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Sentimenti smarriti

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Dietro l’aspetto esteriore della realtà, delle persone, si nascondono mondi sconosciuti. Mondi che ad ogni istante mutano, sono un continuo divenire, una creazione che si sviluppa ad ogni istante. L’uomo moderno ha sempre presunto di essere il vertice dell’evoluzione, credendo di essere fautore del proprio destino, capace di modificare a proprio piacere ciò che lo circonda e di poterlo piegare ai suoi voleri, dimentico che è una creatura relativamente giovane rispetto a essenze che sono l’eternità. Lui, così pieno di sè, ignora come esistano creature che sfruttano le energie che inconsciamente sviluppa, che se ne nutrono per crescere, per divenire essenze che da parassiti bisognosi di altre creature per sostenersi diventano dominatori che controllano ogni cosa.
L’uomo crede che solo le sue azioni, la sua volontà cosciente possa creare, inconsapevole di come anche le sue emozioni possano influire sull’ambiente e condizionarlo, arrivando a trasfigurarlo; alle volte emozioni e sentimenti, se particolarmente forti possono persistere nel mondo anche dopo la scomparsa delle persone che le hanno generate e vagare smarrite alla ricerca dell’ancora cui erano aggrappate, nuove esistenze che si muovono invisibili in un’apparenza che rimane immutata.
Per questo alle volte, quando si giunge in certi luoghi, si è raggiunti da emozioni improvvise che fanno cambiare l’umore e non se ne riesce a comprendere la ragione.
Tutto nell’esistenza produce effetti: perciò nulla va dato per scontato, perché anche un semplice e fuggevole pensiero ha il potere di cambiare il corso della vita.

Le vie erano rischiarate dalla luce dalle case ove la gente si era riunita per consumare il pasto serale.
A parte qualche ritardatario erano soli: nessuno avrebbe interferito, tanto meno nel posto dove erano diretti. Un luogo evitato come un uomo appestato, ritenuto maledetto e infestato da presenze maligne, considerato di cattivo auspicio anche solo passare accanto a esso. Un’area abbandonata, lasciata alle sole cure del tempo: una costruzione colpita dalla malvagità umana e che colpiva con sottili dita invisibili, avvinghiando lo spirito umano in legacci risucchianti forze e trascinanti in baratri oscuri.
Storie raccontate da vecchi; favole per bambini e menti suggestionabili, avrebbero commentato i più, sempre attenti però a non farsi mai trovare da soli nei pressi dell’area maledetta. Perché tutti intuivano che esisteva un fondo di verità.
Il lungo e alto muro che delimitava il cimitero comparve dietro l’angolo del palazzo: una linea retta e omogenea che si perdeva nei meandri della via priva d’illuminazione.
Camminarono veloci e silenziosi, i sensi all’erta. Le inferriate del cancello di ferro battuto comparvero innanzi a loro all’improvviso, scheletriche e acuminate, aprendo lo sguardo sul terreno del riposo dei morti. Nessuna fiammella bruciava nelle tenebre, solo buio e alle pareti alcove ancora più buie, simili a buchi senza fondo. Le lapidi sul terreno erano rare e solitarie sagome, ricordi di cui nessuno aveva più ricordo; defunti di cui nessuno aveva più memoria.
«Entriamo.» Disse Rentar passando tra le sbarre allargate del cancello.
All’interno del perimetro le erbacce crescevano andando a coprire i bassi tumuli dove un tempo risiedevano le bare, avvinghiandosi sulle pietre tombali dalle incisioni consumate.
Percorsero il vialetto lastricato a malapena visibile, cercando di non far rumore.
«Cosa dobbiamo fare?» Chiese Reinor quando furono al centro del cimitero.
«Aspettare.» Rentar chiuse gli occhi, lasciando che la vista sul regno spirituale si aprisse e svelasse la sua visione.
Un muro di nebbia s’era levato oltre le mura del luogo di sepoltura, separandolo dal resto del mondo, come se fossero stati proiettati all’interno di una sfera dalla bianca superficie. La recinzione e la vegetazione erano sparite. Piccoli buchi neri erano sospesi a mezz’aria e nel terreno desertico su cui camminavano: alcuni grandi come fori di pozzi, altri come quello di un secchio. Figure sottili come fumo dalle grosse teste s’aggiravano sperduti attorno a loro, entrando da una parte delle scure aperture e spuntando dall’altra parte dopo qualche tempo; parodie d’anime in pena che si muovevano senza accorgersi di quanto stavano facendo, prive di qualsiasi memoria o coscienza di sé. Le braccia penzoloni, lunghe fino alle ginocchia, si sollevavano di tanto in tanto, come se avessero riconosciuto qualcuno, ma il loro sguardo restava sempre perso e atono. Le grandi orbite nere dei volti smunti svettavano prominenti nelle teste dal cranio troppo sviluppato.
Ogni tanto un velo nero, simile a un ammasso di stracci volanti, s’attorcigliava attorno a quegli spiriti e li inglobava, facendoli sparire. E quando questo avveniva, da un buco oscuro ne usciva uno nuovo che continuava a girare nei suoi pressi finché non era di nuovo inglobato.
C’era molta tristezza in quelle presenze, ma nessuna raggiungeva quella generata da spiriti più piccoli che arrivavano a malapena alle gambe degli altri, simili a tanti fantasmi con il volto paffuto e tondo, con occhi sgranati appannati dalle lacrime; spiriti probabilmente nati dalle tombe di qualche bambino morto prematuramente. Se ne stavano seduti per terra, mogi, lo sguardo che si muoveva senza pace, gettando ogni tanto un flebile suono inarticolato che ricordava la parola mamma.
Rentan prese ad aggirarsi con lo sguardo alla ricerca di qualche traccia; l’unica rilievo fu la presenza d’altri spiriti che subito non era riuscito a scorgere tanto erano sottili e simili a stracci logori stesi a terra. Se ne stavano immobili, confusi con la polvere e le crepe, rassomiglianti a grandi facce sul punto di squagliarsi, smunte e depresse.
Dimenticanza, abbandono, solitudine, oblio: di tutto questo si era impregnato il Mondo degli Spiriti. Un’essenza negativa che aveva risvolti sul mondo materiale, ma che non aveva niente a che fare con quello che cercavano.

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