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Paciucco

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«Devo andare in farmacia e poi fare un salto al supermercato: tu finisci i compiti.»
«Sì, Giovanna.»
«Ah, Giacomo» disse Giovanna sottovoce entrando nella sua stanza. «Se il nonno ha bisogno di qualcosa, pensaci tu.»
«D’accordo.»
Giovanna fece per aggiungere qualcosa, ma poi lasciò stare. «Ci vediamo più tardi.»
Giacomo aspettò che la porta di casa si chiudesse e poi si alzò dalla scrivania, avvicinandosi alla finestra. Da dietro la tenda osservò l’auto della matrigna allontanarsi; aspettò di non vederla più, poi uscì dalla camera e discese le scale. Attraversò senza far rumore il corridoio, raggiungendo la porta in fondo a esso; s’inginocchiò davanti al buco della serratura e guardò al suo interno.
Sdraiato sul letto, il nonno stava dormendo, le lenzuola che si alzavano e si abbassavano al ritmico movimento del respiro. La mascherina era appoggiata sul petto, il tubo trasparente collegato a essa che scendeva dove c’era la bombola d’ossigeno. Giovanna gli aveva detto che serviva per respirare meglio: in effetti, quando teneva la mascherina sopra naso e bocca, il respiro del nonno era meno affannoso. Ma sapeva che il nonno faceva fatica a respirare non certo a causa di un raffreddore, come gli aveva spiegato sempre Giovanna; sapeva che aveva qualcosa che lo stava mangiando dall’interno.
Quasi trattenendo il fiato, Giacomo continuò a osservare il nonno dormire, temendo che da un momento all’altro le lenzuola smettessero di muoversi. Proprio com’era successo alla mamma.
Tutti avevano voluto proteggerlo dicendogli che la mamma aveva bisogno di tanto riposo perché aveva lavorato tanto; ma da quando era ritornata a casa dall’ospedale, non si era più alzata da letto. Non avevano più fatto passeggiate nel parco, nemmeno giocato nel giardino di casa; facevano solo dei giochi da tavolo sul suo letto. Gli piacevano Monopoli, Risiko, ma non era la stessa cosa di quando camminavano per i boschi e la mamma s’inventava storie fantastiche di folletti, elfi, animali parlanti; la sua preferita era quella di Paciucco, l’impavida lepre con lo zaino sempre in spalla che viaggiava saltando come un canguro. Viveva mille avventure e andava sempre in soccorso di chi era in difficoltà; non c’era animale nel bosco che non era stato tratto d’impiccio almeno una volta da lui. Era pieno di risorse e il suo zaino poi era un portento: c’era dentro di tutto. Soprattutto, c’era quello di cui aveva bisogno chi soccorreva.
Giacomo fece un sospiro tremante, scacciando via le lacrime che gli stavano annebbiando la vista.
Paciucco se n’era andato quando se n’era andata la mamma. Anche quel giorno aveva guardato attraverso il buco della serratura: aveva visto la mamma chiudere gli occhi e il papà toglierle la mascherina dal volto prima di cominciare a piangere. Avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, ma aveva chiuso la porta a chiave e lui era rimasto solo, nel corridoio, a singhiozzare in silenzio.
Giacomo si soffiò piano il naso e poi si allontanò dalla porta. Attraversò il corridoio e scese le scale che conducevano alla cantina, dove c’erano i suoi fumetti: li aveva nascosti lì dentro quando Giovanna aveva deciso che li doveva buttare via.
«Ormai sei un ometto e devi pensare da grande» gli aveva detto. «Devi lasciar perdere queste sciocchezze.»
Da allora l’aveva odiata per quello: i fumetti glieli aveva regalati la mamma. Spesso li leggevano insieme. Quanto si divertivano. Quanto ridevano.
“Se solo papà non fosse sempre via per lavoro…” Giacomo si trattenne dal dare un calcio alla porta. Papà non avrebbe fatto niente: lasciava fare tutto a Giovanna. Presto anche il nonno se ne sarebbe andato, l’ultimo che era ancora dalla sua parte.
“Sono solo.” Giacomo sentì le lacrime corrergli sulle guance. “Sono solo.”
Aprì la porta, accese la luce e si diresse verso il fondo della cantina. Spostò un poco un paio di damigiane vuote e tirò fuori la borsa di nylon con i suoi fumetti; ne prese uno, si sedette sul pavimento appoggiando la schiena al muro e cominciò a leggere.
«Ehi»
Giacomo alzò la testa di scatto.
«Da questa parte.»
Giacomo si guardò intorno perplesso.
«Acqua, acqua» continuava a dire la voce. «Fuochino, fuocherello…Fuoco!» esclamò la voce quando lo sguardo di Giacomo si posò su un vecchio uscio appoggiato contro una parete.
Vi si avvicinò, notando che dal buco della serratura proveniva un bagliore dorato; titubante, s’inginocchiò davanti a esso e vi guardò attraverso.
Davanti a lui si stendeva un campo di grano e dietro di esso un bosco di robuste querce.
«Bentrovato!»
Giacomo quasi cadde all’indietro quando si ritrovò a fissare un occhio nocciola. Con il cuore che batteva all’impazzata, tornò ad avvicinarsi al buco della serratura: c’erano solamente il campo e il bosco.
«Sono qui!»
Spostò lo sguardo verso sinistra e vide le spighe di grano ondeggiare prima che qualcosa saltasse da dietro di esse. La mascella quasi gli cadde dallo stupore.
“Non è possibile…”
Una lepre con uno zaino in spalla stava saltando impaziente come un canguro dinanzi a lui.
«Paciucco?!» mormorò incredulo.
«Che aspetti? Vieni con me!» lo incitò la lepre.
«E come faccio?» si ritrovò a chiedere d’istinto.
«Ma aprendo la porta, naturalmente!» Paciucco sorrise divertito.
Giacomo afferrò la maniglia dell’uscio e l’abbassò, tirandola verso di sé. L’uscio s’aprì senza difficoltà e si ritrovò in mezzo al grano.
«Andiamo!» Paciucco lo incitò a seguirlo prima di riprendersi a muovere con la sua tipica zompata a canguro.
Giacomo lo seguì, guardandosi attorno pieno di meraviglia. Nel cielo azzurro rondini e passerotti volavano insieme. Sugli alberi, ghiri e scoiattoli stavano portando ghiande nelle loro tane. Un paio di cervi camminava al limitare del bosco.
«Guarda dove metti i piedi!»
Giacomo abbassò lo sguardo un attimo prima d’infilare un piede in una buca. Facendo ora più attenzione, continuò a seguire Paciucco che ormai aveva raggiunto il bosco.
Camminarono a lungo tra gli alberi seguendo un sentiero battuto dai caprioli, accompagnati dal volteggiare delle farfalle.
«Sei stanco?» chiese a un certo punto la lepre vedendo che era rimasto indietro.
«Un pochino»
Nella sua tipica saltellata canguresca Paciucco raggiunse un grande sasso piatto. «Allora riposiamoci un po’ qui.»
Giacomo si sedette accanto a lui, guardando per un po’ le alte cime delle querce e poi fissando lo sguardo sul suo compagno.
«Che c’è?» chiese sorridendo la lepre.
«Credevo che tu fossi solo un personaggio inventato…»
«Solo perché sono nella tua mente e in quella di tua mamma, non significa che non esista» il sorriso di Paciucco si allargò.
«Ma dopo che la mamma se n’è andata, anche se ho provato a pensarti, non sono più riuscito a vederti…»
Paciucco gli posò una zampa sulla mano. «Anche se non riesci più a vedere o sentire qualcuno, non significa che non c’è più.» Poi si sfilò lo zaino dalle spalle e ne estrasse una sfera di vetro che racchiudeva una quercia in miniatura, attorno alla quale danzavano tante piccole pagliuzze verdi e gialle. «Questa è tua.» Si rimise lo zaino in spalla e si alzò sulle zampe posteriori. «Ora devo andare: ho altro lavoro da fare. Ciao!»
Stupito, Giacomo lo vide saltellare via. «Aspetta! Non lasciarmi solo!»
«Tu non sei mai solo» furono le ultime parole di Paciucco che sentì prima di vederlo sparire oltre la curva del sentiero.
Si alzò per inseguirlo, ma inciampò in una radice e cadde in avanti. Fece per afferrarsi a qualcosa e…
Giacomo strabuzzò gli occhi trovandosi a fissare il pavimento grigio della cantina. Si guardò intorno: l’uscio era sempre al suo posto.
«Era soltanto un sogno…» pensò sconsolato mentre rimetteva nella borsa il fumetto. Poi si accorse di uno scatolone che si era ribaltato e si era aperto: in mezzo a vecchi vestiti c’era la sfera di vetro con la quercia che la mamma gli aveva regalato durante una delle loro passeggiate.
«Non sono solo» sussurrò sorridendo mentre la prendeva in mano.

Di tema diverso da quanto scritto da me, ma consiglio la lettura del racconto Va tutto bene.

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