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Prima persona singolare

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Recensire Prima persona singolare, una raccolta di racconti di Haruki Murakami, potrebbe risultare un lavoro di analisi schematico e magari noioso; otto brani che alternano momenti autobiografici ad altri che scivolano nel fantastico, tutti scritti in prima persona, dove la musica fa sempre da contorno alle vicende. Preferisco invece soffermarmi su due estratti che mi hanno colpito e che trovo molto reali e vicini.

Quel che trovo strano, avanzando negli anni, non è tanto il fatto che sia invecchiato io; che abbia raggiunto l’età che ho senza neanche rendermene conto, io che fino a ieri ero un ragazzo. A sorprendermi è piuttosto constatare come i miei coetanei – soprattutto tante belle ragazze piene di vita che vedevo intorno a me quando eravamo giovani – siano ormai in età da avere due o tre nipotini. Ogni volta che ci penso provo un senso di indefinibile meraviglia, ma a volte anche di tristezza. Benché non mi rattristi affatto il pensiero di essere io, anche io, anziano.
Se veder invecchiare quelle che un tempo erano delle adolescenti mi deprime, forse è perché mi obbliga ad ammettere che i miei sogni di ragazzo si sono spenti. E quando i sogni muoiono, in un certo senso per una persona è ancora più triste che non morire realmente.

Forse, se avessi letto qualcosa del genere diversi anni fa, non avrei sentito le stesse cose; ma con l’avanzare dello scorrere del tempo, del lasciarsi alle spalle la giovinezza, le cose cambiano. Qualcuno potrebbe ritenere l’affermazione esagerata visto che si è da poco superati da poco i quaranta, e in una società che vuole essere eternamente giovane può risultare stridente, ma la realtà è che, lo vogliamo o no, il tempo passa e fa lasciare indietro molte cose. Spesso risulta difficile accorgersene guardando se stessi, perché non ci si sente tanto cambiati, ci si sente quelli di sempre, anche se i cambiamenti ci sono stati; solo che i cambiamenti, se non sono drastici, avvengono poco per volta e si depositano in un modo che non fa rendere conto che sono avvenuti, perché non ci si è fatto caso dall’essere portati avanti dal condurre la quotidianità. Però, se ci si ferma a osservare, si vede che le cose sono cambiate e anche noi stessi siamo cambiati: non proviamo più piacere nel fare delle cose che un tempo invece ci entusiasmavano, non abbiamo più quel modo di vedere che prima ci sembrava così unico e insostituibile. A ciò alle volte ci si arriva da soli, ma spesso avviene quando s’incontrano delle persone che non si vedono da tempo e allora si è costretti a vedere che il tempo ha lasciato il suo segno, che ha cambiato quelle persone che avevamo visto in un certo modo; a quel punto si è costretti ad accettare la realtà, che gli anni passano e reclamano un tributo da pagare. E questo tributo sono i sogni e le aspettative che si avevano e che ora sono solo ombre e ceneri; come dice Murakami, tutto ciò è molto triste, forse perché è una forma di morte che sta preparando a quella definitiva; forse è proprio vero quel detto che da quando nasciamo non facciamo altro che muovere dei passi verso la cessazione dell’esistenza, anche se in mezzo ci sono tante cose da incontrare, perché, se non fosse così, il cammino umano sarebbe davvero amaro.

Tutti noi, chi più chi meno, viviamo con una maschera sul viso. Perché senza maschera, non saremmo in grado di far fronte a questo mondo violento. Dietro la maschera di un demone si cela il volto di un angelo, e dietro la maschera di un angelo quello di un demone. Non si può essere solo l’una o l’altra cosa. Siamo fatti così.
Questo pezzo invece fa pensare che forse non siamo mai veramente noi stessi, che indossiamo delle maschere per non mostrare agli altri il nostro vero io; alle volte le si usano anche per nascondersi a se stessi. Forse viviamo in un unico immenso carnevale dove ognuno mette la maschera che preferisce per mostrare quello che vuole ma che non è quello che si è realmente. Qualcuno lo potrà fare per divertimento, ma i più attuano questa mascherata per protezione, per difendersi dal giudizio altrui, per timore della non accettazione; la parola che ricorre spesso è paura, ma può essere davvero questo il solo motivo per cui si agisce in una certa maniera, per cui non si fa vedere tutto quello che si è davvero? Perché si sceglie di mostrare alcune cose di sé e altre le si tengono nascoste? Vergogna? Alle volte, sì. Ma anche perché, a differenza di una società social che vuole condividere tutto e mettere in mostra qualsiasi elemento, fisico o emozionale, ci sono delle cose che devono rimanere segrete, che solo l’individuo che le possiede può conoscere.

1. Prima persona singolare. I libri del Corriere della Sera, 2022. Pag. 43
2. Prima persona singolare. I libri del Corriere della Sera, 2022. Pag. 101

2 comments to Prima persona singolare

  • Sì, è strano, come se ci si aspettasse che la vecchia compagna di scuola debba essere ancora una ragazzina, non ha senso però succede. Quando si vede il coetaneo di un tempo e si pensa “caspita com’è invecchiato” è il riflesso di noi stessi, è vedere quanto siamo noi stessi invecchiati, che lo accettiamo o meno (argomento del mio penultimo libro, L’Uomo che Odiava il Tempo).
    La questione di “vivere con la maschera” invece è rilevante per noi ma ancora più importante nella società Giapponese, dove è un’uso codificato avere un lato più pubblico e uno privato, e dove la pressione sociale rende così difficile essere una “prima persona singolare.”

    • la questione delle maschere non mi ha sorpreso, specialmente pensando al Giappone, ma quella riguardante il tempo che passa mi ha colpito: non è una cosa che non sia già successa, ma leggerla questa volta è stato toccante. Probabilmente era una cosa cui sarei arrivato indipendentemente da Murakami, ma alle volte succede che ti arriva il libro adatto a un determinato periodo che si sta vivendo (già accaduto in passato e sempre con Murakami).

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