto forze di distruzione, spargendo ondate di sangue secondo il capriccio di quei cinici tiranni nati per comandare. Comandare, sì, con le menzogne, con parole di ferro – dovere, onore, patriottismo, libertà – che nutrivano il volontariamente stupido con grandiosi propositi, con motivazioni per la miseria umana e che allo stesso tempo distribuivano miseria.

I Segugi dell’Ombra. Parte PrimaSteven Erikson pag.374