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Mostri

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Mostri è il racconto con cui ho partecipato alla seconda tappa del contest Ferragosto d’Inchiostro 2017 di Writer’s Dream. Come la precedente tappa, il tema era libero, purché si usasse uno degli incipit e uno dei finali messi a disposizione dallo staff; Mostri è la continuazione di Il Rosso e il Nero e mostra il punto di vista di un personaggio qui incontrato.

C’era una volta una principessa che viveva in un castello incantato. Era bella, buona e gentile e tutti vivevano in pace e armonia. Poi la principessa impazzì e diede inizio al massacro.
Questo poteva essere l’inizio di una delle sue favole preferite da piccola; le erano sempre piaciute le storie cupe e macabre: avrebbe voluto farne parte. I lieti fine la irritavano, perché nella vita reale le cose non finivano mai bene; gli eroi li detestava, perché erano figure false, costruite per illudere i bambini e farli sottomettere alla morale degli adulti. Adorava stare dalla parte del mostro; forse perché s’identificava in lui. Forse perché già allora era consapevole d’essere come lui. Sì, un mostro, proprio come la etichettava la maggior parte della gente. Era chiamata anche in un altro modo: strega. Due termini differenti, ma entrambi pronunciati con lo stesso disprezzo, lo stesso timore, lo stesso odio. Ma non li vedeva come qualcosa di negativo, anzi, erano un vanto, perché far paura significava essere rispettati. Lo diceva sempre la sua maestra: meglio carnefici che vittime. E aveva ragione. Dannatamente ragione: a essere vittime si stava da schifo.
Se i fianchi e le gambe non le avessero fatto un male d’inferno, avrebbe trovato quasi divertente come alle volte la sorte esaudiva i desideri: era la protagonista di una delle storie che tanto apprezzava. Solo che le cose non erano andate come sognato. Certo, si trovava in un castello incantato, pieno di poteri, di essenze soprannaturali; il suo proprietario, anche se non era una principessa, era stato pazzo come lei e aveva compiuto massacri in quel luogo per una vita intera. Così tanti ed efferati che aveva stravolto la sua natura, impregnando la sua essenza di dolore, orrore, paura in maniera tale che, anche se non esisteva più nel Mondo Materiale, continuava a persistere nel Mondo Spirituale.
“Ero così sicura di me, così eccitata dalla ricompensa che il mio signore mi avrebbe elargito una volta liberato, che non mi sono accorta della trappola. Eppure non mi sono sbagliata: lui c’era, conosco bene la sua aura. Come hanno fatto quei due maledetti a incastrarmi?” la sua mente lavorava febbrilmente mentre correva.
«Oh, guarda Nero…pensa che siamo dei semplici umani» aveva detto il gatto prima di rivelare la sua vera natura.
“Avrei dovuto sospettare che come guardiani avrebbero messo degli spiriti potenti. Talmente potenti da celare la loro aura ai mei poteri.” Ora però era tardi per recriminare. “Devo trovare una breccia nella barriera per tornare nel Mondo Materiale: è l’unico modo che ho per sopravvivere.”
Un cancello si aprì all’improvviso vomitando nel corridoio un nugolo di topi con la schiena piena di uncini. Squittendo impazziti si appallottolarono su se stessi e si lanciarono su di lei in uno stridente sferragliare di metallo. Il potere scaturì dalle sue mani, mandando gli spiriti a spiaccicarsi sulle pareti. Barcollò, avvertendo un senso di vertigine. “Sono ore che non faccio che correre e combattere, forse giorni.”
Catene munite di coltelli si scagliarono su di lei dal soffitto. Levò un muro di vento a sua difesa. Superò i resti metallici, ignorando le macchie rossastre che si stavano allargando sulla camicia.
«La carne, la carne.» Alle sue spalle il brusio degli spiriti non cessava mai, mentre i corridoi si susseguivano sempre uguali davanti a lei. “Devo continuare a salire: prima o poi troverò l’uscita.” Si gettò a capofitto su una rampa di scale; sbucò in un’ampia sala con un massiccio portone sul fondo. “L’uscita!” Scagliò il proprio potere contro le armature che si stavano staccando dalle pareti. Tutto intorno a lei divenne un vorticare di lame e fiamme.
E poi fu fuori, correndo a perdifiato nel cortile spoglio; la colorazione rossastra degli ambienti del castello lasciò posto al buio trasparente dello spazio aperto. Lanciò un’occhiata alle sue spalle: il castello incombeva su di lei, le nere mura che luccicavano di sangue, le guglie dentate con appesi scheletri urlanti e sbatacchianti.
Avvertì uno strattone alle caviglie e si ritrovò distesa al suolo. Tentacoli pieni di spine salirono lungo i polpacci e le cosce, insinuandosi sotto la gonna; il pizzo delle mutande non oppose nessuna resistenza. Sentì la punta acuminata e dura dei tentacoli cominciare a infilarsi nelle sue fessure. Un’ondata di puro terrore la travolse: scagliò il potere tutt’intorno in maniera incontrollata. I tentacoli schizzarono lontano, ricadendo sul terreno in un groviglio contorto. Si allontanò dallo spirito, incespicando e rotolando più volte a terra mentre cercava di rimettersi in piedi. Un’ondata di calore si allargò lungo le gambe. “Cazzo, me la sono fatta addosso” pensò mentre gli occhi si velavano e le lacrime scorrevano sulle guance. “No, non sono come loro: io sono più forte, molto più forte.” Ma i brividi che scuotevano il suo corpo dicevano che era proprio come le ragazzine con le quali si trastullava. Le vedeva nude e terrorizzate legate sopra il tavolo, urlanti e imploranti mentre le violava in ogni dove con qualsiasi cosa le veniva in mente. Ricordava il suo sussurro mentre avvicinava le labbra alle loro orecchie. “Non devi aver paura di questo: le donne sono fatte per prendere dentro di sé qualcosa di lungo e duro. Devi cominciare ad aver paura quando ti sventrerò in onore del mio signore.” Si eccitava vedendo il loro panico aumentare fino a farle impazzire.
Si rimise in piedi e corse dentro la foresta; i tremiti e le lacrime la accompagnarono a lungo: ora sapeva cosa si provava a essere stuprate.
Gli alberi attorno a lei si muovevano anche se non spirava vento, protendendo rami simili a dita per ghermirla. Alle sue spalle sentiva i sibili e lo sferragliare degli inseguitori, oltre all’incessante «La carne, la carne.»
«Da questa parte!»
Si voltò di scatto verso la voce: a una cinquantina di metri sulla sua sinistra scorse una sagoma umana che si stagliava in mezzo a una breccia nella barriera. “Il vecchio schifoso!” sentì la speranza pervaderla. “Se sopravvivo, gli darò anche l’anima!”
Una massa informe di spiriti si riversò famelica sullo stretto passaggio. Lampi brillarono davanti all’apertura, mentre la sua luce spariva soverchiata dalla schiera.
«…la città…» riuscì a sentire in mezzo allo stridere degli spiriti. «…prendi la breccia che si trova…» L’implosione coprì ogni altra parola.
Senza voltarsi riprese a correre, incurante degli arbusti che la sferzavano. Uscì dalla foresta sotto un cupo cielo verde-azzurro; in lontananza le luci della città brillavano con ferocia. Puntò dritto verso di essa, ormai sostenuta solo dall’adrenalina e dalla volontà.
Raggiunse la periferia cercando freneticamente con lo sguardo la breccia salvifica, ma ovunque guardava non faceva che scorgere spiriti. Spiriti fatti di lacci e siringhe, spiriti fatti di lattine e cocci di vetro: tutti si voltavano a guardarla con bramosia. Corse lungo i marciapiedi, tenendosi lontana dai palazzi che avevano per portoni voragini senza fine. Scorse due baluginii davanti a sé: uno in mezzo alla strada e uno oltre la recinzione contorta di un parco marcescente.
Un ululato risuonò alle sue spalle. Con le ultime forze si lanciò sulla strada, verso la breccia più vicina. “Sono salva!” pensò mentre la varcava e andava incontro alla luce.

Il vecchio arrancava e sbuffava: la corsa per lasciare la foresta e raggiungere la città era stata un tormento. “Devo arrivare là prima di lei. Devo fare in modo che prenda la breccia giusta: ho bisogno di sapere cosa ha scoperto!” Maledisse l’auto che si era guastata. E maledisse l’anca sciancata che non gli dava pace, ma non poteva fermarsi, non poteva permettere che tutto andasse perduto perché non era riuscito ad avvisarla in tempo. “Ormai ci sono…” Due auto della polizia lo superarono proprio in quell’istante.
Le macchine si fermarono con i lampeggianti accesi lungo il bordo del marciapiede. Il vecchio guardò e scosse la testa: troppo tardi.

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