Da tempo volevo scrivere una recensione su La Rocca dei Silenzi di Andrea D’Angelo, ma erano passati anni dalla prima volta che avevo preso in mano questo romanzo e quindi ho voluto rileggerlo, uno perché non mi ricordavo diverse cose, due perché volevo capire se le sensazioni e le impressioni avute in precedenza erano le stesse. Come avvenuto in passato, posso confermare che La Rocca dei Silenzi è un buon romanzo, in più ora ho la consapevolezza per parlare di certi aspetti del libro, questo grazie anche alle parole rilasciate dal suo autore (se si vuole qui c’è il suo sito personale e qui il canale Youtube che gestisce: suggerisco di darci un’occhiata perché ci sono cose interessanti da seguire).
Fin dalle prime pagine, si viene catapultati nella vicenda senza sapere cosa sta succedendo, un po’ come avviene nei romanzi di Steven Erikson: un terzetto di avventurieri (il nano Ghona, l’elfo scuro Ledrijn, il guerriero umano Koh Katt), decide di affrontare le insidie di Ammothad, la Rocca dei Silenzi. Le prime pagine sembrano di ricalcare una storia fantasy ben conosciuta: un gruppo di avventurieri che si avventura in un luogo oscuro e pericoloso. Molto pericoloso, dato che della prima spedizione effettuata, di ventitrè membri del gruppo, solo quattro sono sopravvissuti: loro tre e un mago, Thal Dom Djèv, che ha rifiutato di affrontare di nuovo l’impresa. Fronteggiare la propria morte è ammirevole, sperare di sconfiggerla è da idioti! Io attenderò che venga a prendermi, queste erano le parole con le quali li aveva congedati una volta che gli avevano confidato di voler tornare ad Ammothad. Purtroppo, le parole del mago risultano veritiere: i tre vengono massacrati dalle creature vomitate fuori dalla rocca.
Tempo dopo la missione suicida, alla Torre di Dòthrom (luogo di studio della Magia), Moenias, un potente fruitore di Magia, sta cercando di convincere i suoi simili a liberare Ammothad dalla maledizione che la pervade, bandendo il male che vi alberga. La votazione è a un punto di stallo e solo un voto può decidere per una nuova missione alla rocca malefica: quello di Thal Dom Djèv, convocato alla Torre proprio per parlare di quello che ha appreso da quel luogo di morte. Sorprendentemente, il fruitore decide a favore dell’impresa, anche se aveva promesso che non sarebbe più tornato in quel luogo di follia e morte.
Inevitabilmente, la missione si rivelerà un nuovo bagno di sangue, dove sopravvivrà solo la retroguardia di cui Thal Dom fa parte; Moenias muore nell’impresa, ma il suo sacrificio permette a Thal Dom, attraverso la Telepatia Traslata, di scoprire i punti deboli delle creature che si comincia ad apprendere non essere demoni. E i sospetti che la Torre di Dòthrom sia corrotta e coinvolta in quello che succede ad Ammothad si fanno sempre più concreti.
Nonostante l’ennesimo fallimento, Thal Dom conduce una nuova missione per fare luce sull’incubo che ormai lo perseguita da troppo tempo: con i superstiti della retroguardia, più altri due fruitori e un misterioso sicario capace di odorare la morte, s’addentra nelle profondità della Rocca come mai aveva fatto in precedenza. E la verità gli viene sbattuta in faccia, rivelandogli che c’è chi non segue le regole della magia e della natura come fa lui.
La Rocca dei Silenzi è un fantasy epico, ben scritto, capace di sorprendere in alcune parti, come per esempio ciò che riguarda il sicario Mordha oppure per la via che Vorak intraprende (si poteva pensare che fosse dettata dalla follia, ma così invece non è); un po’ meno sorprendente ciò che si nasconde dietro le creature di Ammothad, ma questo dipende probabilmente dalla conoscenza che ho del fantasy per via delle letture avute in precedenza: esse mi hanno ricordato gli Ombrati del ciclo di Gli eredi di Shannara di Terry Brooks (non aggiungo altro per non fare spoiler) e quindi avevo intuito già dalla spedizione di Moenias dove Andrea D’Angelo avrebbe condotto il lettore. Il fatto che non ci sia sorpresa non è cosa negativa, anzi, ho apprezzato la direzione che Andrea ha voluto prendere, dell’impronta che ha voluto dare al romanzo; come la definirebbe lui, un’impronta filosofica, che fa riflettere sulla morte, su quali limiti si possono superare e quali invece è meglio lasciare stare. Ed è giusto che sia così, perché si è dinanzi a un fantasy epico, non uno young adult con patemi adolescenziali come l’editoria a un certo punto ha voluto definire il fantasy. Quindi niente cotte varie o vaneggiamenti amorosi, ma un romanzo cupo, arrabbiato (chi ha auto modo di seguire Andrea sul suo sito o sul canale Youtube, ha già sentito di questa rabbia).
La Rocca dei Silenzi è un romanzo che consiglio per chi cerca una lettura non banale, uno tra i pochi che davvero mi ha convinto nel panorama italiano di opere fantasy pubblicate da case editrici (piccola nota a margine, ma penso che questo dipenda solamente da me: alcuni nomi facevo fatica a ricordarli, come per esempio Lhoss’m Da’hin).
L’ho letto diversi anni fa, e per quanto non ritenga questo libro un capolavoro, nel panorama di un certo periodo in cui in Italia uscivano parecchi libri, ma di solito scritti da autori acerbi, questo certamente era a un livello superiore.
Ricordo che in quegli anni ci fu chi fomentò una feroce polemica contro il libro e l’autore, ma è solo un po’ della tanta aria fritta dell’epoca.
Sì, era ben sopra la media. Riguardo alle polemiche, allora frequentavo poco la rete e quindi non ne so praticamente nulla (e sinceramente, non mi sarebbero interessate, dato che valuto la bontà di un libro secondo i miei valori).