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Silverthorn - Kamelot

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L’uomo è qualcosa di mutevole, sempre in trasformazione. Quindi, verrebbe da pensare che per lui il cambiamento sia qualcosa di naturale.
Invece ci si trova spesso ad avere a che fare con abitudini ben radicate, comportamenti ripetitivi. Questo perché nella ripetitività c’è qualcosa di confortante, il conosciuto dà certezze, non scombussola pensieri ed equilibri ottenuti. Nessun settore ne é esente: nel grande come nel piccolo. Logicamente l’accettazione del cambiamento varia da individuo a individuo.
Così può succedere che ascoltando il nuovo album di una band che si conosce da anni, ma che ha cambiato un elemento della formazione, non si riesca a entrare subito in sintonia con le canzoni da essa suonate. Specie se l’elemento che è cambiato è il cantante, colui che per primo instaura la sintonia con l’ascoltatore. La voce ha in sé qualcosa capace di toccare le corde più intime di un individuo. Certo è che la stessa cosa la può fare anche uno strumento, dipende come viene suonato. E un testo ha potenza o meno a seconda di come viene cantato.
L’ascolto di Silverthon, nuovo album dei Kamelot parte proprio da questo spunto, con Tommy Karevik (Seventh Wonder) che ha preso il posto dello storico Roy Khan. Karevik ha una buona voce, pur se non calda ed espressiva come quella di Khan: il difetto dell’album non è questo, non è la diversità, quanto quello di voler farlo cantare alla stessa maniera del suo predecessore, avendo caratteristiche differenti. L’errore commesso è quello di cercare di perpetrare ciò che è stato, tentennando a intraprendere con coraggio una strada diversa, come lo richiede la realtà attuale della band.
Questo non significa che si è di fronte a un album da bocciare, il lavoro realizzato è più che discreto, con canzoni come Sacrimony e Solitaire belle e trascinanti, ma da un gruppo esperto e consolidato come i Kamelot ci si aspetta qualcosa di più. Per chi volesse approfondire il giudizio sull’album, su FM c’è la recensione.

Venti di Morte

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Alla fine, il potere distrugge sempre se stesso.

Questa semplice e penetrante frase sarebbe sufficiente a mostrare l’essenza di Venti di Morte. E non si tratta affatto di una riduzione, ma di cogliere l’essenza del settimo romanzo della saga Malazan di Steven Erikson. Un romanzo che mostra piani su piani che si sovrappongono e si scontrano in un continuo ribaltamento, in un costante usare ed essere usati, manipolare e venire manipolati. L’intreccio tessuto è una rete fitta e complessa, dove occorre avere la pazienza di saper aspettare, come l’archeologo che toglie con calma uno strato alla volta per giungere al reperto che gli permetterà di svelare i segreti di una civiltà scomparsa; attraverso questo modo di fare viene alla luce la formazione avuta dallo scrittore canadese, dimostrando come archeologia e antropologia abbiano avuto influenza nel modo scrivere e creare la trama.
La forza e la bellezza degli scritti di Erikson è che viene calata in un contesto fantastico la Storia che l’uomo ha forgiato sulla Terra dalla sua nascita, dopo averla spogliata di nomi, date, contesti specifici, lasciando solo ciò che è veramente importante: l’insegnamento che essa ha da dare alle generazioni future perché possano evolvere, imparare dall’esperienza altrui e non commettere più gli stessi errori. Perché la Storia non è altro che la conoscenza dell’animo umano, con le sue luci e le sue ombre, impegnata a mostrare i suoi lati più sordidi o quelli più eroici, dove si muore, ci si sacrifica per proteggere gli altri, dove anche in mezzo al sangue e al fango e alla violenza si è capaci di gesti gentili.
Questi sono alcuni dei temi più risaltanti della saga Malazan e di Venti di Morte di cui ho parlato più in dettaglio nella recensione della seconda parte del romanzo realizzata per FM.

Il cammino di crescita

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può percorrere tante strade: ognuno ha il proprio sentiero da scegliere e da creare.
Tuttavia, anche se cambia il modo in cui viene fatto, e magari anche i tempi in cui si verificano, le tappe sono sempre le stesse per ciascun individuo, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo.
Solo attraverso l’eperienza personale si può giungere alla crescita: questo è un fatto inconfutabile. Ma attraverso le vicende altrui, si possono avere dei consigli utili, in grado di aiutare: è il caso della storia, oppure la lettura di un buon libro, di qualsiasi genere, anche fantastico, come La Storia Infinita di Michael Ende, dove la fantasia è molto più di un “avere la testa fra le nuvole”. Perché la fantasia è un regno senza confini, continuamente in crescita e pertanto sempre mutevole; un regno che non è fisico e reale nel modo in cui si è abituati a pensare, ma che esiste e per chi vi entra può essere un’esperienza che fa apprendere, che può insegnare, come avviene con Bastiano, il piccolo protagonista delle vicende del romanzo dello scrittore tedesco.
Un discorso ampio, quello che riguarda il libro di Ende, che è stato approfondito in questo
articolo che ho realizzato per Fantasy Magazine, dove affiancando Bastiano nel suo viaggio attraverso boschi notturni, deserti colorati, città d’argento, s’incontrano personaggi come Morla, l’Oracolo del Sud, MorK, Fucur, Graogramàn, Donna Aiuola, capaci di rendere il libro di Ende più di un semplice racconto.

Ascending to Infinity

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Quando si segue un gruppo musicale e per anni la musica che ha prodotto è stata parte della colonna sonora che ha accompagnato la vita, la notizia dello scioglimento e dell’allontanamento di un suo membro non fa piacere; ci si domanda quale sarà il futuro, che cosa salterà fuori.
E’ stato così per i Nightwish quando la cantante storica Tarja ha lasciato il posto ad Anette Olzon ed è accaduto quando i Rhapsody of Fire si sono divisi in due tronconi: da una parte Alex Staropoli e Fabio Lione e dall’altra Luca Turilli.
Come nel caso dei Nightwish, che hanno realizzato due album validi (ho apprezzato molto Imaginaerum, ancora di più di Dark Passion Play), così è stato per i Luca Turilli’s Rhapsody, il gruppo guidato dal chitarrista e compositore che insieme a Starapoli fondò i primi Rhapsody: Ascending to Infinity è un buon cd. Magari non possiede l’epicità di Symphony of Enchanted Lands o la cattiveria Power of the Dragon Flame, ma ha sonorità e sinfonie che me l’hanno fatto apprezzare molto più dei lavori che sono stati realizzati da Triumph or Agony in poi.
Per chi fosse interessato su Fantasy Magazine la recensione sull’album.

Torre Nera: L’Ultimo Cavaliere – Le Piccole Sorelle di Eluria

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L’uomo nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì.
Così nel 1982 Stephen King in L’Ultimo Cavaliere (The Gunslinger) cominciava a narrare le vicende di Roland, ultimo erede di Gilead, una sorta di nuova incarnazione degli antichi cavalieri dediti alla ricerca del Graal, solo che in questo caso l’obiettivo da raggiungere è la Torre Nera, ragione di vita e ossessione del pistolero (a cui lo scrittore americano per la sua creazione si è ispirato al Cavaliere senza Nome interpretato da Clint Eastwood), oltre che punto di snodo dell’universo.
Sono trascorsi più di venti anni prima che questa lunga storia giungesse a conclusione con l’ultimo capitolo della serie, La Torre Nera (2004), una saga ispirata, oltre al cinema, ai poemi Childe Roland alla Torre Nera giunse di Robert Browning e The Waste Land di Thomas Stearns Eliot, ma che attinge anche dalle altre opere che l’autore ha realizzato, come se fosse il punto focale che raccoglie tutto: da Le Notti di Salem a Desperation, da L’Ombra dello Scorpione e Gli occhi del drago a La casa del buio e Cuori in Atlantide.
Una serie che può essere definita la magnum opus di King, che ha dato tanto ma che ha ancora tanto da dire, visto che a novembre di quest’anno sarà pubblicato un altro capitolo, La Leggenda del vento, che si colloca cronologicamente tra La sfera del buio e I lupi del Calla dove Roland narra al suo ka-tet due storie che gettano una nuova luce sul suo turbolento passato. Passato che viene ben mostrato nella serie a fumetti edita in Italia dalla Sperling&Kupfer, che ha raggiunto i sette volumi pubblicati, l’ultimo dei quali è Torre Nera: L’Ultimo Cavaliere – Le Piccole Sorelle di Eluria che ho recensito per Fantasy Magazine: una graphic novel ottimamente realizzata dove si scoprono le esperienze che hanno reso Roland come lo si è conosciuto fin dalla sua prima apparizione nel cartaceo e che, se fino al sesto volume, Il viaggio comincia, approfondiva la storia di Roland seguendo accenni che il pistolero aveva dato al suo ka-tet lungo il viaggio per la Torre, in quest’ultima storia viene svelata un’avventura nuova ispirata dal romanzo fantasy Il Talismano scritto assieme all’amico Peter Straub, in special modo dalla visione familiare evocata dalla splendida dimora della Regina Laura nei Territori; come scrive Robin Furth nell’introduzione al primo volume di Dark Tower: a Concordance, la storia di Roland non è un semplice racconto d’avventura, ma un pellegrinaggio attraverso le rovine del Medio-Mondo che riecheggiano costantemente di miti e narrazioni della nostra comune eredità culturale, dove, in questo caso, il pistolero incarna il mortale costretto a varcare le porte dell’Oltretomba. Un capitolo che mostra come perdita e solitudine saranno le assidue compagne di un uomo costantemente in cerca, che può conoscere pace e riposo solo per brevi istanti nella propria vita.

Il Conciliatore - Brandon Sanderson

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Che cos’è la malvagità?
Come può un essere definito malvagio?
Dalla sua indole? Dalle scelte che compie? Dalle motivazioni che stanno dietro di esse?
E’ una delle domande che l’uomo spesso si pone, un quesito cui cerca di dare risposta e che ancora appare insoluto, come mostra Brandon Sanderson quando il creatore di Sanguinotte riflette sulla natura della spada creata: una spada non comune non solo per le capacità di cui è infusa, ma soprattutto per il suo essere senziente dato il compito per il quale è stata forgiata. Un compito nobile, ma capace di rendere difficile il suo discernimento: come si fa infatti a giudicare se un individuo possiede un animo toccato o pervaso dalla malvagità? Una domanda a cui il suo creatore cerca ancora soluzione, proponendola a chi scorre le pagine di Il Conciliatore, una storia dai molti colori e con un soffio incisivo, come mostra la recensione che ho realizzato terminata la lettura di quest’opera.

Mondi Fantastici - Effemme 5

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Perché il nuovo possa nascere, il vecchio deve morire.
E’ una legge che la sapienza trasmessa dalla saggezza da sempre insegna, il principio che sta alla base del cambiamento e dell’esistenza.
Così è per l’uomo (che dopo ogni esperienza, anche se in apparenza rimane uguale, muta perché ciò che era stato scompare e viene sostituito da ciò che è divenuto), così è per i mondi.
Spesso si parte dall’idea che il nuovo sia qualcosa di positivo e migliorativo rispetto a quanto è stato; un’evoluzione che abbia rafforzato gli aspetti buoni e sia andata a correggere o eliminare i lati negativi.
Una linea di pensiero corretta, basta avere una conoscenza e una consapevolezza tali da permettere di muoversi in maniera costruttiva e mirata. Se vengono a mancare queste condizioni, l’esito può non essere quello preventivato, ponendo in una condizione peggiore di quella che si era conosciuta.

Questo è l’inizio dell’articolo che ho scritto per Effemme sulla trilogia dei Mistborn di Brandon Sanderson. Infatti, il numero 5 della rivista è dedicato alla tematica dei mondi fantastici e ho voluto approfondire la conoscenza dello scenario creato dallo scrittore americano, sfruttando questa opportunità per parlare della nascita di un mondo, dello sviluppo della sua cultura, delle sue leggende e di quanto della propria storia va smarrito. Un fatto davvero grave, dal quale gli esseri umani hanno solo da perdere, dimenticando lezioni importanti che li portano sovente a ripetere gli stessi errori, se non a commetterne dei più gravi: la mancanza di conoscenza è sempre un male, l’ignoranza non porta mai a nulla di buono.
La letteratura fantastica un’altra volta ancora dimostra che non solo è un modo per passare ore piacevoli, ma anche per apprendere insegnamenti, come si fa con la storia; non importa che sia la storia di un mondo che esiste nell’immaginazione e non nella realtà, perché la forza del sapere in essa racchiusa è la chiave per far sì che il cambiamento sia qualcosa di positivo, che porta il frutto dell’evoluzione e del miglioramento.

Il Seme

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Il Seme è il racconto con il quale ho partecipato al concorso per la rivista Effemme con tema “la nascita di un nuovo mondo.”
L’idea dalla quale è nato il tutto è sorta durante la visione del film di Tim Burton, Big Fish, in special modo è stata la scena dove il figlio al capezzale del padre malato gli racconta come avviene la fine: dopo la fuga all’ospedale e la corsa in auto, portandolo tra le braccia, arrivano in una radura nei pressi del fiume dove sono riunite tutte le persone che il padre ha incontrato in vita, venute a salutarlo per l’ultimo viaggio. Penso che a molti farebbe piacere che la dipartita avvenisse in questo modo, attorniati da coloro a cui si è voluto bene e con i quali si è fatto un pezzo di strada insieme, anche se però questo non sempre è possibile; si sa che spesso nel momento della morte si è soli, nella radura in fondo al sentiero non c’è nessuno.
Che stati si provano in questa situazione?
E’ così che è sorta l’immagine di un guerriero, una sorta di cavaliere alla ricerca del Graal in uno scenario post-apocalittico, stanco e provato dal viaggio intrapreso che giunge in uno spiazzo dopo una lunga salita. E lo spiazzo è arido, polveroso, circondato da rocce, non da alberi come nella scena del film: un mondo decaduto, di cui rimane ben poco di quello che era stato in origine; soprattutto, della civiltà umana rimangono soltanto rovine. Un’immagine, quella del protagonista e dell’ambientazione, in parte influenzata dall’ultimo romanzo che ho realizzato, L’Ultimo Potere, anche se si discosta dalla caratterizzazione che ho dato nelle pagine di quest’ultimo.
Questa è la parte centrale della storia, il suo nucleo, di cui al momento della creazione mancavano l’inizio e la fine; avevo un’idea per sommi capi di come sarebbe dovuta essere la storia, ma era ancora un divenire sfocato cui bisognava avvicinarsi per poter vedere meglio.
La nebbia si è dissipata nel giro di qualche giorno.
Mentre stavo cercando una soluzione su come risolvere questi due punti, fissando il bianco della pagina, m’è capitato sotto mano un cd di musica classica contenente alcuni brani di Strauss, tra i quali il famoso Il Bel Danubio Blu: il suo ascolto m’ha dato l’ispirazione su come iniziare.
Invece quella inerente al finale è avvenuta poco dopo grazie alla lettura di una raccolta di racconti dedicati alle figure di angeli, demoni e dei nelle varie religioni, che mi ha fatto trovare quello che mi serviva per allacciare tutte i fili della trama.
Avuto tutto il necessario, i pezzi dopo sono andati al proprio posto da soli: proporre il tema della cerca in un mondo morente, mostrare il cammino dell’eroe con quanto incontra nel suo cammino e come la affronta, sono tipici per quanto riguarda la conoscenza degli archetipi, come ho mostrato in L’Ultimo Potere e nell’articolo dedicato alla trilogia cinematografica di Mad Max, ma ho voluto dare un tocco più scanzonato (inizialmente non voluto), che mescolasse sia drammaticità e malinconia per quello che è successo, sia ironia e comicità per come viene vissuta la realtà, cercando di unire la giusta misura di questi elementi, perché riso e pianto non sono poi tanto differenti tra loro, ma che nel corso della vita si devono alternare tra loro. Un modificare un cliché conosciuto per dare un’impressione al lettore e poi fargli vedere che le cose non sono come sembrano, per rendere la storia diversa, ambientandola sì in un mondo fantastico, ma che tenesse conto anche della realtà.
Tutti questi elementi per mostrare la nascita di un nuovo mondo. E perché il nuovo possa nascere, il vecchio deve morire, così come deve fare il seme per dar vita alla pianta: è da questo che viene il titolo che dà nome al racconto che chi vorrà leggere potrà trovare alla consueta pagina download.

Mad Max – Viaggio attraverso gli Archetipi e la Mitologia

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Questo è l’articolo pubblicato su Fantasy Magazine lunedì sulla trilogia di Mad Max che vede come interprete del protagonista Mel Gibson.
Un pezzo che era nato inizialmente con un altro intento, dato che volevo utilizzarlo per mostrare come questa trilogia cinematografica fosse stata in parte ispirazione per un romanzo che ho scritto e che sto pubblicando sulle pagine del sito. Ma si sa che alle volte gli articoli, come i libri, prendono una piega differente da quella iniziale ed ecco che ci si trova con un pezzo come quello che si può leggere sulla rivista FM.
Un pezzo che parla dell’archetipo del Viaggio, del Guerriero e degli altri che in ogni vita umana, in momenti precisi, sono presenti, che mostra come agiscono e come riconoscerli.
Non solo: mostra anche la caduta di un mondo, di una società, del degrado dell’animo umano, come ben viene riassunto dalla voce narrante all’inizio del secondo film della serie, Interceptor – Il guerriero della strada.

La mia vita si spegne e la vista si oscura. Mi restano soltanto alcuni ricordi di un caos immane: i sogni infranti delle terre perdute. E l’ossessione di un uomo sempre in lotta: Max.
Era figlio dei tempi in cui l’uomo viveva sotto il dominio dell’oro nero. E i deserti brillavano per le fiamme delle gigantesche torri che estraevano il petrolio.
Ora tutto è distrutto, scomparso, come e perché non lo ricorda più nessuno, ma è certo che un immane conflitto annientò due grandi potenze. Senza il petrolio l’uomo tornò alle sue origini primitive e tutte le sue macchine favolose andarono in rovina. Tutti i popoli tentarono di raggiungere un accordo, ma nessuno riuscì a fermare la valanga del caos. Nel terrore dei saccheggi e nelle fiamme della violenza il mondo scoppiò. E tutte le sue città crollarono una dopo l’altra.
L’uomo si nutrì di carni umane per sopravvivere.
Su tutte le strade vincevano coloro che avevano la forza e i mezzi per piombare sulle vittime e depredarle, anche dell’ultimo respiro; niente aveva più valore di una piccola tanica di benzina.
I deboli scomparivano senza nemmeno lasciare il segno di una croce su delle misere pietre.
Nel ruggito di un motore, quelli come Max si difendevano dai demoni del passato e dalle inutili speranze di un futuro svuotati di ogni sentimento umano, condannati a inseguire ogni piccola traccia di vita nelle Terre Perdute.
E alla luce di quei giorni desolati, Max imparò a dominare il suo destino.

E’ in tempi come questi che il Guerriero deve sorgere e combattere per ciò che è importante; una lezione adatta alla società attuale, che ha dimenticato cosa significa lottare per qualcosa che vale molto di più del denaro e del prestigio di una posizione sociale.