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L’ultimo veterinario di campagna

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L’ultimo veterinario di campagna di Silvano MontiL’ultimo veterinario di campagna di Silvano Monti è il resoconto di un tempo passato, di un periodo storicamente vicino eppure che sembra così lontano, tanto il mondo è andato avanti in così poco tempo. In ciò che viene raccontato non ci sono abbellimenti per rendere più romanzesche le vicende: è la realtà di tutti i giorni della vita di campagna che si conduceva diversi anni fa, narrata con la stessa semplicità con cui si viveva allora.
Alle generazioni attuali può sembrare un altro mondo, e in effetti lo è, perché il modo di vivere e dei rapporti umani di allora era diverso; più duro, in apparenza più povero senza le tecnologie attuali, ma sicuramente più vero, più genuino, più sincero e probabilmente anche più saggio. Alcuni personaggi possono sembrare quasi usciti dalle favole con il loro vivere tra i boschi, il parlare con gli animali, stare in solitudine tra i monti, ma per quegli anni, per chi viveva e lavorava in campagna, la vita era questa. Portare al pascolo gli animali, tagliare la legna, fare il carbone, coltivare i campi: le persone passavano molto tempo da sole a contatto con la natura e questo dava il via a un’introspezione che solo chi lo ha provato può capire. I ritmi della vita erano dettati da quelli delle stagioni, dalle esigenze di natura e animali; rispetto a quelli attuali erano rallentati.
L’ultimo veterinario di campagna non è solo un romanzo autobiografico di Silvano Monti in cui viene raccontata la sua infanzia, le marachelle di quando era piccolo, che cosa l’ha spinto a divenire veterinario, i casi che ha dovuto affrontare in tanti anni di mestiere: è la narrazione delle persone di una generazione ormai scomparsa; racconta delle case, dei boschi, delle colline delle zone di Porretta, Vergato, Castel d’Aiano e Villa d’Aiano. Le persone di cui parla sono personaggi alle volte un po’ strani, con la caratteristica parlata in dialetto (che può ricordare quello bolognese, ma che è diverso, perché basta cambiare anche solo provincia che l’inflessione, la pronuncia e il significato delle parole può variare), alle volte un po’ sopra le righe, ma non c’è nulla d’inventato in quanto raccontato: chi ha vissuto quel periodo ne dà conferma, avendo conosciuto questi personaggi di persona. Di questo ne ho testimonianza diretta, perché è in quei luoghi che risalgono una parte delle mie radici e persone che mi sono vicine e che conosco mi hanno raccontato le cose che sono riportate in questo libro.
Racconti semplici ma allo stesso profondi, soprattutto pieni di umanità. Tra le persone c’era più collaborazione, meno diffidenza, si poteva girare più liberamente senza troppe preoccupazioni, senza stare a guardare a tutti quei divieti che sono saltati fuori con la civiltà moderna, senza avere il pensiero di fare brutti incontri.
L’ultimo veterinario di campagna è capace di far sorridere ma anche di far provare malinconia; le sue pagine sono permeate di una poesia semplice e diretta. Non è solo un libro che intrattiene: funge da memoria, per ricordare un tempo e una cultura passati, e insegna a ritrovare valori, oggi andati perduti, per essere più umani. E fa anche riflettere su che cosa si perde con il cosiddetto progresso.

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