Inquietudine, rabbia, dolore possono manifestarsi nei sogni rivelando eventi del passato che hanno lasciato un segno e che continuano a protrarre nel presente i propri effetti, condizionando la vita e rendendola un inferno.
L’angoscia che si vive in certi sogni è una reazione di difesa nei confronti di qualcosa che spaventa; alle volte è uno scontro tra la propria morale e un desiderio rimosso o che si vuole ignorare temendolo sbagliato o inappropriato. Una reazione generante conflitti interiori che scatenano rabbia (spesso rappresentata con incendi, dilagare di fiamme), una sorta di ribellione, di valvola di sfogo da una frustrazione affettiva che non riesce a trovare risoluzione.
La sera sopraggiunse trovandoli nei pressi della foresta di Hestea, l’area delle colline dell’antico luogo sacro una linea scura all’orizzonte.
Periin consumò il pasto lontano dal gruppo; Lerida non aveva avuto torto nel dire che quel giorno il suo umore era peggiore del solito.
Non solo era seccato per essersi addormentato senza accorgersene, dormendo tutta la notte, ma era infastidito dal sogno vissuto. Lo stesso sogno fatto dai compagni.
Aveva ascoltato le conversazioni degli altri membri e corrispondeva in tutto: aveva visto quanto raccontato da Lerida mentre girovagava nell’area del tempio osservando ogni cosa senza interesse, un posto come tanti in cui era passato.
«Dove vai?» Si era sentito chiedere.
Vide un bambino non molto grande, di massimo otto, nove anni, dai capelli corti e gli abiti lisi; un ragazzo di strada, come tanti. La povertà arrivava dappertutto, anche nei luoghi sacri. Era una regola cui non si sfuggiva.
«Dove vai?» Ripeté il bambino.
«Non ha importanza.» Rispose senza interesse.
«Perché viaggi tanto se non sai dove andare?» Domandò il bambino senza distogliere lo sguardo.
Fece per andarsene.
«Stai scappando? Solo chi scappa non guarda dove va: ogni posto va bene, purché lontano. Ma in nessuno riesce a posarsi, spostandosi sempre.»
Si voltò di scatto, come se lo volesse fulminare.
Il bambino non s’impressionò, restando a fissarlo come se niente fosse.
«Cosa ne sa un bambino delle scelte di un uomo?»
S’allontanò tra la folla, il passo agile e silenzioso che calpestava il lastricato bianco della strada. La piazza e la biblioteca erano alle sue spalle quando si fermò.
«Perché mi stai seguendo?»
«Non ti sto seguendo, stiamo andando nella stessa direzione.» Il tono atono della voce aveva poco d’infantile.
Non gli diede importanza: a vivere per strada si cresceva in fretta.
«E allora dove sei diretto?» Era infastidito che qualcuno camminasse con lui.
«Non ha importanza.» Fu la risposta che ottenne.
La bocca si distorse in un piccolo ghigno: il bambino era sveglio. Come avrebbe fatto altrimenti a sopravvivere?
«Fa come vuoi.» Riprese a camminare, consapevole che l’altro lo stava ancora seguendo.
Senza accorgersene si ritrovò a essere sopra al muraglione nei pressi del grande tempio; non era sua intenzione arrivarci. Scrollò le spalle: sarebbe tornato indietro.
Fece il percorso a ritroso, passando accanto ai fedeli in processione.
«Perché non entri nel santuario?» Sentì domandare dal bambino.
«Perché dovrei?» Il piccolo stava diventando una presenza fastidiosa. Nella vita di strada fare troppe domande portava a una sola conclusione: non gliel’avevano insegnato?
«La gente va nei tempi per trovare pace e serenità, per riconciliarsi con se stessi e trovare un rifugio per l’anima. Tu non ne hai bisogno?»
«Ti fidi di tutto quello che ti raccontano? Se vuoi credi alle favole, alla tua età è ancora possibile. La realtà però è tutta un’altra cosa.»
«Che cosa ti tiene lontano da questo luogo?» Volle sapere il bambino.
Fu sul punto di non rispondere, poi ci ripensò: forse il ragazzino non parlava da tempo con qualcuno e ne sentiva il bisogno. Forse se lo avesse assecondato per un po’ se lo sarebbe tolto di torno, molto prima che ignorandolo.
«La gente che si reca qui ha bisogno di un appoggio perché non è in grado di gestire la propria vita e sono gli altri a dirgli quello che deve fare; non si rende conto che così facendo è in loro balia, dando un modo per essere controllata. E i cosiddetti religiosi non si lasciano sfuggire quest’occasione di potere, manipolare le persone attraverso le loro debolezze. La gente viene qua per risolvere i problemi, ma i religiosi non danno una soluzione, solo una parvenza di speranza, illudendo che un giorno tutto si risolverà, costringendola a tornare. Se facessero diversamente, non avrebbero più motivo d’essere, perdendo i benefici che i condizionamenti comportano.» Si sistemò lo zaino sulle spalle. «Io sono libero da questi giochetti.»
«Ah.» Disse semplicemente il bambino. «Però è una bella costruzione: perché non entri solo per guardarla?»
«Perché non m’interessa.» Lanciò un’occhiata fugace al tempio.
«Capisco: non ti piacciono i luoghi affollati.» Osservò il ragazzino. «Forse hai ragione: c’è troppa gente.»
Si ritrovarono a camminare di nuovo sulla strada, ma non erano più nell’ampia via della zona del tempio: percorrevano un viottolo stretto, affiancato da basse case.
«Perché cammini sempre nell’ombra?» Chiese il bambino osservandolo.
Fu sorpreso dalla domanda. «Non ti è stato insegnato come si vive per strada?»
«Nessuno l’ha fatto.» Rispose il piccolo. «Ma non ne ho bisogno.»
Che avesse sbagliato a valutarlo?
Continuarono a camminare in viuzze secondarie stranamente familiari. Si ritrovarono ad attraversare un piccolo parco: anche questo era familiare.
«Forse potresti entrare in questo tempio.» Suggerì il bimbo. «Non c’è nessuno che possa disturbare.»
«No.» Fu repentina risposta, ora totalmente consapevole di dove si trovava.
«Perché no?» Insistette il bimbo. «Nessuno ti vedrà.»
«No.» Ripeté deciso. Gli occhi non riuscivano a staccarsi dalla piccola cappella distaccata dal tempio principale.
«Cosa sarà mai entrare in un luogo sacro? Hai paura di restare condizionato?» Insistette il ragazzino, ora al suo fianco, intento a guardare anche lui la costruzione.
«No.» Sibilò minaccioso.
«Perché…»
«No!» Gli urlò contro.
Il bambino lo fissò per nulla impressionato. «Cosa c’è dietro quella porta che ti spaventa tanto? Che cosa nasconde?» Continuò inflessibile. «Chi c’è là dentro?»
«Lupi travestiti da pastori; ladri, impostori, assassini: ecco cosa troverai.» Sentì bruciare una fredda furia negli occhi.
«Che cosa è successo?» Il bambino non s’arrese.
«Ci hanno imbrogliato, ci hanno illuso predicando misericordia, ma non c’è misericordia per dei bastardi come noi, non appartiene a chi non è ricco.» Sibilò a denti stretti.
«Cosa è avvenuto in quel tempio?» Volle sapere il ragazzino.
«Quello non è un tempio: è una tomba, un luogo dove danno benedizione al mattatoio che è quest’area.» Sentì la respirazione accelerare. «Le hanno fatto credere che sarebbe entrata in un mondo migliore, la sua dura vita finita; era così felice, raggiante. Quando ci ha lasciato, ha detto che una volta sistemata ci avrebbe invitato nella sua nuova casa; era così contenta che ci abbiamo creduto anche noi.» Il suo sguardo divenne feroce. «L’hanno venduta, fatta prostituire in un mondo di luci ed eleganza. E quando una verità troppo scomoda ed evidente stava per venire a galla, l’hanno eliminata. Non ci sarebbero stati strascichi: si fa in fretta e senza dare nell’occhio a far sparire chi non ha nessun legame al mondo. E quei porci dell’Ordine avrebbero coperto tutto senza fare niente per punire il ricco benefattore che l’aveva accolta in casa come serva e da cui lei attendeva un figlio: sarebbe stato uno scandalo per un uomo della sua posizione.»
«Come fai a sapere queste cose?» Lo interrogò il bimbo.
«Ho sentito i Messaggeri e quel porco del suo benefattore da una delle finestre dell’edificio, mentre attorno alla sua bara discutevano come risolvere quanto accaduto.» Serrò la mascella. «Non so neanche dove l’abbiano seppellita.» Strabuzzò gli occhi come se si fosse riscosso da uno stato di trance. Guardò irritato il bambino. «Questo posto mi ha schifato.»
Senza aspettare risposta si voltò. Mentre camminava s’accorse di stare stringendo con forza l’elsa delle spade; si sentì avvampare da un altro moto di rabbia. Avrebbe trovato un posto dove non sarebbe stato più costretto a usarle.
Camminò fino a lasciare la città alle spalle, attraversando prati e valli. Arrivò in una foresta mai vista, inabitata e cominciò a sentirsi meglio: non avvertiva nessuna minaccia in quel luogo. Si sfilò la cintura con le spade e le lasciò cadere: fu come abbandonare un gran peso.
Camminò a lungo nella foresta. Provò un benessere e una pace nuovi; quando fu stanco si fermò tra le radici di una grande sequoia, sedendosi, poggiando il capo contro il tronco e chiudendo gli occhi.
Quasi subito sentì un corpo premere contro il suo.
«Come si sta bene qui.» Sussurrò una dolce voce femminile. «Sapevamo che ci avresti guidato bene: su di te si può contare, ci sei sempre. Mantieni sempre le promesse.» La voce ridacchiò. «Smettila di farmi il solletico ai fianchi. Non cambierai mai.» Sentì un buffetto sul braccio. «Non cambiare mai, rimani sempre così: sei speciale.»
Si sentì scivolare beatamente nel sonno.
Gli occhi erano ancora chiusi, ma era sveglio, allarmato da un senso d’inquietudine che si faceva avanti inesorabile. Quando li aprì si scatenò l’inferno: la foresta bruciava, c’erano urla e suoni stridenti ovunque.
Cominciò a correre.
Un’ombra gli si parò davanti e l’abbatté; stessa sorte toccò a tutte quelle che si ritrovò sul cammino.
Quando si fermò, era in cima a una collina. Guardò indietro e vide i resti fumanti della foresta.
Il terreno era cosparso di corpi. Si piegò a riprendere fiato e solo allora s’accorse di impugnare di nuovo le spade: grondavano sangue.
Quando rialzò lo sguardo trovò il bambino a fissarlo.
«Perché sei cambiato?»
«Per sopravvivere.»
«Saresti sopravvissuto lo stesso.» Lo corresse il ragazzino. «Sei diventato quello che sei per non soffrire più, perché credevi di non riuscire a sopportare il dolore. Lo hai fatto per salvarti, ma non sarà certo in questa maniera che ci riuscirai. La strada che hai intrapreso non ti porterà nulla; ancora non ti accorgi di quello che sta avvenendo, ma faresti meglio a farlo prima che sia troppo tardi.» Il bambino si allontanò senza muovere le gambe. «Sei cambiato per diventare forte: c’era già forza in te, ma ti sei illuso di non averne abbastanza. La verità era che volevi mascherarti.» Ora era soltanto un punto distante. «Puoi ancora tornare a essere quello che eri.»
Per un attimo fu raggiunto da un raggio di luce che gli sfiorò il volto; poi l’oscurità calò su di lui coprendo ogni cosa.
Aveva capito cosa era successo durante il sonno: aveva rivissuto il passato, provando le stesse emozioni d’allora. Era già capitato. Questa volta però era stato molto più intenso.
Non capiva il significato del sogno, del bambino: sembrava un monito. Ma aveva l’impressione che ci fosse dell’altro. I sogni non seguivano mai un filo preciso, erano caotici e senza senso, a parte le emozioni che facevano scaturire: questo invece sembrava mirare a qualcosa. Che cosa fosse però lo ignorava e gli dava da pensare; per questo si teneva lontano dagli altri perché non capissero quello che stava passando. Se la gente non sa quello che pensi non può vedere i tuoi punti deboli, era diventata una delle sue regole di vita.
S’andò a sistemare ancora più lontano dall’accampamento, sedendosi contro il tronco di un albero. Rimase in attesa del giorno guardando stelle dalla luce fosca.
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