La prima volta che ho visto Le otto montagne, il film non mi aveva colpito particolarmente, in alcuni tratti mi aveva anche annoiato; le uniche cose che mi avevano soddisfatto erano la frase da cui prende titolo il film e il finale; quando l’ho rivisto invece devo dire che l’ho rivalutato.
La storia ruota attorno a Pietro, che viene dalla città di Torino, e Bruno, che è nato e cresciuto in Val d’Ayas, e viene narrata dal momento del loro incontro da bambini; in comune hanno la figura di un padre assente e con cui non riescono a comunicare. Benchè ogni estate Pietro e la sua famiglia vadano in Val d’Ayas, i rapporti tra i ragazzi si fanno sempre più d’istanti, finché la cosa si riduce a un semplice saluto quando s’incontrano.
I due si riavvicinano alla morte del padre di Pietro, con quest’ultimo che scopre che il padre aveva seguito e aiutato molto Bruno: in questo modo forse ha cercato di fare quello che non è riuscito con il proprio figlio. Scopre anche che il padre gli ha lasciato una vecchia baita, che rimetterà in sesto assieme a Bruno: diventerà la loro casa per l’estate.
Mentre Bruno è soddisfatto della vita che fa e rimane ancorato alle proprie origini, Pietro è insoddisfatto di quella che conduce e decide di fare un viaggio in Nepal; di ritorno, racconta all’amico la concezione che hanno in quel paese del mondo, secondo la quale ci sono otto montagne concentriche separate da otto mari, con al centro quella più alta, il Monte Meru. Bruno si riconosce subito in ques’ultima, mentre Pietro, sempre irrequieto, sempre in cerca di qualcosa, è rappresentato dalle altre otto.
Ma mentre Pietro, dopo aver conosciuto un’insegnante nepalese, sembra trovare un proprio equilibrio e posto nel mondo, Bruno non riesce ad adattarsi alla vita che evolve, rimanendo ancorato alle proprie origini e alla montagna: dopo che il suo alpeggio è stato pignorato e la sua compagna con la figlia se ne sono andati, Bruno chiede a Pietro di poter vivere nella baita, perché la montagna non gli ha mai fatto del male (a differenza delle persone). Dopo però una grossa nevicata di Bruno non si hanno più notizie; dopo qualche tempo le ricerche vengono sospese e Bruno dato per morto. Nel finale c’è una scena di fiori e corvi che ricorda la sepoltura celeste (antico rito tibetano dove il corpo del defunto viene scuoiato, smembrato con un’ascia ed esposto agli avvoltoi per cibarsene), facendo capire la fine che ha fatto. Bruno non tornerà più alla baita, perché ci sono montagne cui non ci si può tornare, specie quelle dove si è perso un amico.
Le otto montagne ha una bella fotografia; alle volte può sembrare pesante, così da farlo sembrare più lungo delle quasi due ore e mezzo di durata. Ma se si ha pazienza, può dare molto. Da vedere con calma, per poter assaporare le sue sfumature e i suoi silenzi.






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